Cass. Sez. III n. 9104 del 28 febbraio 2008 (ud. 15 gen. 2008)
Pres. Petti Est. Sarno Ric. PG in proc. Manunta ed altro
Rifiuti. Effluenti da allevamento
Per escludere l\'applicabilità della normativa sui rifiuti (DLvo 22/97 e DLvo 152/06) occorre che l\'utilizzazione agronomica degli effluenti di allevamento di cunicoli avvenga nel rispetto delle condizioni indicate dal DM 7 aprile 2006.
Pres. Petti Est. Sarno Ric. PG in proc. Manunta ed altro
Rifiuti. Effluenti da allevamento
Per escludere l\'applicabilità della normativa sui rifiuti (DLvo 22/97 e DLvo 152/06) occorre che l\'utilizzazione agronomica degli effluenti di allevamento di cunicoli avvenga nel rispetto delle condizioni indicate dal DM 7 aprile 2006.
Con la sentenza in epigrafe la corte d’appello di Cagliari, sezione distaccata di Sassari, in riforma della sentenza del giudice monocratico della stessa città in data 2 febbraio 2006, con la quale gli imputati erano stati condannati alla pena di euro 2400 di ammenda ciascuno, assolveva Manunta Gian Franco, Gareddu Domenico Giovanni e Gareddu Antonio Costantino dal reato di cui agli artt. 110 cod. pen. 51 co. 2 D.L.vo n. 22/97 ad essi contestato per avere quali soci della società semplice Gareddu e Manunta - Attività cunicola, abbandonato in modo incontrollato rifiuti (deiezioni provenienti dall’allevamento intensivo di conigli) in terreni estranei all’attività di allevamento, di proprietà di Deroma Francesca e Gareddu Lorenzo - in Sassari, accertato il 27 novembre 2002.
Avverso tale sentenza ricorre per cassazione il procuratore generale della Repubblica presso la Sezione Distaccata della Corte d’appello di Sassari eccependo l’inosservanza dell’art. 593 cod. proc. pen. sul rilievo che la corte di merito avrebbe dovuto dichiarare inammissibile l’appello - in quanto diretto contro sentenza di condanna alla sola pena pecuniaria - e non pronunciarsi sul merito assolvendo gli imputati.
Motivi della decisione
Il rilievo del procuratore generale ricorrente è certamente fondato.
Appare evidente l’errore in cui è incorso il giudice di secondo grado che, investito dell’appello proposto dagli imputati avverso sentenza di condanna alla sola pena pecuniaria, in base all’art. 593 cpp, non avrebbe dovuto decidere sull’impugnazione ma avrebbe dovuto invece trasmettere gli atti a questa Corte convertendo l’appello in ricorso per cassazione.
Ciò posto, come già affermato da questa Corte, nel caso in cui il giudice di secondo grado si sia erroneamente pronunziato sul gravame proposto avverso sentenza inappellabile e che tale sentenza sia stata poi, a sua volta, impugnata in sede di legittimità, la Corte di cassazione deve annullare senza rinvio la sentenza impugnata e ritenere il giudizio, qualificando l’originario gravame quale ricorso (Sez. 5, n. 4016 del 19 settembre 2000 Rv. 217738).
Venendo dunque all’esame dei motivi originariamente dedotti, osserva il Collegio che gli imputati, nell’atto di appello, hanno tutti in maniera congiunta contestato l’affermazione del tribunale secondo la quale non poteva parlarsi nella specie di legittimo smaltimento di deiezioni giacché non sussisteva la condizione che le stesse provenivano da attività agricola.
I ricorrenti rilevano in proposito che colui il quale esercita l’attività di allevamento deve essere considerato imprenditore agricolo; che escludendo l’attività di allevamento da quella agricola non avrebbe alcun senso il riferimento alle deiezioni operato nell’art. 8 lett. c) D.L.vo 22/97 e che, in ogni caso, queste ultime venivano accumulate per essere essiccate e poi sparse sul terreno in un ciclo finalizzato alla concimazione di quest’ultimo.
Si aggiunge anche che i due fondi sui quali le deiezioni erano state depositate non appartenevano ad estranei, così come ritenuto nella sentenza di prime cure, ma che erano in realtà corpi della azienda Gareddu e Manunta da essa gestiti e che in nessun caso poteva sostenersi la tesi dell’abbandono incontrollato trattandosi di terreni recintati utilizzati nell’ambito dell’attività principale dell’azienda e, cioè, l’allevamento intensivo di conigli.
Il giudicante non avrebbe infine, secondo i ricorrenti, operato la riduzione di pena conseguente alla scelta del rito abbreviato.
Ciò premesso, occorre rilevare anche che alla data odierna il reato contestato è prescritto.
L’analisi delle questioni dedotte va pertanto necessariamente circoscritta, nei limiti propri del giudizio di legittimità, alla verifica delle eventuale sussistenza delle condizioni indicate dall’art. 129 cod. proc. pen..
La prima questione che si pone è quella di stabilire se nella specie le deiezioni provenienti dall’allevamento dei conigli possano essere considerate o meno rifiuti.
Alla tesi del ricorrente secondo cui l’utilizzazione agronomica di materia fecale non costituisce reato, il tribunale, citando alcune decisioni di questa Corte, ha obiettato che:
- l’utilizzo di materie fecali in agricoltura è sottoposto alla disciplina sui rifiuti di cui al D.Lgs. n. 22 del 1997 (oggi sostituito dal D.Lgs. 3 aprile 2006 n. 152, parte quarta), in quanto non sono stati emanati i decreti ministeriali attuativi previsti dall’art. 38, comma primo, D.Lgs. n. 152 del 1999, soltanto a seguito dei quali si sarebbe potuta applicare la diversa disciplina in tema di acque di cui al D.Lgs. 152 del 1999 - oggi sostituito dal D.Lgs. n. 152/06 parte terza - (Sez. 3, n. 42201 del 8 novembre 2006 Rv. 235412);
- l’esclusione delle materie fecali dalla disciplina del D.L.vo 22/97 opera, ai sensi dell’art. 8 lett. c) solo a condizione che le stesse provengano da attività agricola e che siano riutilizzate nella stessa attività agricola (cfr Sez. 3 n. 8890 del 2005);
- l’attività di allevamento non rientra nella nozione di attività agricola.
Per risolvere la questione occorre tuttavia considerare anche un dato ulteriore non valutato in precedenza e non menzionato neanche dal ricorrente.
Con DM in data 7 aprile 2006, pubblicato su G.U. n. 109 del 12 maggio 2006, il Ministero delle Politiche Agricole e Forestali ha provveduto, infatti, a stabilire “Criteri e norme tecniche generali per la disciplina regionale dell’utilizzazione agronomica degli effluenti di allevamento, di cui all’articolo 38 del decreto legislativo n. 152 del 1999 (ora articolo 112 del decreto legislativo n. 152 del 2006)”. All’art. 2 il decreto introduce la distinzione tra «effluenti di allevamento palabili e non palabili e definisce alla lettera d) i «liquami» come effluenti di allevamento non palabili assimilando a questi ultimi, se provenienti dall’attività di allevamento, le deiezioni di avicoli e cunicoli non mescolate a lettiera; ed alla lettera e) i «letami» come effluenti di allevamento palabili, provenienti da allevamenti che impiegano la lettiera; assimilando ad essi, se provenienti dall’attività di allevamento, 1) le lettiere esauste di allevamenti avicunicoli; 2) le deiezioni di avicunicoli anche non mescolate a lettiera rese palabili da processi di disidratazione naturali o artificiali che hanno luogo sia all’interno, sia all’esterno dei ricoveri.
L’art. 3 co. 1 del DM in questione prevede poi che l’utilizzazione agronomica degli effluenti di allevamento disciplinata dal presente decreto è esclusa ai sensi dell’art. 8, comma 1, del decreto legislativo n. 22 del 1997 dal campo di applicazione del medesimo decreto legislativo.
E, dunque, la tesi del ricorrente sembrerebbe obiettivamente trovare un elemento di riscontro importante in relazione alla evoluzione normativa descritta.
Senonché occorre anche considerare come il decreto citato non si limiti all’affermazione di principio ma, espressamente considerando l’attività di allevamento di cunicoli, provveda anche ad una compiuta disciplina delle caratteristiche dello stoccaggio e dell’accumulo dei materiali palabili; dello stoccaggio e dell’accumulo temporaneo di letami ed, infine delle modalità di utilizzazione agronomica e delle dosi di applicazione.
Ed, invero, il DM stabilisce che:
Art. 7 “Caratteristiche dello stoccaggio e dell’accumulo dei materiali palabili” prevede tra l’altro che lo stoccaggio debba avvenire per i materiali palabili su platea impermeabilizzata; che il calcolo della superficie della platea di stoccaggio dei materiali palabili deve essere funzionale al tipo di materiale stoccato e riporta per i diversi materiali palabili, valori indicativi per i quali dividere il volume di stoccaggio espresso in m3 al fine di ottenere la superficie in m2 della platea (2 per le lettiere esauste degli allevamenti cunicoli; 2 per le lettiere esauste degli allevamenti avicoli; fino a 2,5 per le deiezioni di avicunicoli rese palabili da processi di disidratazione). Stabilisce inoltre che, fatta salva la disposizione di cui al comma 2 per gli allevamenti avicoli a ciclo produttivo inferiore a 90 giorni, l’accumulo su suolo agricolo di letami e di lettiere esauste di allevamenti avicunicoli, esclusi gli altri materiali assimilati, definiti all’art. 2, comma 1, lettera e), è ammesso solo dopo uno stoccaggio di almeno 90 giorni; che tale accumulo può essere praticato ai soli fini della utilizzazione agronomica sui terreni circostanti ed in quantitativi non superiori al fabbisogno di letame dei medesimi. Rimanda, infine, alla normativa regionale per le prescrizioni in ordine alle modalità di effettuazione, gestione e durata degli accumuli e dello stoccaggio delle lettiere di cui al comma 2 necessarie a garantire una buona aerazione della massa, il drenaggio del percolato prima del trasferimento in campo, nonché la presenza di adeguate distanze dai corpi idrici, abitazioni e strade.
Art. 25 “Accumulo temporaneo di letami” prevede che l’accumulo temporaneo di letami e di lettiere esauste di allevamenti avicunicoli, è praticato ai soli fini della utilizzazione agronomica e deve avvenire sui terreni utilizzati per lo spandimento. La quantità di letame accumulato deve essere funzionale alle esigenze colturali degli appezzamenti di suolo; .... è ammesso su suolo agricolo solo dopo uno stoccaggio di almeno 90 giorni e per un periodo non superiore a tre mesi. L’accumulo non può essere ripetuto nello stesso luogo nell’ambito di una stessa annata agraria; gli accumuli devono essere di forma e dimensioni tali da garantire una buona aerazione della massa e, al fine di non generare liquidi di sgrondo, devono essere adottate le misure necessarie per effettuare il drenaggio completo del percolato prima del trasferimento in campo ed evitare infiltrazioni di acque meteoriche, oltre a prevedere un’idonea impermeabilizzazione del suolo.
L’art. 26, infine, definisce le “Modalità di utilizzazione agronomica e dosi di applicazione”.
Si deve pertanto necessariamente concludere che, per escludere l’applicabilità della normativa sui rifiuti (D.L.vo 22/97 e D.L.vo 152/06) occorre che l’utilizzazione agronomica degli effluenti di allevamento di cunicoli avvenga nel rispetto delle condizioni indicate dal DM 7 aprile 2006.
La delibazione in proposito, postulando come visto accertamenti di carattere fattuali, non può che essere demandata al giudice di merito.
Ciò è tuttavia precluso nella specie in ragione della avvenuta prescrizione del reato.
Avverso tale sentenza ricorre per cassazione il procuratore generale della Repubblica presso la Sezione Distaccata della Corte d’appello di Sassari eccependo l’inosservanza dell’art. 593 cod. proc. pen. sul rilievo che la corte di merito avrebbe dovuto dichiarare inammissibile l’appello - in quanto diretto contro sentenza di condanna alla sola pena pecuniaria - e non pronunciarsi sul merito assolvendo gli imputati.
Motivi della decisione
Il rilievo del procuratore generale ricorrente è certamente fondato.
Appare evidente l’errore in cui è incorso il giudice di secondo grado che, investito dell’appello proposto dagli imputati avverso sentenza di condanna alla sola pena pecuniaria, in base all’art. 593 cpp, non avrebbe dovuto decidere sull’impugnazione ma avrebbe dovuto invece trasmettere gli atti a questa Corte convertendo l’appello in ricorso per cassazione.
Ciò posto, come già affermato da questa Corte, nel caso in cui il giudice di secondo grado si sia erroneamente pronunziato sul gravame proposto avverso sentenza inappellabile e che tale sentenza sia stata poi, a sua volta, impugnata in sede di legittimità, la Corte di cassazione deve annullare senza rinvio la sentenza impugnata e ritenere il giudizio, qualificando l’originario gravame quale ricorso (Sez. 5, n. 4016 del 19 settembre 2000 Rv. 217738).
Venendo dunque all’esame dei motivi originariamente dedotti, osserva il Collegio che gli imputati, nell’atto di appello, hanno tutti in maniera congiunta contestato l’affermazione del tribunale secondo la quale non poteva parlarsi nella specie di legittimo smaltimento di deiezioni giacché non sussisteva la condizione che le stesse provenivano da attività agricola.
I ricorrenti rilevano in proposito che colui il quale esercita l’attività di allevamento deve essere considerato imprenditore agricolo; che escludendo l’attività di allevamento da quella agricola non avrebbe alcun senso il riferimento alle deiezioni operato nell’art. 8 lett. c) D.L.vo 22/97 e che, in ogni caso, queste ultime venivano accumulate per essere essiccate e poi sparse sul terreno in un ciclo finalizzato alla concimazione di quest’ultimo.
Si aggiunge anche che i due fondi sui quali le deiezioni erano state depositate non appartenevano ad estranei, così come ritenuto nella sentenza di prime cure, ma che erano in realtà corpi della azienda Gareddu e Manunta da essa gestiti e che in nessun caso poteva sostenersi la tesi dell’abbandono incontrollato trattandosi di terreni recintati utilizzati nell’ambito dell’attività principale dell’azienda e, cioè, l’allevamento intensivo di conigli.
Il giudicante non avrebbe infine, secondo i ricorrenti, operato la riduzione di pena conseguente alla scelta del rito abbreviato.
Ciò premesso, occorre rilevare anche che alla data odierna il reato contestato è prescritto.
L’analisi delle questioni dedotte va pertanto necessariamente circoscritta, nei limiti propri del giudizio di legittimità, alla verifica delle eventuale sussistenza delle condizioni indicate dall’art. 129 cod. proc. pen..
La prima questione che si pone è quella di stabilire se nella specie le deiezioni provenienti dall’allevamento dei conigli possano essere considerate o meno rifiuti.
Alla tesi del ricorrente secondo cui l’utilizzazione agronomica di materia fecale non costituisce reato, il tribunale, citando alcune decisioni di questa Corte, ha obiettato che:
- l’utilizzo di materie fecali in agricoltura è sottoposto alla disciplina sui rifiuti di cui al D.Lgs. n. 22 del 1997 (oggi sostituito dal D.Lgs. 3 aprile 2006 n. 152, parte quarta), in quanto non sono stati emanati i decreti ministeriali attuativi previsti dall’art. 38, comma primo, D.Lgs. n. 152 del 1999, soltanto a seguito dei quali si sarebbe potuta applicare la diversa disciplina in tema di acque di cui al D.Lgs. 152 del 1999 - oggi sostituito dal D.Lgs. n. 152/06 parte terza - (Sez. 3, n. 42201 del 8 novembre 2006 Rv. 235412);
- l’esclusione delle materie fecali dalla disciplina del D.L.vo 22/97 opera, ai sensi dell’art. 8 lett. c) solo a condizione che le stesse provengano da attività agricola e che siano riutilizzate nella stessa attività agricola (cfr Sez. 3 n. 8890 del 2005);
- l’attività di allevamento non rientra nella nozione di attività agricola.
Per risolvere la questione occorre tuttavia considerare anche un dato ulteriore non valutato in precedenza e non menzionato neanche dal ricorrente.
Con DM in data 7 aprile 2006, pubblicato su G.U. n. 109 del 12 maggio 2006, il Ministero delle Politiche Agricole e Forestali ha provveduto, infatti, a stabilire “Criteri e norme tecniche generali per la disciplina regionale dell’utilizzazione agronomica degli effluenti di allevamento, di cui all’articolo 38 del decreto legislativo n. 152 del 1999 (ora articolo 112 del decreto legislativo n. 152 del 2006)”. All’art. 2 il decreto introduce la distinzione tra «effluenti di allevamento palabili e non palabili e definisce alla lettera d) i «liquami» come effluenti di allevamento non palabili assimilando a questi ultimi, se provenienti dall’attività di allevamento, le deiezioni di avicoli e cunicoli non mescolate a lettiera; ed alla lettera e) i «letami» come effluenti di allevamento palabili, provenienti da allevamenti che impiegano la lettiera; assimilando ad essi, se provenienti dall’attività di allevamento, 1) le lettiere esauste di allevamenti avicunicoli; 2) le deiezioni di avicunicoli anche non mescolate a lettiera rese palabili da processi di disidratazione naturali o artificiali che hanno luogo sia all’interno, sia all’esterno dei ricoveri.
L’art. 3 co. 1 del DM in questione prevede poi che l’utilizzazione agronomica degli effluenti di allevamento disciplinata dal presente decreto è esclusa ai sensi dell’art. 8, comma 1, del decreto legislativo n. 22 del 1997 dal campo di applicazione del medesimo decreto legislativo.
E, dunque, la tesi del ricorrente sembrerebbe obiettivamente trovare un elemento di riscontro importante in relazione alla evoluzione normativa descritta.
Senonché occorre anche considerare come il decreto citato non si limiti all’affermazione di principio ma, espressamente considerando l’attività di allevamento di cunicoli, provveda anche ad una compiuta disciplina delle caratteristiche dello stoccaggio e dell’accumulo dei materiali palabili; dello stoccaggio e dell’accumulo temporaneo di letami ed, infine delle modalità di utilizzazione agronomica e delle dosi di applicazione.
Ed, invero, il DM stabilisce che:
Art. 7 “Caratteristiche dello stoccaggio e dell’accumulo dei materiali palabili” prevede tra l’altro che lo stoccaggio debba avvenire per i materiali palabili su platea impermeabilizzata; che il calcolo della superficie della platea di stoccaggio dei materiali palabili deve essere funzionale al tipo di materiale stoccato e riporta per i diversi materiali palabili, valori indicativi per i quali dividere il volume di stoccaggio espresso in m3 al fine di ottenere la superficie in m2 della platea (2 per le lettiere esauste degli allevamenti cunicoli; 2 per le lettiere esauste degli allevamenti avicoli; fino a 2,5 per le deiezioni di avicunicoli rese palabili da processi di disidratazione). Stabilisce inoltre che, fatta salva la disposizione di cui al comma 2 per gli allevamenti avicoli a ciclo produttivo inferiore a 90 giorni, l’accumulo su suolo agricolo di letami e di lettiere esauste di allevamenti avicunicoli, esclusi gli altri materiali assimilati, definiti all’art. 2, comma 1, lettera e), è ammesso solo dopo uno stoccaggio di almeno 90 giorni; che tale accumulo può essere praticato ai soli fini della utilizzazione agronomica sui terreni circostanti ed in quantitativi non superiori al fabbisogno di letame dei medesimi. Rimanda, infine, alla normativa regionale per le prescrizioni in ordine alle modalità di effettuazione, gestione e durata degli accumuli e dello stoccaggio delle lettiere di cui al comma 2 necessarie a garantire una buona aerazione della massa, il drenaggio del percolato prima del trasferimento in campo, nonché la presenza di adeguate distanze dai corpi idrici, abitazioni e strade.
Art. 25 “Accumulo temporaneo di letami” prevede che l’accumulo temporaneo di letami e di lettiere esauste di allevamenti avicunicoli, è praticato ai soli fini della utilizzazione agronomica e deve avvenire sui terreni utilizzati per lo spandimento. La quantità di letame accumulato deve essere funzionale alle esigenze colturali degli appezzamenti di suolo; .... è ammesso su suolo agricolo solo dopo uno stoccaggio di almeno 90 giorni e per un periodo non superiore a tre mesi. L’accumulo non può essere ripetuto nello stesso luogo nell’ambito di una stessa annata agraria; gli accumuli devono essere di forma e dimensioni tali da garantire una buona aerazione della massa e, al fine di non generare liquidi di sgrondo, devono essere adottate le misure necessarie per effettuare il drenaggio completo del percolato prima del trasferimento in campo ed evitare infiltrazioni di acque meteoriche, oltre a prevedere un’idonea impermeabilizzazione del suolo.
L’art. 26, infine, definisce le “Modalità di utilizzazione agronomica e dosi di applicazione”.
Si deve pertanto necessariamente concludere che, per escludere l’applicabilità della normativa sui rifiuti (D.L.vo 22/97 e D.L.vo 152/06) occorre che l’utilizzazione agronomica degli effluenti di allevamento di cunicoli avvenga nel rispetto delle condizioni indicate dal DM 7 aprile 2006.
La delibazione in proposito, postulando come visto accertamenti di carattere fattuali, non può che essere demandata al giudice di merito.
Ciò è tuttavia precluso nella specie in ragione della avvenuta prescrizione del reato.