Cass. Sez. III n. 16207 del 9 aprile 2013 (ud. 14 mar. 2013)
Pres. Squassoni Est. Ramacci Ric. Roscigno
Caccia e animali. Esercizio di attività venatoria con mezzi vietati

Devono ritenersi vietati non soltanto tutti i mezzi diretti ad abbattere la fauna selvatica diversi da quelli specificamente ammessi, ma anche tutti quegli accessori che il detentore aggiunge all'arma per renderla più offensiva e ciò in quanto il legislatore, nell'indicare le caratteristiche che l'arma deve avere per essere lecita, prende in considerazione solo quelle realizzate dal produttore, cosicché qualsiasi modificazione accessoria o sostitutiva di quella propria dell'arma, rende questa diversa da quella prevista dal legislatore e perciò non consentita, poiché in materia di caccia non vige la regola in forza della quale tutto ciò che non è espressamente vietato deve considerarsi consentito, ma quella opposta in base alla quale tutto ciò che non è espressamente consentito deve considerarsi vietato

 

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Udienza pubblica
Dott. SQUASSONI Claudia - Presidente - del 14/03/2013
Dott. MULLIRI Guicla - Consigliere - SENTENZA
Dott. RAMACCI Luca - rel. Consigliere - N. 758
Dott. GRAZIOSI Chiara - Consigliere - REGISTRO GENERALE
Dott. ANDRONIO Alessandro - Consigliere - N. 27645/2012
ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
ROSCIGNO CARMINE N. IL 19/10/1952;
avverso la sentenza n. 696/2007 TRIB.SEZ.DIST. di EBOLI, del 31/03/2008;
visti gli atti, la sentenza e il ricorso;
udita in PUBBLICA UDIENZA del 14/03/2013 la relazione fatta dal Consigliere Dott. LUCA RAMACCI;
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. Delehaye Enrico, che ha concluso per l'inammissibilità del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
1. Il Tribunale di Salerno - Sezione Distaccata di Eboli, con sentenza del 31.3.2008 ha riconosciuto la responsabilità penale di ROSCIGNO Carmine in ordine al reato di cui alla L. n. 157 del 1992, art. 30, lett. h), per aver esercitato la caccia con mezzi vietati, utilizzando un fucile a tre colpi in violazione della citata Legge, art. 13 che consente l'attività venatoria con fucile ad anima liscia fino a due colpi.
Avverso tale pronuncia il predetto ha proposto appello, convertito in ricorso per cassazione e trasmesso a questa Corte con ordinanza della Corte di appello di Salerno in data 22.6.2012.
Nell'atto di impugnazione l'imputato lamenta che erroneamente il giudice del merito avrebbe ritenuto sussistente, nella fattispecie, un'attività rientrante nella nozione di atteggiamento di caccia ed avrebbe dovuto invece assolverlo con formula ampia. Insiste, pertanto, per l'accoglimento dell'impugnazione. CONSIDERATO IN DIRITTO
2. Il ricorso è inammissibile.
Occorre preliminarmente osservare che la giurisprudenza consolidata di questa Corte, che il Collegio condivide, ha chiaramente precisato che qualora un provvedimento giurisdizionale sia impugnato con un mezzo di gravame diverso da quello legislativamente stabilito, il giudice che riceve l'atto di gravame deve limitarsi, secondo quanto stabilito dall'art. 568 c.p.p., comma 5, alla verifica dell'oggettiva impugnabilità del provvedimento e dell'esistenza della volontà di impugnare, intesa come proposito di sottoporre l'atto impugnato a sindacato giurisdizionale e, conseguentemente, trasmettere gli atti al giudice competente astenendosi dall'esame dei motivi al fine di verificare, in concreto, la possibilità della conversione (Sez. 5 n. 21581, 25 maggio 2009; Sez. 3, n. 19980, 12 maggio 2009; Sez. 3, n.2469, 17 gennaio 2008; Sez. 4, n. 5291, 10 febbraio 2004; Sez. 5, n. 27644, 26 giugno 2003; Sez. 4, n.17374, 14 aprile 2003; Sez. 2, n.14826, 28 marzo 2003; Sez. 2, n. 12828, 19 marzo 2003; Sez. 3, n. 17474, 9 maggio 2002 SS. UU. n. 45371, 20 dicembre 2001). Si è peraltro affermato che l'istituto della conversione della impugnazione previsto dall'art. 568 c.p.p., comma 5, ispirato al principio di conservazione degli atti, determina unicamente l'automatico trasferimento del procedimento dinanzi al giudice competente in ordine alla impugnazione secondo le norme processuali e non comporta una deroga alle regole proprie del giudizio di impugnazione correttamente qualificato. Pertanto, l'atto convertito deve avere i requisiti di sostanza e forma stabiliti ai fini della impugnazione che avrebbe dovuto essere proposta. (Sez. 1, n. 2846, 9 luglio 1999. V. anche ex pl. Sez. 4, n. 5291, 10 febbraio 2004; Sez. 3, n. 26905, 16/06/2004).
A tali principi si è adeguata la Corte di appello di Salerno che ha trasmesso gli atti a questa Corte.
3. Ciò premesso, deve tuttavia rilevarsi che, con argomentazioni in fatto, del tutto coerenti e immuni da cedimenti logici e, come tali, incensurabili in questa sede di legittimità, il giudice del merito ha ritenuto la sussistenza del reato contestato ed a tali considerazioni vengono opposte doglianze articolate quasi esclusivamente in fatto che propongono una lettura alternativa delle risultanze probatorie già esaminate dal giudice del merito non consentita al giudice di legittimità.
4. Invero, la L. n. 157 del 1992, art. 12 fornisce una definizione di "esercizio venatorio" ai commi 2 e 3 e l'individua in "ogni atto diretto all'abbattimento o alla cattura di fauna selvatica" mediante l'impiego dei mezzi indicati, in modo specifico, nell'art. 13. Viene altresì compreso nell'esercizio venatorio "il vagare o il soffermarsi con i mezzi destinati a tale scopo o in attitudine di ricerca della fauna selvatica o di attesa della medesima per abbatterla".
Da tale descrizione consegue che l'attività di caccia non contempla esclusivamente la cattura e l'uccisione della selvaggina, ma anche l'attività preliminare e la predisposizione dei mezzi ed ogni altro atto diretto alla cattura e all'abbattimento in tal senso qualificabile dal complesso delle circostanze di tempo e di luogo in cui esso viene posto in essere.
Tale ampia nozione della pratica venatoria è stata ripetutamente considerata dalla giurisprudenza di questa Corte (Sez. 3, n. 6762, 22 febbraio 2006, non massimata; Sez. 3, n. 2204, 25 gennaio 2005; Sez. 3, n. 48100, 17 dicembre 2003; Sez. 3, n. 6812, 5 luglio 1996), la quale ha anche esplicitamente escluso la possibilità di una lettura in senso riduttivo della richiamata disposizione (Sez. 3, n. 18088, 16 aprile 2003; Sez. 3, n. 452, 15 gennaio 1999) ed affermato che l'accertamento dell'esercizio venatorio costituisce giudizio di fatto, incensurabile in cassazione se adeguatamente motivato (Sez. 3, n. 2555, 25 ottobre 1994).
Nelle richiamate decisioni l'esercizio dell'attività venatoria è stato rinvenuto, ad esempio: nel possesso di fucile e delle relative cartucce, nello sparo di uno o più colpi e l'accompagnamento con un cane da caccia; nel recarsi a caccia, con l'annotazione sul relativo tesserino, in possesso di richiami vietati; nell'ispezione di trappole predisposte per la cattura di richiami vivi; nell'aggirarsi con un fucile e in osservazione del territorio.
5. Nella fattispecie, il giudice del merito ha evidenziato, all'esito dell'istruzione dibattimentale, che dalle dichiarazioni testimoniali rese dagli accertatori e dai testi indotti dalla difesa era emerso che l'imputato era in possesso di un fucile da caccia non rispondente alle caratteristiche previste dalla legge che veniva rinvenuto, in una località deputata alla caccia, all'interno del bagagliaio di una autovettura di proprietà di un terzo, pure presente sul posto ove venivano anche rinvenute in terra molte cartucce.
Si tratta, a ben vedere, di elementi obiettivi del tutto idonei a configurare un'ipotesi di esercizio dell'attività di caccia nel senso in precedenza delineato e la valutazione operata dal giudice del merito, conseguentemente, non presenta alcun profilo di illegittimità.
6. Parimenti pacifica risulta la collocazione dell'arma sequestrata tra quelle vietate ai sensi della L. n. 157 del 1992, art. 13, comma 1, trattandosi di fucile con serbatoio privo di riduttori e con capacità di tre cartucce, mentre la menzionata disposizione consente l'uso del fucile con canna ad anima liscia fino a due colpi, a ripetizione e semiautomatico, con caricatore contenente non più di due cartucce, di calibro non superiore al 12.
A tale proposito deve ribadirsi che devono ritenersi vietati non soltanto tutti i mezzi diretti ad abbattere la fauna selvatica diversi da quelli specificamente ammessi, ma anche tutti quegli accessori che il detentore aggiunge all'arma per renderla più offensiva e ciò in quanto il legislatore, nell'indicare le caratteristiche che l'arma deve avere per essere lecita, prende in considerazione solo quelle realizzate dal produttore, cosicché qualsiasi modificazione accessoria o sostitutiva di quella propria dell'arma, rende questa diversa da quella prevista dal legislatore e perciò non consentita, poiché in materia di caccia non vige la regola in forza della quale tutto ciò che non è espressamente vietato deve considerarsi consentito, ma quella opposta in base alla quale tutto ciò che non è espressamente consentito deve considerarsi vietato (così Sez. 3, n. 28511, 13 luglio 2009). 7. Il ricorso, conseguentemente, deve essere dichiarato inammissibile e alla declaratoria di inammissibilità - non potendosi escludere che essa sia ascrivibile a colpa del ricorrente (Corte Cost. 7-13 giugno 2000, n. 186) - consegue l'onere delle spese del procedimento, nonché quello del versamento, in favore della Cassa delle ammende, della somma, equitativamente fissata, di Euro 1.000,00. L'inammissibilità del ricorso per cassazione dovuta alla manifesta infondatezza dei motivi non consente il formarsi di un valido rapporto di impugnazione e preclude, pertanto, la possibilità di rilevare e dichiarare le cause di non punibilità a norma dell'art. 129 c.p.p..

P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del procedimento e della somma di Euro 1.000,00 in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma, il 14 marzo 2013.
Depositato in Cancelleria il 9 aprile 2013