Consiglio di Stato, Sez. IV, n. 4148, del 6 agosto 2013
Urbanistica.Destinazione PRG a verde pubblico attrezzato
Nelle aree ricadenti in zona F e destinate dallo strumento urbanistico a verde pubblico attrezzato, il verde, vale a dire la presenza di vegetazione distribuita sul territorio secondo modalità indicate, costituisce esso stesso la “attrezzatura pubblica o privata di uso pubblico” a cui tali zone sono riservate e la fruizione del verde da parte della collettività ne è la funzione tipica nell’ambito dell’organizzazione generale del territorio comunale. Nelle zone destinate a verde pubblico attrezzato, quando la loro particolare disciplina vi ammetta la presenza anche di altre attrezzature, la funzione di queste non può che essere gerarchicamente subordinata e servente rispetto a quella propria della intera zona. Pertanto, tali attrezzature in tanto sono ammesse in quanto, per caratteristiche edilizie ed architettoniche, per dimensioni o per le modalità in cui si inseriscono nel contesto, sono compatibili con la destinazione a verde pubblico. (Segnalazione e massima a cura di F. Albanese)
N. 04148/2013REG.PROV.COLL.
N. 02096/2006 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 2096 del 2006, proposto da:
Consorzio Nova Edilitia - Scarl, rappresentato e difeso dagli avv. Renato Labriola, Piero Sandulli, con domicilio eletto presso Piero Sandulli in Roma, via F. Paulucci de' Calboli 9;
contro
Comune di Caserta, in persona del Sindaco pro tempore, non costituito in giudizio;
Delle Fave Valerio, Del Ninno Gerardo, Inglima Giovanni, Santamaria Maria Cristina, Rilievi Alessandra, Stabile Pasqualino, Rizzotti Clotilde, Viscusi Alberto, Ambrosino Roberto, Scalcione Paola, Viscusi Giovanni, Roccasecca Mauro, Papa Alfredo, Grignoli Emilio Salvatore, Falcone Maria Concetta, rappresentati e difesi dall'avv. Luigi Adinolfi, con domicilio eletto presso Paolo Di Martino in Roma, via dell'Orso, 74;
Maffia Aurelio, Napolitano Adriana, Bonajuto Stefania, non costituiti in giudizio;
Minieri S.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'avv. Luigi Ricciardelli, con domicilio eletto presso Renato Pedicini in Roma, via F. D'Ovidio, 83;
per la riforma
della sentenza del T.A.R. CAMPANIA - NAPOLI: SEZIONE IV n. 02027/2006, resa tra le parti, concernente permesso di costruire in variante alla precedente concessione edilizia, oltre risarcimento del danno
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio di Minieri S.r.l.;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 4 giugno 2013 il Cons. Sergio De Felice e uditi per le parti gli avvocati Anna Patania su delega dell'avvocato Piero Sandulli, Luigi Adinolfi;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
Con ricorso proposto innanzi al Tribunale Amministrativo Regionale per la Campania i signori Falcone Maria Concetta ed altri, proprietari di unità abitative in Caserta via G.M. Agnesi, Parco dei Fiori, agivano per l’annullamento dell’atto con il quale il Comune di Caserta aveva rilasciato al vicino controinteressato Consorzio Nova Edilizia il permesso di costruire n. 225 del 28 settembre 2004, in variante alla precedente concessione edilizia n.182 del 2002.
Il Comune di Caserta aveva dapprima rilasciato in data 12 agosto 2002 al Consorzio su indicato la concessione edilizia per la realizzazione di una struttura per il tempo libero in zona F3 composta da due edifici (Corpo A e Corpo B) destinati il primo ad attrezzature per la cultura ed il tempo libero (piano primo del corpo A), attrezzature sportive e per il tempo libero (piano secondo del Corpo A), attrezzature per lo svago e la cultura (secondo piano del corpo A), parcheggio interrato ed attività commerciali (Corpo B).
In seguito il Comune rilasciava il permesso in variante n.225 del 2004 di variante in corso d’opera, con cui prevedeva la suddivisione del Corpo A in tre corpi distinti ed indipendenti, denominati nella nuova elaborazione Corpo A, Corpo B e Corpo C, mentre l’immobile che nella prima concessione era individuato come Corpo B veniva denominato Corpo D.
In particolare, secondo la variante, il Corpo A si sviluppa per il piano interrato, primo terra, prevalentemente destinato a sala di esposizione, primo piano destinato a due aule per corsi professionali collegati con il tipo di attività espositiva svolta al livello inferiore, con una superficie coperta di circa mq.960; il Corpo B di circa mq.600 è composto da un piano interrato destinato a garage e un piano terra destinato in parte a sala conferenze e in parte a circolo ricreativo; il Corpo C (di mq.160 circa) è composto da un piano interrato destinato a garage e un piano terra destinato a palestra; il Corpo D (già Corpo B nella precedente concessione) nel frattempo completato veniva destinato ad attività commerciale e ludoteca.
I ricorrenti deducevano che tali opere non potevano essere assentite dal Comune di Caserta perché l’area interessata non aveva l’affermata destinazione F3 e in ogni caso perché, anche qualora avesse avuto tale destinazione, le indicate opere non sarebbero da ritenere compatibili con la destinazione a verde pubblico attrezzato.
Il giudice di primo grado, dopo avere chiesto i dovuti necessari chiarimenti con ordinanza collegiale al Comune di Caserta, che li forniva con nota 255 del 30 settembre 2005 depositata in data 7 ottobre 2005, rigettava l’eccezione di tardività del ricorso; rigettava altresì le eccezioni di difetto delle condizioni dell’azione, legittimazione e interesse ad agire, rigettava le censure mosse avverso i procedimenti di modifica agli strumenti urbanistici; viceversa accoglieva i motivi di censura che attenevano alla compatibilità dell’intervento assentito con la destinazione di zona F3-Verde Pubblico attrezzato di tale area.
Secondo il primo giudice, l’insediamento contestato, per le sue dimensioni e per le destinazioni d’uso previste per gran parte dell’area oggetto dell’intervento, non era compatibile con la destinazione a verde pubblico attrezzato, prescritta dallo strumento urbanistico per tale area; secondo la sentenza appellata, l’area in questione è stata destinata per gran parte alla realizzazione di attrezzature che non hanno nulla a che fare con l’uso pubblico (come per la concessionaria di auto gestita dalla contro interessata società Minieri) e il rapporto tra verde pubblico ed attrezzature è risultato del tutto capovolto con la previsione e la realizzazione di opere che non sono destinate a consentire la migliore fruizione pubblica dell’area verde, ma hanno al contrario reso il verde un accessorio dell’interesse privato.
Avverso tale sentenza, ritenendola errata ed ingiusta, il Consorzio propone appello deducendo i seguenti motivi.
In primo luogo, le opere sarebbero perfettamente in linea con la destinazione a verde pubblico attrezzato, in quanto il ristorante Pizzeria F.lli La Bufala è un punto di ristoro; la ludoteca è struttura destinata a bambini e, pur se gestita da privati, è strumentale alla fruizione del verde pubblico; sussiste il verde pubblico in quanto entrambi tali opere si estendono per area a verde attrezzata, con fontane, panchine, alberature, illuminazione, vari giochi per bambini; dei quattro corpi di fabbrica assentiti con le concessioni ne sono stati realizzati soltanto due; l’unica attività commerciale nella zona e nei fabbricati suddetti è l’attività esercitata nel ristorante “Fratelli La Bufala”; è contraddittoria la sentenza, laddove, mentre afferma che il ristorante e la ludoteca sono interventi permessi in zona F3 (al punto 18) successivamente ai punti 19 e 20 sostiene che si tratta di insediamenti che per dimensioni e destinazioni non sono compatibili. E’ errato anche il riferimento alla concessionaria di auto Minieri, in quanto non esiste nel fabbricato A alcuna concessionaria e il fabbricato è vuoto e non utilizzato.
L’appello contesta inoltre le affermazioni contenute nel punto 19 della sentenza, laddove si fanno affermazioni sul rapporto tra le opere e la destinazione a verde pubblico attrezzato.
Con altro motivo di appello si lamenta la erroneità della sentenza laddove non ha rilevato la tardività della impugnativa della originaria concessione edilizia del 2002, i cui lavori erano terminati da oltre un anno prima rispetto alla notifica del ricorso di primo grado.
Con ulteriore motivo di appello si lamenta la erroneità della sentenza nel punto in cui ha rigettato l’eccezione di inammissibilità per difetto di interesse ad agire.
L’appellante poi sottolinea come dalla istruttoria della Provincia di Caserta sia emerso che l’intervento del Comune sulla zona in questione è stato pianificato in modo da garantire con il contributo dei privati un interesse non privato, ma pubblico; pertanto, le concessioni annullate erano perfettamente in linea con le normative urbanistiche vigenti. Infatti – prosegue l’appellante - è ammessa la realizzazione anche da parte di privati di attrezzature pubbliche nella zona F3.
Infine, l’appellante propone istanza istruttoria per verificare la corrispondenza alle normative urbanistiche sia delle concessioni annullate in primo grado che delle destinazioni d’uso assentite con tali concessioni.
Si sono costituiti i signori Maria Concetta Falcone e altri, ricorrenti in primo grado e odierni appellati, che hanno chiesto il rigetto dell’appello perché infondato. Propongono appello incidentale in relazione a: 1) l’affermazione riguardante le modifiche di ufficio della variante, che non possono rinvenirsi nella specie in quanto la modifica di una zona da E1 a F3 non rientra tra i casi previsti; 2) la erroneità della pronuncia del primo giudice, che non si è pronunciato sulla richiesta di annullare anche la delibera G.M. 346 del 10 maggio 2002 di approvazione dello schema di convenzione per l’utilizzo pubblico e degli atti connessi.
Con memoria aggiunta il Consorzio Nova Edilizia Consorzio di Società Coop. a r.l. ha reiterato le precedenti conclusioni e ha chiesto l’accoglimento dei motivi di appello e reiterato la richiesta istruttoria formulata.
Si è costituita la srl Minieri chiedendo l’accoglimento dell’appello.
Alla udienza pubblica del 4 giugno 2013 la causa è stata trattenuta in decisione.
DIRITTO
1.Viene all’esame di questo giudice di appello la controversia riguardante l’impugnativa da parte dei vicini del permesso di costruire n.225 del 2004 del 28 settembre 2004 rilasciato in variante alla precedente concessione edilizia n.182 del 2002, della stessa concessione n.182 del 2002, degli atti connessi e presupposti.
Con la concessione n.225 del 2004 il Comune di Caserta aveva rilasciato al Consorzio Nova Edilizia permesso di costruire in variante rispetto alla precedente concessione. La prima concessione era per la realizzazione di una struttura per il tempo libero in zona F3 composta da due edifici (Corpo A e Corpo B) destinati ad attrezzature per la cultura ed il tempo libero (piano primo del corpo A), attrezzature sportive e per il tempo libero (piano secondo del corpo A), attrezzature per lo svago e la cultura (secondo piano del corpo A), parcheggio interrato ed attività commerciali (Corpo B). La successiva variante (n.225 del 2004) prevedeva la suddivisione del Corpo A in tre corpi distinti ed indipendenti, denominati nella nuova elaborazione Corpo A, Corpo B e Corpo C, mentre il precedente Corpo B veniva denominato Corpo D. Secondo il permesso in variante, il Corpo A si sviluppa per il piano interrato, piano terra, destinato prevalentemente a sala di esposizione, primo piano destinato ad aule per corsi professionali collegati con il tipo di attività espositiva svolta al piano inferiore, con una superficie coperta di circa mq.960; il Corpo B (di circa mq.600) è composto da un piano interrato destinato a un garage e un piano terra destinato in parte a sala conferenze e in parte a circolo ricreativo; il Corpo C di circa mq.160 è composto da un piano interrato destinato a un garage e un piano terra destinato a palestra; il Corpo D, già Corpo B per la precedente concessione, nel frattempo completato, è destinato ad attività commerciale e ludoteca.
Il primo giudice, accogliendo la sostanza dei motivi di censura proposti con il ricorso originario (e rigettando le preliminari eccezioni) ha annullato gli atti impugnati, ritenendo fondata la censura riguardante il contrasto con la destinazione F3 e la incompatibilità con la destinazione a verde attrezzato delle opere assentite e realizzate (pagine da 15 a 18 della sentenza appellata).
2. Con il motivo di appello, che va affrontato in via prioritaria dal punto di vista logico, sia pure esteso successivamente nel corpo dell’atto, parte appellante deduce la erroneità della sentenza laddove non ha rilevato la tardività della impugnativa della originaria concessione edilizia del 2002, i cui lavori sono terminati da oltre un anno prima rispetto alla notifica del ricorso di primo grado.
Il motivo è da rigettare.
In fatto, i lavori assentiti con il primo permesso di costruire 182 del 12 agosto 2002 sono iniziati in data 13 agosto 2002 e sono terminati in data 29 aprile 2003 e cioè molto prima della notifica del ricorso 13536 del 2004, avvenuta in data 7 dicembre 2004. I lavori oggetto del secondo permesso in variante sono stati assentiti in data 28 settembre 2004.
Con riguardo alla seconda variante, deve osservarsi che non può ritenersi tardivo il ricorso, notificato circa settanta giorni dopo l’assentimento, in mancanza di prove circa la avvenuta conoscenza da parte dei terzi, prima dei sessanta giorni dalla data di notifica del ricorso, in quanto per giurisprudenza consolidata (tra tante, Consiglio di Stato sez. V, 27 giugno 2012, n. 3777) il termine per impugnare i titoli edilizi decorre, per i terzi, dalla data di piena conoscenza del provvedimento, che si intende avvenuta alternativamente al momento del rilascio della copia degli stessi (inclusi i documenti di progetto), ovvero al completamento delle opere (salvo che non sia data la prova rigorosa di una conoscenza anteriore o che non deducano censure di inedificabilità assoluta).
Il termine per impugnare il permesso di costruzione "ordinario" decorre dalla piena conoscenza del provvedimento. Il principio applica la regola generale di cui all'allora art. 21, l. 6 dicembre 1971 n. 1034, in termini tali da consentire l'ampio controllo sull'osservanza della normativa urbanistica che il legislatore ha dimostrato di ritenere necessario attribuendo a "chiunque" (art. 31, l. 17 agosto 1942 n. 1150, come modificato dall'art. 10, l. 6 agosto 1967 n. 765) la legittimazione all'impugnazione del titolo a costruire.
In tale ottica, il completamento dei lavori è considerato indizio idoneo a far presumere la data della piena conoscenza del titolo edilizio, salvo che venga fornita la prova di una conoscenza anticipata. L'onere di tempestiva impugnativa decorre, quindi, dalla conoscenza reale o presunta dell'esistenza e dell'entità delle violazioni urbanistiche, la quale viene ricondotta alla realizzazione del manufatto, cioè al momento in cui sia materialmente apprezzabile la reale portata dell'intervento in precedenza assentito (Consiglio Stato sez. VI, 10 dicembre 2010, n. 8705).
Con riguardo alla primitiva concessione (n.182 del 2002) prima della variante del 28 settembre 2004 era già completato l’immobile Corpo B (poi Corpo D), come emerge dal certificato di agibilità del marzo 2004.
Se però può apparire esistente a prima vista la tardività della impugnativa in relazione ai titoli edilizi relativi a tale corpo di fabbrica, deve osservarsi che la giurisprudenza afferma il principio per cui il termine per impugnare una concessione edilizia inizia a decorrere (solo) da quando la nuova costruzione rivela in modo certo ed univoco le caratteristiche essenziali dell’opera e la eventuale incompatibilità o difformità dell’opera rispetto alla destinazione.
Nella specie, infatti, avendo contestato i ricorrenti originari sia la concessione edilizia rilasciata in origine che la successiva variante – in sostanza perché l’insediamento complessivo veniva ritenuto in contrasto con la destinazione agricola o a verde attrezzato - e considerato che tali tipi di destinazione non escludono in assoluto limitate potenzialità edificatorie, il termine per impugnare non poteva iniziare a decorrere prima che gli interessati avessero contezza piena della reale dimensione dell’intervento e in tal senso è la giurisprudenza di questo Consesso (al fine della decorrenza del termine per l'impugnazione di una concessione edilizia rilasciata a terzi l'effettiva conoscenza dell'atto si ha quando la costruzione realizzata rivela in modo certo ed univoco le essenziali caratteristiche dell'opera e l'eventuale non conformità della stessa al titolo o alla disciplina urbanistica, sicché, in mancanza di altri ed inequivoci elementi probatori, il termine decorre non con il mero inizio dei lavori, bensì con il loro completamento, a meno che non si deducano l'assoluta inedificabilità dell'area o analoghe censure, nel qual caso risulta sufficiente la conoscenza dell'iniziativa in corso; così Consiglio Stato sez. IV, 8 luglio 2002, n. 3805).
Non a caso, il primo giudice, nell’individuare il contrasto con le previsioni degli strumenti urbanistici (pagina 17 della sentenza) ha fatto riferimento alle “caratteristiche edilizie, dimensioni, modalità” con cui le attrezzature si inseriscono nel contesto e alla effettiva funzione, che li rende o meno compatibili con la destinazione a verde pubblico attrezzato dell’area.
La percezione di tale possibile contrasto, da parte dei terzi interessati, per quanto sopra detto, non poteva che avvenire solo dopo la realizzazione dell’intervento complessivamente considerato.
A ragionare in senso contrario, in relazione alla percezione dell’intervento complessivo, naturalmente non sono sufficienti le osservazioni di parte appellante (pagina 34 dell’appello), che rileva come i ricorrenti conoscessero da tempo (da più di un anno) la struttura del Ristorante F.lli La Bufala, che riguarda il Corpo D (prima B) già interamente realizzato.
3. Con altro motivo, attinente a questioni preliminari rispetto al ricorso originario, l’appello deduce (da pagina 36 a pagina 41 dell’appello) l’inammissibilità del ricorso originario, non essendo stata affrontata la problematica della effettiva lesione subita dai vicini ricorrenti; inoltre, non si sarebbe tenuto conto del sacrificio imposto ai privati, già beneficiari di provvedimenti favorevoli e per interventi praticamente completati, rispetto ad un astratto interesse al ripristino della legalità.
In relazione al primo profilo, va richiamato il costante orientamento giurisprudenziale che afferma che l'art. 31 l. n. 1150 del 1942, come modificato dalla l. n. 765 del 1967, che consente a "chiunque", d'impugnare le concessioni edilizie ritenute illegittime, dev'essere inteso nel senso che, con l'ovvia esclusione di ogni azione popolare al riguardo, va riconosciuta una posizione di interesse legittimo in capo al proprietario di un immobile sito nella zona interessata dalla costruzione o a chi si trovi in una situazione di stabile collegamento con la zona stessa, senza che, peraltro, debba essere data dimostrazione della sussistenza di un interesse qualificato alla tutela giurisdizionale (ex plurimis, Consiglio Stato sez. IV, 8 luglio 2002, n. 3805).
La legittimazione ad impugnare un permesso di costruire da parte del proprietario di un’area confinante deriva dalla sussistenza del requisito della "vicinitas" (tra tante, Cons.giust.amm. Sicilia sez. giurisd., 15 ottobre 2009, n. 941).
Ai fini dell'impugnazione di una concessione edilizia, la condizione dell'azione rappresentata dalla "vicinitas", ossia da uno stabile collegamento tra il ricorrente e la zona interessata dall'intervento assentito, va valutata alla stregua di un giudizio che tenga conto della natura e delle dimensioni dell'opera realizzata, della sua destinazione, delle sue implicazioni urbanistiche ed anche delle conseguenze prodotte dal nuovo insediamento sulla "qualità della vita" di coloro che per residenza, attività lavorativa e simili, sono in durevole rapporto con la zona in cui sorge la nuova opera (in tal senso, in termini, Consiglio Stato sez. V, 28 giugno 2004, n. 4790).
4. Con riguardo al principio invocato da parte appellante – e cioè che il primo giudice, prima di annullare i titoli edilizi impugnati, avrebbe dovuto contemperare l’interesse al mero ripristino della legalità eventualmente violata con il sacrificio imposto ai privati che avevano costruito sulla base di titoli efficaci e da presumersi validi – non può non osservarsi che il c.d. principio dell’affidamento è male invocato nella specie, se esso si riferisce a situazioni nelle quali debba sussistere un lungo arco temporale, tale da avere consolidato situazioni giuridiche createsi (in tal senso, quindi su fattispecie completamente diversa da quella esaminata, Consiglio Stato sez. V, 19 marzo 2009, n. 1615, secondo cui in virtù del principio di proporzionalità, per annullare legittimamente una concessione edilizia non è sufficiente la semplice esigenza di ripristinare la legalità asseritamente violata, essendo, invece, necessario anche dar conto sia della sussistenza di un interesse pubblico attuale e concreto alla rimozione del titolo edilizio sia dell'avvenuta comparazione tra tale interesse e l'entità del sacrificio imposto all'interesse privato, in particolare quando il titolare della concessione, in ragione del tempo decorso, abbia maturato un legittimo affidamento in merito alla realizzazione delle opere, specie se di modesta entità).
Nella specie, il tempo decorso dalla realizzazione complessiva dell’insediamento e anche dal rilascio della variante è strettamente collegato al mero termine decorrente dalla conoscenza del secondo permesso rilasciato e al più dal completamento delle opere assentite.
5. Affrontando il merito della controversia, il primo giudice, ha annullato gli atti impugnati ritenendo fondata la censura riguardante il contrasto con la destinazione F3 e quindi la incompatibilità con la destinazione a verde attrezzato delle opere assentite e realizzate.
Secondo la prospettazione dell’appello, al contrario, le opere sarebbero perfettamente in linea con la destinazione a verde pubblico attrezzato, in quanto il ristorante Pizzeria F.lli La Bufala è un punto di ristoro; la ludoteca è struttura destinata a bambini e pur se gestita da privati è strumentale alla fruizione del verde pubblico; sussiste il verde pubblico in quanto entrambi tali opere si estendono per area a verde attrezzata, con fontane, panchine, alberature, illuminazione, vari giochi per bambini; dei quattro corpi di fabbrica assentiti con le concessioni ne sono stati assentiti soltanto due; l’unica attività commerciale nella zona e nei fabbricati suddetti è l’attività esercitata nel ristorante “Fratelli La Bufala”; è contraddittoria la sentenza, laddove, mentre afferma che il ristorante e la ludoteca sono interventi permessi in zona F3 (al punto 18) successivamente ai punti 19 e 20 sostiene che si tratta di insediamenti che per dimensioni e destinazioni non sono compatibili. Sarebbe errato anche il riferimento alla concessionaria di auto Minieri, in quanto non esiste nel fabbricato A alcuna concessionaria e il fabbricato è vuoto e non utilizzato.
In punto di fatto, il Collegio osserva che, come è emerso dalla istruttoria effettuata in primo grado, la nuova destinazione della zona in questione è di zona F3-Verde pubblico attrezzato. Fra le zone del territorio comunale individuate in considerazione delle destinazioni d’uso impresse dal piano, le zone di tipo “F” sono definite come “le parti del territorio destinate ad attrezzature ed impianti di interesse generale”.
Il Comune di Caserta ha quindi definito la zona “F” come destinata ad “Attrezzature pubbliche o di uso pubblico” ed ha classificato dieci diverse zone F con riferimento a specifiche destinazioni, tra le quali cinque a verde (“verde di rispetto monumentale, stradale, ferroviario, industriale e cimiteriale”- zona F1; “verde pubblico” - zona F2; “verde pubblico attrezzato” - zona F3; “parco urbano” - zona F4; “verde privato vincolato” - zona F5).
La zona F3 – Verde pubblico attrezzato, viene così definita: “Territorio destinato a uso pubblico. E’ ammessa la realizzazione delle attrezzature pubbliche e di uso pubblico espressamente individuate nelle tavole di zonizzazione e rete viaria allegate, comprendenti attrezzature sportive, per lo svago, la cultura e il tempo libero, attrezzature commerciali compatibili con l’uso pubblico, con esclusione degli impianti rumorosi o comunque nocivi all’igiene fisica”.
Come ha osservato il primo giudice, richiamando precedenti in termini di questo Consesso (sentenza n.4790 del 28 giugno 2004, sezione V proprio su struttura nel Comune di Caserta), per effetto della indicata destinazione e delle prescrizioni previste, si deve ritenere che nella zona F3 valgano le regole seguenti: il territorio deve essere destinato all’uso pubblico e non a quello privato; il territorio deve essere prevalentemente conservato a verde, per la presenza di vegetazione che deve poter essere fruita dalla collettività; sono ammesse, in forma coerente con l’uso pubblico e la conservazione del verde, attrezzature sportive, culturali e per il tempo libero (anche eventualmente gestite da privati); sono ammesse anche attrezzature commerciali, che tuttavia debbono essere limitate e debbono essere compatibili con l’uso pubblico e debbono avere quindi una funzione meramente accessoria (come per esempio, un punto di ristoro e una rivendita di giornali).
Nelle aree ricadenti in zona F e destinate dallo strumento urbanistico a verde pubblico attrezzato, il verde, vale a dire la presenza di vegetazione distribuita sul territorio secondo modalità indicate, costituisce esso stesso la “attrezzatura pubblica o privata di uso pubblico” a cui tali zone sono riservate e la fruizione del verde da parte della collettività ne è la funzione tipica nell’ambito dell’organizzazione generale del territorio comunale (in tal senso, in termini, Consiglio di Stato, V, 28 giugno 2004, n.4790).
Nelle zone destinate a verde pubblico attrezzato, quando la loro particolare disciplina vi ammetta la presenza anche di altre attrezzature, la funzione di queste non può che essere gerarchicamente subordinata e servente rispetto a quella propria della intera zona. Pertanto, tali attrezzature in tanto sono ammesse in quanto, per caratteristiche edilizie ed architettoniche, per dimensioni o per le modalità in cui si inseriscono nel contesto, sono compatibili con la destinazione a verde pubblico.
Sulla base di tali principi riguardanti gli interventi compatibili con la destinazione a verde pubblico attrezzato, non può ritenersi fondata la tesi appellante secondo cui le opere sarebbero perfettamente in linea con la destinazione a verde pubblico attrezzato. Infatti, il ristorante Pizzeria F.lli La Bufala non può ritenersi mero punto di ristoro, quasi un accessorio del verde attrezzato; né può ritenersi che la ludoteca, sol perché struttura destinata a bambini (gestita da privati), sia strumentale alla fruizione del verde pubblico.
Non è sufficiente a rispettare la funzione primaria del “verde attrezzato” la presenza di fontane, panchine, alberature, illuminazione, vari giochi per bambini.
Allo stesso modo, considerate le dimensioni e la estensione degli interventi, non può rilevare il numero effettivo di concessioni assentite o di fabbricati realizzati, in quanto il complesso degli interventi stravolge la funzione del verde pubblico attrezzato, come prima definita.
Inoltre, non può rilevare, ai fini della compatibilità con la destinazione a verde pubblico attrezzato, che deve avere riguardo alle caratteristiche edilizie dell’intervento, alle dimensioni, alle modalità di inserimento nel contesto e alla loro funzione rispetto alla destinazione, la circostanza richiamata che l’unica attività commerciale in zona sarebbe quella esercitata con il ristorante pizzeria.
E’ anche priva di rilievo l’argomentazione che poggia su una asserita contraddittorietà della sentenza, che avrebbe da un lato affermato (punto 18) la compatibilità degli interventi per ristorante e ludoteca con la destinazione F3 e poi ai punti 19 e 20 la incompatibilità.
La circostanza non corrisponde al vero, in quanto al punto 18 della appellata sentenza, il primo giudice si è limitato a richiamare i principi generali degli interventi ammessi in zona F3, senza mai menzionare, in tale punto 18, il ristorante e la ludoteca.
Anzi, al proposito dell’esempio di interventi ammessi, espone come essi debbano avere necessariamente una funzione accessoria e servente rispetto al verde attrezzato e quindi menziona un “punto di ristoro” (cosa ben diversa dal ristorante) e la rivendita di giornali.
Naturalmente, al fine di vagliare la compatibilità degli assentiti interventi rispetto alla reale destinazione di zona (F3) è del tutto irrilevante e quindi da rigettare la richiesta istruttoria avanzata al fine di accertare tale compatibilità o meno.
6. Con appello incidentale vengono riproposti i motivi dichiarati assorbiti in primo grado, che attengono alla contestazione delle modifiche di ufficio e alla esigenza di localizzazione delle attrezzature.
L’appello incidentale concerne: 1) l’affermazione riguardante le modifiche di ufficio della variante, che non possono rinvenirsi nella specie in quanto la modifica di una zona da E1 a F3 non rientra tra i casi previsti; 2) la erroneità della pronuncia del primo giudice, che non si è pronunciato sulla richiesta di annullare anche la delibera G.M. 346 del 10 maggio 2002 di approvazione dello schema di convenzione per l’utilizzo pubblico e degli atti connessi.
La declaratoria dell'infondatezza dell'appello principale conduce alla declaratoria di improcedibilità, per carenza di interesse, dell' appello incidentale proposto dall'appellato in relazione ai motivi non esaminati in primo grado (Consiglio Stato sez. VI, 23 dicembre 2010, n. 9329; Consiglio Stato sez. V, 23 gennaio 2007, n. 197; Consiglio Stato sez. IV, 30 maggio 2005, n. 2767), in disparte la considerazione che l’annullamento della convenzione (punto 2 dell’appello incidentale) deriva dalla natura di atto consequenziale della stessa rispetto al titolo abilitativo annullato in via giurisdizionale.
7. Per le sopra esposte considerazioni, va rigettato l’appello principale in quanto infondato; va dichiarato improcedibile per difetto di interesse sopravvenuto l’appello incidentale.
Ogni altro motivo od eccezione resta assorbito in quanto ritenuto irrilevante ed ininfluente ai fini della presente decisione.
La condanna alle spese segue il principio della soccombenza; le spese vanno liquidate in dispositivo.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta), definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, rigetta l’appello principale e dichiara improcedibile l’appello incidentale, confermando l’appellata sentenza.
Condanna la parte appellante al pagamento delle spese del presente grado di giudizio in favore degli appellanti incidentali, liquidandole in complessivi euro cinquemila.
Compensa per il resto.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 4 giugno 2013 con l'intervento dei magistrati:
Riccardo Virgilio, Presidente
Nicola Russo, Consigliere
Sergio De Felice, Consigliere, Estensore
Diego Sabatino, Consigliere
Raffaele Potenza, Consigliere
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L'ESTENSORE |
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IL PRESIDENTE |
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DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 06/08/2013
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)