Cass. Sez. III n. 49487 del 29 dicembre 2022 (CC 14 set 2022)
Pres. Ramacci Est. Gentili Ric. Salvagno
Ecodelitti.Attività organizzate per il traffico illecito di rifiuti e subordinazione della sospensione condizionale al ripristino ambientale
Ai fini della integrazione del reato di attività organizzate per il traffico illecito di rifiuti non sono necessari un danno ambientale né la minaccia grave di esso, atteso che la previsione di ripristino ambientale contenuta nel comma quarto del citato articolo si riferisce alla sola eventualità in cui il pregiudizio si sia effettivamente verificato e, pertanto, non è idonea a mutare la natura della fattispecie da reato di pericolo presunto in reato di danno. La subordinazione della sospensione condizionale della pena alla eliminazione delle conseguenze dannose del reato, può essere disposta solo ove sia stata specificamente accertata la esistenza di tali conseguenze.
RITENUTO IN FATTO
Il Gup del Tribunale di Torino, con sentenza pronunziata in data 12 novembre 2021, ha applicato ai sensi dell’art. 444 cod. proc. pen., a Salvagno Diego - imputato, in concorso con altri, per una serie di violazioni, unificate sotto il vincolo della continuazione, alla normativa in materia di conservazione dell’ambiente e di riciclaggio dei rifiuti - la pena concordata di anni 1 e mesi 4 di reclusione, con il beneficio della sospensione condizionale; con la medesima sentenza il Tribunale ha, altresì, posto a carico del Salvagno, così come a carico di tutti i soggetti attinti dalla applicazione concordata della pena, ai sensi dell’art. 452-quaterdecies cod. pen., cioè per una delle ipotesi delittuose per le quali vi è stata la applicazione della pena, il ripristino dello stato dell’ambiente, non potendosi addivenire - per come si legge nella sentenza in questione - avuto riguardo alle condotte contestate (consistenti in ripetuti sversamenti di rifiuti non trattati su vasti appezzamenti di terreno) ed alle risultanze di indagine acquisite (riferite agli accertamenti compiuti dall’Arpa) ad una valutazione di evidenza in ordine alla insussistenza di un danno ambientale.
Ha interposto ricorso per cassazione il Salvagno articolando due motivi di ricorso; il ricorrente - rivendicata in primo luogo la ammissibilità della impugnazione in quanto la stessa è riferita ad un capo di sentenza che non aveva formato oggetto di accordo fra le parti - ha rilevato che il Tribunale di Torino avrebbe violato l’art. 452-quaterdecies cod. pen. in quanto avrebbe disposto il ripristino ambientale a carico del ricorrente in assenza di elementi di prova deponenti nel senso di una compromissione dello stesso.
Con il secondo motivo la sentenza impugnata è censurata in quanto in essa vi era omessa motivazione in punto di eccezione di nullità o inutilizzabilità della relazione tecnica resa dall’Arpa in data 1 giugno 2021, la quale era stata oggetto di specifica eccezione alla udienza dl 12 novembre 2021; il ricorrente ha, altresì, eccepito l’omessa motivazione in relazione ad una serie di istanze istruttorie formulate dalla difesa del ricorrente; ha, ancora, lamentato il rigetto della richiesta di incidente probatorio in relazione allo stato dei luoghi, avendo osservato che lo stesso era stato oggetto di modificazione rispetto al momento dei fatti in quanto esposto all’azione degli agenti atmosferici, essendo stato questo disposto senza che il giudice si sia confrontato con i rilievi tecnici contenuti negli atti di parte a sostegno della opportunità della prova; infine, si è doluto del fatto che, in contraddizione con la stessa relazione redatta dall’Arpa, nella quale la contaminazione ambientale derivante dalla condotta dell’imputato era definita solo potenziale, è stato disposto a carico del medesimo l’obbligo di ripristino, senza che fosse stata dimostrata l’esistenza di uno specifico danno ambientale.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso, essendo risultato fondato il primo motivo, deve essere accolto nei limiti che saranno meglio di seguito precisati, essendo rimasti assorbiti i restanti motivi di impugnazione.
Deve preliminarmente convenirsi con il ricorrente quanto alla astratta ammissibilità della presente impugnazione, sebbene la stessa sia indirizzata avverso una sentenza di applicazione concordata della pena, pronunziata ai sensi dell’art. 444 cod. proc. pen.
Come è, infatti, noto, le sentenze adottate in esito a procedimento del tipo dianzi indicato, le sentenze cosiddette di “patteggiamento”, non solo non sono suscettibili di essere gravate di ricorso in grado di appello, ma - sulla base di quanto disposto in sede di novellazione dell’art. 448 cod. proc. pen. a seguito della entrata in vigore della legge n. 103 del 2017 - sono suscettibili di essere impugnate in sede di legittimità, giusta la previsione contenuta nell’interpolato comma 2-bis del citato art, 448 cod. proc. pen., solamente laddove sia stato dedotto un motivo di ricorso inerente: all’espressione della volontà dell’imputato di definire il giudizio mediante il ricorso al rito speciale; al difetto di correlazione fra richiesta di “patteggiamento” e contenuto della sentenza; alla erronea qualificazione giuridica del fatto contestato; infine alla illegalità della pena o della misura di sicurezza.
Si è, tuttavia, ritenuto, da parte della giurisprudenza che un siffatto catalogo non fosse esaustivo di tutte le possibili ipotesi di impugnabilità di fronte al giudice della legittimità delle sentenze di “patteggiamento, dovendo ritenersi comunque suscettibili di ricorso per cassazione tutte le pronunzie aventi carattere decisorio contenute nella sentenza in questione, nelle parti in cui le stesse non siano state oggetto di accordo fra le parti.
Così, per ricordare solamente le ultime pronunzie in ordine di tempo e senza avere l’intenzione di esaurire lo spazio riservato alle ulteriori ipotesi di impugnabilità, è stata ritenuta ammissibile la impugnazione in sede di legittimità della statuizione adottata a seguito di definizione del giudizio ai sensi dell’art. 444 cod. proc. pen. nel caso in cui la stessa abbia ad oggetto la sospensione condizionale della pena disposta in assenza di accordo fra le parti sul punto (Corte di cassazione, Sezione III penale, 3 agosto 2022, n. 30621); parimenti si è ritenuta censurabile di fronte a questa Corte di cassazione la sentenza di “patteggiamento” nella quale sia stata omessa la pronunzia di una pena accessoria di carattere obbligatorio, senza che rilevi la circostanza che tale applicazione non fosse ricompresa nell’ambito dell’accordo, trattandosi di disposizione non negoziabile (Corte di cassazione, Sezione III penale, 3 agosto 2021, n. 30285); analogo ragionamento è stato fatto per ciò che concerne le misure di sicurezza (Corte di cassazione, Sezioni unite penali, 17 luglio 2020, n. 21368), in particolare per quanto attiene alla motivazione della disposta confisca (Corte di cassazione, Sezione II penale, 11 aprile 2022, n. 13915).
Atteso che nell’occasione l’impugnazione proposta dal Salvagno, sebbene riferita ad una sentenza emessa ai sensi dell’art. 444 cod. proc. pen., ha ad oggetto unicamente la statuizione riguardante la adozione della sanzione amministrativa accessoria del rispristino dello stato dei luoghi (sulla natura di sanzione amministrativa del ripristino dello stato dei luoghi, si veda, sia pure con riferimento ad altra norma incriminatrice: Corte di cassazione, Sezione III penale, 14 novembre 2011, n. 41423), in ordine alla quale non vi era stato alcun accordo fra il Pm e l’imputato, la relativa statuizione, autonomamente disposta dal giudice, è suscettibile di formare l’oggetto di un ricorso per cassazione.
Tanto considerato, si ribadisce che il ricorso, oltre che ammissibile, è fondato per quanto di ragione.
Rileva, infatti, il Collegio che, nel disporre l’applicazione della predetta sanzione accessoria, il Gup del Tribunale subalpino ha giustificato tale sua decisione sulla base dell’affermazione, supportata da un riferimento giurisprudenziale, secondo la quale, esse conseguiva in termini di doverosità alla condanna non essendo stato possibile addivenire ad una valutazione di evidenza in ordine alla insussistenza di un danno ambientale.
Una tale affermazione non appare, nella sua perentorio secchezza, essere condivisibile sul piano normativo.
Al riguardo si rileva che, invero, nella sentenza richiamata dal giudicante, cioè: Corte di cassazione, Sezione III penale, 12 aprile 2019, n. 16061 (si tratta di una sentenza non oggetto di massimazione), più che affermarsi il principio sostenuto dal Gup torinese, si è osservato che, quanto al caso allora in esame, non vi era tanto la mancanza della evidenza della assenza del danno ambientale, come ha invece rilevato il citato Gup nella sentenza di merito ora in scrutinio, quanto la chiara emergenza della sussistenza di un tale genere di pregiudizio, sulla base dei dati obbiettivi rivenienti dalla descrizione delle accertate condotte poste in essere dagli allora imputati.
Dal tenore della motivazione ora contestata con il ricorso introduttivo del presente giudizio, parrebbe, invece, desumersi che il giudicante abbia fatto discendere la esistenza di un danno ambientale soggetto ad essere eliminato attraverso la realizzazione di opere di ripristino dalla pura e semplice ricorrenza degli elementi costitutivi della fattispecie incriminatrice.
Una tale ricostruzione normativa (oltre ad evidenziare una contraddizione logica riscontrabile nella stessa motivazione della sentenza impugnata, laddove il Gup del Tribunale di Torino, onde escludere la evidente assenza di danno ambientale, fa riferimento alle risultanze investigative retraibili dalle indagini fatte eseguire da parte della Azienda regionale di protezione ambientale, laddove gli esiti di tali indagini, per come posto in luce dal ricorrente attraverso la documentata segnalazione presente nel ricorso introduttivo, facevano riferimento solamente ad una “potenziale contaminazione” e non alla esistenza di qualcosa già in atto), postula che il reato oggetto di contestazione a carico del prevenuto sia un reato di danno, mentre lo stesso, non diversamente dai suoi antecessori normativi, si caratterizza per essere un reato di pericolo, la cui rilevata consumazione non richiede (né, pertanto, dimostra) la materiale realizzazione di un effettivo danno all’ambiente.
In tale senso, infatti, questa Corte si è, in passato, già espressa, osservando che ai fini della integrazione del reato di cui all’art. 260 del dlgs n. 152 del 2006 (la cui oggettività giuridica si pone in diretta continuazione normativa con quella del reato attualmente contestato, a tal riguardo si veda, infatti: Corte di cassazione, Sezione III penale, 22 novembre 2021, n. 42631), non sono necessari un danno ambientale né la minaccia grave di esso, atteso che la previsione di ripristino ambientale contenuta nel comma quarto del citato articolo si riferisce alla sola eventualità in cui il pregiudizio si sia effettivamente verificato e, pertanto, non è idonea a mutare la natura della fattispecie da reato di pericolo presunto in reato di danno (Corte di cassazione, Sezione III penale, 2 maggio 2013, n. 19018; nello stesso senso, assai più recentemente, Corte di cassazione, Sezione III penale, 11 gennaio 2018, n. 791, nella quale si è precisato che, la subordinazione della sospensione condizionale della pena alla eliminazione delle conseguenze dannose del reato, può essere disposta solo ove sia stata specificamente accertata la esistenza di tali conseguenze; principio quest’ultimo indubbiamente trasferibile anche alla presente fattispecie, nella quale il ripristino ambientale, pur non condizionante la sospensione della pena, è, tuttavia, stato disposto in assenza della prova della esistenza del danno ambientale).
D’altra parte già nel passato questa Corte ritenne che ai fini della configurazione del reato di traffico illecito di rifiuti non fosse necessario un danno ambientale atteso che la previsione di ripristino ambientale, contenuta nel quarto comma dell’art. 53.bis del dlgs n. 22 del 1997 (antesignano della norma precettiva ora in questione ndr) non muta la natura del reato da reato di pericolo presunto in reato di danno, in quanto la mera affermazione della responsabilità per il reato, allora, contestato non giustifica la ritenuta sussistenza del danno ambientale (Corte di cassazione, Sezione III penale, 3 febbraio 2006, n. 4503).
Nel caso che adesso occupa il Tribunale di Torino ha, invece, ritenuto di dovere disporre la misura del ripristino dello stato dei luoghi non sulla base della obbiettiva dimostrata esistenza di un danno ambientale, ma in base alla mancanza della evidenza della sua assenza, in tal modo facendo, chiaramente, cattivo governo sia delle disposizioni giuridiche pertinenti sia della interpretazione che di esse è stata data da questa Corte di cassazione.
Per tali motivi la sentenza impugnata deve essere annullata, limitatamente alla previsione dell’ordine di ripristino dei luoghi (sulla solo parziale illegittimità della sentenza di “patteggiamento” in una fattispecie analoga alla presente, si veda, per tutte: Corte di cassazione, Sezione feriale, 24 agosto 2020, n. 24023), ferma rimanendo, per il resto, la sentenza impugnata.
PQM
Annulla la sentenza impugnata limitatamente all’ordine di ripristino dello stato dell’ambiente, con rinvio per nuovo giudizio sul punto al Tribunale di Torino.
Così deciso in Roma, il 14 settembre 2022