L’omessa bonifica nella giurisprudenza di Cassazione. Due questioni ancora aperte: rileva già l’inottemperanza alle fasi precedenti l’approvazione del progetto? Si tratta davvero di una condizione obbiettiva di punibilità?
di Carlo RUGA RIVA
Sommario: 1. Il problema e le contrapposte soluzioni. – 2. La (omessa) bonifica come condizione obbiettiva intrinseca di punibilità: critica. – 3. La bonifica come causa di non punibilità sopravvenuta e il problema dell’analogia. – 4. Sulla natura e struttura del reato.
1. Il problema e le contrapposte soluzioni. – Alcune recenti sentenze della terza sezione della Cassazione1 offrono nuovi spunti di riflessione sul reato di “Bonifica dei siti”2, figura enigmatica fin dalla rubrica3, che curiosamente non esprime in forma sintetica la materia del divieto, bensì l’obbligo cui è tenuto l’inquinatore e al contempo lo scopo di reintegrazione dell’offesa perseguito dal legislatore.
Il quesito, oggetto di soluzioni contrapposte, è il seguente: il reato di omessa bonifica si consuma (al più presto) con l’inosservanza di un progetto di bonifica approvato dall’autorità competente, oppure già con l’inosservanza di uno dei vari adempimenti ad esso strumentali?
In altre parole, la mancata realizzazione di indagini preliminari circa la presenza nel sito di concentrazioni soglia di contaminazione, la mancata realizzazione del piano di caratterizzazione o la sua mancata attuazione, l’omessa analisi del rischio sito-specifica – tutte tappe scandite nel procedimento amministrativo complesso descritto nell’art. 242 TUA – integrano già il reato di omessa bonifica, ancor prima quindi dell’inosservanza della fase finale della procedura, rappresentata dall’approvazione del progetto?
Un primo orientamento giurisprudenziale, cui si è uniformata la sentenza Mazzocco, invocando il principio di legalità e paventando in caso contrario applicazioni analogiche in malam partem, ritiene che rilevi penalmente solo l’inosservanza del progetto approvato4.
Rimarrebbero escluse dall’applicazione dell’art. 257 TUA le inosservanze di tutte le diverse fasi precedenti all’approvazione della bonifica, attraverso le quali si snoda il procedimento delineato all’art. 242 TUA.
Nello stesso senso si è pronunciata la gran parte della dottrina5.
La sentenza Morgante afferma al contrario che il reato di omessa bonifica “è integrato allorché il responsabile dell’inquinamento impedisce di predisporre e di realizzare la bonifica già attraverso la mancata attuazione del piano di caratterizzazione”6.
Non si tratterebbe, secondo la citata sentenza, “di non consentita interpretazione estensiva in malam partem o di applicazione analogica della norma penale incriminatrice, ma dell’unica interpretazione sistematica atta a rendere il sistema razionale e non in contrasto con il principio di ragionevolezza di cui all’art. 3 Cost…sarebbe manifestamente irrazionale una disciplina che prevedesse la punizione di un soggetto che dà esecuzione al piano di caratterizzazione ma poi omette di eseguire il conseguente progetto di bonifica ed invece esonerasse da pena il soggetto che addirittura omette di adempiere al piano di caratterizzazione così ostacolando ed impedendo la stessa formazione del progetto di bonifica”.
In assenza di una verifica approfondita sui significati attribuibili alla lettera della legge, il richiamo alla ragionevolezza e all’art. 3 Cost. appare ambiguo e probabilmente non decisivo nella più adeguata soluzione del problema: sia la (buona) interpretazione7 che l’analogia, intesa quest’ultima in senso restrittivo8, garantiscono razionalità e uguaglianza all’applicazione del diritto.
La sentenza Morgante è stata oggetto di critiche dottrinali spesso aspre; i suoi detrattori le rimproverano di avere ricondotto all’ambito di applicazione dell’art. 257 d.lgs. 152/2006 significati non riconducibili alla lettera della legge, in violazione del divieto di analogia in malam partem9.
Occorre dunque verificare innanzi tutto la questione dei possibili significati attribuibili alla formula “se non provvede alla bonifica in conformità al progetto approvato dall’autorità competente nell’ambito del procedimento di cui agli artt. 242 e seguenti”, per poi, entro tale limite letterale, prendere in considerazione gli altri criteri ermeneutici utili ad una razionale soluzione del caso.
2. La (omessa) bonifica come condizione obbiettiva intrinseca di punibilità: critica. – Tutte le sentenze considerano la bonifica come condizione obbiettiva di non punibilità, in linea con l’ormai consolidato orientamento della Cassazione, secondo il quale la bonifica costituisce più precisamente condizione obbiettiva intrinseca di non punibilità costruita negativamente, “giacché il mancato raggiungimento dell’obbiettivo della bonifica non fa che aggravare quella offesa al bene tutelato dalla norma incriminatrice che era stata già perpetrata dalla condotta di inquinamento”10.
In tale orizzonte la lettera della legge appare effettivamente equivoca11.
La formula “se non provvede alla bonifica in conformità al progetto approvato dall’autorità competente nell’ambito del procedimento di cui agli articoli 242 e seguenti” può leggersi tanto nel senso che ciò che fa scattare la punibilità è l’omessa realizzazione della bonifica approvata dall’autorità competente, quale che sia la fase in cui si arresta il relativo procedimento amministrativo, quanto nel senso che se (e fin tanto che) non vi è un progetto di bonifica regolarmente approvato “manca” in radice la condizione di punibilità.
A ben vedere il ricorso alla controversa categoria delle condizioni obbiettive di punibilità12 e ancor di più alla contestatissima categoria delle condizioni intrinseche13 non sembra pertinente.
Da un lato, pur nella amplissima varietà di impostazioni, si tende a considerare la condizione obbiettiva come un quid privo di (necessario) legame psicologico14 e causale15 con l’autore del fatto tipico: “non è richiesta (ed è perciò indifferente se esista o non esista in concreto) una relazione fra condizione di punibilità e la condotta dell’agente”16.
Nel caso di specie, tutto al contrario, la bonifica deve essere voluta e realizzata dall’autore del fatto tipico (l’inquinamento qualificato), che anzi, seguendo la procedura amministrativa ordinaria, dovrà collaborare con l’autorità nell’individuazione delle concentrazioni soglia di rischio (CSR), e dunque essere parte attiva dell’iter di bonifica.
La bonifica rappresenta piuttosto una causa di non punibilità sopravvenuta17 al fatto tipico (di inquinamento qualificato), causalmente e soggettivamente rimessa alla condotta dell’inquinatore, con funzione di eliminazione delle conseguenze dell’offesa ambientale già prodottasi.
Si tratta di incentivare la reintegrazione dello stesso bene già offeso, offrendo la carota dell’impunità dopo avere minacciato il bastone della pena.
Nelle condizioni obbiettive (estrinseche) di punibilità, viceversa, la condizione incarna un interesse diverso (e prevalente) rispetto a quello offeso dal fatto tipico.
Apparentemente l’inquadramento della bonifica nella figura delle condizioni obbiettive intrinseche di punibilità consente di “tenere insieme” l’autonomia offensiva del fatto tipico di inquinamento con la condizione rappresentata dalla (mancata) bonifica, la quale comporterebbe un ulteriore aggravamento dell’offesa per il bene ambiente.
A ben vedere si tratta di una ricostruzione inutilmente artificiosa.
Aldilà di più ampie perplessità sulla utilità della categoria in sé delle condizioni obbiettive intrinseche18, è la stessa giurisprudenza della Cassazione a contraddirsi quando, sussumendo la mancata bonifica nel genus delle condizioni obbiettive intrinseche di punibilità, costruite negativamente19, aggiunge che, “proprio perché incidono sul bene tutelato… devono essere coperte dal principio di colpevolezza, sicché finiscono per mascherare veri e propri elementi costitutivi del reato, imputabili all’agente almeno a titolo di colpa”.
La contraddizione è palese: se davvero l’omessa bonifica mascherasse un elemento costitutivo allora saremmo in presenza di un reato omissivo, non già, come sostenuto da quella stessa giurisprudenza, di un reato commissivo di evento incentrato sul superamento delle CSR.
La bonifica rappresenta piuttosto, come anticipato, una causa di non punibilità sopravvenuta.
Una conferma di questa ricostruzione è data dall’art. 257 co. 4 TUA, ai sensi del quale “l’osservanza dei progetti approvati ai sensi degli artt. 242 e seguenti costituisce condizione di non punibilità per i reati ambientali contemplati da altre leggi per il medesimo evento e per la stessa condotta di inquinamento di cui al comma 1”.
La “condizione di non punibilità” costituita dalla bonifica, qui indicata in positivo, rende l’inquinatore non punibile anche per la stessa condotta integrante diverso reato (poniamo discarica abusiva o inquinamento idrico) fonte dell’inquinamento qualificato.
Se il raccordo tra primo e quarto comma rende evidente che uno stesso comportamento (la bonifica) produce effetti premiali rispetto l’uno ad un fatto tipico di inquinamento, e l’altro rispetto a reati ambientali “a monte”, allora sembra coerente concludere che quella condizione abbia lo stesso significato e la stessa funzione in ambedue i casi.
Ora, non è pensabile che una condizione obbiettiva di punibilità sia posta al di fuori delle fattispecie cui in ipotesi dovrebbe accedere (la discarica abusiva, l’inquinamento idrico ecc.), mentre è pensabile – e si danno storicamente casi – di cause di non punibilità20 poste fuori delle fattispecie di riferimento.
La bonifica è dunque condizione (causa) di non punibilità sopravvenuta costruita in forma positiva al quarto comma per i “reati-fonte”, e in forma negativa21, a al comma 1, in relazione al fatto di inquinamento qualificato dal superamento delle concentrazioni soglia di rischio (CSR).
Gli argomenti fin qui portati a favore dell’inquadramento della bonifica come causa di non punibilità sopravvenuta, di natura sostanziale e sistematica, non sembrano contraddetti dal dato letterale, peraltro di per sé non decisivo.
Da un lato si sottolinea come, solitamente, le cause di non punibilità sopravvenute siano espresse con formule quali “non è punito, se…”, a differenza delle condizioni obbiettive di punibilità riconoscibili dalla formula “è punito se non”22.
Proprio la fattispecie semanticamente più affine, rappresentata dall’insolvenza fraudolenta (“…è punito, qualora l’obbligazione non sia adempiuta), che pure utilizza una formula ritenuta solitamente sintomatica di condizione obbiettiva, è viceversa interpretata da autorevole dottrina come causa di non punibilità sopravvenuta23.
D’altro canto, a chi sostiene che solitamente le cause di non punibilità, diversamente dalle condizioni obbiettive di punibilità, sono graficamente distinte dal precetto penale24, può ribattersi che l’art. 257, co. 1 TUA separa in effetti il precetto dalla condizione, aggiungendo la formula “se non adempie al progetto…” dopo la sanzione, con ciò, parrebbe, alludendo ad un fatto già compiutamente meritevole di pena prima dell’eventuale bonifica.
Contro l’inquadramento della bonifica tra le cause di non punibilità si sono portate conseguenze di disciplina reputate irragionevoli, perché disfunzionali o non eque.
Si è sostenuto che la bonifica quale causa di non punibilità escluderebbe la pena, ma non misure di sicurezza quali la confisca dell’area e di eventuali stabilimenti, ciò che ne limiterebbe l’appetibilità25.
La tesi non sembra trovare riscontro nella legge, dato che l’art. 240 co. 2 n. 2) c.p. consente eccezionalmente la confisca, in caso di assoluzione, solo in presenza di cose il cui uso, detenzione ecc. sia vietato in modo assoluto26.
L’uso o la detenzione di un terreno bonificato a regola d’arte, conformemente al progetto approvato dall’autorità pubblica competente, evidentemente, non sono vietati in modo assoluto.
Anche l’obiezione secondo cui, qualificata la bonifica come causa di non punibilità (di natura soggettiva) la si applicherebbe iniquamente solo al bonificatore, e non ai co-inquinatori, magari marginali27, rimasti inerti, non sembra insuperabile.
Appare infatti equo che rispondano del reato coloro i quali abbiano contribuito in piccola o significativa parte all’inquinamento del sito, qualora non provvedano alla bonifica pro-quota.
Del resto, a voler accedere alla tesi criticata, dovrebbe beneficiare della bonifica anche l’inquinatore quasi esclusivo rimasto inerte, sol che vi provveda l’inquinatore marginale o, al limite, anche qualora vi provveda il proprietario incolpevole, non inquinatore.
3. La bonifica come causa di non punibilità sopravvenuta e il problema dell’analogia. –L’inquadramento della bonifica nello schema delle cause di non punibilità sopravvenute consente di rispondere più agevolmente al tema posto dalle due sentenze in esame.
La norma, così intesa, addita in positivo una (sola) condizione da soddisfare28, ovvero il risultato da raggiungere per lucrare l’impunità rispetto ad un fatto tipico, consistente nel superamento delle concentrazioni soglia di rischio, evento nel quale si incentra e si esaurisce l’offesa al bene ambientale.
Tale risultato deve consistere nella bonifica conforme al progetto approvato.
In questa prospettiva è del tutto irrilevante se la procedura di bonifica sia stata attivata, e in quale stadio del complesso procedimento amministrativo si sia eventualmente arrestata.
Ciò che solo rileva è il mancato raggiungimento del risultato, ovvero la mancata realizzazione della bonifica.
Il problema dell’analogia non si pone in relazione alle fasi di omessa bonifica, ma se mai, in relazione alla diversa questione della sufficienza o meno di una bonifica realizzata in modo non conforme al progetto, perché gestita autonomamente dall’autore dell’inquinamento o perché difforme nei tempi e nelle modalità da quella approvata29.
Nulla di nuovo: le norme premiali, pur nella loro eterogeneità30 premiano determinati risultati (il pagamento tardivo del debitore con il quale si sia contratta fraudolentemente un’obbligazione; lo scioglimento della banda armata31; la sanatoria di un abuso edilizio32 o paesistico-ambientale33), essendo irrilevanti le cause che ne impediscono il raggiungimento (per volontà o per colpa, per impossibilità materiale o per diniego altrui).
L’inerzia dello “scroccone”, l’incapacità del sovversivo di convincere gli appartenenti alla banda armata a sciogliere le fila, la mancata predisposizione della domanda di sanatoria non giovano come ovvio agli autori dei fatti tipici di insolvenza fraudolenta, banda armata e di abuso edilizio o ambientale.
Nel nostro caso il riferimento alla bonifica conforme al progetto approvato, e dunque ad una attività regolata e con-formata dalla pubblica autorità, anziché ad una condotta reintegratoria rimessa esclusivamente all’agire dell’autore, non deve ingannare: serve ad escludere dal premio bonifiche “fai da te”, non avallate dall’autorità competente e difficilmente valutabili dal giudice, non ad includervi condotte ostruzionistiche o dilatorie.
La ricostruzione proposta si scontra, almeno apparentemente, con alcune obiezioni mosse dalla opposta tesi dominante:
- dal raffronto con la previgente fattispecie (art. 51-bis D.lgs. 22/1991) emergerebbe che il legislatore del 2006 ha inteso superare la concezione del reato di omessa bonifica in funzione meramente sanzionatoria di ogni violazione della relativa procedura amministrativa34;
- gli inadempimenti strumentali alla stesura del progetto di bonifica impediscono, ancor prima della esecuzione della bonifica, la stessa verifica del superamento delle concentrazioni soglia di rischio, ovvero la prova dell’evento nel quale si polarizza l’offesa.
Il legislatore del 2006, con la formulazione dell’art. 257 d.lgs. 152/2006, ha voluto scindere e rendere autonoma, punendola meno severamente35, la violazione consistente nella mancata comunicazione del potenziale evento di contaminazione, e cioè l’inadempimento primigenio, il più lontano dalla soglia di danno qualificato rappresentata dal superamento delle concentrazioni soglia di rischio.
Tutte le altre violazioni, impedendo il risultato della bonifica conforme al progetto, rientrano nello spettro dell’art. 257, co. 1 primo periodo del TUA, che del resto si riferisce al progetto “approvato nell’ambito del procedimento di cui agli articoli 242 e seguenti”, a riprova della rilevanza dell’iter attraverso il quale si snoda il procedimento che sfocia nella stesura del progetto e nella sua approvazione.
Secondo taluno la soluzione proposta contrasterebbe con il principio di uguaglianza-ragionevolezza36, nel senso che si punirebbe meno severamente l’omessa comunicazione, sanzionata autonomamente dall’art. 257, co. 1 ultimo periodo, rispetto all’inosservanza delle successive fasi della procedura di bonifica, pur essendo entrambe le condotte funzionali al medesimo risultato della omessa bonifica.
L’obiezione non sembra decisiva.
Da un lato l’omessa comunicazione dell’evento potenzialmente inquinante può effettivamente apprezzarsi come meno offensiva (poiché più remota rispetto all’offesa al bene finale) rispetto a inottemperanze successive, specie di quelle seguenti al riscontrato superamento delle soglie di contaminazione, che rendono l’inquinamento ipotizzabile inizialmente più probabile e più “vicino” alla soglia del danno qualificato.
D’altro canto la tesi contraria è a sua volta contrastante con il principio di uguaglianza-ragionevolezza, perché consentirebbe di non punire affatto condotte (omessa caratterizzazione, omessa attuazione del piano di caratterizzazione ecc., omessa analisi sito-specifica, e soprattutto omessa stesura del progetto una volta verificato il superamento delle CSR) certo dotate di maggiore offensività rispetto alla mancata comunicazione, perché via via più prossime al danno.
Rimane la critica sub b): l’inerzia dell’inquinatore nell’intraprendere e portare avanti le fasi precedenti la stesura del piano di bonifica, a ben vedere, renderebbe impossibile l’accertamento del superamento delle concentrazioni soglia di rischio, e dunque si finirebbe con il condannare un soggetto senza avere la certezza che lo stesso abbia realizzato l’inquinamento qualificato richiesto dalla norma.
Tale esito fotografa il procedimento ordinario di bonifica, che appunto prevede la collaborazione dell’inquinatore nella comunicazione dell’evento potenzialmente inquinante e il suo coinvolgimento nel piano di caratterizzazione e nelle tappe conseguenti.
Tuttavia, l’eventuale superamento delle concentrazioni soglia di rischio può essere accertato anche prescindendo dalla collaborazione dell’inquinatore: vuoi dal (diverso) proprietario attuale del sito37, vuoi dagli enti locali, vuoi dall’autorità giudiziaria con gli strumenti della consulenza tecnica o della perizia.
Così stando le cose può ben darsi il caso, verosimilmente diverso da quello che ha occasionato il revirement giurisprudenziale in commento, di accertato superamento delle concentrazioni soglia di rischio nonostante l’inerzia dell’inquinatore, laddove cioè altri soggetti, privati o pubblici, abbiano riscontrato tale dato.
4. Sulla natura e struttura del reato. – I temi evocati dalle sentenze richiamate offrono lo spunto per riflettere sulla controversa struttura della fattispecie di omessa bonifica, giustamente definita “un vero rompicapo” per il penalista38.
Secondo l’opinione prevalente, ormai fatta propria dalla Corte di Cassazione, si tratta di un reato a forma libera, causalmente orientato, con il superamento delle concentrazioni soglia di rischio quale evento di danno39.
La clausola “se non provvede alla bonifica in conformità al progetto approvato dall’autorità competente” integrerebbe come visto una condizione obbiettiva intrinseca di punibilità costruita negativamente40.
Dottrina e giurisprudenza attuali sembrano per contro avere superato la diversa tesi, avanzata perlopiù in vigenza delle precedenti “versioni” della fattispecie in esame, che qualificava il reato come omissivo e di pericolo presunto41 e individuava nella mancata bonifica la condotta omissiva tipica, con il superamento delle soglie di inquinamento (ieri rappresentate dai livelli di accettabilità, oggi dalle più qualificate ed “esigenti” concentrazioni soglia di rischio) quale presupposto della condotta.
In effetti, la nuova formulazione della fattispecie, con l’innovativo riferimento al superamento delle CSR, e cioè a ipotesi di inquinamento qualificato e costruito su parametri “ad situs”, anziché su presunzioni tabellari, sembra oggi più di ieri spostare il baricentro del disvalore sull’evento dell’inquinamento, piuttosto che sull’omessa bonifica.
L’interpretazione qui sostenuta, che vede la bonifica conforme come causa di non punibilità sopravvenuta, potrebbe presentare inconvenienti rispetto al decorrere dei termini di prescrizione, qualora il reato venisse considerato istantaneo o comunque ad effetti permanenti42, anziché permanente43.
In particolare, rimane altamente problematica l’ipotesi, significativa nella prassi, nella quale condotte pregresse di inquinamento, interrottesi nel passato, continuino a dispiegare i propri effetti sulle matrici ambientali, in casi cioè di inquinamento da fonte dinamica (per es. in caso di percolamento di sostanze tossiche nella falda acquifera provocato da rifiuti abbandonati sul terreno sovrastante).
Il tema della natura istantanea o permanente del reato in esame, particolarmente complesso, richiederebbe approfondimenti incompatibili con le dimensioni di questo lavoro.
In questa sede, può solo segnalarsi la difficoltà di fornire risposte univoche al metro delle correnti definizioni di reato permanente, incentrate da un lato sull’idea di un bene giuridico comprimibile e dunque riespandibile nel tempo; dall’altro sulla riferibilità della protrazione dell’offesa alla volontà dell’agente.
L’ambigua natura del bene ambiente44, la struttura barocca del reato in esame e la sua natura (eventualmente) colposa45, in uno con le peculiarità fattuali di condotte di inquinamento da fonte dinamica, lasciano aperto il campo a interpretazioni diverse, rimesse una volta di più al diritto giurisprudenziale, vero protagonista del diritto penale ambientale italiano.
Associato di diritto penale e diritto penale dell’ambiente
nell’Università di Milano-Bicocca
Il co. 4 specifica, in positivo, che “l’osservanza dei progetti approvati ai sensi degli artt. 242 e seguenti costituisce condizione di non punibilità per i reati ambientali contemplati da altre leggi per il medesimo evento e per la stessa condotta di inquinamento di cui al comma 1”.
In passato norma analoga era stata introdotta dall’art. 50, co. 2 d.lgs. n. 22/1997, poi interpolato dal d.lgs. n. 389/1997 nell’art. 51-bis del d.lgs. n. 22/1997: “Chiunque cagiona l’inquinamento o un pericolo concreto di inquinamento, previsto dall’art. 17, co. 2, è punito…se non provvede alla bonifica secondo il procedimento di cui all’art. 17”.
Emblematica la tesi giurisprudenziale (enunciata nell’ord. Trib. Venezia, sez. distaccata di Dolo, 20.9.2006, in Il Corriere del Merito, n. 2/2007, 225 ss., con nota di G. GATTA), secondo cui si deve dare della nozione di rifiuto una interpretazione programmaticamente estensiva: “va sempre tenuto presente che il criterio in base al quale adottare l’interpretazione più corretta in materia di rifiuti è quello di non pregiudicare l’efficacia del diritto comunitario che in questo settore si basa sul generale principio di interpretazione estensiva della nozione di rifiuto per tutelare la salute umana e l’ambiente”.
Il tema di grande complessità, non può essere approfondito in questa sede. Ci si limita a segnalare che la norma in esame, come norma eccezionale, mal si presta ad applicazioni analogiche, pure in bonam partem; per contro cfr. Corte cost. 19/1998, con sentenza interpretativa di rigetto, ammette, in tema di violazioni antinfortunistiche, che l’autonoma eliminazione della situazione illecita da parte del contravventore sia equivalente alla regolarizzazione della stessa a seguito di ottemperanza alle prescrizioni dell’organo di vigilanza ex art. 24 d.lgs. n. 758/1994, costituente quest’ultima unica causa espressa di estinzione del reato.
Con un duplice apparente inconveniente.
Dal punto di vista del reo aspirante bonificatore i tempi “burocratici” di realizzazione della bonifica potrebbero rivelarsi troppo lunghi e “sfasati” rispetto ai tempi della giustizia penale.
Verificato l’evento di inquinamento, l’autorità giudiziaria, in ipotesi, dovrebbe procedere per il reato di omessa bonifica, pur in presenza di un procedimento di bonifica ancora pendente (per almeno 8 mesi ex art. 242, co. 7 TUA, nel caso di procedura ordinaria) e destinato, ove rispettato tempestivamente, a garantire l’impunità dell’inquinatore.
Ora, è ben vero che il codice di procedura penale non impone al giudice penale alcun obbligo – sì invece la facoltà - di sospensione del procedimento neppure in pendenza di un procedimento amministrativo avanti il giudice amministrativo in caso di questione pregiudiziale (cfr. art. 479 c.p.p.).
Tuttavia, così come accade nella prassi rispetto alle istanze difensive di rinvio in pendenza di un procedimento amministrativo teso al rilascio dell’autorizzazione di compatibilità paesaggistica, estintivo del reato paesistico-ambientale, nulla vieta al giudice penale di rinviare il procedimento penale in attesa della definizione del procedimento amministrativo.
Altro inconveniente riguarderebbe le ipotesi in cui la scoperta dell’inquinamento qualificato e l’attivazione della relativa procedura di bonifica siano di anni successiva all’originario inquinamento, come ben può accadere in casi di risalente cessazione dell’attività produttiva. In tali ipotesi, come meglio illustrato oltre nel testo, occorre verificare se la fonte dell’inquinamento riconducibile all’inquinatore sia tuttora attiva, nel qual caso potrebbe porsi il problema della natura permanente del reato, ovvero se sia statica, nel senso che si è stabilizzata nel passato, nel qual caso il reato sarà istantaneo, e la consumazione inizierà a decorrere dal momento nel quale l’inquinamento ha superato le CSR o al più tardi quando si è cristallizzata la relativa situazione di degrado.
Nei casi in cui la condotta di inquinamento, che pure in una certa data abbia comportato il superamento delle concentrazioni soglia di rischio, si protragga attraverso ulteriori immissioni, emissioni o depositi di rifiuti, qualificando il reato come istantaneo si avranno più fatti di reato ex art. 257 TUA, la cui prescrizione decorrerà in tempi diversi a seconda del momento in cui sono intervenute le relative condotte, eventualmente unite dal vincolo della continuazione (nei limiti in cui sia provato in concreto il dolo o si ritenga compatibile il reato continuato con imputazioni per colpa). Non va però esclusa una possibile diversa lettura che, in caso di condotta protratta serialmente in contesti spazio-temporali unitari (per. es. quotidiano depositi illeciti di rifiuti tossici o quotidiano sversamento idrico di sostanze pericolose oltre soglia) qualifichi il reato come permanente.
In dottrina, sul tema v. L. PRATI, La responsabilità per l’inquinamento pregresso e la “posizione di garanzia” nella normativa sulla bonifica dei siti contaminati, nota a Trib. Venezia, sez. I pen., 29.5.2002, C., in Riv. Giur. Amb., 2003, 159 ss., anche per la distinzione tra fonte “attiva” e situazione statica di inquinamento in relazione al tema della natura permanente o meno del reato, nonché D. MICHELETTI, in F. GIUNTA (a cura di), Codice commentato cit., 375 ss., specie in relazione alle “contaminazioni storiche di carattere dinamico” successive al d.m. 471/1999 e ai connessi obblighi di contenimento, omettendo i quali il custode, ex art. 2051 c.c., “si esporrebbe ad un’ulteriore forma di contaminazione ambientale a danno di altri fondi o altre matrici ambientali (ad es. falde acquifere), del quale dovrebbe poi rispondere ai sensi dell’art. 257 d.lg. 152/2006”
Il verbo “cagiona” abbraccia condotte sia attive che omissive. Obblighi di impedimento di conseguenze ulteriori di inquinamenti in atto in capo all’inquinatore sono verosimilmente desumibili dall’art. 242, co. 1 d.lgs. 152/2006 (…il responsabile dell’inquinamento mette in opera entro 24 ore le misure necessarie di prevenzione e ne dà immediata comunicazione…La medesima procedura si applica all’atto di individuazione di contaminazioni storiche che possano ancora comportare rischi di aggravamento della situazione di contaminazione”, nonché, più problematicamente, ad es,. dall’art. 192 d.lgs. 152/2006 (obblighi di rimozione dei rifiuti e ripristino dello stato dei luoghi) e dall’art. 256, co. 3 del d.lgs. 152/2006, ove gli obblighi di bonifica o ripristino conseguono alla condanna per il reato di discarica abusiva, tipico reato “a monte” di quello in esame.
Controversa appare la posizione del proprietario, il quale ex art. 242 co. 2 d.lgs. 152/2006 ha obblighi di comunicazione e di attuazione di misure di prevenzione, ma solo ove “rilevi il superamento o il pericolo concreto e attuale del superamento delle concentrazioni soglia di rischio (CSC) …”; secondo parte della giurisprudenza amministrativa il soggetto non responsabile, una volta che intervenga volontariamente nella procedura di bonifica, avrebbe l’obbligo di portarla a compimento: cfr. sul tema, criticamente, F. VANETTI, Obbligo di bonifica: sussiste anche nei confronti di un soggetto non responsabile che interviene volontariamente?, in Riv. giur. amb. 2011, 3-4, 537 ss.