Riconoscimento del diritto al risarcimento per danno ambientale agli enti territoriali ‘minori’
di Luca PARTESOTTI
di Luca PARTESOTTI
Titolari del diritto al risarcimento del danno ambientale, oltre allo Stato, sono anche, Regione, Provincia e Comune. Sono ormai pacifica la giurisprudenza ed unanime la dottrina sul punto, ed è ormai consolidato il riconoscimento - anche agli enti territoriali diversi dallo Stato - della titolarità, oltre che del diritto di azione, anche del diritto sostanziale al risarcimento del danno ambientale; ambiente inteso come assetto qualificato del territorio, elemento costitutivo anche di tali enti: “In proposito, da un’originaria impostazione che vedeva nello Stato il monopolista dell’azione di danno, si è passati ad ammettere, ormai pacificamente, l’azione autonoma e concorrente degli enti territoriali, quali titolari anch’essi del diritto al risarcimento, correlato alla ripartizione delle rispettive competenze pubblicistiche (vedi Cass. civ., sez. Unite: 12.2.1988, n. 1941 e 17.1.1991, n. 400), come riconosciuto pure dalla Corte Costituzionale con l’ordinanza n. 195 del 12.4.1990 (vedi anche, al riguardo, Cass. pen., sez. 3^: 23.6.1994, n. 7275, ric. Galletti ed altri; 19.1.1994, n. 439, ric. Mattiuzzi; 28.10.1993, n. 9727, ric. Benericetti, ove è stato affermato che ‘la Regione e, più in generale, gli enti territoriali sono legittimati a costituirsi parte civile ai sensi dell’art. 18 legge n. 349/1986, perché il danno ambientale derivante dal reato incide sull’ambiente, come assetto qualificato del territorio, il quale è elemento costitutivo di tali enti e perciò oggetto di un loro diritto di personalità’)”: Cass. pen., sez. 3^, n. 48402, 11.11.2004, dep. 16.12.2004, P.G. e altri, che rigetta il ricorso avverso sent. Corte d’Appello di Venezia 14.11.2003 in proc. Brugnolaro e altri.
E’ logico peraltro che un’offesa ad un bene che fa capo a più soggetti consenta la liquidazione del risarcimento a tutti i danneggiati (si pensi ai vari congiunti della vittima di un incidente stradale o ai diversi condòmini in caso di danno di una parte comune).
La Corte Costituzionale (ordin. n. 195 del 12.4.1990), riconosce che anche gli Enti territoriali diversi dallo Stato sono titolari del diritto al risarcimento. Il principio è confermato anche dalla Corte Suprema che, nella sopracitata sentenza n. 48402/2004, ha rigettato il ricorso dello Stato (Ministero dell’Ambiente) proposto dall’Avvocatura distrettuale di Venezia per vedersi riconoscere l’esclusivo diritto de quo. Peraltro già con sentenza n. 641 del 1987 la Corte Costituzionale affermava che la legittimazione ad agire “che è attribuita allo Stato e agli Enti minori” trova fondamento “nella loro funzione a tutela della collettività e delle comunità nel proprio ambito territoriale e degli interessi all’equilibrio ecologico, biologico e sociologico del territorio che ad essi fanno capo”. La giurisprudenza che la Corte di legittimità ha successivamente elaborato in applicazione di detti principi (si veda l’excursus effettuato da Cass. pen, sez. 3^, 6.3./2.5.07, n. 16575), ha confermato tale impostazione.
Il comma 9 bis dell’art. 18 della L. 349/1986 - secondo cui le somme liquidate allo Stato per risarcimento del danno ambientale dovranno poi essere utilizzate per finanziare interventi di risanamento, bonifica, ripristino ambientale e messa in sicurezza dei siti inquinati - non depone per la contraria (peraltro isolata) opinione.
In primo luogo il risarcimento del danno ambientale, per quanto parametrato nel caso di liquidazione equitativa anche ai costi per tali interventi, adotta criteri autonomi e si caratterizza anche per un profilo punitivo che dai costi può prescindere.
In secondo luogo, ma strettamente correlato a tale assunto, il ripristino è obbligo anzitutto dei responsabili.
E’ di tutta evidenza dunque che non può escludersi per gli enti territoriali ‘minori’ danneggiati la possibilità di ottenere la liquidazione del danno ambientale in previsione di una futura ed ipotetica (perché legata, per esempio, all’esperimento dell’azione civile) destinazione di fondi da parte dello Stato. Nessun illegittimo arricchimento attuale vi può essere nel riconoscere anche ad essi tale diritto, sia appunto perché difetta l’attualità, sia per l’indipendenza di tale voce di danno (specie se liquidata in via equitativa) dalla destinazione alla bonifica, al ripristino ecc. (tant’è vero che solo per lo Stato è stata introdotta un’apposita disposizione in tal senso).
V’è poi da dire che il citato comma dell’art. 18 della L. n. 349/1986 prevede il cd. ‘fondo di rotazione’ solo per “le somme derivanti dalla riscossione dei crediti in favore dello Stato” - che qui sì è inteso come Stato-persona (v. infra), poiché le norme riguardano le poste di bilancio del medesimo - “per il risarcimento del danno” ambientale; non vi rientrano, invece, le somme derivanti dalla riscossione dei crediti in favore degli altri enti territoriali per il risarcimento dello stesso danno ambientale. Cosicché errato sarebbe riferirsi a tale previsione per escludere il diritto al risarcimento del danno in favore di tali enti.
Ferma dunque, per fatti anteriori al nuovo testo unico ambientale, la previgente disciplina di cui all’art. 18 L. 349/86 in ragione della previsione di cui all’art. 303 lett. f) T.U. Ambiente (D. legisl. n. 152/2006) ( “la parte sesta del presente decreto .. non si applica al danno causato da un’emissione, un evento o un incidente verificatisi prima della data di entrata in vigore della parte sesta del presente decreto”) - non è in alcun modo utilizzabile in senso contrario l’art. 311 c. 2 del medesimo Testo Unico nella parte in cui sarebbe previsto il risarcimento nei confronti (solo) dello Stato.
Tutto dipende dall’interpretazione del termine ‘Stato’ in tale disposizione, che viceversa anche nel pieno vigore dell’art. 18 della L. 349/86 è stato inteso - a seguito di consolidata evoluzione giurisprudenziale e dottrinaria - come Stato-ordinamento o Stato-comunità, comprensivo sia dello Stato-persona, che degli altri Enti territoriali: il che depone per una cautela estrema nel ritenere negato, per fattispecie successive all’entrata in vigore del nuovo Testo Unico ambientale, il diritto al risarcimento del danno ambientale agli enti territoriali ‘minori’.
Nella continuità dei principi informatori dell’istituto del ‘danno ambientale’ (come ben rimarcato dalla citata Cass. pen, sez. 3^, 6.3./2.5.07, n. 16575), le nuove norme dovranno essere interpretate alla stregua dei consolidati principi che attribuiscono anche agli enti territoriali Regione, Provincia e Comune, sul cui territorio si è consumato il vulnus ambientale, un pieno diritto al risarcimento anche per il danno ambientale, a fianco dello Stato (se anch’esso agisce: poiché potrebbe peraltro rimanere inerte, magari anche solo nella sede civile successiva a quella penale, e vanificare così qualsiasi risarcimento del danno ambientale, se al medesimo solo si dovesse ritenere attribuito).
La previsione di una specifica azione avanti il Giudice amministrativo promossa dagli enti territoriali ‘minori’ anche per il risarcimento del danno per la ritardata attivazione delle misure di precauzione da parte del Ministero dell’Ambiente (prevista ora dall’art. 310 T.U. 2006) conferma solo la possibilità in capo ai medesimi di esperire un ulteriore rimedio giurisdizionale amministrativo, peraltro farraginoso e volto a presentare osservazioni e denunce (art. 309) o ad agire in sede amministrativa per opporsi ad atti od inerzie ministeriali (art. 310), senza escludere dunque l’azione risarcitoria per danno ambientale.
Ma davvero si può ritenere che dette azioni giudiziali in sede di giustizia amministrativa, o addirittura nella precedente fase del procedimento amministrativo volto a mere sollecitazioni ed osservazioni, possa del tutto eliminare il diritto ad ottenere il risarcimento del danno ambientale in capo a detti enti, se tale esclusione non è espressamente prevista (ed ammesso che possa essere costituzinalmente ammissibile)?
Non depone diversamente la previsione letterale di cui all’art. 311, comma 1 del T.U. laddove si prevede che “il Ministero dell’Ambiente .. agisce, anche esercitando l’azione civile in sede penale”. Nessuna esclusione espressa per quanto concerne il danno ambientale patito dagli enti territoriali, bensì, in un’inerpretazione in linea con l’elaborazione dottrinaria e giurisprudenziale ormai trentennale, una semmai più precisa regolamentazione dell’azione civile svolta dallo Stato-persona tramite il Ministero competente.
Non si dimentichi che anche per altri istituti, quali il cd. intervento nel processo penale di enti e associazioni (artt. 91 e ss. c.p.p.), dopo un’iniziale interpretazione secondo cui sarebbe stato introdotto nel codice un istituto del tutto nuovo che escludeva per gli stessi enti la costituzione di parte civile, si è ormai del tutto pacificamente giunti alla conclusione che, nel processo penale, l’unico intervento possibile di persone ed enti offesi dal reato è quello della costituzione di parte civile. Se ne può concludere che è auspicabile che la giurisprudenza più avvertita possa ritenere ormai consolidato il diritto di Regioni, Province e Comuni ad agire, anche in sede penale, oltre che in quella civile, per ottenere il risarcimento del danno ambientale, diritto non certo esercitabile con meri ricorsi al T.A.R. o, peggio ancora, con la presentazione di osservazioni o denunce. Pena il rischio che la gran parte delle lesioni all’ambiente resti senza sanzione.
Venezia, 15 settembre 2009
avv. Luca Partesotti
E’ logico peraltro che un’offesa ad un bene che fa capo a più soggetti consenta la liquidazione del risarcimento a tutti i danneggiati (si pensi ai vari congiunti della vittima di un incidente stradale o ai diversi condòmini in caso di danno di una parte comune).
La Corte Costituzionale (ordin. n. 195 del 12.4.1990), riconosce che anche gli Enti territoriali diversi dallo Stato sono titolari del diritto al risarcimento. Il principio è confermato anche dalla Corte Suprema che, nella sopracitata sentenza n. 48402/2004, ha rigettato il ricorso dello Stato (Ministero dell’Ambiente) proposto dall’Avvocatura distrettuale di Venezia per vedersi riconoscere l’esclusivo diritto de quo. Peraltro già con sentenza n. 641 del 1987 la Corte Costituzionale affermava che la legittimazione ad agire “che è attribuita allo Stato e agli Enti minori” trova fondamento “nella loro funzione a tutela della collettività e delle comunità nel proprio ambito territoriale e degli interessi all’equilibrio ecologico, biologico e sociologico del territorio che ad essi fanno capo”. La giurisprudenza che la Corte di legittimità ha successivamente elaborato in applicazione di detti principi (si veda l’excursus effettuato da Cass. pen, sez. 3^, 6.3./2.5.07, n. 16575), ha confermato tale impostazione.
Il comma 9 bis dell’art. 18 della L. 349/1986 - secondo cui le somme liquidate allo Stato per risarcimento del danno ambientale dovranno poi essere utilizzate per finanziare interventi di risanamento, bonifica, ripristino ambientale e messa in sicurezza dei siti inquinati - non depone per la contraria (peraltro isolata) opinione.
In primo luogo il risarcimento del danno ambientale, per quanto parametrato nel caso di liquidazione equitativa anche ai costi per tali interventi, adotta criteri autonomi e si caratterizza anche per un profilo punitivo che dai costi può prescindere.
In secondo luogo, ma strettamente correlato a tale assunto, il ripristino è obbligo anzitutto dei responsabili.
E’ di tutta evidenza dunque che non può escludersi per gli enti territoriali ‘minori’ danneggiati la possibilità di ottenere la liquidazione del danno ambientale in previsione di una futura ed ipotetica (perché legata, per esempio, all’esperimento dell’azione civile) destinazione di fondi da parte dello Stato. Nessun illegittimo arricchimento attuale vi può essere nel riconoscere anche ad essi tale diritto, sia appunto perché difetta l’attualità, sia per l’indipendenza di tale voce di danno (specie se liquidata in via equitativa) dalla destinazione alla bonifica, al ripristino ecc. (tant’è vero che solo per lo Stato è stata introdotta un’apposita disposizione in tal senso).
V’è poi da dire che il citato comma dell’art. 18 della L. n. 349/1986 prevede il cd. ‘fondo di rotazione’ solo per “le somme derivanti dalla riscossione dei crediti in favore dello Stato” - che qui sì è inteso come Stato-persona (v. infra), poiché le norme riguardano le poste di bilancio del medesimo - “per il risarcimento del danno” ambientale; non vi rientrano, invece, le somme derivanti dalla riscossione dei crediti in favore degli altri enti territoriali per il risarcimento dello stesso danno ambientale. Cosicché errato sarebbe riferirsi a tale previsione per escludere il diritto al risarcimento del danno in favore di tali enti.
Ferma dunque, per fatti anteriori al nuovo testo unico ambientale, la previgente disciplina di cui all’art. 18 L. 349/86 in ragione della previsione di cui all’art. 303 lett. f) T.U. Ambiente (D. legisl. n. 152/2006) ( “la parte sesta del presente decreto .. non si applica al danno causato da un’emissione, un evento o un incidente verificatisi prima della data di entrata in vigore della parte sesta del presente decreto”) - non è in alcun modo utilizzabile in senso contrario l’art. 311 c. 2 del medesimo Testo Unico nella parte in cui sarebbe previsto il risarcimento nei confronti (solo) dello Stato.
Tutto dipende dall’interpretazione del termine ‘Stato’ in tale disposizione, che viceversa anche nel pieno vigore dell’art. 18 della L. 349/86 è stato inteso - a seguito di consolidata evoluzione giurisprudenziale e dottrinaria - come Stato-ordinamento o Stato-comunità, comprensivo sia dello Stato-persona, che degli altri Enti territoriali: il che depone per una cautela estrema nel ritenere negato, per fattispecie successive all’entrata in vigore del nuovo Testo Unico ambientale, il diritto al risarcimento del danno ambientale agli enti territoriali ‘minori’.
Nella continuità dei principi informatori dell’istituto del ‘danno ambientale’ (come ben rimarcato dalla citata Cass. pen, sez. 3^, 6.3./2.5.07, n. 16575), le nuove norme dovranno essere interpretate alla stregua dei consolidati principi che attribuiscono anche agli enti territoriali Regione, Provincia e Comune, sul cui territorio si è consumato il vulnus ambientale, un pieno diritto al risarcimento anche per il danno ambientale, a fianco dello Stato (se anch’esso agisce: poiché potrebbe peraltro rimanere inerte, magari anche solo nella sede civile successiva a quella penale, e vanificare così qualsiasi risarcimento del danno ambientale, se al medesimo solo si dovesse ritenere attribuito).
La previsione di una specifica azione avanti il Giudice amministrativo promossa dagli enti territoriali ‘minori’ anche per il risarcimento del danno per la ritardata attivazione delle misure di precauzione da parte del Ministero dell’Ambiente (prevista ora dall’art. 310 T.U. 2006) conferma solo la possibilità in capo ai medesimi di esperire un ulteriore rimedio giurisdizionale amministrativo, peraltro farraginoso e volto a presentare osservazioni e denunce (art. 309) o ad agire in sede amministrativa per opporsi ad atti od inerzie ministeriali (art. 310), senza escludere dunque l’azione risarcitoria per danno ambientale.
Ma davvero si può ritenere che dette azioni giudiziali in sede di giustizia amministrativa, o addirittura nella precedente fase del procedimento amministrativo volto a mere sollecitazioni ed osservazioni, possa del tutto eliminare il diritto ad ottenere il risarcimento del danno ambientale in capo a detti enti, se tale esclusione non è espressamente prevista (ed ammesso che possa essere costituzinalmente ammissibile)?
Non depone diversamente la previsione letterale di cui all’art. 311, comma 1 del T.U. laddove si prevede che “il Ministero dell’Ambiente .. agisce, anche esercitando l’azione civile in sede penale”. Nessuna esclusione espressa per quanto concerne il danno ambientale patito dagli enti territoriali, bensì, in un’inerpretazione in linea con l’elaborazione dottrinaria e giurisprudenziale ormai trentennale, una semmai più precisa regolamentazione dell’azione civile svolta dallo Stato-persona tramite il Ministero competente.
Non si dimentichi che anche per altri istituti, quali il cd. intervento nel processo penale di enti e associazioni (artt. 91 e ss. c.p.p.), dopo un’iniziale interpretazione secondo cui sarebbe stato introdotto nel codice un istituto del tutto nuovo che escludeva per gli stessi enti la costituzione di parte civile, si è ormai del tutto pacificamente giunti alla conclusione che, nel processo penale, l’unico intervento possibile di persone ed enti offesi dal reato è quello della costituzione di parte civile. Se ne può concludere che è auspicabile che la giurisprudenza più avvertita possa ritenere ormai consolidato il diritto di Regioni, Province e Comuni ad agire, anche in sede penale, oltre che in quella civile, per ottenere il risarcimento del danno ambientale, diritto non certo esercitabile con meri ricorsi al T.A.R. o, peggio ancora, con la presentazione di osservazioni o denunce. Pena il rischio che la gran parte delle lesioni all’ambiente resti senza sanzione.
Venezia, 15 settembre 2009
avv. Luca Partesotti