Cass. Sez. III n. 50760 del 30 novembre 2016 (Ud.13 ott 2016)
Presidente: Fiale  Estensore: Mengoni Imputato: P.M. in proc. Banzato
Rifiuti.Adempimento di un dovere

La causa di giustificazione prevista dall'art. 51 cod. pen. è applicabile esclusivamente ai rapporti di subordinazione previsti dal diritto pubblico e non anche a quelli di diritto privato, sicché il dipendente privato che riceva dal proprio datore di lavoro una qualunque disposizione operativa, è tenuto a verificarne la rispondenza alla legge secondo gli ordinari canoni di diligenza e, qualora ne riscontri l'illegittimità, deve rifiutarne l'esecuzione, senza che, altrimenti, possa ravvisarsi l'impossibilità di sottrarsi all'ordine che esclude la punibilità della condotta.

RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza del 14/12/2015, il Tribunale di Asti assolveva B.V. dall'imputazione di cui al D.Lgs. 3 aprile 2006, n. 152, art. 256, comma 1, lett. a), perchè il fatto non costituisce reato; premessa la pacifica consumazione del reato (aver svolto attività di raccolta e trasporto di rifiuti urbani e speciali prodotti da terzi, senza esser iscritto all'albo nazionale gestori ambientali), il Giudice ne riteneva assente l'elemento soggettivo, essendosi limitato l'imputato - operaio dipendente - ad obbedire ad un ordine del datore di lavoro, senza alcun obbligo di contestarlo nè possibilità di sottrarsi allo stesso.

2. Propone ricorso per cassazione il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Asti, deducendo - con unico motivo - l'inosservanza o erronea applicazione della legge penale e l'illogicità della motivazione. Il Tribunale avrebbe innanzitutto travisato le prove documentali, dalle quali emergerebbe che i conferimenti in oggetto erano stati compiuti sempre dall'imputato in proprio, non quale dipendente della "Elettro 2000", risultando il suo nome sulle ricevute attestanti il conferimento medesimo; la circostanza, inoltre, emergerebbe da prove testimoniali. In ogni caso, peraltro, quand'anche si volesse ritenere che il B. avesse agito su incarico della società, lo stesso non potrebbe andare esente da responsabilità, a titolo di concorrente extraneus nel reato proprio; ed invero, la scriminante dell'adempimento del dovere, richiamata implicitamente nella sentenza, troverebbe applicazione soltanto in caso di ordine legittimo proveniente dall'autorità pubblica, ai sensi dell'art. 51 c.p., non anche a fronte di un ordine di natura meramente privatistica. Sì che l'extraneus avrebbe comunque l'obbligo di verificare che la sua condotta si inserisca in un percorso legittimo.

CONSIDERATO IN DIRITTO

3. Il ricorso risulta manifestamente infondato con riguardo al primo argomento, attesa la natura meramente fattuale dello stesso (legato al contenuto delle ricevute di conferimento ed al nominativo ivi riportato), che lo rende irricevibile in sede di legittimità; con la stessa censura, infatti, si chiede a questa Corte di esaminare nuovamente il materiale istruttorio posto a fondamento della decisione del Tribunale, al fine di ottenerne una lettura alternativa e più aderente al capo di imputazione. Ciò non è consentito: al riguardo, infatti, occorre ribadire che il controllo del Giudice di legittimità sui vizi della motivazione attiene alla coerenza strutturale della decisione di cui si saggia l'oggettiva tenuta sotto il profilo logico-argomentativo, restando preclusa la rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione e l'autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti (tra le varie, Sez. 6, n. 47204 del 7/10/2015, Musso, Rv. 265482; Sez. 3, n. 12110 del 19/3/2009, Campanella, n. 12110, Rv. 243247).

4. Fondata, per contro, risulta la seconda parte della censura, relativa alla scriminante di cui all'art. 51 c.p. che la sentenza ha posto a fondamento della pronuncia di assoluzione; norma a mente della quale l'esercizio di un diritto o l'adempimento di un dovere imposto da una norma giuridica o da un ordine legittimo della pubblica autorità esclude la punibilità dell'agente (comma 1), al pari dell'esecuzione di un ordine illegittimo, quando la legge non consente alcun sindacato sulla legittimità dell'ordine stesso (comma 4).

Orbene, costituisce risalente - ma condiviso e non superato - orientamento di legittimità quello secondo cui la disposizione dell'art. 51 c.p. prende in considerazione esclusivamente i rapporti di subordinazione previsti dal diritto pubblico e non anche i rapporti di diritto privato, come quelli intercorrenti tra i privati datori di lavoro ed i loro dipendenti (Sez. 5, n. 15850 del 26/6/1990, Bordoni, Rv. 185894; Sez. 5, n. 7866 del 28/5/1984, Guerrieri, Rv. 165854). Ne consegue che il dipendente privato, che riceva dal proprio datore di lavoro una qualunque disposizione operativa, è tenuto a verificarne la rispondenza alla legge secondo gli ordinari canoni di diligenza e, qualora riscontri l'illegittimità della disposizione medesima, è tenuto a rifiutarne l'esecuzione; senza che possa ravvisarsi, quindi, quella impossibilità di sottrarsi all'ordine che fonda la sentenza impugnata, peraltro in modo apodittico e senza alcun riferimento normativo (in senso conforme, Sez. L, n. 24334 del 27/3/2010, Agenzia delle Entrate c. Splendori, non massimata).

La pronuncia pertanto, deve esser annullata con rinvio, affinchè il Tribunale di Asti - riesaminato il complessivo compendio istruttorio - verifichi la sussistenza dell'elemento soggettivo del reato alla luce dell'indicato principio di diritto.

P.Q.M.

Annulla con rinvio la sentenza impugnata al Tribunale di Asti.
Così deciso in Roma, il 13 ottobre 2016.