Cass. Sez. III n. 30299 del 2 novembre 2020 (CC 15 set 2020)
Pres. Izzo Est. Gentili Ric. Bedin
Rifiuti.Condizioni per l’esclusione delle materie fecali dalla disciplina dei rifiuti

La esclusione delle materie fecali dalla disciplina dei rifiuti di cui al dlgs n.152 del 2006 è subordinata alla condizione che esse provengano da attività agricola e che siano effettivamente riutilizzate nella stessa attività. L’utilizzo dei liquami rivenienti dai materiali fecali di origine agricola (ed è il caso di precisare che la origine agricola è tale da comprendere ogni origine che sia derivante da un uso agricolo, anche connesso al loro allevamento, degli animali terricoli) è tale da far escludere per gli stessi la qualificazione in termini di rifiuti in quanto gli stessi siano utilizzati sotto forma di concime sia attraverso il loro generico spandimento, sia attraverso la pratica della fertirrigazione (in relazione alla quale pratica, onde definirne il contenuto, si precisa che essa consiste nella concimazione dei campi utilizzando quale vettore del fertilizzante, anche naturale  - id est: il letame, cioè la materia fecale agricola – l’acqua); in ambedue i casi, tuttavia, la esclusione di cui sopra si verifica in quanto ricorrano le seguenti condizioni: che vi sia una coltivazione effettivamente in atto; che per qualità, per quantità e per le modalità della loro l’applicazione l’uso degli effluenti risulti congruo rispetto allo scopo dichiarato; che non emergano elementi sintomatici tali da indurre l’esistenza di un uso diverso da quello consentito.


RITENUTO IN FATTO
E’ stata impugnata la ordinanza con la quale, in data 16 gennaio 2020, il Tribunale di Latina, in funzione di giudice del riesame delle misure cautelari reali, ha rigettato il ricorso presentato da Bedin Carlo avverso il provvedimento di convalida del sequestro probatorio emesso in data 20 dicembre 2019 dal Pubblico ministero presso detto Tribunale, avente ad oggetto un terreno della superficie di circa 2.000,00 mq ove questi aveva, secondo l’accusa senza alcuna accortezza (tanto che gli stessi avevano dato luogo a dei fenomeni di ruscellamento verso i corsi d’acqua sottostanti), in violazione dell’art. 256 del dlgs n. 152 del 2006, depositato dei liquami animali rivenienti da una stalla ubicata nelle vicinanze.
Ha interposto ricorso per cassazione avverso il provvedimento in questione il Bedin, assistito dal proprio difensore fiduciario, lamentando, in sintesi, l’errore di diritto in cui sarebbe incorso il Tribunale di Latina nel ritenere che i liquami in questione costituissero rifiuti, atteso che gli stessi, provenienti da attività di carattere agricolo e destinati ad essere riutilizzata dal ricorrente  nella medesima attività, erano esclusi, secondo la espressa dizione di cui all’art. 185, comma 1, lettera f), del dlgs n. 152 del 2006, dal novero dei materiali classificabili come rifiuti; da ciò il ricorrente ha fatto derivare la assenza del fumus delicti e, pertanto, la illegittimità, non rilevata dal Tribunale del riesame, del sequestro operato.

CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è manifestamente infondato e, pertanto, lo stesso deve essere dichiarato inammissibile.
Osserva il Collegio che la tesi che fa da sfondo alle argomentazioni contenute nel ricorso proposto dalla difesa del Bedin è che siano escluse dal campo di applicazione dell’art. 256 del dlgs n. 152 del 2006 le deiezioni animali; in particolare il ricorrente ha espressamente richiamato l’art. 185 comma 1, lettera f), del citato testo normativo, il quale prevede che non rientrano nel campo di applicazione della parte IV del decreto in questione le materie fecali.
Nel formulare il rilievo che precede, tuttavia, il ricorrente, che pure ha mostrato di conoscere la giurisprudenza di questa Corte formatasi al riguardo, ha omesso di considerare i termini in cui siffatta esclusione è stata ritenuta concretamente applicabile.
Invero, come da tempo questa Corte ha precisato la esclusione delle materie fecali dalla disciplina dei rifiuti di cui al dlgs n.152 del 2006 è subordinata alla condizione che esse provengano da attività agricola e che siano effettivamente riutilizzate nella stessa attività (Corte di cassazione, Sezione III penale, 13 settembre 2013, n. 37548).
Ulteriormente precisando il concetto di cui sopra è stato ritenuto che l’utilizzo dei liquami rivenienti dai materiali fecali di origine agricola (ed è il caso di precisare che la origine agricola è tale da comprendere ogni origine che sia derivante da un uso agricolo, anche connesso al loro allevamento, degli animali terricoli) è tale da far escludere per gli stessi la qualificazione in termini di rifiuti in quanto gli stessi siano utilizzati sotto forma di concime sia attraverso il loro generico spandimento (Corte di cassazione, Sezione III penale, 23 settembre 2008, n. 36363), sia attraverso la pratica della fertirrigazione (in relazione alla quale pratica, onde definirne il contenuto, si precisa che essa consiste nella concimazione dei campi utilizzando quale vettore del fertilizzante, anche naturale  - id est: il letame, cioè la materia fecale agricola – l’acqua); in ambedue i casi, tuttavia, la esclusione di cui sopra si verifica in quanto ricorrano le seguenti condizioni: che vi sia una coltivazione effettivamente in atto; che per qualità, per quantità e per le modalità della loro l’applicazione l’uso degli effluenti risulti congruo rispetto allo scopo dichiarato; che non emergano elementi sintomatici tali da indurre l’esistenza di un uso diverso da quello consentito (Corte di cassazione, Sezione III penale, 12 ottobre 2015, n. 49482; idem Sezione III penale, 2 aprile 2013, n. 15043).
Nel caso in esame, si osserva da parte di questa Corte, appare che nella condotta posta in essere dal Bedin correttamente i giudici del merito hanno ravvisato la sussistenza del fumus delicti necessario ai fini della legittimità del provvedimento cautelare adottato.
Infatti, secondo la descrizione dello stato dei luoghi contenuta nella ordinanza impugnata, emerge che i materiali fecali di cui alla provvisoria imputazione contestata al Bedin - sebbene di verosimile origine agricola in quanto prelevati dal detto Bedin presso una vicina azienda agricola ove vi è allevamento di capi bovini (circostanza questa che, sebbene rivendicata dal ricorrente risulta essere, per un verso, non contraddetta dal testo della ordinanza impugnata e, per altro verso, non tale da escludere di per sé la rilevanza penale della condotta ascritta al prevenuto, non essendo essa autonomamente sufficiente, secondo quanto in precedenza osservato illustrando la giurisprudenza in materia di questa Corte regolatrice, ad escludere la rilevanza penale del loro accumulo) - risultano essere stati scaricati e concentrati in un unico punto del terreno dell’indagato e non distribuiti su terreni oggetto di coltivazione; questo, peraltro, si mostrava, nel tratto ove il deposito era stata eseguito, saturo di acqua tanto che il materiale fecale, lungi dall’imbibire il terreno degli elementi nutritivi, era soggetto a fenomeni di ruscellamento e dilavamento verso i sottostanti corso d’acqua.
Deve, pertanto, rilevarsi che allo stato non vi era alcun utilizzo a fini agricoli del materiale in questione, non potendosi ritenere sufficiente ad escludere la attribuzione ad esso della qualifica di rifiuto la circostanza che in futuro quella sarebbe stata verosimilmente la destinazione da attribuirsi a tali sostanze, posto che il concetto di “effettiva utilizzazione nell’attività agricola” non può prescindere dalla attualità della utilizzazione medesima.   
Laddove a detto quadro si aggiunga, come il Tribunale di Latina ha diligentemente osservato, che il Bedin non ha dato dimostrazione della esistenza di alcuna coltivazione in corso lì dove le deiezioni animali erano state depositate, appare che la motivazione della ordinanza impugnata sulla sussistenza del fumus delicti sia pienamente esauriente e certamente non apparente, consentendo essa di ricostruire pienamente il percorso logico che ha condotto il giudicante alla assunzione della decisione impugnata; la stessa, peraltro, risulta essere pienamente in linea con la normativa rilevante in materia e rispettosa della interpretazione che di essa è stata data dalla giurisprudenza di questa Corte.
Il ricorso, complessivamente manifestamente infondato, deve pertanto essere dichiarato inammissibile con condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro 3.000,00 in favore della Cassa delle ammende.

PQM
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro 3.000,00 in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma, il 15 settembre 2020