Cass.Sez. III n. 12470 del 3 aprile 2012 (Ud.15 dic. 2011)
Pres.Mannino Est.Rosi Ric.Tassone
Acque. Scarico di reflui da attività di lavanderia in umido

Non integra il reato di cui all'art. 137 D.Lgs. 3 aprile 2006, n. 152 il recapito nella pubblica fognatura dei reflui derivanti da attività di lavanderia in umido, le cui acque di scarico, derivanti da una comune lavatrice, sono assimilabili a quelle domestiche.

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Udienza pubblica
Dott. MANNINO Saverio F. - Presidente - del 15/12/2011
Dott. TERESI Alfredo - Consigliere - SENTENZA
Dott. ROSI Elisabetta - rel. Consigliere - N. 2745
Dott. GAZZARA Santi - Consigliere - REGISTRO GENERALE
Dott. ANDRONIO Alessandro - Consigliere - N. 17759/2011
ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
1) TASSONE GIUSEPPINA N. IL 28/10/1963;
avverso la sentenza n. 6940/2010 TRIBUNALE di MILANO, del 05/11/2010;
visti gli atti, la sentenza e il ricorso;
udita in PUBBLICA UDIENZA del 15/12/2011 la relazione fatta dal Consigliere Dott. ELISABETTA ROSI;
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. Iacoviello Francesco Mauro, che ha concluso per l'annullamento con rinvio. RITENUTO IN FATTO
1. Con sentenza del 5 novembre 2010, il Tribunale di Milano, ha riconosciuto la responsabilità di Tassone Giuseppina in ordine al il reato di cui al D.Lgs. 3 aprile 2006, n. 152, art. 137, condannandola, previa concessione delle circostanze attenuanti generiche, alla pena di Euro 1.000.000 di ammenda perché in qualità di titolare della tintoria Primavera, ed in assenza della prescritta autorizzazione, effettuava in fognatura scarichi di acque reflue industriali provenienti dalle attività di lavanderia in umido, mentre l'ha assolta per non aver commesso il fatto, limitatamente allo scarico di acque reflue industriali provenienti dalle attività di lavasecco. Fatto accertato in Milano, in data 3 giugno 2009. 2. Avverso la sentenza, l'imputata ha proposto, tramite il proprio difensore, ricorso in appello, lamentando l'assenza dei presupposti oggettivi e soggettivi del reato contestato, e chiedendo, pertanto, l'assoluzione. A parere della ricorrente, la sentenza impugnata andrebbe censurata nella parte in cui considera i reflui dell'attività di lavanderia in umido alla stregua di rifiuti industriali, con ogni conseguenza in termini di responsabilità penale. Al contrario, tali reflui costituirebbero scarichi assimilabili ad acque reflue domestiche, poiché lo svolgimento dell'attività di lavanderia ad umido avveniva con una comune lavatrice domestica con consumo giornaliero di acque non superiore ai 20 me. Con ordinanza del 21 aprile 2011, la Corte d'Appello di Milano ha convertito l'impugnazione in ricorso per Cassazione, trasmettendo gli atti a questa Corte.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è fondato.
1. Il D.Lgs. 3 aprile 2006, n. 152, art. 74, lett. g), definisce acque domestiche anche quelle derivanti da servizi, purché provenienti prevalentemente dal metabolismo umano e da attività domestiche.
Come ha da tempo precisato la giurisprudenza di legittimità in tema di reati relativi a violazione di norme per la tutela delle acque dall'inquinamento, l'assimilabilltà degli insediamenti a quelli produttivi o a quelli civili dipende dalla natura e dalla qualità dei reflui dei relativi scarichi (cfr. Sez. 3, n. 9428 del 14/6/1988, dep. 24/9/1988, Arcaro, Rv. 179233); quindi l'attività produttiva di beni e servizi svolta in un determinato esercizio commerciale non comporta automaticamente l'attribuzione della qualifica "industriale" alle acque di scarico dallo stesso provenienti (Sez. 3, n. 41850 del 30 settembre 2008, Margarite Rv. 241506).
D'altra parte, secondo l'art. 5, comma 4, del Regolamento della Regione Lombardia del 24 marzo 2006, n. 3, recante norme relative alla "disciplina e regime autorizzatorio degli scarichi di acque reflue domestiche e di reti fognarie, in attuazione della L.R. 12 dicembre 2003, n. 26, art. 52, comma 1, lett. a)", le acque reflue assimilabili a quelle domestiche necessitano di un'autocertificazione della ditta esercente l'attività di lavanderia, attestante un consumo medio giornaliero non superiore a mc. 20.
2. Nel caso in esame, lo scarico contestato all'imputata era relativo alle acque che derivavano da una comune lavatrice, non risultando che alla lavanderia fossero riconducibili ulteriori scarichi contenenti sostanze inquinanti. Deve infatti essere considerato che le acque derivanti dallo scarico di una lavatrice non sono diverse da quelle provenienti dalle lavatrici in uso nelle civili abitazioni, e che pertanto possono essere assimilate a quelle delle attività domestiche, per cui deve essere esclusa la sussistenza del fatto contestato alla ricorrente.
3. Quanto all'assenza di autocertificazione in ordine al consumo giornaliero, successivamente redatta dalla ricorrente, questa non comporta di per sè l'illiceità penale dello scarico di acque reflue, ma, a tutto concedere, può integrare l'illecito amministrativo di cui al D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 133, comma 2. La sentenza impugnata va, pertanto, annullata senza rinvio perché il fatto non costituisce reato, mentre copia degli atti vanno trasmessi al Sindaco del Comune di Milano per quanto di sua competenza in ordine all'eventuale illecito amministrativo previsto dal D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 133, comma 2.
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata senza rinvio perché il fatto non è previsto come reato. Ordina la trasmissione di copia degli atti al Sindaco di Milano per quanto di competenza.
Così deciso in Roma, il 15 dicembre 2011.
Depositato in Cancelleria il 3 aprile 2012