Cass. Sez. III n. 9631 del 21 marzo 2006 (C.c. 25 ottobre 2005)
Pres. Vitalone Est. Franco Ric. Trigili ed altri
Elettrosmog – Installazione impianti (rapporti tra TUE e CCE). Disciplina delle
autorizzazioni rilasciate ai sensi della normativa previgente)
Il provvedimento autorizzatorio e la procedura di denuncia dell’attività
previsti dall’articolo 87 del D.Lv. 259-2003, hanno come contenuto
imprescindibile anche la verifica della compatibilità urbanistico-edilizia
dell’intervento e non è richiesta, pertanto, la necessità di un distinto titolo
abilitativo a fini edilizi in quanto il Codice delle Comunicazioni deroga al
T.U. edilizia.
Non risulta influenzato, in ogni caso, il regime sanzionatoria penale di cui
all’articolo 44 del T.U. 380-2001 e le infrastrutture di comunicazione
elettronica specificate al comma 1 dell’articolo 87 del D.Lv. 259-2003 restano
sottoposte, pur sempre, alle sanzioni penali specifiche delle opere soggette a
permesso di costruire (la decisione prende in esame anche gli aspetti
riguardanti la validità delle autorizzazioni rilasciate ai sensi della normativa
previgente.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
Composta dagli Ill.mi Magistrati: Camera di consiglio
Dott. VITALONE Claudio - Presidente - del 25/10/2005
Dott. MANCINI Franco - Consigliere - SENTENZA
Dott. PETTI Ciro - Consigliere - N. 1141
Dott. GENTILE Mario - Consigliere - REGISTRO GENERALE
Dott. FRANCO Amedeo - est. Consigliere - N. 25685/2005
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
Trigili Michele, nato a Palermo il 24 agosto 1953;
Vodafone Omnitel NV;
avverso l'ordinanza emessa il 31 marzo 2005 dal tribunale di Catania, quale
giudice del riesame;
udita nella udienza in Camera di consiglio del 25 ottobre 2005 la relazione
fatta dal Consigliere Dott. Amedeo Franco;
udito il Pubblico Ministero in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.
IZZO Gioacchino, che ha concluso per l'annullamento senza rinvio dell'ordinanza
impugnata;
udito per il Trigili il difensore avv. ZAMPARDI Armando;
udito per la soc. Omnitel Vodafone il difensore avv. Libertini Mario.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
1. Con ordinanza del 31 marzo 2005 il tribunale del riesame di Catania confermò
il decreto in data 24 febbraio 2005, con il quale il giudice per le indagini
preliminari del tribunale di Catania aveva disposto, nei confronti della
Vodafone Omnitel NV e del suo procuratore Trigili Michele, il sequestro
preventivo, in relazione al reato di cui al D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, art.
44, lett. b), di un'antenna per servizi di telecomunicazione collocata su un
traliccio alto trenta metri posto su un basamento di calcestruzzo. Espose il
tribunale che l'opera aveva avuto inizio sulla base di due autorizzazioni (del
17/06/2003, per l'installazione dell'impianto, e del 6/03/2004, per
l'implementazione del ponte radio) per la realizzazione di stazioni radio base a
servizio di telefonia mobile cellulare, la prima delle quali era stata
rilasciata ai sensi del D.Lgs. 4 settembre 2002, n. 198, art. 13. Quest'ultimo
era stato però dichiarato costituzionalmente illegittimo dalla Corte Cost. con
sent. n. 303 del 2003 per eccesso di delega rispetto alla L. di delegazione n.
443 del 2001. A seguito della pronuncia di incostituzionalità la prima
autorizzazione doveva ritenersi automaticamente caducata perché alla data di
pubblicazione della sentenza costituzionale erano ancora pendenti i termini per
il ricorso giurisdizionale. Da ciò derivava anche l'invalidità della seconda
autorizzazione all'implementazione dell'impianto, la quale presupponeva una
valida autorizzazione alla installazione. Rilevò poi il tribunale che non era
applicabile il D.L. 14 novembre 2003, n. 315, art. 4, convertito in L. 16
gennaio 2004, n. 5 (secondo il quale i procedimenti di rilascio di
autorizzazione alla installazione di infrastrutture di comunicazioni
elettroniche iniziati ai sensi del D.Lgs. n. 198 del 2002, ed in corso alla data
di pubblicazione della sentenza della Corte Cost. n. 303 del 2003, sono
disciplinati dal D.Lgs. 1 agosto 2003, n. 259), perché tale disposizione
riguardava solo i casi in cui il procedimento autorizzatorio non si fosse ancora
concluso con il provvedimento dirigenziale alla data di pubblicazione della
sentenza di incostituzionalità, e non anche i provvedimenti già emessi per i
quali pendeva ancora il termine per l'impugnazione. L'opera doveva quindi
ritenersi non assistita da alcun valido titolo abilitativo.
Osservò quindi il tribunale che comunque non condivideva la tesi secondo cui, ai
sensi del D.Lgs. n. 315 del 2003, art. 4 citato, dovevano applicarsi le norme di
cui al D.Lgs. 1 agosto 2003, n. 259, con la conseguenza che per gli impianti di
telecomunicazione quali quello in questione non era necessario il permesso di
costruire a norma del D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, in quanto le valutazioni
urbanistico-edilizie restavano assorbite nel procedimento di cui all'art. 87 del
codice delle comunicazioni elettroniche. E ciò perché il D.Lgs. n. 259 del 2003,
non contiene alcuna abrogazione, nè espressa ne' tacita, delle specifiche
previsioni del D.P.R. n. 380 del 2001, art. 3, comma 1, lett. e3) ed e4), le
quali assoggettano al permesso di costruire anche le infrastrutture e gli
impianti per pubblici servizi e le installazioni di torri e tralicci per
impianti radio-ricetrasmittenti. Difatti, non vi è identità di materia ed
inoltre la finalità perseguita dal D.Lgs. n. 259 del 2003, art. 87 non riguarda
la tutela dell'assetto del territorio, alla quale quindi rimangono preposte le
procedure previste dal D.P.R. n. 380 del 2001. Anzi, il D.Lgs. n. 259 del 2003,
art. 86, comma 3, che assimila ad ogni effetto le infrastrutture di reti
pubbliche di comunicazione, di cui ai successivi artt. 87 e 88, alle opere di
urbanizzazione primaria di cui al D.P.R. n. 380 del 2001, art. 16, comma 7,
statuendo che ad esse si applica la normativa vigente in materia, implicitamente
richiama il D.P.R. n. 380 del 2001, art. 3, che al comma 1, lett. e2),
contempla, tra gli interventi di nuova costruzione soggetti a permesso di
costruire, quelli di urbanizzazione primaria e secondaria, realizzati da
soggetti diversi dal comune.
Osservò infine il tribunale del riesame che l'interpretazione adottata non
vanificava la ratio, sottesa al codice delle comunicazioni elettroniche, della
previsione di procedure tempestive, non discriminatorie e trasparenti per la
concessione del diritto di installazione di infrastrutture, di riduzione dei
termini per la conclusione dei procedimenti amministrativi e di loro regolazione
uniforme in conformità ai principi di cui alla L. 7 agosto 1990, n. 241 (art.
41, comma 2, n. 3) e 4), L. n. 166 del 2002) e ciò perché le esigenze di
tempestività non sono estranee alla disciplina del D.P.R. n. 380 del 2001, e
perché questa non implica una compressione delle esigenze dettate dalla citata
legge di delegazione. 2. Propongono separati ricorsi per cassazione Trigili
Michele e la società Vodafone Omnitel NV.
2.1. Il Trigili osserva che il tribunale del riesame ha sì considerato che la
realizzazione dell'impianto è stata assentita con autorizzazione rilasciata ai
sensi del D.Lgs. 4 settembre 2002, n. 198, con il quale, per favorire la
modernizzazione e lo sviluppo del Paese, era stata introdotta una disciplina
speciale secondo cui era sufficiente un'autorizzazione o una denunzia di inizio
attività per la realizzazione di un impianto di telefonia mobile da parte delle
società licenziatarie del ministero delle comunicazioni. Ha tuttavia ritenuto
che la dichiarata incostituzionalità del D.Lgs. n. 198 del 2002, avrebbe
travolto anche le autorizzazioni in precedenza rilasciate, senza però
considerare che nel frattempo era intervenuto il D.Lgs. 1 agosto 2003, n. 259,
il quale, agli artt. 86 e 87 ha sostanzialmente riprodotto gli artt. 4 e 5 del
precedente decreto, ed ha erroneamente ritenuto che non fosse applicabile nel
caso in esame il D.L. n. 315 del 2003.
Rileva quindi il ricorrente che la società Vodafone Omnitel ha agito
legittimamente sulla base delle due autorizzazioni rilasciate dal comune di
Catania il 17/06/2003 ed il 6/03/2004.
Lamenta infine che il tribunale ha erroneamente disatteso la prevalente e
costante giurisprudenza amministrativa, che, per una serie di considerazioni di
ordine teleologico e testuale, segue una interpretazione secondo la quale per
gli impianti de quibus non occorre il permesso di costruire, ma la semplice
autorizzazione o comunicazione di cui al D.Lgs. n. 259 del 2003, art. 87 il cui
procedimento contiene ed assorbe anche la verifica della compatibilità
urbanistica ed edilizia.
2.2. La società Vodafone Omnitel NV premette di essere licenziataria del mistero
delle comunicazioni per l'espletamento del servizio pubblico radiomobile di
comunicazione e di avere ottenuto, per la realizzazione della stazione radio
base in questione, due provvedimenti autorizzativi, il primo rilasciato il
17/06/2003 a seguito di conferenza di servizi, sulla base dell'allora vigente
D.Lgs. 4 settembre 2002, n. 198, ed il secondo rilasciato il 30/01/2004 sulla
base del sopravvenuto D.Lgs. 1 agosto 2003, n. 259. Ciò premesso, la ricorrente
deduce:
a) violazione ed inosservanza del D.Lgs. 1 agosto 2003, n. 259 ed erronea
applicazione del D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380. Sottolinea che per tutta una
serie di ragioni, di ordine teleologico, sistematico e testuale,
l'autorizzazione prescritta dal D.Lgs. n. 259 del 2003, art. 87 non è un titolo
che si aggiunge al permesso di costruire prescritto dal t.u. dell'edilizia,
bensì un titolo sostitutivo, che è sufficiente a consentire l'installazione
degli impianti di radio base per reti di telecomunicazioni elettroniche mobili;
b) violazione degli artt. 25 Cost. e 2 c.p. e violazione ed erronea applicazione
del D.L. 14 novembre 2003, n. 315, art. 4, convertito in L. 16 gennaio 2004, n.
5; violazione dei principi in materia di invalidità derivata dei provvedimenti
amministrativi; manifesta illogicità della motivazione. Lamenta che il tribunale
del riesame ha errato sia nel ritenere che, per effetto della dichiarazione di
incostituzionalità del D.Lgs. 4 settembre 2002, n. 198, sarebbe stato
automaticamente caducato il provvedimento di autorizzazione e sia nel ritenere
non applicabile il D.L. n. 315/2003, art. 4. Osserva poi che, in forza dell'art.
25 Cost. e art. 2 c.p., nella specie non sarebbe comunque configurabile il reato
di cui al D.P.R. n. 380 del 2001, art. 44, lett. b), in quanto dovrebbe
ugualmente applicarsi la legge dichiarata invalida perché più favorevole al reo.
c) violazione ed erronea applicazione dell'art. 321 c.p.p.. Lamenta che
l'ordinanza impugnata è erronea in ordine alle esigenze cautelari, perché al
momento del sequestro l'impianto era già completo, perfezionato e funzionante, e
quindi non vi era il pericolo che la sua disponibilità potesse protrarre od
agevolare le conseguenze del reato. Nè potrebbe applicarsi la giurisprudenza che
ritiene legittimo il sequestro preventivo di un edificio già ultimato, perché
nella specie si tratta di un'antenna, che non sviluppa volumetria e non
determina un ingombro visivo e un impatto sul territorio paragonabili a quelli
delle costruzioni. 2.3. Nell'imminenza dell'udienza i difensori della società
Vodafone hanno depositato ampia memoria, con annessa documentazione. MOTIVI
DELLA DECISIONE
I ricorsi sono pienamente fondati e vanno pertanto accolti. 1. La principale
questione di diritto sottoposta all'esame di questa Suprema Corte riguarda il
problema se, per l'installazione di stazioni radio base per reti di
comunicazioni elettroniche mobili, l'autorizzazione prescritta dal codice delle
comunicazioni elettroniche costituisca un titolo abilitativo aggiuntivo rispetto
a quello richiesto dal testo unico dell'edilizia, ossia se permanga la necessità
di un autonomo titolo abilitativo, secondo le procedure previste dal D.P.R. 6
giugno 2001, n. 380, ovvero sia sufficiente, anche sotto il profilo urbanistico
edilizio, l'autorizzazione prevista dal codice delle comunicazioni elettroniche.
In particolare, si deve stabilire se, per l'installazione di stazioni radio base
per reti di comunicazioni elettroniche mobili, l'autorizzazione prescritta
D.Lgs. 1 agosto 2003, n. 259 (codice delle comunicazioni elettroniche: d'ora in
poi CCE) costituisca un titolo abilitativo aggiuntivo rispetto a quello
richiesto dal D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380 (testo unico dell'edilizia: d'ora in
poi TUE), ossia se permanga la necessità di un autonomo titolo abilitativo,
secondo le procedure previste dal TUE, ovvero sia sufficiente, anche sotto il
profilo urbanistico edilizio, l'autorizzazione prevista dal CCE.
Il problema coinvolge quindi il rapporto tra le discipline dettate dal CCE e dal
TUE.
Per il CCE, vengono soprattutto in rilievo l'art. 87, il quale subordina
"l'installazione ... di stazioni radio base per reti di comunicazioni
elettroniche mobili GSM/UMTS" al rilascio da parte dell'ente locale
territorialmente interessato di apposita autorizzazione; e l'art. 86, comma 3,
il quale dispone che "le infrastrutture di reti pubbliche di comunicazione, di
cui agli artt. 87 e 88, sono assimilate ad ogni effetto alle opere di
urbanizzazione primaria" di cui al D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, art. 16, comma
7, e che "ad esse si applica la normativa vigente in materia". Per il TUE, viene
in rilievo l'art. 3, comma 1, lett. e), il quale comprende espressamente tra gli
"interventi di nuova costruzione" - come tali assoggettati a permesso di
costruire, ai sensi del successivo art. 10 - "gli interventi di urbanizzazione
primaria e secondaria realizzati da soggetti diversi dal comune" (lett. e.2)
nonché "l'installazione di torri e tralicci per impianti radio- ricetrasmittenti
e di ripetitori per i servizi di telecomunicazione" (lett. e.4).
Occorre quindi verificare se il procedimento previsto dall'art. 87 del CCE sia
unico, contenendo ed assorbendo anche la verifica della compatibilità
urbanistico edilizia dell'intervento, o se debba invece essere doppiato dal
procedimento per il rilascio del titolo abilitativo a fini edilizi.
2. Il tribunale del riesame, con l'ordinanza impugnata, ha ritenuto che
persisterebbe la necessità del distinto titolo edilizio, per la ragione che il
CCE non contiene alcuna abrogazione espressa delle specifiche previsioni
dell'art. 3, comma 1, lett. e.3) ed e.4), del TUE, ne' una abrogazione tacita
(mancando il presupposto della incompatibilità tra le norme) ne' una abrogazione
per nuova regolamentazione dell'intera materia.
Si tratta però di una argomentazione chiaramente inconferente, perché l'istituto
che viene in considerazione non è quello della abrogazione, bensì quello ben
diverso della deroga. Non si tratta cioè di stabilire se, per effetto
dell'entrata in vigore del CCE, si sia verificata abrogazione di alcune norme
poste dal TUE, ma se la disciplina dettata dal CCE abbia derogato in alcuni
punti alla normativa del testo unico dell'edilizia.
3. Come è noto, a disciplinare la materia era in precedenza intervenuto il
D.Lgs. 4 settembre 2002, n. 198 (cd. decreto Gasparri), il quale all'art. 3
conteneva una "clausola di esclusività", poiché al comma 1 stabiliva che "le
categorie di infrastrutture di telecomunicazioni, considerate strategiche ...
sono opere di interesse nazionale, realizzabili esclusivamente sulla base delle
procedure definite dal presente decreto ...", ed al secondo comma che le
installazioni in questione dovevano ritenersi compatibili "con qualsiasi
destinazione urbanistica" (di modo che non vi era necessità di alcuna verifica
in concreto della compatibilità) ed erano "realizzabili in ogni parte del
territorio comunale, anche in deroga agli strumenti urbanistici e ad ogni altra
disposizione di legge o di regolamento", con eccezione prevista solo per alcuni
manufatti di particolare consistenza, quali torri o tralicci, relativi alle reti
di televisione digitale terrestre. Sulla base di questa normativa, pertanto,
questa Corte Suprema aveva affermato che "l'installazione di una stazione radio
base per la telefonia mobile non necessita più - dopo l'entrata in vigore del
D.Lgs. n. 198 del 2002 - della preventiva concessione edilizia, in quanto
costituisce infrastruttura di telecomunicazione ritenuta, dalla legge stessa,
compatibile con qualsiasi destinazione urbanistica e realizzabile in ogni parte
del territorio comunale, anche in deroga agli strumenti urbanistici e ad ogni
altra disposizione di legge o di regolamento" (Sez. 3^, 4 marzo 2003, Minervini,
m. 224.845; Sez. 3^, 11 marzo 2003, Cassisa, m. 225.768). Con la sentenza n. 303
del 2003, però, la Corte costituzionale ha dichiarato l'incostituzionalità
dell'intero D.Lgs. 4 settembre 2002, n. 198, per eccesso di delega rispetto alla
legge 21 dicembre 2001, n. 443 (cd. legge obiettivo), e ciò per il motivo che il
decreto legislativo, nel realizzare la delega contenuta nell'art. 1, comma 2,
della legge di delegazione, per l'individuazione delle infrastrutture pubbliche
e private e degli insediamenti produttivi strategici di interesse nazionale, non
aveva introdotto il previsto programma da formularsi su proposta dei ministri
competenti, sentite le regioni interessate, ovvero su proposta delle regioni,
sentiti i ministri competenti.
Per quanto concerne le competenze normative in materia, va anche ricordato che
la L. 22 febbraio 2001, n. 36 {Legge quadro sulla protezione dalle esposizioni a
campi elettrici, magnetici ed elettromagnetici) affida agli enti locali minori
la determinazione di criteri di localizzazione ottimale degli impianti in
questione, con finalità di massima restrizione dell'inquinamento
elettromagnetico ma anche di "corretto insediamento urbanistico e territoriale"
degli impianti stessi.
E va altresì ricordata, sempre in materia di riparto delle competenze nella
disciplina del settore, la sentenza n. 307 del 2003 della Corte costituzionale,
secondo la quale rientra nella competenza esclusiva dello Stato la
determinazione degli standard di protezione dall'inquinamento elettromagnetico,
con la fissazione di valori- soglia non derogabili dalle regioni nemmeno in
senso più restrittivo; spetta alla competenza concorrente il trasporto
dell'energia e l'ordinamento della comunicazione vincolata ai principi
fondamentali stabiliti dalle leggi dello Stato; mentre è rimessa alle regioni ed
agli enti locali minori la localizzazione degli impianti, come questione
attinente alla disciplina d'uso del territorio, purché le relative previsioni di
pianificazione non siano tali "da impedire o da ostacolare ingiustificatamente
l'insediamento degli impianti stessi" (v. anche le successive sentt. n. 331 del
2003 e n. 336 del 2005).
È quindi intervenuto il D.Lgs. 1 agosto 2003, n. 259 (CCE), che, all'art. 87,
prevede il rilascio di una autorizzazione unitaria da parte del comune con
l'intervento, però, anche delle amministrazioni portatoci degli altri interessi
pubblici coinvolti. In particolare, l'art. 87 cit., comma 1, prevede che
l'installazione di infrastrutture per impianti radioelettrici, la modifica delle
caratteristiche di emissione di questi ultimi e, in specie, l'installazione di
torri, di tralicci, di impianti radiotrasmittenti, di ripetitori di servizi di
comunicazione elettronica, di stazioni radio base per reti di comunicazioni
elettroniche mobili GSM/UMTS, per reti di diffusione, distribuzione e
contribuzione dedicate alla televisione digitale terrestre, per reti a
radiofrequenza dedicate alle emergenze sanitarie ed alla protezione civile,
nonché per reti radio a larga banda punto-multipunto nelle bande di frequenza
all'uopo assegnate, sono autorizzate dagli enti locali, previo accertamento, da
parte dell'organismo competente ad effettuare i controlli, ossia l'Agenzia
regionale per la protezione dell'ambiente (ARPA), della compatibilità del
progetto con i limiti di esposizione, i valori di attenzione e gli obiettivi di
qualità. 4.1. Nel primo dibattito sviluppatosi all'indomani dell'entrata in
vigore del CCE sono emerse in giurisprudenza e dottrina tesi contrapposte, tra
cui anche quella (v., ad es., TAR Veneto, sez. 2^, 8 gennaio 2004, n. 1) volta a
sostenere la persistente necessità di un autonomo e distinto titolo abilitativo
edilizio. A conforto di tale tesi sono state addotte differenti ragioni, tra cui
in particolare:
1) l'espressa assimilazione, compiuta dall'art. 86 del CCE, delle infrastrutture
di reti pubbliche di comunicazione, di cui ai successivi artt. 88 e 89, alle
opere di urbanizzazione primaria, alle quali deve applicarsi "la normativa
vigente in materia", e quindi anche l'art. 3, comma 1, lett. e.2), del TUE,
laddove indica espressamente gli "interventi di urbanizzazione primaria e
secondaria realizzati da soggetti diversi dal Comune" tra quelli assoggettati a
permesso di costruire;
2) il fatto che il CCE non contiene (a differenza del D.Lgs. 4 settembre 2002,
n. 198) una "clausola di esclusività", rivolta a consentire la realizzabilità
delle infrastrutture in esso contemplate sulla sola base delle procedure da esso
codice definite;
3) il fatto che il medesimo codice non contiene nemmeno disposizioni dirette a
modificare espressamente il TUE.
4.2. Tralasciando la tesi più radicale, secondo la quale la verifica edilizia
dovrebbe considerarsi superflua, stante la mancata menzione espressa dei profili
edilizi nel codice delle comunicazioni elettroniche, l'orientamento
interpretativo ormai assolutamente prevalente nella giurisprudenza
amministrativa riconosce invece (sia pure con argomentazioni non sempre
coincidenti) carattere onnicomprensivo alla autorizzazione prevista dal D.Lgs. 1
agosto 2003, n. 259, esteso a tutti i profili connessi alla realizzazione ed
alla attivazione degli impianti di telefonia cellulare, inclusi quelli edilizi
ed urbanistici (cfr., ad esempio, TAR Campania, Napoli, sez. 7^, 6 aprile 2005,
n. 4528; Id., 6 aprile 2005, n. 4539;
TAR Campania, Napoli, Sez. 1^, 14 gennaio 2005, n. 123; Id., 5 aprile 2004, n.
4043; Id., 24 marzo 2004 n. 4041; Id., 24 marzo 2004, n. 2997; TAR Veneto, Sez.
2^, 11 febbraio 2005, n. 658; Id., 1 dicembre 2004 n. 4234; Id., 8 settembre
2004 n. 3296; Id., 13 settembre 2004, n. 3295; Id., 30 luglio 2004, n. 2579;
Id., 28 luglio 2004, n. 2555;
Id., 28 luglio 2004, n. 2561; TAR Puglia, Bari, sez. 3^, 13 maggio 2005, n.
2143; Id., 22 luglio 2004, n. 3217; TAR Puglia, Lecce, 8 aprile 2004, n. 3217; 7
aprile 2004, n. 2516; TAR Sicilia, Catania, Sez. 2^, 30 dicembre 2004, n. 4066;
Id., 18 novembre 2004, n. 1869;
TAR Umbria, 31 agosto 2004, n. 493; TAR Piemonte, sez. 1^, 22 luglio 2004, n.
1453; Id., 7 luglio 2004, n. 1295; Id., 23 giugno 2004, n. 1176; TAR Lazio,
Roma, sez. 2^I bis, 24 giugno 2004, n. 3492; Id., 20 maggio 2004, n. 2794; TAR
Lombardia, Milano, sez. 1^, 10 giugno 2004, n. 2430; Id., 19 maggio 2004, n.
1353; TAR Lombardia, Brescia, sez. 1^, 21 settembre 2004, n. 1547; Id., 23
luglio 2004, n. 1271; Id., 30 gennaio 2004, n. 169).
Orientamento questo che ormai viene solitamente seguito anche dalla
giurisprudenza penale di merito (cfr. Trib. Pescara, 1 ottobre 2004, Vodafone
Omnitel NV; Trib. Frosinone, 14 marzo 2005, Vodafone Omnitel NV; Trib. Palermo,
13 aprile 2005, Trigili).
5. Questo orientamento è stato fatto proprio sia dal Consiglio di Stato, sez.
6^, con le decisioni 5 agosto 2005, n. 4159; 15 marzo 2005, n. 4000; 15 marzo
2005, n. 3200; 25 gennaio 2005, n. 3040; 11 gennaio 2005, n. 100; 22 ottobre
2004, n. 6910 (dopo le contrarie decisioni 26 settembre 2003, n. 5502 e 18
maggio 2004, n. 3193) sia da questa Suprema Corte con la sent. della Sez. 3^, 8
luglio 2005, n. 33735, Vodafone Omnitel N.V., sia infine anche dalla Corte
costituzionale con la sent. n. 336 del 2005 (che ha ritenuto non fondate le
sollevate questioni di legittimità costituzionale dell'art. 87 del CCE).
Ad esso questo Collegio ritiene di dover aderire perché effettivamente sussiste
una pluralità di parametri ermeneutici, di tipo non solo teleologico, ma anche
testuale e sistematico, dai quali si desume che con gli artt. 86 e 87 del CCE è
stato disciplinato un procedimento autorizzatorio nel quale confluiscono, in uno
alle valutazioni tipicamente radioprotezionistiche, anche quelle relative alla
compatibilità urbanistico-edilizia dell'intervento. 5.1. Innanzitutto, sotto il
profilo teleologico, nel valutare la ratio sottostante all'intero codice delle
comunicazioni elettroniche, va ricordato che con esso l'Italia ha recepito le
direttive quadro sulle comunicazioni elettroniche del 7 marzo 2002 del
Parlamento europeo e del Consiglio: direttiva 2002/19/CE (Direttiva accesso),
relativa all'accesso alle reti di comunicazione elettronica e alle risorse
correlate, e all'interconnessione delle medesime; direttiva 2002/20/CE
(Direttiva autorizzazioni), relativa alle autorizzazioni per le reti e i servizi
di comunicazione; direttiva 2002/21/CE (Direttiva quadro), che istituisce un
quadro normativo comune per le reti ed i servizi di comunicazione elettronica;
direttiva 2002/22/CE (Direttiva servizio universale), relativa al servizio
universale e ai diritti degli utenti in materia di reti e di servizi di
comunicazione.
Occorre quindi considerare i principi imposti dalle dette direttive comunitarie
e recepiti e ribaditi nel nostro ordinamento dalla L. 1 ottobre 2002, n. 166
(Disposizioni in materia di infrastrutture e trasporti), art. 41, contenente la
delega in base alla quale è stato emanato il D.Lgs. 1 agosto 2003, n. 259.
La finalità perseguita con tali direttive è il superamento delle situazioni di
monopolio del settore, mediante la progressiva diminuzione dell'intervento
gestorio delle autorità pubbliche e l'incentivazione di un vasto processo di
liberalizzazione delle reti e dei servizi nei settori convergenti delle
telecomunicazioni, dei media e delle tecnologie dell'informazione (cfr. quinto
considerando della direttiva 2002/21/CE), secondo le linee di un ampio disegno
europeo tendente ad investire l'intera area dei servizi pubblici (cfr. Corte
Cost., sent. n. 336 del 2005). Le disposizioni introdotte prevedono, infatti,
una serie di misure regolatorie destinate ad incidere sul comportamento delle
imprese e che dovrebbero condurre ad una completa operatività delle regole della
concorrenza. A tali fini, le citate direttive regolamentano "i servizi" e le
"reti" di comunicazione elettronica e cioè in generale "i mezzi di
trasmissione".
Interessa qui, in particolare, la normativa inerente alle "reti di comunicazione
elettronica", la cui definizione è contenuta nell'art. 2, par. 1, lett. a) della
citata direttiva 2002/21/CE, secondo cui per rete devono intendersi: "i sistemi
di trasmissione e, se del caso, le apparecchiature di commutazione o di
instradamento e altre risorse che consentono di trasmettere segnali via cavo,
via radio, a mezzo di fibre ottiche o con altri mezzi elettromagnetici, comprese
le reti satellitari, le reti terrestri mobili e fisse (a commutazione di
circuito e a commutazione di pacchetto, compresa Internet), le reti utilizzate
per la diffusione circolare dei programmi sonori e televisivi, i sistemi per il
trasporto della corrente elettrica, nella misura in cui siano utilizzati per
trasmettere i segnali, le reti televisive via cavo, indipendentemente dal tipo
di informazione trasportato" (tale definizione è stata integralmente trasposta,
a livello interno, nell'art. 1, comma 1, lett. dd, del Codice). L'obiettivo
perseguito dal legislatore comunitario è quello di realizzare un mercato interno
unico delle reti e dei servizi di comunicazione elettronica dettando una
disciplina organica del settore mediante l'armonizzazione e la semplificazione
delle norme e delle condizioni di autorizzazione alfine di agevolarne la
fornitura in tutta la Comunità (art. 1, Dir. 2002/20/CE).
L'art. 4 della direttiva 2002/20/CE riconosce alle imprese autorizzate ai sensi
dell'art. 3 il diritto di: a) fornire reti e servizi di comunicazione
elettronica; b) far sì che si esamini la loro domanda per la concessione dei
necessari diritti di installare strutture in conformità all'art. 11 della
direttiva 2002/21/CE (direttiva quadro).
Quest'ultima direttiva prescrive che le procedure "previste per la concessione
del diritto di installare" le predette infrastrutture di comunicazione
elettronica debbano essere "tempestive, non discriminatorie e trasparenti, onde
assicurare che vigano le condizioni necessarie per una concorrenza leale ed
effettiva" e che gli Stati membri, nell'esaminare una domanda per la concessione
del diritto di installare strutture su proprietà pubbliche o private, richiesta
da un'impresa autorizzata a fornire reti di comunicazione elettronica,
assicurino che l'autorità competente "agisca in base a procedure trasparenti e
pubbliche, applicate senza discriminazioni nè ritardi; e rispetti i principi di
trasparenza e non discriminazione nel prevedere condizioni per l'esercizio di
tali diritti" (art. 11, par. 1).
I criteri stabiliti dal legislatore comunitario ai quali dovevano attenersi gli
Stati membri nel dettare le norme procedurali destinate a regolare
l'installazione degli impianti di comunicazione, sono dunque quelli della
semplificazione, trasparenza, non discriminazione e tempestività. Esiste cioè un
"preciso vincolo comunitario ad attuare un vasto processo di liberalizzazione
del settore, armonizzando le procedure amministrative ed evitando ritardi nella
realizzazione delle infrastrutture di comunicazione elettronica" (Corte Cost.
sent. n. 336 del 2005, punto 4.1).
Il codice delle comunicazioni elettroniche è stato emanato appunto in attuazione
delle ricordate direttive comunitarie in materia. Ne deriva che le relative
disposizioni devono essere interpretate in coerenza con i principi del diritto
comunitario, secondo un criterio ermeneutico imposto dall'art. 117 Cost., comma
1, nel testo modificato dalla riforma del 2001. Tanto più che, come subito si
dirà, gli stessi principi sono stati espressamente e testualmente confermati dal
legislatore nazionale nel fissare i criteri di delega. 5.2. Ai principi e
criteri enunciati dalle direttive comunitarie si è invero ispirato il
legislatore nazionale.
La L. 1 agosto 2002 n. 166, art. 41 ha, infatti, espressamente previsto, tra i
principi e criteri direttivi che il Governo avrebbe dovuto seguire
nell'esercizio della delega conferita, la "previsione di procedure tempestive,
non discriminatorie e trasparenti per la concessione del diritto di
installazione di infrastrutture e ricorso alla condivisione delle strutture,
anche con riferimento, ove compatibili, ai principi della L. 21 dicembre 2001,
n. 443" (comma 2, n. 3); e la "riduzione dei termini per la conclusione dei
procedimenti amministrativi, nonché regolazione uniforme dei medesimi
procedimenti anche con riguardo a quelli relativi al rilascio di autorizzazioni
per la installazione delle infrastrutture di reti mobili, in conformità ai
principi di cui alla L. 7 agosto 1990, n. 241" (comma 2, n. 4). Inoltre, tra i
"principi della L. 21 dicembre 2001, n. 443", espressamente richiamati, è
compreso anche quello della "definizione delle procedure da seguire in
sostituzione di quelle previste per il rilascio dei provvedimenti concessori o
autorizzatori di ogni specie".
Il CCE, che nel quarto e nel quinto punto della sua premessa richiama le
suddette direttive comunitarie, si è quindi posto, in linea con i dettami
comunitari, "l'obiettivo della liberalizzazione e semplificazione delle
procedure anche al fine di garantire l'attuazione delle regole della
concorrenza" (Corte Cost., sent. n. 336 del 2005, cit).
Ed ai suddetti principi si è ispirato il procedimento autorizzatorio previsto
dall'art. 87 del CCE, chiaramente finalizzato alla esigenza di semplificazione e
concentrazione dei procedimenti amministrativi, per la salvaguardia della
tempestività degli stessi. 5.3. Orbene, i principi ed i criteri anzidetti, e
specialmente quelli della previsione di procedure tempestive, non
discriminatorie e trasparenti per la concessione del diritto di installazione di
infrastrutture, della riduzione dei termini per la conclusione dei procedimenti
amministrativi, nonché della regolazione uniforme dei medesimi procedimenti,
risulterebbero irrimediabilmente vanificati se il procedimento autorizzatorio
previsto dal CCE fosse destinato non a sostituire ma ad abbinarsi, peraltro in
modo non coordinato sotto il profilo temporale, a quello previsto dal TUE.
L'interpretazione seguita dalla ordinanza impugnata risulta dunque incompatibile
con i principi e criteri in esame perché, se essa fosse esatta, la disciplina
dettata dal CCE avrebbe comportato, anziché uno snellimento, un appesantimento
delle procedure per l'ottenimento del titolo abilitativo per l'installazione
degli impianti, giacché ai titoli abilitativi richiesti in precedenza dalla
normativa urbanistico edilizia si sarebbe aggiunto un nuovo titolo abilitativo.
Il legislatore italiano, perciò, nel recepire le direttive comunitarie, anziché
rendere più rapide e trasparenti, rispetto al passato, le procedure per
l'ottenimento dei titoli abilitativi, le avrebbe appesantite. Ciò comporta che,
quand'anche vi fosse un dubbio nella interpretazione delle disposizioni del CCE,
sarebbe doveroso per l'interprete scegliere l'interpretazione filocomunitaria
dei testi in questione.
Può ritenersi, quindi, che al legislatore delegato sia stato assegnato il
compito di delineare procedimenti autorizzatori relativi alle infrastrutture di
comunicazione tendenzialmente destinati ad assorbire ogni altro procedimento,
anche di natura edilizia. 5.4. In secondo luogo, sussistono plurimi elementi
testuali dai quali è consentito desumere che il legislatore delegato si sia
attenuto a tali criteri di delega, disciplinando agli artt. 86 e 87 del CCE un
unico procedimento autorizzatorio nel quale confluiscono, in uno alle
valutazioni tipicamente radioprotezionistiche, anche quelle relative alla
compatibilità urbanistico-edilizia dell'intervento. E difatti:
- l'art. 4 del CCE ribadisce che fra gli obiettivi generali della disciplina
delle reti e servizi di comunicazione elettronica, vi sono quelli di: "a)
promuovere la semplificazione dei procedimenti amministrativi e la
partecipazione ad essi dei soggetti interessati, attraverso l'adozione di
procedure tempestive, non discriminatorie e trasparenti nei confronti delle
imprese che forniscono reti e servizi di comunicazione elettronica; b) garantire
la trasparenza, pubblicità e tempestività delle procedure per la concessione dei
diritti di passaggio e di installazione delle reti di comunicazione elettronica
sulle proprietà pubbliche e private", (comma 3): già nel fissare le linee guida
dell'intervento di riforma del settore, quindi, il CCE fa espresso riferimento
alla semplificazione dei procedimenti ed all'esigenza che gli stessi risultino
tempestivi;
- l'art. 87, comma 1, non discrimina alcun tipo di struttura, prevedendo
uniformemente per tutti gli impianti elencati la sola autorizzazione
(sufficiente, in materia, anche ai fini della "installazione di torri e
tralicci") sicché il criterio utilizzato dal legislatore è evidentemente di
carattere funzionale e non già strutturale;
- l'oggetto dei provvedimenti in esame è identificato nell'"installazione di
infrastrutture per impianti radioelettrici", che costituisce proprio il momento
trasformativo sul piano materiale dell'assetto del territorio;
- il momento valutativo degli enti locali, in relazione alla sfera di
attribuzioni sul controllo del territorio, è mantenuto distinto dagli
accertamenti sulla compatibilità dell'impianto quanto ai limiti di esposizione,
ai valori di attenzione ed agli obiettivi di qualità, che è riservato, in via
preventiva, all'organismo competente ai sensi della L. n. 36 del 2001, art. 14;
- il quinto comma dell'art. 87 prevede che il responsabile del procedimento
possa richiedere, per una sola volta, entro 15 giorni dalla ricezione
dell'istanza, l'integrazione della documentazione prodotta: si tratta di facoltà
al cui esercizio le amministrazioni comunali possono determinarsi proprio per
ottenere le integrazioni istruttorie necessarie per approfondire eventuali
aspetti di compatibilità urbanistico-edilizia dell'intervento;
- Il medesimo art. 87, commi 6 e 7, prevedono il ricorso all'istituto
semplificante della "conferenza di servizi", alla cui convocazione il
responsabile del procedimento è tenuto, entro trenta giorni dalla data di
ricezione della domanda, in caso di motivato dissenso espresso da
un'amministrazione interessata, stabilendo che la conferenza di servizi deve
pronunciarsi entro trenta giorni dalla prima convocazione e che l'approvazione,
adottata a maggioranza dei presenti, "sostituisce ad ogni effetto gli atti di
competenza delle singole Amministrazioni e vale altresì come dichiarazione di
pubblica utilità, indifferibilità ed urgenza dei lavori". Qualora poi il
motivato dissenso, a fronte di una decisione positiva assunta dalla conferenza
di servizi, sia espresso da un'amministrazione preposta alla tutela ambientale,
alla tutela della salute o alla tutela del patrimonio storico-artistico, il
comma 8 stabilisce che la decisione sia rimessa al Consiglio dei ministri e che
trovino applicazione, in quanto compatibili con il codice, le disposizioni di
cui alla L. 7 agosto 1990, n. 241, artt. 14 segg. che disciplinano, appunto,
l'istituto della conferenza di servizi. La previsione del ricorso alla
conferenza di servizi avvalora il carattere omnicomprensivo del procedimento
quanto alla valutazione di tutti gli interessi di rilievo pubblico coinvolti
dall'installazione della infrastruttura di telecomunicazione e prova che
l'autorizzazione richiesta dal CCE non è il provvedimento conclusivo di una
procedura speciale di accertamento dei soli livelli di emissioni
elettromagnetiche, come tale accessoria rispetto a un procedimento
amministrativo principale, sfociante nel permesso di costruire. Si tratta invece
di una procedura unica nella quale il comune deve accertare la sussistenza di
tutti i requisiti richiesti per la regolare installazione della infrastuttura.
5.5. L'unicità del procedimento trova ulteriore conferma nella disposizione
dell'art. 87, comma 10, secondo la quale "le opere debbono essere realizzate, a
pena di decadenza, nel termine perentorio di dodici mesi dalla ricezione del
provvedimento autorizzatorio espresso, ovvero dalla formazione del silenzio-
assenso". Ciò dimostra per tabulas che i procedimenti autorizzatori ivi
disciplinati esplicano piena efficacia abilitante con riguardo anche
all'esercizio dello jus aedificandi. La disposizione, infatti, risulterebbe
contradditoria allorché si aderisse alla tesi della necessità in tutti i casi,
per la realizzazione delle opere, di un distinto titolo edilizio costituito dal
permesso di costruire, che potrebbe intervenire in un tempo successivo ed al
quale l'art. 15 del TUE connette la previsione di un termine diverso per la
conclusione dei lavori. Quindi, l'assenza di una regolamentazione volta a
coordinare sotto il profilo temporale il procedimento in esame con quello, in
ipotesi necessario, previsto dal TUE, finirebbe per vanificare, in questa
diversa e non condivisa prospettiva interpretativa, la previsione dell'art. 87,
comma 10, del CCE. 5.6. L'art. 87 deve altresì essere interpretato
sistematicamente in relazione al successivo art. 88, che disciplina la procedura
abilitativa per l'installazione di impianti di telecomunicazioni non
radioelettrici (cioè reti fisse), e anche in questo caso prevede un'unica
autorizzazione. È evidente che in questo caso l'interesse pubblico da curare non
può essere quello di prevenzione dall'inquinamento elettromagnetico, ma può
riguardare, se non in via esclusiva almeno in prevalenza, il corretto
inserimento degli impianti nel territorio di riferimento. Ne consegue che
un'interpretazione quale quella seguita dalla ordinanza impugnata finirebbe,
irrazionalmente, per attribuire alle due procedure parallele disciplinate dagli
artt. 87 e 88 del CCE finalità completamente diverse. È invece certamente più
razionale un'interpretazione per la quale anche la procedura ex art. 87
comprende la verifica dei profili urbanistico-edilizi, a cui fa capo la
procedura ex art. 88, e in più richiede l'accertamento del rispetto dei
parametri di inquinamento elettromagnetico. 5.7. Inoltre, la disposizione di cui
al D.L. 14 novembre 2003, n. 315, art. 4, convertito in L. 16 gennaio 2004, n. 5
- che verrà in seguito esaminata - è chiarissima nel riservare in via esclusiva
al CCE la disciplina dei procedimenti autorizzatori in materia di installazione
di impianti di telecomunicazioni già iniziati ai sensi del D.Lgs. 4 settembre
2002, n. 198 (che, come ricordato, conteneva una espressa clausola di
esclusività); e se tale riserva vale per i procedimenti che, alla data di
pubblicazione della sentenza della Corte costituzionale n. 303 del 2003, erano
già in corso, non si vede perché non debba valere anche per i procedimenti
iniziati successivamente.
6. Rispetto agli indicati argomenti appaiono, quindi, recessivi quelli addotti a
sostegno della tesi contraria, fra cui quello diretto a rimarcare la mancata
inclusione nel CCE di una "clausola di esclusività" e di una espressa previsione
di deroga alla disciplina posta dall'art. 10 del previgente TUE.
D'altra parte, lo stesso TUE, nel fissare l'ambito della propria applicazione,
stabilisce che "restano ferme le disposizioni in materia di tutela dei beni
culturali e ambientali contenute nel D.Lgs. 29 ottobre 1999, n. 490, e le altre
normative di settore aventi incidenza sulla disciplina dell'attività edilizia"
(art. 1, comma 2, TUE).
Di conseguenza, in base a questa disposizione di ordine sistematico, è escluso
dalla applicazione del testo unico quanto, pur avendo incidenza in materia
edilizia, rimane disciplinato dalle diverse normative speciali di settore, tra
le quali rientra certamente la disciplina speciale del settore inerente agli
impianti di comunicazione elettronica (fissa e mobile).
Proprio perché si tratta di deroga e non di abrogazione, è poi irrilevante che
l'art. 41, comma 2, lett. d), della L. di delega n. 166 del 2002 imponga
formalmente la "abrogazione espressa" di tutte le norme incompatibili.
Del resto l'art. 87 del CCE non esclude che gli impianti in esso previsti
debbano considerarsi "nuova costruzione", ai sensi dell'art. 3, lett. e.2) ed
e.4), del TUE, e pone una deroga esclusivamente procedimentale alle generali
previsioni dell'art. 10 del TUE, in quanto non mette in discussione la necessità
di una valutazione dell'intervento alla stregua della vigente normativa
urbanistico- edilizia e delle prescrizioni degli strumenti di pianificazione.
Non ha infine valore decisivo la circostanza per cui i moduli di cui
all'allegato 13 del CCE (da utilizzare in sede di compilazione dell'istanza ex
art. 87) sembrano far riferimento alle sole caratteristiche degli impianti sotto
il profilo delle emissioni elettromagnetiche previste. E ciò sia perché, come
risulta dall'art. 87, comma 9, all'istanza va anche allegato il progetto
dell'impianto; sia perché è espressamente prevista la facoltà del responsabile
del procedimento di disporre l'integrazione documentale. In conclusione, la
volontà del legislatore è chiaramente nel senso di sottoporre la realizzazione
degli impianti de quibus ad una disciplina autorizzatoria unitaria, semplificata
e speciale, che li sottrae al regime concessorio previsto inizialmente dal testo
unico dell'edilizia.
7. L'individuazione di un'autorizzazione unitaria, rilasciata dal comune con
l'intervento delle amministrazioni portatrici degli altri interessi pubblici
coinvolti, porta poi a ritenere che nel procedimento autorizzatorio debbano
confluire tutti i procedimenti, in precedenza autonomi, necessari per la
completa valutazione degli interessi sottostanti all'atto che autorizza già la
"installazione", e non la sola attivazione, dell'impianto (una particolare
disciplina è comunque prevista nel caso di dissenso motivato espresso da
un'amministrazione preposta alla tutela ambientale, alla tutela della salute o
alla tutela del patrimonio storico-artistico). Ne deriva che le singole
valutazioni, che in precedenza erano autonome, non sono eliminate ma unificate
sul piano procedimentale e di esse deve essere dato conto in sede di motivazione
del provvedimento finale.
8. Questa ricostruzione interpretativa appare anche conforme ai principi
fondamentali in materia urbanistico-edilizia enunciati dalla sentenza n. 303 del
2003 della Corte costituzionale, secondo i quali "la legislazione regionale e le
funzioni amministrative in questa materia non risultino inutilmente gravose per
gli amministrati e siano dirette a semplificare le procedure e ad evitare la
duplicazione di valutazioni sostanzialmente già effettuate dalla pubblica
amministrazione"; mentre la necessaria compresenza nella legislazione di titoli
abilitativi per l'edificazione preventivi ed espressi (la concessione, il
permesso di costruire, l'autorizzazione) e taciti, quale è la denunzia di inizio
attività, è "considerata procedura di semplificazione che non può mancare,
libero il legislatore regionale di ampliarne o ridurne l'ambito applicativo". E
può anche ricordarsi che la Corte costituzionale, nella recente sentenza n. 336
del 2005, ha osservato che "nella fase di attuazione del diritto comunitario la
definizione del riparto interno di competenze tra Stato e Regioni in materie di
legislazione concorrente e, dunque, la stessa individuazione dei principi
fondamentali, non può prescindere dall'analisi dello specifico contenuto e delle
stesse finalità ed esigenze perseguite a livello comunitario. In altri termini,
gli obiettivi posti dalle direttive comunitarie, pur non incidendo sulle
modalità di ripartizione delle competenze, possono di fatto richiedere una
peculiare articolazione del rapporto norme di principio-norme di dettaglio.
Nella specie, la puntuale attuazione delle prescrizioni comunitarie, secondo cui
le procedure di rilascio del titolo abilitativo per l'installazione degli
impianti devono essere improntate al rispetto dei canoni della tempestività e
della non discriminazione, richiede di regola un intervento del legislatore
statale che garantisca l'esistenza di un unitario procedimento sull'intero
territorio nazionale, caratterizzato, inoltre, da regole che ne consentano una
conclusione in tempi brevi". 9. La ricordata sentenza di questa Sezione n.
33735/2005 ha altresì evidenziato come la sostituibilità del permesso di
costruire con la decisione finale assunta in sede di conferenza di servizi non
sia un istituto nuovo nel nostro ordinamento, dal momento che la L. n. 241 del
1990, art. 14 ter, comma 9, come modificato dalla L. n. 340 del 2000, disponeva
espressamente, con una previsione di carattere generale, che "il provvedimento
finale conforme alla determinazione conclusiva favorevole della conferenza di
servizi sostituisce, a tutti gli effetti, ogni autorizzazione, concessione,
nulla osta o atto di assenso comunque denominato di competenza delle
amministrazioni partecipanti, o comunque invitate a partecipare, alla predetta
conferenza" (attualmente la disposizione, dopo le modifiche apportate dalla L.
11 febbraio 2005, n. 15, art. 10, comma 1, lett. h), prevede che "il
provvedimento finale conforme alla determinazione conclusiva di cui al comma 6
bis sostituisce, a tutti gli effetti, ogni autorizzazione, concessione, nulla
osta o atto di assenso comunque denominato di competenza delle amministrazioni
partecipanti, o comunque invitate a partecipare ma risultate assenti, alla
predetta conferenza").
Del resto, nel nostro ordinamento l'istituto della conferenza dei servizi
costituisce, in via generale, uno strumento di semplificazione procedimentale e
di snellimento dell'azione amministrativa (cfr. le sentenze della Corte
costituzionale n. 348 e n. 62 del 1993; n. 37 del 1991; n. 79 del 1996). E,
nella citata sentenza n. 336 del 2005 (punto 11.1), la Corte costituzionale ha
rilevato come "tale funzione, nel contesto dello specifico procedimento in esame
e degli interessi allo stesso sottesi, consente di ritenere che la previsione
contenuta nella disposizione censurata sia espressione di un principio
fondamentale della legislazione". 10. Va pertanto ribadita la conclusione che,
per quanto concerne le infrastrutture in questione, la disciplina procedimentale
dettata dal CCE deroga a quella posta in via generale dal previgente TUE, e che
il provvedimento autorizzatorio e la procedura di denunzia di inizio
dell'attività previsti dall'art. 87 del CCE, per l'autorizzazione alla
installazione di infrastrutture di comunicazione elettronica per impianti
radioelettrici, contengono imprescindibilmente anche la verifica della
compatibilità urbanistico-edilizia dell'intervento e pertanto non è richiesta la
necessità di un distinto titolo abilitativo a fini edilizi, ed in particolare
non è richiesto il rilascio del permesso di costruire ai sensi del TUE.
11.1. Si pone però il problema se, nel caso di mancanza del provvedimento di
autorizzazione (o della procedura di denunzia di inizio attività) di cui
all'art. 87 del CCE, sia o meno configurabile il reato di cui all'art. 44 del
TUE.
A tale quesito questa Corte ha finora dato due diverse soluzioni. Ed infatti:
- secondo l'interpretazione seguita da Sez. 3^, 4 marzo 2003, n. 19795,
Minervini - emessa peraltro in riferimento alla analoga disciplina posta dal
D.Lgs. 4 settembre 2002, n. 198 - il fatto che per l'installazione di stazioni
radio base per reti di comunicazione elettroniche mobili non fosse più
necessaria la concessione edilizia determinava anche la conseguenza della
impossibilità di configurare comunque il reato di cui alla L. 28 febbraio 1985,
n. 47, art. 20, lett. b). Secondo questa decisione, quindi, nell'ipotesi in cui
non fosse stata rilasciata l'autorizzazione prevista dalla disciplina speciale,
"potrebbero, eventualmente, essere ravvisati altri illeciti e di diversa natura,
ma non certo" il reato previsto dalla normativa edilizia per la mancanza di
concessione edilizia (o di permesso di costruire).
- secondo l'interpretazione seguita più di recente dalla richiamata decisione
della Sez. 3^, 24 marzo 2005, n. 33735, Vodafone Omnitel N.V, invece, il fatto
che per le infrastrutture di comunicazione elettronica in questione sia
sufficiente l'autorizzazione di cui all'art. 87 del CCE, non incide sul regime
sanzionatorio penale di cui all'art. 44 del TUE, di modo che, in mancanza della
autorizzazione prevista dalla legge speciale, le dette infrastrutture restano
pur sempre sottoposte alle sanzioni penali specifiche delle opere soggette a
permesso di costruire.
11.2. Questo Collegio condivide questa seconda interpretazione, poiché essa
discende logicamente dal presupposto cui dianzi si è giunti, e cioè che la
disciplina derogatoria dettata dal CCE non ha fatto venir meno la necessità di
un titolo abilitativo ai fini edilizi per le infrastrutture di comunicazione
elettroniche in esame, ma ha solo inglobato questo titolo edilizio nella
autorizzazione prevista dall'art. 87 del CCE, la quale ha come suo proprio
contenuto imprescindibile anche la verifica della compatibilità urbanistico-
edilizia dell'intervento.
Poiché, quindi, non vi è stata un'eliminazione della necessità di un titolo
abilitativo edilizio, ma soltanto un mutamento della disciplina procedimentale
per l'abilitazione all'intervento edilizio, questo mutamento non incide sulla
disciplina sanzionatoria penale, che non è correlata alla tipologia del titolo
abilitativo, bensì alla consistenza concreta dell'intervento.
Deve quindi concludersi nel senso che qualora le infrastrutture in esame siano
realizzate in mancanza della autorizzazione prevista dall'art. 87 del CCE resta
configurabile il reato di cui all'art. 44 del TUE.
Può per completezza aggiungersi - condividendo anche sul punto le conclusioni
della citata sent. sez. 3^, n. 33735/05 - che le disposizioni dell'art. 44 cit.
si applicano altresì agli impianti "con potenza in singola antenna uguale od
inferiore ai 20 Watt" (di cui all'art. 87 cit., al comma 3, ultima parte,) -
suscettibili di realizzazione mediante denunzia di inizio attività ai sensi
della L. n. 241/1990, art. 19, come successivamente modificato - allorché siano
eseguiti in assenza o in difformità della denunzia medesima. 12. Ciò posto sulla
non necessità di un permesso di costruire rilasciato con le procedure
disciplinate dal TUE, occorre stabilire se nel caso in esame l'infrastruttura
realizzata dai ricorrenti era assistita da un valido titolo abilitativo, anche
ai fini edilizi. È pacifico che l'antenna per servizi di telecomunicazione
elettronica in questione nonché il relativo traliccio, il basamento in
calcestruzzo e le ulteriori opere necessarie per il funzionamento dell'impianto
avevano ottenuto due autorizzazioni: la prima in data 17 giugno 2003, avente ad
oggetto l'installazione dell'impianto, e la seconda in data 6 marzo 2004, avente
ad oggetto l'implementazione del ponte radio e del sistema punto-multi-punto
dell'impianto stesso. Il tribunale del riesame ha però ritenuto queste
autorizzazioni illegittime ed automaticamente caducate, con conseguente
configurabilità del reato edilizio perché l'opera non avrebbe più potuto
ritenersi assentita da un valido titolo abilitativo, ancorché avente anche
valenza edilizia.
Più in particolare, secondo il tribunale del riesame, la prima autorizzazione
del 17/06/2003 sarebbe illegittima per un duplice ordine di considerazioni:
- in primo luogo, perché questa autorizzazione era stata rilasciata ai sensi del
D.Lgs. 4 settembre 2002, n. 198 (cd. decreto Gasparri), il quale però è stato
dichiarato costituzionalmente illegittimo nella sua interezza dalla sentenza
della Corte costituzionale n. 303 del 2003 per eccesso di delega rispetto alla
L. di delegazione n. 443 del 2001. Ne deriverebbe che la dichiarazione di
incostituzionalità, inficiando fin dall'origine la validità e l'efficacia della
norma, salvo il limite delle situazioni consolidate (quali giudicato,
prescrizione, decadenza, atto amministrativo non impugnabile), travolgerebbe
anche l'autorizzazione in questione, la quale quindi dovrebbe ritenersi
automaticamente caducata ed illegittima, e ciò per il motivo che alla data di
pubblicazione della sentenza della Corte costituzionale, pur essendo stato
emesso il provvedimento autorizzatorio, erano ancora pendenti i termini per il
ricorso giurisdizionale.
- in secondo luogo, perché non potrebbe comunque trovare applicazione il D.L. 14
novembre 2003, n. 315, art. 4, convertito in L. 16 gennaio 2004, n. 5, il quale
stabilisce che "iz procedimenti di rilascio di autorizzazione alla installazione
di infrastrutture di comunicazioni elettroniche iniziati ai sensi del D.Lgs. 4
settembre 2002, n. 198, ed in corso alla data di pubblicazione della sentenza
della Corte costituzionale n. 303 del 1 ottobre 2003, sono disciplinati dal
decreto legislativo 1 agosto 2003, n. 259". E ciò perché questa disposizione
dovrebbe essere interpretata in senso restrittivo, circoscrivendone
l'applicazione alle sole ipotesi in cui il procedimento autorizzatorio, attivato
sulla base del D.Lgs. 4 settembre 2002, n. 198, non si fosse ancora concluso con
il previsto provvedimento dirigenziale di autorizzazione alla data di
pubblicazione della sentenza costituzionale, mentre non potrebbe trovare
applicazione nei casi in cui il provvedimento di autorizzazione fosse stato
oggetto di impugnazione giurisdizionale o per esso pendessero ancora i termini
per la relativa impugnazione. Dall'illegittimità sopravvenuta
dell'autorizzazione del 17/06/2003, deriverebbe poi, secondo il tribunale del
riesame, l'illegittimità conseguenziale anche della seconda autorizzazione del
6/03/2004 all'implementazione dell'impianto, e ciò perché questa presupponeva
comunque una valida autorizzazione all'installazione dell'impianto. 13. Le
considerazioni svolte dall'ordinanza impugnata in ordine alla ritenuta
caducazione automatica delle due autorizzazioni sono palesemente erronee.
13.1. Ed invero, quanto alla prima argomentazione, va innanzitutto ricordato che
la sentenza n. 303 del 2003 della Corte costituzionale ha dichiarato
l'incostituzionalità per eccesso di delega dell'intero D.Lgs. 4 settembre 2002,
n. 198, per la ragione che la L. di delegazione n. 443 del 2001, art. 1, comma
1, aveva conferito al governo il potere di individuare infrastrutture pubbliche
e private ed insediamenti produttivi strategici di interesse nazionale a mezzo
di un programma formulato su proposta dei ministri competenti, sentite le
regioni interessate ovvero su proposta delle regioni sentiti i ministri
competenti, mentre tale programma non era stato introdotto dal D. delegato n.
198 del 2002, il quale aveva invece previsto che i soggetti interessati
all'installazione delle infrastrutture erano abilitati ad agire in assenza di un
atto che identificasse previamente, con il concorso regionale, le opere da
realizzare e sulla scorta di un mero piano di investimenti delle società
concessionarie.
Non si è trattato quindi di un vizio sostanziale della disciplina del
procedimento autorizzatorio, o di suoi singoli aspetti, prevista dal decreto
delegato con qualche principio costituzionale o con le relative norme
interposte, ma di un vizio in qualche modo assimilabile ad un vizio formale,
relativo in via generale al procedimento di individuazione delle infrastrutture
ed insediamenti strategici.
13.2. Va altresì evidenziato che il problema che rileva nel presente giudizio
non è quello generale dello status del provvedimento amministrativo nel caso in
cui l'atto normativo su cui si fonda sia stato dichiarato incostituzionale ma
quello, più limitato, se tale provvedimento debba ritenersi automaticamente ed
ipso iure caducato solo per effetto della dichiarazione di incostituzionalità
della norma legislativa che lo sorregge.
Ed a tale più limitato problema deve darsi risposta negativa. È infatti pacifico
che il principio vigente nel nostro ordinamento è quello secondo cui il venir
meno, a seguito di dichiarazione di illegittimità costituzionale, del suo
presupposto normativo non comporta la caducazione ipso iure del provvedimento di
autorizzazione emesso sulla base della legge dichiarata incostituzionale,
essendo invece necessario, affinché si verifichi un tale effetto caducatorio, o
il successivo annullamento del provvedimento amministrativo in sede
giurisdizionale o la sua rimozione in via di autotutela da parte della pubblica
amministrazione (cfr. Cons. St., sez. 6^, 22 marzo 2001, n. 1695).
A tale fine è poi del tutto irrilevante la circostanza - invece erroneamente
ritenuta decisiva dal tribunale del riesame - che al momento della pubblicazione
della sentenza di accoglimento della Corte costituzionale erano ancora pendenti
i termini per proporre impugnazione avverso il provvedimento amministrativo. La
pendenza dei termini per impugnare, infatti, comporta solo che il provvedimento
non sia ancora divenuto inoppugnabile e che gli interessati possano appunto
ancora impugnarlo per fare eventualmente valere la sua illegittimità derivata a
seguito della declaratoria di incostituzionalità della norma presupposta. Ma non
ha nulla a che vedere con la ritenuta automatica caducazione del provvedimento
per il solo fatto dalla dichiarazione di illegittimità costituzionale. Questa
non "travolge" ipso ture il provvedimento, ma semmai ne determina
l'illegittimità derivata che potrà eventualmente essere fatta valere
dall'interessato, che non sia decaduto dalla facoltà di impugnarlo per scadenza
dei termini, o dalla stessa pubblica amministrazione in via di autotela. Fermo
restando che se l'interessato non impugna nei termini il provvedimento, questo
diviene inoppugnabile. D'altra parte non si comprenderebbe perché, se davvero
una dichiarazione di incostituzionalità della norma travolgesse automaticamente
il provvedimento che su essa si fonda, la sua caducazione automatica dovrebbe
ritenersi dipendente dal decorso dei termini (eventualmente differenti) concessi
ai diversi singoli interessati per l'impugnazione del provvedimento stesso. In
ogni caso, non risulta che ne' l'autorizzazione de qua sia stata annullata in
via di autotutela dalla pubblica amministrazione ne' che sia stata impugnata in
via giurisdizionale nei termini di decadenza, sicché al momento del sequestro il
provvedimento era ormai divenuto inoppugnabile.
13.3. Come si è accennato, non rileva poi, ai fini del presente giudizio, la
questione se un provvedimento amministrativo il cui presupposto normativo sia
venuto successivamente meno per effetto di una dichiarazione di
incostituzionalità e che però non sia stato annullato ne' in sede di autotutela
ne' dal giudice competente a seguito di impugnazione proposta nei termini dagli
interessati, possa in qualsiasi tempo essere disapplicato dal giudice ordinario,
ed in particolare dal giudice penale. Ed infatti, anche nell'ipotesi che a tale
problema si volesse dare risposta positiva, la circostanza sarebbe comunque
irrilevante nel presente giudizio. Ed invero, posto che l'autorizzazione de qua
non può sicuramente ritenersi caducata automaticamente per il solo effetto della
pubblicazione della sentenza costituzionale n. 303 del 2003, la sua eventuale
illegittimità derivante da questa declaratoria sarebbe stata comunque sanata,
quanto meno, per effetto del D.L. 14 novembre 2003, n. 315, art. 4, convertito
in L. 16 gennaio 2004, n. 5 (se non anche per effetto del D.Lgs. 1 agosto 2003,
n. 259). Con la conseguenza che in nessun caso il provvedimento stesso avrebbe
potuto essere disapplicato dal giudice penale essendo ormai venuto meno, sotto
questo aspetto, ogni profilo di illegittimità. 13.4. È infatti palesemente
infondata anche la seconda delle argomentazioni svolte dal tribunale del
riesame, non potendo accedersi ad un'interpretazione così restrittiva del D.L.
n. 315/2003, art. 4, da escluderne l'applicazione alle autorizzazioni già
emanate alla data di pubblicazione della sentenza di accoglimento della Corte
costituzionale, ancorché fossero state oggetto di impugnazione giurisdizionale o
fossero ancora pendenti i termini per le relative impugnazioni.
Tale opzione interpretativa, invero, oltre a non avere riscontro nella lettera
dell'art. 4 cit., tradirebbe la ratio dell'intervento normativo d'urgenza,
espressamente diretto a salvaguardare tutti i procedimenti autorizzatori
svoltisi nella vigenza del D.Lgs. 4 settembre 2002, n. 198, senza distinzione
alcuna tra procedimenti già conclusi e procedimenti in itinere, evitando
essenzialmente qualsiasi vuoto normativo per le attività strategiche relative
all'installazione degli impianti radioelettrici per le telecomunicazioni. Questa
ratio legis, quindi, permette sicuramente una lettura ed un'interpretazione del
dato testuale del citato art. 4 pienamente coerente con tale finalità
indubbiamente perseguita dal legislatore (cfr. TAR Puglia, Lecce, 7 aprile 2004,
n. 2516). Questa soluzione ermeneutica, del resto, è imposta anche dalla
necessità di dare alla disposizione in esame un'interpretazione adeguatrice che
escluda la possibilità di un suo contrasto con il principio di ragionevolezza di
cui all'art. 3 Cost. Sarebbe invero manifestamente illogica ed
ingiustificatamente discriminatoria la scelta del legislatore di "salvare" con
decretazione di urgenza solo i procedimenti amministrativi non ancora
formalmente conclusisi con il provvedimento dirigenziale alla data di
pubblicazione della sentenza della Corte costituzionale. Infatti, l'esigenza di
tutelare i legittimi interessi dei gestori degli impianti per telefonia mobile
che avevano correttamente seguito la procedura prevista dalle disposizioni
legislative vigenti si pone non solo per le autorizzazioni ancora da rilasciare,
ma con pari, se non maggior, forza anche per le autorizzazioni già rilasciate.
D'altra parte, come dianzi