di Fulvio Albanese
L’ingannevolezza del messaggio è stata accertata proprio in relazione al fatto che il depliant diffuso dalla società di telefonia mobile contiene un’affermazione eccessivamente categorica e tranquillizzante sulla totale innocuità dei campi elettromagnetici generati dagli apparecchi radiomobili (“gli scienziati di tutto il mondo sono concordi nel ritenere che le onde, anche quelle emesse dagli impianti radiomobili, non producono effetti dannosi per la salute”), indicazione fuorviante per i destinatari del depliant, potenziali utilizzatori degli apparecchi radiomobili, in quanto può spingerli a credere erroneamente che la comunità scientifica sia già giunta a conclusioni unanimemente condivise circa la totale innocuità dell’esposizione prolungata ai campi elettromagnetici degli apparecchi radiomobili e che, quindi, non sono in corso ulteriori indagini su questi aspetti.
Lo ha stabilito la Prima Sezione del TAR Lazio – Roma, con la sentenza del 18 giugno n. 7546.
La vicenda prende la mosse dal provvedimento dell’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato adottato il 20 gennaio 2000 con il quale è stata vietata la diffusione di un messaggio pubblicitario di una società di telefonia mobile (allegato ad alcune riviste), riguardante i campi elettromagnetici generati dai telefoni cellulari ed i possibili danni per la salute umana.
La società ha presentato ricorso contro il provvedimento dell’Autorità Garante contestando che le pubblicazioni in discorso avrebbero finalità e produrrebbero effetti unicamente informativi, certamente non pubblicitari, atteso che non costituirebbero uno strumento diretto a promuovere le vendite di uno dei prodotti della società, bensì ad informare il pubblico dei consumatori sullo “stato dell’arte” delle ricerche scientifiche in tema di nocività per la salute delle onde elettromagnetiche prodotte dall’impiego dei telefoni cellulari. Peraltro, ove i messaggi avessero natura promozionale e non informativa, l’Autorità avrebbe attribuito agli stessi portata ingannevole attraverso una lettura disinvolta delle relazioni peritali. L’Autorità inoltre – secondo la società ricorrente- avrebbe assunto un ruolo che non le spetta, assegnandosi la competenza a valutare la nocività dei campi elettromagnetici, interferendo in tal modo con le competenze di altre pubbliche istituzioni, e ignorando le relazioni nelle parti in cui affermano che non è stata raggiunta dimostrazione sulla connessione causale tra campi elettromagnetici e malattie tumorali.
Prima di esaminare nel dettaglio le motivazioni che hanno portato i Giudici del Tar Lazio a confermare la censure dell’Autorità, è opportuno ricordare i principi fondamentali della Legge 22 febbraio 2001, n. 36 “Legge quadro sulla protezione dalle esposizioni a campi elettrici, magnetici ed elettromagnetici” (G.U. n. 55 del 7 marzo 2001). Questa importante norma all’articolo 1 (Finalità) assicura la tutela della salute dei lavoratori, delle lavoratrici e della popolazione dagli effetti dell’esposizione a determinati livelli di campi elettrici, magnetici ed elettromagnetici ai sensi e nel rispetto dell’articolo 32 della Costituzione, come la Consulta ha nel tempo costantemente affermato: “La tutela della salute comprende la generale e comune pretesa dell'individuo a condizioni di vita, di ambiente e di lavoro che non pongano a rischio questo suo bene essenziale”, sentenza n. 218 del 1994; “Occorre premettere il richiamo alla costante giurisprudenza di questa Corte (sentenze n. 218 del 1994, n. 202 del 1991, nn. 307 e 455 del 1990, n. 559 del 1987 e n. 184 del 1986) secondo cui la salute è un bene primario che assurge a diritto fondamentale della persona ed impone piena ed esaustiva tutela”, sentenza n. 399 del 1996; “Tra i diritti inviolabili dell'uomo, che la Repubblica riconosce e garantisce, rientra il diritto alla salute che riveste carattere di diritto fondamentale”, sentenza n. 73 del 2001.
Altro principio fondante della legge quadro sulla protezione dalle esposizioni a campi elettrici, magnetici ed elettromagnetici è l’attivazione di misure di cautela da adottare in applicazione del principio di precauzione di cui all’articolo 174, paragrafo 2, del trattato istitutivo dell’Unione Europea, sul punto la Corte di Giustizia delle Comunità Europee ha statuito: “In conformità dell’art. 130 R, n. 2, del Trattato CE (divenuto, in seguito a modifica, art. 174, n. 2, CE), il principio di precauzione costituisce uno dei principi sui quali si fonda la politica della Comunità in materia ambientale. (...) Quando sussistono incertezze scientifiche riguardo all’esistenza o alla portata di rischi per la salute del consumatore, le istituzioni potrebbero adottare misure cautelative senza dover attendere che siano esaurientemente dimostrate la realtà e la gravità di tali rischi”. Causa T 138/03, del 13 dicembre 2006; “Nella definizione e nell’attuazione di tutte le politiche ed attività della Comunità è garantito un livello elevato di protezione della salute umana (v., al riguardo, sentenza 12 gennaio 2006, causa C 504/04, Agrarproduktion Staebelow, Racc. pag. 679, punto 39), nonché all’art. 174, n. 2, CE, ai sensi del quale la politica della Comunità in campo ambientale persegue un elevato livello di tutela e si fonda sui principi di precauzione e di prevenzione”. Cause riunite C 14/06 e C 295/06, del 1 aprile 2008.
Torniamo ora alle puntuali motivazioni dei giudici del Tar Lazio: - Il messaggio qualificato dall’Autorità come pubblicità ingannevole è stato allegato ad alcune riviste ed è rappresentato da una brochure recante sul frontespizio il titolo “Elettromagnetismo. Le risposte della scienza”, seguito dal marchio della società e da una bordatura caratterizzata dai colori tipici delle comunicazioni aziendali della società stessa. Nel paragrafo dal titolo “La natura delle onde elettromagnetiche” viene, in particolare, segnalato ai lettori che “Gli scienziati di tutto il mondo sono concordi nel ritenere che le onde, anche quelle emesse dagli impianti radiomobili, non producono effetti dannosi per la salute”. Nel paragrafo dal titolo “Onde radio” viene, poi, evidenziato con caratteri in corsivo e apposita virgolettatura che “Gli standard tecnici internazionali secondo i quali sono costruiti i telefonini mobili e le stazioni radio base, non consentono che questi provochino alcun riscaldamento significativo (Organizzazione Mondiale della Sanità)”. Il messaggio prosegue evidenziando i limiti di esposizione ai campi elettromagnetici stabiliti da diversi organismi (Cenelec, Ansi, Icnirp) e sottolineando che “in Italia i limiti sono molto più severi rispetto a quelli stabiliti dai principali Enti Internazionali […] L’esposizione da impianti di telefonia mobile è regolata dal decreto n. 381/98 entrato in vigore il 2 gennaio 1999”. Il comunicato riporta, quindi, l’affermazione secondo cui “Oltre a essere realizzati nel pieno rispetto delle norme, i ripetitori della società vengono sottoposti a costanti controlli. Prima e al di là di ogni controllo, la società ha sempre osservato una regola: la tutela dei propri Clienti e dell’intera popolazione”. Il messaggio si conclude con l’indicazione di un glossario con il quale è chiarito il significato delle sigle Cenelec, Ansi e Icnirp; con la segnalazione di alcuni siti internet sull’argomento (Organizzazione Mondiale della Sanità, progetto EMF: www.who.int/peh-emf/; Bioelectromagnetics Society: www.bioelectromagnetics.org; European Bioelectromagnetics Association:www.ebea.org; Istituto Superiore di Sanità:www.iss.it”), nonché di un numero verde (2800-539151”) per “ricevere ulteriori informazioni sull’elettromagnetismo” attraverso l’invio di documentazione di carattere scientifico sull’argomento”.
L’Autorità – continuano i giudici - ha ritenuto che il messaggio è idoneo a indurre in errore i consumatori sulle caratteristiche e sugli effetti prodotti dagli apparati di telefonia radiomobile limitatamente alla categorica affermazione secondo cui “Gli scienziati di tutto il mondo sono concordi nel ritenere che le onde, anche quelle emesse dagli impianti radiomobili, non producono effetti dannosi per la salute”, in quanto si tratta di affermazione non corrispondente agli studi e agli approfondimenti ancora in corso nell’ambito della comunità scientifica internazionale.
Le opposizioni sollevate dalla società al provvedimento dell’Autorità sono essenzialmente di due tipi: 1) il messaggio avrebbe avuto una finalità meramente informativa e non promozionale; 2) l’Autorità, che sarebbe peraltro incompetente in materia, avrebbe ignorato le relazioni nelle parti in cui affermano che non è stata raggiunta dimostrazione sulla connessione causale tra campi elettromagnetici e malattie tumorali.
Tali censure - precisano i giudici del Tar - non possono essere condivise per i seguenti motivi: Può definirsi messaggio pubblicitario qualsiasi forma di messaggio che sia diffuso, in qualsiasi modo, nell’esercizio di un’attività commerciale, industriale, artigianale o professionale allo scopo di promuovere la vendita di prodotti o servizi. Inoltre il Collegio rileva che il messaggio in discorso ha una chiara finalità promozionale volta, sia pure indirettamente, alla vendita di prodotti ed è stato diffuso nell’esercizio di un’attività commerciale. Il messaggio, infatti, riporta sulla copertina il marchio aziendale con i relativi colori e, escludendo che le onde emesse dagli impianti radiomobili possano produrre effetti dannosi per la salute, mira evidentemente a favore l’uso e, quindi, la vendita degli apparecchi radiomobili commercializzati dall’impresa.
D’altra parte, ove in presenza di tali presupposti, si dovesse ritenere che la comunicazione, per il fatto di recare elementi informativi non direttamente destinati alla vendita di prodotti che l’impresa commercializza, non possa essere qualificata pubblicitaria, la tutela dei consumatori, alla quale è ispirata la normativa de qua, risulterebbe inevitabilmente carente e tale da consentire agli operatori economici di elaborare eventuali strategie di comunicazioni che, per essere solo indirettamente finalizzate alla soddisfazione dei propri interessi commerciali, si pongono al di fuori del possibile intervento e della conseguente inibitoria dell’Autorità istituzionalmente competente.
Con riferimento alla seconda obiezione della società, occorre in primo luogo osservare che l’Autorità non ha oltrepassato le proprie competenze atteso che non ha affatto autonomamente valutato la nocività dei campi elettromagnetici, ma si è limitata a comparare la categoricità delle affermazioni contenute nella comunicazione pubblicitaria con i risultati raggiunti allo stato dalla scienza nella materia in esame
L’AGCM, poi, non ha ignorato le relazioni nelle parti in cui affermano che non è stata raggiunta dimostrazione sulla connessione causale tra campi elettromagnetici e malattie tumorali.
Anzi, l’ingannevolezza del messaggio è stata accertata proprio in relazione al fatto che il depliant diffuso dalla società contiene un’affermazione eccessivamente categorica e tranquillizzante sulla totale innocuità dei campi elettromagnetici generati dagli apparecchi radiomobili (“gli scienziati di tutto il mondo sono concordi nel ritenere che le onde, anche quelle emesse dagli impianti radiomobili, non producono effetti dannosi per la salute”), indicazione fuorviante per i destinatari del depliant, potenziali utilizzatori degli apparecchi radiomobili, in quanto può spingerli a credere erroneamente che la comunità scientifica sia già giunta a conclusioni unanimemente condivise circa la totale innocuità dell’esposizione prolungata ai campi elettromagnetici degli apparecchi radiomobili e che, quindi, non sono in corso ulteriori indagini su questi aspetti.
In altri termini, - concludono i giudici - l’Autorità non ha per nulla considerato raggiunta la dimostrazione sulla connessione causale tra campi elettromagnetici e malattie tumorali, ma, anzi, ha ritenuto ingannevole il messaggio della società proprio perché ha escluso certamente la possibilità che le onde possano produrre effetti dannosi per la salute, mentre non sussiste né tale certezza né la certezza contraria essendo la questione non ancora definita ed oggetto di indagini da parte della comunità scientifica. D’altra parte, l’amministrazione procedente (AGCM) ha ritenuto più corretta e, quindi, non ingannevole l’indicazione contenuta nell’opuscolo più ampio elaborato dalla società nel quale è chiarito che “a fronte dei risultati della ricerca a oggi disponibili, si può ritenere che l’esposizione alle radiofrequenze dei sistemi di telefonia mobile non sia in grado, con tutta probabilità, di determinare l’insorgere dei tumori”.
Con queste motivazioni i giudici del Tar Lazio ritengono infondato il ricorso e lo respingono.
Lo ha stabilito la Prima Sezione del TAR Lazio – Roma, con la sentenza del 18 giugno n. 7546.
La vicenda prende la mosse dal provvedimento dell’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato adottato il 20 gennaio 2000 con il quale è stata vietata la diffusione di un messaggio pubblicitario di una società di telefonia mobile (allegato ad alcune riviste), riguardante i campi elettromagnetici generati dai telefoni cellulari ed i possibili danni per la salute umana.
La società ha presentato ricorso contro il provvedimento dell’Autorità Garante contestando che le pubblicazioni in discorso avrebbero finalità e produrrebbero effetti unicamente informativi, certamente non pubblicitari, atteso che non costituirebbero uno strumento diretto a promuovere le vendite di uno dei prodotti della società, bensì ad informare il pubblico dei consumatori sullo “stato dell’arte” delle ricerche scientifiche in tema di nocività per la salute delle onde elettromagnetiche prodotte dall’impiego dei telefoni cellulari. Peraltro, ove i messaggi avessero natura promozionale e non informativa, l’Autorità avrebbe attribuito agli stessi portata ingannevole attraverso una lettura disinvolta delle relazioni peritali. L’Autorità inoltre – secondo la società ricorrente- avrebbe assunto un ruolo che non le spetta, assegnandosi la competenza a valutare la nocività dei campi elettromagnetici, interferendo in tal modo con le competenze di altre pubbliche istituzioni, e ignorando le relazioni nelle parti in cui affermano che non è stata raggiunta dimostrazione sulla connessione causale tra campi elettromagnetici e malattie tumorali.
Prima di esaminare nel dettaglio le motivazioni che hanno portato i Giudici del Tar Lazio a confermare la censure dell’Autorità, è opportuno ricordare i principi fondamentali della Legge 22 febbraio 2001, n. 36 “Legge quadro sulla protezione dalle esposizioni a campi elettrici, magnetici ed elettromagnetici” (G.U. n. 55 del 7 marzo 2001). Questa importante norma all’articolo 1 (Finalità) assicura la tutela della salute dei lavoratori, delle lavoratrici e della popolazione dagli effetti dell’esposizione a determinati livelli di campi elettrici, magnetici ed elettromagnetici ai sensi e nel rispetto dell’articolo 32 della Costituzione, come la Consulta ha nel tempo costantemente affermato: “La tutela della salute comprende la generale e comune pretesa dell'individuo a condizioni di vita, di ambiente e di lavoro che non pongano a rischio questo suo bene essenziale”, sentenza n. 218 del 1994; “Occorre premettere il richiamo alla costante giurisprudenza di questa Corte (sentenze n. 218 del 1994, n. 202 del 1991, nn. 307 e 455 del 1990, n. 559 del 1987 e n. 184 del 1986) secondo cui la salute è un bene primario che assurge a diritto fondamentale della persona ed impone piena ed esaustiva tutela”, sentenza n. 399 del 1996; “Tra i diritti inviolabili dell'uomo, che la Repubblica riconosce e garantisce, rientra il diritto alla salute che riveste carattere di diritto fondamentale”, sentenza n. 73 del 2001.
Altro principio fondante della legge quadro sulla protezione dalle esposizioni a campi elettrici, magnetici ed elettromagnetici è l’attivazione di misure di cautela da adottare in applicazione del principio di precauzione di cui all’articolo 174, paragrafo 2, del trattato istitutivo dell’Unione Europea, sul punto la Corte di Giustizia delle Comunità Europee ha statuito: “In conformità dell’art. 130 R, n. 2, del Trattato CE (divenuto, in seguito a modifica, art. 174, n. 2, CE), il principio di precauzione costituisce uno dei principi sui quali si fonda la politica della Comunità in materia ambientale. (...) Quando sussistono incertezze scientifiche riguardo all’esistenza o alla portata di rischi per la salute del consumatore, le istituzioni potrebbero adottare misure cautelative senza dover attendere che siano esaurientemente dimostrate la realtà e la gravità di tali rischi”. Causa T 138/03, del 13 dicembre 2006; “Nella definizione e nell’attuazione di tutte le politiche ed attività della Comunità è garantito un livello elevato di protezione della salute umana (v., al riguardo, sentenza 12 gennaio 2006, causa C 504/04, Agrarproduktion Staebelow, Racc. pag. 679, punto 39), nonché all’art. 174, n. 2, CE, ai sensi del quale la politica della Comunità in campo ambientale persegue un elevato livello di tutela e si fonda sui principi di precauzione e di prevenzione”. Cause riunite C 14/06 e C 295/06, del 1 aprile 2008.
Torniamo ora alle puntuali motivazioni dei giudici del Tar Lazio: - Il messaggio qualificato dall’Autorità come pubblicità ingannevole è stato allegato ad alcune riviste ed è rappresentato da una brochure recante sul frontespizio il titolo “Elettromagnetismo. Le risposte della scienza”, seguito dal marchio della società e da una bordatura caratterizzata dai colori tipici delle comunicazioni aziendali della società stessa. Nel paragrafo dal titolo “La natura delle onde elettromagnetiche” viene, in particolare, segnalato ai lettori che “Gli scienziati di tutto il mondo sono concordi nel ritenere che le onde, anche quelle emesse dagli impianti radiomobili, non producono effetti dannosi per la salute”. Nel paragrafo dal titolo “Onde radio” viene, poi, evidenziato con caratteri in corsivo e apposita virgolettatura che “Gli standard tecnici internazionali secondo i quali sono costruiti i telefonini mobili e le stazioni radio base, non consentono che questi provochino alcun riscaldamento significativo (Organizzazione Mondiale della Sanità)”. Il messaggio prosegue evidenziando i limiti di esposizione ai campi elettromagnetici stabiliti da diversi organismi (Cenelec, Ansi, Icnirp) e sottolineando che “in Italia i limiti sono molto più severi rispetto a quelli stabiliti dai principali Enti Internazionali […] L’esposizione da impianti di telefonia mobile è regolata dal decreto n. 381/98 entrato in vigore il 2 gennaio 1999”. Il comunicato riporta, quindi, l’affermazione secondo cui “Oltre a essere realizzati nel pieno rispetto delle norme, i ripetitori della società vengono sottoposti a costanti controlli. Prima e al di là di ogni controllo, la società ha sempre osservato una regola: la tutela dei propri Clienti e dell’intera popolazione”. Il messaggio si conclude con l’indicazione di un glossario con il quale è chiarito il significato delle sigle Cenelec, Ansi e Icnirp; con la segnalazione di alcuni siti internet sull’argomento (Organizzazione Mondiale della Sanità, progetto EMF: www.who.int/peh-emf/; Bioelectromagnetics Society: www.bioelectromagnetics.org; European Bioelectromagnetics Association:www.ebea.org; Istituto Superiore di Sanità:www.iss.it”), nonché di un numero verde (2800-539151”) per “ricevere ulteriori informazioni sull’elettromagnetismo” attraverso l’invio di documentazione di carattere scientifico sull’argomento”.
L’Autorità – continuano i giudici - ha ritenuto che il messaggio è idoneo a indurre in errore i consumatori sulle caratteristiche e sugli effetti prodotti dagli apparati di telefonia radiomobile limitatamente alla categorica affermazione secondo cui “Gli scienziati di tutto il mondo sono concordi nel ritenere che le onde, anche quelle emesse dagli impianti radiomobili, non producono effetti dannosi per la salute”, in quanto si tratta di affermazione non corrispondente agli studi e agli approfondimenti ancora in corso nell’ambito della comunità scientifica internazionale.
Le opposizioni sollevate dalla società al provvedimento dell’Autorità sono essenzialmente di due tipi: 1) il messaggio avrebbe avuto una finalità meramente informativa e non promozionale; 2) l’Autorità, che sarebbe peraltro incompetente in materia, avrebbe ignorato le relazioni nelle parti in cui affermano che non è stata raggiunta dimostrazione sulla connessione causale tra campi elettromagnetici e malattie tumorali.
Tali censure - precisano i giudici del Tar - non possono essere condivise per i seguenti motivi: Può definirsi messaggio pubblicitario qualsiasi forma di messaggio che sia diffuso, in qualsiasi modo, nell’esercizio di un’attività commerciale, industriale, artigianale o professionale allo scopo di promuovere la vendita di prodotti o servizi. Inoltre il Collegio rileva che il messaggio in discorso ha una chiara finalità promozionale volta, sia pure indirettamente, alla vendita di prodotti ed è stato diffuso nell’esercizio di un’attività commerciale. Il messaggio, infatti, riporta sulla copertina il marchio aziendale con i relativi colori e, escludendo che le onde emesse dagli impianti radiomobili possano produrre effetti dannosi per la salute, mira evidentemente a favore l’uso e, quindi, la vendita degli apparecchi radiomobili commercializzati dall’impresa.
D’altra parte, ove in presenza di tali presupposti, si dovesse ritenere che la comunicazione, per il fatto di recare elementi informativi non direttamente destinati alla vendita di prodotti che l’impresa commercializza, non possa essere qualificata pubblicitaria, la tutela dei consumatori, alla quale è ispirata la normativa de qua, risulterebbe inevitabilmente carente e tale da consentire agli operatori economici di elaborare eventuali strategie di comunicazioni che, per essere solo indirettamente finalizzate alla soddisfazione dei propri interessi commerciali, si pongono al di fuori del possibile intervento e della conseguente inibitoria dell’Autorità istituzionalmente competente.
Con riferimento alla seconda obiezione della società, occorre in primo luogo osservare che l’Autorità non ha oltrepassato le proprie competenze atteso che non ha affatto autonomamente valutato la nocività dei campi elettromagnetici, ma si è limitata a comparare la categoricità delle affermazioni contenute nella comunicazione pubblicitaria con i risultati raggiunti allo stato dalla scienza nella materia in esame
L’AGCM, poi, non ha ignorato le relazioni nelle parti in cui affermano che non è stata raggiunta dimostrazione sulla connessione causale tra campi elettromagnetici e malattie tumorali.
Anzi, l’ingannevolezza del messaggio è stata accertata proprio in relazione al fatto che il depliant diffuso dalla società contiene un’affermazione eccessivamente categorica e tranquillizzante sulla totale innocuità dei campi elettromagnetici generati dagli apparecchi radiomobili (“gli scienziati di tutto il mondo sono concordi nel ritenere che le onde, anche quelle emesse dagli impianti radiomobili, non producono effetti dannosi per la salute”), indicazione fuorviante per i destinatari del depliant, potenziali utilizzatori degli apparecchi radiomobili, in quanto può spingerli a credere erroneamente che la comunità scientifica sia già giunta a conclusioni unanimemente condivise circa la totale innocuità dell’esposizione prolungata ai campi elettromagnetici degli apparecchi radiomobili e che, quindi, non sono in corso ulteriori indagini su questi aspetti.
In altri termini, - concludono i giudici - l’Autorità non ha per nulla considerato raggiunta la dimostrazione sulla connessione causale tra campi elettromagnetici e malattie tumorali, ma, anzi, ha ritenuto ingannevole il messaggio della società proprio perché ha escluso certamente la possibilità che le onde possano produrre effetti dannosi per la salute, mentre non sussiste né tale certezza né la certezza contraria essendo la questione non ancora definita ed oggetto di indagini da parte della comunità scientifica. D’altra parte, l’amministrazione procedente (AGCM) ha ritenuto più corretta e, quindi, non ingannevole l’indicazione contenuta nell’opuscolo più ampio elaborato dalla società nel quale è chiarito che “a fronte dei risultati della ricerca a oggi disponibili, si può ritenere che l’esposizione alle radiofrequenze dei sistemi di telefonia mobile non sia in grado, con tutta probabilità, di determinare l’insorgere dei tumori”.
Con queste motivazioni i giudici del Tar Lazio ritengono infondato il ricorso e lo respingono.