Cass. Sez. III sent. 26149 del 15
luglio 2005 (c.c. 9 giugno 2005)
Pres. Savignano Est.Petti Ric.Barbadoro
Urbanistica - Subordinazione della
sospensione condizionale della pena alla demolizione del manufatto abusivo.
La subordinazione della sospensione condizionale della pena alla demolizione del
manufatto abusivo non è incompatibile con l'avvenuta acquisizione dell'immobile
medesimo al patrimonio comunale a seguito di inottemperanza alla ordinanza di
demolizione.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Camera di consiglio
Dott. SAVIGNANO Giuseppe - Presidente - del 09/06/2005
Dott. PETTI Ciro - Consigliere - SENTENZA
Dott. FIALE Aldo - Consigliere - N. 742
Dott. FRANCO Amedeo - Consigliere - REGISTRO GENERALE
Dott. AMOROSO Giovanni - Consigliere - N. 49418/2004
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
BARBADORO Gerlando, nato ad Agrigento il 3 febbraio del 1958;
avverso l'ordinanza della corte d'appello di Palermo del 2 novembre 2004;
udita la relazione svolta dal Consigliere Dott. Ciro Petti;
letta la requisitoria del Pubblico Ministero nella persona del Sostituto
Procuratore Generale Dott. IACOVIELLO Francesco Mauro, il quale ha concluso per
l'annullamento con rinvio del provvedimento impugnato.
Osserva:
IN FATTO
Con sentenza del pretore di Agrigento del 10 dicembre 1999, Barbadoro Gerlando è
stato condannato alla pena di mesi uno di arresto e lire venticinquemilioni di
ammenda, quale responsabile di costruzione abusiva in zona paesaggisticamente
vincolata e dei reati satelliti. La pena è stata sospesa subordinatamente alla
demolizione dell'opera abusiva. A seguito d'impugnazione, la corte d'appello
dichiarava estinti per prescrizione i reati ascritti ai capi e) e d) e riduceva
la pena inflitta per gli altri reati. Con sentenza del 28 febbraio 2002, la
Corte di Cassazione, adita su ricorso dell'imputato, annullava solo parzialmente
la sentenza impugnata relativamente ad uno dei reati contestati confermando la
condanna per il reato edilizio con la conseguente subordinazione del beneficio
della sospensione della pena alla demolizione del manufatto. Con nota del 25
marzo 2004 la procura generale chiedeva dichiararsi non avverata la condizione
alla quale era stata subordinata la sospensione della pena e conseguentemente
eseguibile la sanzione inflitta. Resisteva al ricorso il condannato producendo
documentazione dalla quale risultava che in data 11 novembre 1999 il sindaco del
Comune di Agrigento aveva emesso nei suoi confronti ingiunzione a demolire non
eseguita e che il verbale di inottemperanza all'ordinanza, redatto il 30 giugno
2000, doveva ritenersi definitivo. Chiedeva pertanto che fosse rigettato il
ricorso con la conferma del beneficio della sospensione senza condizione giacché
non poteva demolire un manufatto che era divenuto di proprietà comunale. La
corte accoglieva il ricorso del procuratore generale osservando che qualsiasi
ragione opponibile alla statuizione del pretore avrebbe dovuto essere dedotta
nel giudizio di merito.
Ricorre per Cassazione il condannato per mezzo del suo difensore deducendo:
l'inosservanza e l'erronea applicazione dell'articolo 31 del D.P.R. 380 del 2001
e successive modificazioni (già art. 7 della legge n. 47 del 1985)in relazione
all'articolo 606 primo comma lett. b) c.p.p.. Assume che la corte territoriale,
rilevato che il manufatto oggetto dell'illecito era stato già acquisito al
patrimonio comunale prima del passaggio in giudicato della sentenza, avvenuto il
28 febbraio del 2002, avrebbe dovuto ritenere non più sottoposto a condizione il
beneficio della sospensione della pena per l'assoluta impossibilità del
condannato di demolire una costruzione non più sua. Anzi, se avesse provveduto
alla demolizione, avrebbe commesso un illecito. Precisa che l'acquisizione del
bene al patrimonio comunale si verifica ope legis per la semplice inosservanza
nel termine imposto dal sindaco, non essendo necessario alcun altro presupposto;
manifesta illogicità della motivazione e comunque inosservanza di norma penale o
di altra norma di cui si deve tenere conto nell'applicazione della legge penale:
deduce che nessuna valenza poteva attribuirsi al fatto che il difensore pro
tempore non aveva dedotto l'avvenuta acquisizione al patrimonio comunale nei
motivi d'impugnazione, sia perché tale acquisizione si era verificata dopo la
proposizione dell'appello, sia perché presupposto della demolizione era il
passaggio in giudicato della sentenza, sia infine perché la verifica del
mantenimento della sospensione condizionale era questione propria del giudicato
d'esecuzione.
DIRITTO
Il ricorso è infondato.
L'articolo 165 c.p. attribuisce al giudice penale il potere di subordinare il
beneficio della sospensione condizionale della pena all'eliminazione delle
conseguenze dannose o pericolose del reato, salvo che la legge disponga
altrimenti. Poiché nella materia urbanistica la legge riserva all'autorità
comunale ogni tipo d'intervento compreso il ripristino dello stato dei luoghi,
da parte delle Sezioni unite (Cass. Sez. Un. 4 gennaio 1988 n. 1 ud del 10
ottobre 1987), in passato si è ritenuto che non fosse consentito al giudice
penale subordinare la concessione del beneficio della sospensione della pena
alla demolizione del manufatto, in quanto la valutazione del danno al territorio
ed i suoi modi di eliminazione competevano al sindaco, spettando all'autorità
giudiziaria solo il potere residuale di cui all'ultimo comma dell'articolo 7
della legge 28 febbraio 1985 n. 47 (ora art. 31 T.U. n 380 del 2001),
esercitatile peraltro in caso d'inerzia dell'autorità amministrativa. Siffatta
impostazione è stata successivamente ribaltata da un nuovo intervento delle
Sezioni unite (20 novembre del 1996) le quali hanno stabilito che il giudice
penale può subordinare il beneficio della sospensione condizionale della pena
alla demolizione del manufatto abusivo. Il ragionamento delle Sezioni unite si
fonda sui seguenti principi:
a) il bene giuridico tutelato dalla normativa penale è il territorio inteso in
senso sostanzialistico e pregnante con la conseguenza che la portata
sanzionatoria delle norme incriminatici edilizie deve ritenersi correlata, non
già in via strumentale e secondaria, al mancato rispetto della disciplina
amministrativa del territorio, ma solo e direttamente all'offesa recata
all'interesse pubblico;
b) la potestà attribuita al giudice in questa materia non configura un potere
residuale o sostitutivo ma ha una propria autonomia rispetto ai poteri
dell'autorità amministrativa;
c) l'ordine di demolizione già previsto dall'ultimo comma dell'articolo 7 legge
citata (ora art. 31 del T.U.), assolvendo ad un'autonoma funzione
ripristinatoria del bene giuridico leso,ha natura di provvedimento accessorio
rispetto alla condanna principale e costituisce esplicitazione dell'autonomo
potere sanzionatorio attribuito dalla legge al giudice penale;
d) la clausola di riserva "se non altrimenti eseguita" non configura un limite
strutturale intrinseco alla potestà del giudice ma rappresenta la mera
eventualità fattuale che il venire meno del manufatto abusivo per qualsiasi
ragione renderebbe inutile la misura ripristinatoria: la permanenza dell'opera
abusiva rimane quindi l'unica condizione applicativa del provvedimento
sanzionatorio. Orbene, la potestà attribuita autonomamente al giudice penale non
trova un limite nell'avvenuta acquisizione del bene al patrimonio comunale
giacché la stessa acquisizione è finalizzata alla demolizione. Il contrasto tra
i due poteri - giurisdizionale ed amministrativo - diretti entrambi al medesimo
risultato ossia alla demolizione del manufatto abusivo, non si verifica quindi
al momento dell'acquisizione del bene al patrimonio comunale, bensì nel momento
in cui il consiglio comunale per l'esistenza di prevalenti interessi pubblici
manifesti la volontà di non procedere alla demolizione, sempre che l'opera non
contrasti con rilevanti interessi urbanistici o ambientali. Questa stessa
sezione ha già statuito che il potere dovere del giudice penale di eseguire la
demolizione dell'opera edilizia abusiva, disposta ex art. 7 della legge 28
febbraio 1985 n. 47 con la sentenza di condanna, opera anche nel caso in cui le
opere siano state acquisite al patrimonio del Comune, con la sola esclusione del
caso in cui sia intervenuta la deliberazione del consiglio comunale che abbia
dichiarato l'esistenza di prevalenti interessi pubblici (Cass. sez. 3^ n. 3489
del 2000; n. 2406 del 2003;
37120 del 2003). In base all'art. 7 della legge n. 47 del 1985 (ora art. 31
T.U.) il consiglio comunale può dichiarare legittimamente la prevalenza di
interessi pubblici ostativi alla demolizione alle seguenti condizioni: 1)
assenza di contrasto con rilevanti interessi urbanistici e, nell'ipotesi di
costruzione in zona vincolata, assenza di contrasto con interessi ambientali: in
quest'ultimo caso l'assenza di contrasto deve essere accertata
dall'amministrazione preposta alla tutela del vincolo; 2) adozione di una
formale deliberazione del consiglio con cui si dichiari formalmente la
sussistenza di entrambi i presupposti; 3) la dichiarazione di contrasto della
demolizione con prevalenti interessi pubblici, quali ad esempio la destinazione
del manufatto abusivo ad edificio pubblico, ecc.. Inoltre, l'incompatibilità
dell'esecuzione dell'ordinanza di demolizione con la delibera consiliare
presuppone che questa sia attuale e non meramente eventuale, perché non è
consentito fermare l'esecuzione penale per tempi imprevedibili senza la concreta
esistenza di una delibera consiliare avente i requisiti anzidetti, giacché
l'ordinamento non può attendere sine die l'adozione di una possibile quanto
eventuale deliberazione. Solo a partire dall'adozione della delibera è preclusa
al giudice la potestà di disporre la demolizione del manufatto o di subordinare
il beneficio della sospensione condizionale della pena alla demolizione e solo a
partire da tale momento l'inottemperanza dell'ingiunto all'ordine di demolizione
impartito dall'autorità giudiziaria è giustificata. Contrariamente a quanto
sostiene il ricorrente, sia pure con l'avallo di qualche decisione del Consiglio
di Stato (Cfr. sentenza del 26 gennaio del 2000 n. 341), non potrebbe
considerarsi illecita la condotta del condannato, il quale in esecuzione
dell'ordine impartito dal giudice, provveda a demolire il manufatto anche dopo
il decorso del termine fissato nell'ingiunzione dall'autorità amministrativa,
giacché con la demolizione si realizza proprio il fine al quale è diretta
l'acquisizione gratuita al patrimonio comunale. Insomma la subordinazione del
beneficio della sospensione della pena alla demolizione del manufatto e lo
stesso ordine di demolizione impartito dal giudice ex art. 7 legge n. 47 del
1985 (ora art. 31 del T.U.) si devono ritenere operativi, non solo in caso
d'inerzia della pubblica amministrazione, ma anche fino a quando il parallelo e
concorrente ordine della pubblica amministrazione persegua lo stesso obiettivo.
Quindi, quand'anche si fosse già verificata l'acquisizione del bene al
patrimonio comunale, la circostanza non sarebbe ostativa alla subordinazione del
beneficio della sospensione condizionale della pena alla demolizione del
manufatto o all'esecuzione dell'ordine di demolizione contenuto nella sentenza
di condanna, giacché entrambe le potestà (amministrativa e giurisdizionale) sono
dirette a realizzare lo stesso risultato ossia l'eliminazione dal territorio di
un manufatto abusivo. Di conseguenza è del tutto inutile annullare la sentenza
impugnata con rinvio al giudice dell'esecuzione per l'individuazione del momento
a partire dal quale il bene è entrato nel patrimonio comunale, come suggerito
dal procuratore generale, posto che allo stato nessuna volontà contraria alla
demolizione è stata manifestata dal consiglio comunale.
P.Q.M.
LA CORTE
Letto l'art. 616 c.p.p. Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento
delle spese processuali.
Così deciso in Roma, il 9 giugno 2005.
Depositato in Cancelleria il 15 luglio 2005
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Camera di consiglio Dott. SAVIGNANO
Giuseppe - Presidente - del 09/06/2005 Dott. PETTI Ciro - Consigliere - SENTENZA
Dott. FIALE Aldo - Consigliere - N. 742 Dott. FRANCO Amedeo - Consigliere -
REGISTRO GENERALE Dott. AMOROSO Giovanni - Consigliere - N. 49418/2004 ha
pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso proposto da: BARBADORO Gerlando,
nato ad Agrigento il 3 febbraio del 1958; avverso l'ordinanza della corte
d'appello di Palermo del 2 novembre 2004; udita la relazione svolta dal
Consigliere Dott. Ciro Petti; letta la requisitoria del Pubblico Ministero nella
persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. IACOVIELLO Francesco Mauro, il
quale ha concluso per l'annullamento con rinvio del provvedimento impugnato.
Osserva: IN FATTO Con sentenza del pretore di Agrigento del 10 dicembre 1999,
Barbadoro Gerlando è stato condannato alla pena di mesi uno di arresto e lire
venticinquemilioni di ammenda, quale responsabile di costruzione abusiva in zona
paesaggisticamente vincolata e dei reati satelliti. La pena è stata sospesa
subordinatamente alla demolizione dell'opera abusiva. A seguito d'impugnazione,
la corte d'appello dichiarava estinti per prescrizione i reati ascritti ai capi
e) e d) e riduceva la pena inflitta per gli altri reati. Con sentenza del 28
febbraio 2002, la Corte di Cassazione, adita su ricorso dell'imputato, annullava
solo parzialmente la sentenza impugnata relativamente ad uno dei reati
contestati confermando la condanna per il reato edilizio con la conseguente
subordinazione del beneficio della sospensione della pena alla demolizione del
manufatto. Con nota del 25 marzo 2004 la procura generale chiedeva dichiararsi
non avverata la condizione alla quale era stata subordinata la sospensione della
pena e conseguentemente eseguibile la sanzione inflitta. Resisteva al ricorso il
condannato producendo documentazione dalla quale risultava che in data 11
novembre 1999 il sindaco del Comune di Agrigento aveva emesso nei suoi confronti
ingiunzione a demolire non eseguita e che il verbale di inottemperanza
all'ordinanza, redatto il 30 giugno 2000, doveva ritenersi definitivo. Chiedeva
pertanto che fosse rigettato il ricorso con la conferma del beneficio della
sospensione senza condizione giacché non poteva demolire un manufatto che era
divenuto di proprietà comunale. La corte accoglieva il ricorso del procuratore
generale osservando che qualsiasi ragione opponibile alla statuizione del
pretore avrebbe dovuto essere dedotta nel giudizio di merito. Ricorre per
Cassazione il condannato per mezzo del suo difensore deducendo: l'inosservanza e
l'erronea applicazione dell'articolo 31 del D.P.R. 380 del 2001 e successive
modificazioni (già art. 7 della legge n. 47 del 1985)in relazione all'articolo
606 primo comma lett. b) c.p.p.. Assume che la corte territoriale, rilevato che
il manufatto oggetto dell'illecito era stato già acquisito al patrimonio
comunale prima del passaggio in giudicato della sentenza, avvenuto il 28
febbraio del 2002, avrebbe dovuto ritenere non più sottoposto a condizione il
beneficio della sospensione della pena per l'assoluta impossibilità del
condannato di demolire una costruzione non più sua. Anzi, se avesse provveduto
alla demolizione, avrebbe commesso un illecito. Precisa che l'acquisizione del
bene al patrimonio comunale si verifica ope legis per la semplice inosservanza
nel termine imposto dal sindaco, non essendo necessario alcun altro presupposto;
manifesta illogicità della motivazione e comunque inosservanza di norma penale o
di altra norma di cui si deve tenere conto nell'applicazione della legge penale:
deduce che nessuna valenza poteva attribuirsi al fatto che il difensore pro
tempore non aveva dedotto l'avvenuta acquisizione al patrimonio comunale nei
motivi d'impugnazione, sia perché tale acquisizione si era verificata dopo la
proposizione dell'appello, sia perché presupposto della demolizione era il
passaggio in giudicato della sentenza, sia infine perché la verifica del
mantenimento della sospensione condizionale era questione propria del giudicato
d'esecuzione. DIRITTO Il ricorso è infondato. L'articolo 165 c.p. attribuisce al
giudice penale il potere di subordinare il beneficio della sospensione
condizionale della pena all'eliminazione delle conseguenze dannose o pericolose
del reato, salvo che la legge disponga altrimenti. Poiché nella materia
urbanistica la legge riserva all'autorità comunale ogni tipo d'intervento
compreso il ripristino dello stato dei luoghi, da parte delle Sezioni unite
(Cass. Sez. Un. 4 gennaio 1988 n. 1 ud del 10 ottobre 1987), in passato si è
ritenuto che non fosse consentito al giudice penale subordinare la concessione
del beneficio della sospensione della pena alla demolizione del manufatto, in
quanto la valutazione del danno al territorio ed i suoi modi di eliminazione
competevano al sindaco, spettando all'autorità giudiziaria solo il potere
residuale di cui all'ultimo comma dell'articolo 7 della legge 28 febbraio 1985
n. 47 (ora art. 31 T.U. n 380 del 2001), esercitatile peraltro in caso d'inerzia
dell'autorità amministrativa. Siffatta impostazione è stata successivamente
ribaltata da un nuovo intervento delle Sezioni unite (20 novembre del 1996) le
quali hanno stabilito che il giudice penale può subordinare il beneficio della
sospensione condizionale della pena alla demolizione del manufatto abusivo. Il
ragionamento delle Sezioni unite si fonda sui seguenti principi: a) il bene
giuridico tutelato dalla normativa penale è il territorio inteso in senso
sostanzialistico e pregnante con la conseguenza che la portata sanzionatoria
delle norme incriminatici edilizie deve ritenersi correlata, non già in via
strumentale e secondaria, al mancato rispetto della disciplina amministrativa
del territorio, ma solo e direttamente all'offesa recata all'interesse pubblico;
b) la potestà attribuita al giudice in questa materia non configura un potere
residuale o sostitutivo ma ha una propria autonomia rispetto ai poteri
dell'autorità amministrativa; c) l'ordine di demolizione già previsto
dall'ultimo comma dell'articolo 7 legge citata (ora art. 31 del T.U.),
assolvendo ad un'autonoma funzione ripristinatoria del bene giuridico leso,ha
natura di provvedimento accessorio rispetto alla condanna principale e
costituisce esplicitazione dell'autonomo potere sanzionatorio attribuito dalla
legge al giudice penale; d) la clausola di riserva "se non altrimenti eseguita"
non configura un limite strutturale intrinseco alla potestà del giudice ma
rappresenta la mera eventualità fattuale che il venire meno del manufatto
abusivo per qualsiasi ragione renderebbe inutile la misura ripristinatoria: la
permanenza dell'opera abusiva rimane quindi l'unica condizione applicativa del
provvedimento sanzionatorio. Orbene, la potestà attribuita autonomamente al
giudice penale non trova un limite nell'avvenuta acquisizione del bene al
patrimonio comunale giacché la stessa acquisizione è finalizzata alla
demolizione. Il contrasto tra i due poteri - giurisdizionale ed amministrativo -
diretti entrambi al medesimo risultato ossia alla demolizione del manufatto
abusivo, non si verifica quindi al momento dell'acquisizione del bene al
patrimonio comunale, bensì nel momento in cui il consiglio comunale per
l'esistenza di prevalenti interessi pubblici manifesti la volontà di non
procedere alla demolizione, sempre che l'opera non contrasti con rilevanti
interessi urbanistici o ambientali. Questa stessa sezione ha già statuito che il
potere dovere del giudice penale di eseguire la demolizione dell'opera edilizia
abusiva, disposta ex art. 7 della legge 28 febbraio 1985 n. 47 con la sentenza
di condanna, opera anche nel caso in cui le opere siano state acquisite al
patrimonio del Comune, con la sola esclusione del caso in cui sia intervenuta la
deliberazione del consiglio comunale che abbia dichiarato l'esistenza di
prevalenti interessi pubblici (Cass. sez. 3^ n. 3489 del 2000; n. 2406 del 2003;
37120 del 2003). In base all'art. 7 della legge n. 47 del 1985 (ora art. 31
T.U.) il consiglio comunale può dichiarare legittimamente la prevalenza di
interessi pubblici ostativi alla demolizione alle seguenti condizioni: 1)
assenza di contrasto con rilevanti interessi urbanistici e, nell'ipotesi di
costruzione in zona vincolata, assenza di contrasto con interessi ambientali: in
quest'ultimo caso l'assenza di contrasto deve essere accertata
dall'amministrazione preposta alla tutela del vincolo; 2) adozione di una
formale deliberazione del consiglio con cui si dichiari formalmente la
sussistenza di entrambi i presupposti; 3) la dichiarazione di contrasto della
demolizione con prevalenti interessi pubblici, quali ad esempio la destinazione
del manufatto abusivo ad edificio pubblico, ecc.. Inoltre, l'incompatibilità
dell'esecuzione dell'ordinanza di demolizione con la delibera consiliare
presuppone che questa sia attuale e non meramente eventuale, perché non è
consentito fermare l'esecuzione penale per tempi imprevedibili senza la concreta
esistenza di una delibera consiliare avente i requisiti anzidetti, giacché
l'ordinamento non può attendere sine die l'adozione di una possibile quanto
eventuale deliberazione. Solo a partire dall'adozione della delibera è preclusa
al giudice la potestà di disporre la demolizione del manufatto o di subordinare
il beneficio della sospensione condizionale della pena alla demolizione e solo a
partire da tale momento l'inottemperanza dell'ingiunto all'ordine di demolizione
impartito dall'autorità giudiziaria è giustificata. Contrariamente a quanto
sostiene il ricorrente, sia pure con l'avallo di qualche decisione del Consiglio
di Stato (Cfr. sentenza del 26 gennaio del 2000 n. 341), non potrebbe
considerarsi illecita la condotta del condannato, il quale in esecuzione
dell'ordine impartito dal giudice, provveda a demolire il manufatto anche dopo
il decorso del termine fissato nell'ingiunzione dall'autorità amministrativa,
giacché con la demolizione si realizza proprio il fine al quale è diretta
l'acquisizione gratuita al patrimonio comunale. Insomma la subordinazione del
beneficio della sospensione della pena alla demolizione del manufatto e lo
stesso ordine di demolizione impartito dal giudice ex art. 7 legge n. 47 del
1985 (ora art. 31 del T.U.) si devono ritenere operativi, non solo in caso
d'inerzia della pubblica amministrazione, ma anche fino a quando il parallelo e
concorrente ordine della pubblica amministrazione persegua lo stesso obiettivo.
Quindi, quand'anche si fosse già verificata l'acquisizione del bene al
patrimonio comunale, la circostanza non sarebbe ostativa alla subordinazione del
beneficio della sospensione condizionale della pena alla demolizione del
manufatto o all'esecuzione dell'ordine di demolizione contenuto nella sentenza
di condanna, giacché entrambe le potestà (amministrativa e giurisdizionale) sono
dirette a realizzare lo stesso risultato ossia l'eliminazione dal territorio di
un manufatto abusivo. Di conseguenza è del tutto inutile annullare la sentenza
impugnata con rinvio al giudice dell'esecuzione per l'individuazione del momento
a partire dal quale il bene è entrato nel patrimonio comunale, come suggerito
dal procuratore generale, posto che allo stato nessuna volontà contraria alla
demolizione è stata manifestata dal consiglio comunale. P.Q.M. LA CORTE Letto
l'art. 616 c.p.p. Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali. Così deciso in Roma, il 9 giugno 2005. Depositato in
Cancelleria il 15 luglio 2005