TAR Molise Sez. I n. 326 del 1 giugno 2018
Urbanistica.Ordinanza di demolizione e suo destinatario
Il presupposto per l'adozione di un'ordinanza di ripristino non è l'accertamento di responsabilità storiche nella commissione dell'illecito, ma l'esistenza di una situazione dei luoghi contrastante con quella codificata nella normativa urbanistica ed edilizia e l'individuazione di un soggetto che abbia la titolarità ad eseguire l'ordine ripristinatorio e, quindi, il proprietario in virtù del suo diritto dominicale. In considerazione di ciò, la misura ripristinatoria è posta a carico non solo dell'autore dell'illecito, ma anche del proprietario del bene e dei suoi aventi causa
Pubblicato il 01/06/2018
N. 00326/2018 REG.PROV.COLL.
N. 00031/2015 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Molise
(Sezione Prima)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 31 del 2015, proposto da
D.A.P.A.V. di D’Appollonio Andrea & C. S.a.s., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Anton Giulio Giallonardi e Giacomo Papa, con domicilio eletto presso lo studio Gabriella Gamberale in Campobasso, via Crispi, n. 8;
contro
Comune di Venafro in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato Arianna Vallone, con domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato Demetrio Rivellino in Campobasso, via D'Amato, n. 13/D;
per l'annullamento
del provvedimento del Responsabile del Settore Urbanistica e Gestione del Territorio del Comune di Venafro n. 62 del 22.9.14 - successivamente notificato il 3.11.14 con il quale è stato ordinato il ripristino dello stato dei luoghi del fabbricato individuato al catasto terreni del Comune di Venafro al foglio di mappa 20 particella n. 281 sub 1 della relazione di sopraluogo prot. 12791/2014, nonchè di tutti gli atti presupposti, connessi e/o comunque consequenziali.
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio del Comune di Venafro;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 18 aprile 2018 il dott. Domenico De Falco e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
Con ricorso spedito a notifica in data 31 dicembre 2014 e depositato il successivo 27 gennaio, la D.A.P.A.V. di Apollonio Andrea & C. S.A.S. (di seguito la società), ha impugnato il provvedimento n. 62 del 22 settembre 2014 (conosciuto in data 3 novembre 2014) con cui il settore Urbanistica del Comune di Venafro ha ordinato alla società di provvedere al ripristino dello stato dei luoghi in relazione ad un fabbricato individuato al foglio di mappa 20 particella n. 281 sub 1.
La società premette di essere proprietaria di un fabbricato al foglio 20 particelle 280 e 281 e di averlo concesso dal 1998 in locazione ad uso commerciale ad un’azienda che vi stabiliva la propria sede, conseguendo le autorizzazioni necessarie. Nella posizione della conduttrice subentravano poi altre società che continuavano ad esercitare l’attività commerciale, con la conseguenza che la ricorrente ne avrebbe perso la disponibilità per oltre 15 anni.
In particolare, con la gravata ordinanza venivano rilevate le seguenti irregolarità edilizie:
<<- differente destinazione d’uso dell’intera superficie dei locali, in particolare: la quasi totalità della superficie costituente il piano terra è adibita ad uso commerciale, mentre una piccola porzione è riservata al deposito dell’attività stessa; il commercio praticato consiste nella compravendita di oggettistica inerente i materiali di pulizia per la casa e il fai da te; materiali di ferramenta e per il giardinaggio, attrezzature di arredo esterno, dotazioni e cose per cani; altri materiali di vario genere; il lay out è organizzato per settori merceologici, un apposito spazio è riservato alla cassa, ed un altro (alle spalle della cassa) ad ufficio; quindi l’intera superficie che agli atti di ufficio è destinata ad uso di deposito prodotti ortofrutticoli(di dimensioni superiori a 1.000 mq) risulta impropriamente utilizzata per la commercializzazione dei prodotti sopra elencati; differente destinazione d’uso delle aree pertinenziali, in particolare: il piazzale, che nelle autorizzazioni sopra richiamate risulta a verde e parcheggi, viene utilizzato in parte parcheggio ed in parte per esposizione e il deposito di materiali vari e attrezzature per il giardinaggio; le opere realizzate in assenza di titolo abilitativo consistono in:
tettoia in ferro e lamiera ubicata a confine con la strada di bonifica via Lungorava avente una superficie di circa mq 200 utilizzata come deposito ed esposizione di materiali vario;
insegne di esercizio installate all’ingresso del piazzale e a ridosso dell’edificio>>.
Ciò premesso sul piano fattuale, l’ordinanza prosegue rilevando che la zona interessata dagli interventi in questione è classificata come “E” agricola con la conseguente esclusone ai sensi dell’art. 16 delle NTA di ogni destinazione commerciale o comunque non servente rispetto alle finalità agricole; inoltre l’area rientrerebbe nell’ambito della fascia “B” inclusa nel piano stralcio di Difesa dalle Alluvioni rispetto alla quale le NTA all’art. 29, co. 9 e 10, escludono mutamenti di destinazioni. Inoltre gli interventi eseguiti comportano l’alterazione dello stato dei luoghi in un territorio dichiarato di notevole interesse storico ai sensi dell’art. 146 del d.lgs. n. 42/2004, senza considerare che il territorio in questione è anche sismico, con obbligo di procedere ai conseguenti adempimenti per gli interventi edilizi.
Su tali basi l’ordinanza ha ingiunto la riduzione in pristino, senza la quale il Comune avrebbe potuto procedere all’immissione in possesso dell’area.
Avverso tale statuizione parte ricorrente ha proposto il ricorso introduttivo del presente giudizio affidato ai seguenti motivi.
I) Violazione ed errata applicazione dell’art. 29 e 31 del d.P.R. n. 380/2001; violazione ed errata applicazione dell’art. 97 della Costituzione; eccesso di potere sotto vari profili.
Il gravato provvedimento sarebbe illegittimo, in quanto adottato nei confronti di un proprietario che non aveva più la disponibilità dell’immobile, laddove il destinatario dell’ordinanza deve essere in grado di rimuovere la situazione antigiuridica determinatasi a seguito del presunto illecito edilizio. Peraltro l’ente procedente era a conoscenza della mancata disponibilità dell’area da parte della ricorrente.
II) Violazione ed errata applicazione dell’art. 3 della l. n. 241/1990; dell’art. 16 NTA e degli artt. 9 e 29 PSDA – Bacino dei fiumi Liri-Garigliano e Volturno; del d.lgs. n. 42/2004 nonché dell’art. 31, co. I e II, d.P.R. n. 380/2001; del D.M. 7.3.1981 e della legge regionale 20/1996; eccesso di potere sotto vari profili.
Il provvedimento impugnato avrebbe dovuto indicare lo specifico interesse pubblico sotteso all’ordine di ripristino, in quanto il lungo lasso di tempo decorso dal momento in cui l’Amministrazione ha avuto effettiva conoscenza dei presunti abusi a quello in cui ha adottato l’ordinanza avrebbe consolidato un affidamento del privato che richiedeva l’evidenziazione di un interesse specifico al ripristino. Inoltre, la modifica della destinazione d’uso non avrebbe avuto alcun impatto sull’aspetto paesaggistico, con la conseguenza che nessuna violazione dell’art. 146 del d.lgs. n. 42/2004 potrebbe venire in rilievo. Infine la realizzazione della tettoia e la differente destinazione d’uso dell’area antistante il fabbricato non rientrerebbero nel concetto di abuso di cui all’art 31 d.P.R. n. 380/2001 con il conseguente eccesso di potere posto in essere dal Comune e mancata esplicitazione dei motivi per cui tali fattispecie integrerebbero una violazione edilizia.
Con atto depositato in data 12 febbraio 2015 si è costituito in giudizio il Comune di Venafro chiedendo la reiezione del ricorso e depositando documenti.
Con la successiva memoria, il Comune ha in fatto precisato che alla società I.VE.CO. (a cui è subentrata l’odierna ricorrente) veniva rilasciata la concessione Edilizia n. 17 del 28/04/1995, con la quale veniva assentito e destinato il fabbricato in questione, a centro raccolta prodotti ortofrutticoli, giustificato dalle esigenze di sviluppo dell’agricoltura locale.
Con autorizzazione Edilizia n°11644 del 18/12/1996 veniva poi regolarizzata a sanatoria l’esecuzione di alcune varianti consistenti in opere minori, (recinzioni, tramezzature etc.) che successivamente venivano eseguite sullo stesso immobile dalla società ricorrente alla quale era stata trasferita la proprietà, giustificate dalle medesime esigenze di deposito prodotti ortofrutticoli.
Successivamente, veniva rilasciata alla società ricorrente il Permesso di Costruire n. 29 del 18/04/2011, con il quale, ferma restante la destinazione d’uso di centro di raccolta prodotti ortofrutticoli, veniva assentita la realizzazione di un garage all’interno dell’anzidetto centro di raccolta prodotti ortofrutticoli, con accesso da apertura già esistente.
La DAPAV, poi, presentava al Comune di Venafro la S.C.I.A. prot. n. 19242 del 15/11/2013 (DOC. n. 3) ai sensi della L.R. n. 30/2009, avente ad oggetto il cambio di destinazione d’uso da deposito ortofrutticolo ad attività commerciale.
In data 15/01/2014 prot. n. 747 (DOC. n. 4) il Comune di Venafro relativamente alla predetta SCIA prot. n. 19242/2013, emetteva un provvedimento di diniego di prosecuzione dell’attività e di rimozione di eventuali effetti dannosi ai sensi dell’art. 19 comma 3 e 4 della L. 241/90, L. 24/12/1993 n. 537 e s.m.e.i, “perché in contrasto con la vigente legislazione urbanistica comunale e sovra comunale”.
Si accertavano poi con sopralluogo del 30 luglio 2014 le violazioni edilizie evidenziate nella citata ordinanza.
Ciò precisato in fatto il Comune ha confutato tutti i motivi di ricorso e ha concluso per la reiezione del ricorso.
In prossimità della discussione di merito parte ricorrente insisteva nelle proprie deduzioni e argomentazioni e all’udienza pubblica del 18 aprile 2018 la causa è stata trattenuta in decisione.
Tutti i motivi di ricorso sono infondati.
Con il primo motivo parte ricorrente contesta la legittimità dell’ordine di ripristino, in quanto adottato nei confronti di un proprietario che pacificamente non detiene da oltre un decennio la disponibilità materiale dell’area oggetto del provvedimento.
Al riguardo il Collegio condivide l’orientamento giurisprudenziale secondo cui sia il responsabile dell’abuso edilizio che il proprietario della res (qualora le due qualità non si identifichino nella stessa persona) possono divenire destinatari della sanzione reale contemplata dall’art. 31, co. 2, d.P.R. 380/2001.
Al riguardo si rileva in giurisprudenza che, ai sensi dell'art. 31, comma 2, del D.P.R. n. 380/2001, affinché il proprietario di una costruzione abusiva possa essere destinatario dell'ordinanza di demolizione non occorre stabilire se egli sia responsabile dell'abuso, poiché la stessa disposizione nazionale si limita a prevedere la legittimazione passiva del proprietario non responsabile all'esecuzione dell'ordine di demolizione, senza richiedere l'effettivo accertamento di una qualche responsabilità. Il presupposto per l'adozione di un'ordinanza di ripristino non è l'accertamento di responsabilità storiche nella commissione dell'illecito, ma l'esistenza di una situazione dei luoghi contrastante con quella codificata nella normativa urbanistica ed edilizia e l'individuazione di un soggetto che abbia la titolarità ad eseguire l'ordine ripristinatorio e, quindi, il proprietario in virtù del suo diritto dominicale. In considerazione di ciò, la misura ripristinatoria è posta a carico non solo dell'autore dell'illecito, ma anche del proprietario del bene e dei suoi aventi causa /cfr. T A.R. Firenze, (Toscana), sez. III, 28/02/2017, n. 313); ed, ancora: <<L'ordinanza di demolizione di opere abusive è legittimamente adottata nei confronti del proprietario dell'immobile sia estraneo alla realizzazione delle stesse, venendo in rilievo la sua posizione di estraneità all'esecuzione dell'abuso, nella fase successiva dell'acquisizione gratuita delle stesse al patrimonio comunale, conseguente alla inottemperanza dell'ordine demolitorio >>. (T.A.R. Campania, Salerno, sez. I, 05/01/2017, n. 29).
Tale ultima affermazione è astrattamente corretta (salvo quanto si dirà in occasione della disamina della successiva censura), al riguardo rilevandosi in giurisprudenza che se è vero che il proprietario del fabbricato deve ritenersi passivamente legittimato rispetto al provvedimento di demolizione, indipendentemente dall'essere o meno estraneo alla realizzazione dell'abuso, << è altrettanto vero che qualora egli dimostri la sua assoluta estraneità all'abuso edilizio commesso da altri e manifesti il suo attivo interessamento, con i mezzi consentitigli dall'ordinamento per la rimozione dell'opera abusiva, resta salva la sua tutela dagli effetti dell'inottemperanza all'ordine di demolizione che lo stesso sia stato impossibilitato ad eseguire; in altri termini, l'estraneità del proprietario agli abusi edilizi commessi sul bene da un soggetto - che ne abbia la piena ed esclusiva disponibilità - non implica l'illegittimità dell'ordinanza di demolizione o di riduzione in pristino dello stato dei luoghi, emessa nei suoi confronti, ma solo l'inidoneità del provvedimento repressivo a costituire titolo per l'acquisizione gratuita al patrimonio comunale dell'area di sedime sulla quale insiste il bene >> (T.A.R. Potenza, (Basilicata), sez. I, 24/10/2017, n. 653).
Con il secondo articolato motivo di ricorso parte ricorrente si duole, in primo luogo, che il provvedimento impugnato non indicherebbe l’interesse pubblico sotteso all’ordinanza, laddove sarebbe stato necessario tenuto conto del lungo lasso di tempo trascorso tra il momento in cui il Comune ha acquisito consapevolezza della situazione e l’intervento repressivo.
Tale profilo di censura non merita positiva considerazione.
E’ noto, infatti, che in materia edilizia il carattere vincolato della determinazione sanzionatoria, dipendente unicamente dall’accertamento dell’abuso compiuto, esclude la necessità di una specifica valutazione delle ragioni d'interesse pubblico concreto ed attuale o di una comparazione di quest'ultimo con gli interessi privati coinvolti e sacrificati, in quanto non è configurabile alcun affidamento giuridicamente tutelabile alla conservazione di una situazione di illecito permanente che non può di norma essere sanata dal mero trascorrere del tempo (cfr. Cons. St., sez. IV, 29/4/2014, n. 2228; T.A.R. Napoli Campania, sez. IV, n. 03614/2016; T.A.R. Campania, Salerno, sez. II, 13 dicembre 2013, n. 2480; T.A.R. Basilicata, sez. I, 6 dicembre 2013, n. 770); inoltre (T.A.R. Napoli sez. VI, 20/03/2014, n. 1616; anche:
Peraltro, confutandosi così anche la censura sul difetto di motivazione, secondo condivisa giurisprudenza, l'esercizio del potere repressivo delle opere edilizie realizzate in assenza del titolo edilizio mediante l'applicazione della misura ripristinatoria costituisce atto dovuto e tale atto può ritenersi sufficientemente motivato per effetto della stessa descrizione dell'abuso accertato (nella specie, come rilevasi dalla relazione tecnica redatta dal Servizio Antiabusivismo edilizio prot. 0080273/2011 del 9.12.2011), presupposto giustificativo necessario e sufficiente a fondare la spedizione della misura sanzionatoria. (Cfr. T.A.R. Napoli, (Campania), sez. VI, 03/08/2016, n. 4017 e C. di S., sez. V, 11 giugno 2013, n. 3235).
Nel concetto di abuso rientra poi pacificamente anche l’alterazione della destinazione d’uso, atteso che essa incide profondamente sul carico urbanistico e sulla relativa pianificazione oltre che sulle previsioni antisismiche. Peraltro nel caso di specie sono state rilevate violazioni che attengono anche alla realizzazione di manufatti abusivi che non possono non incidere sugli interessi a cui risultano preordinati i vincoli di cui al d.lgs. n. 42/2004 insistenti sulla zona così come anche sulle previsioni antisismiche.
Anche sotto questo profilo il provvedimento si rileva immune dai vizi denunciati e tanto meno dal lamentato eccesso di potere, avendo il comune correttamente e doverosamente esercitato il proprio potere di vigilanza e repressione degli abusi edilizi, dapprima a monte con riguardo alla proposta SCIA e, successivamente, a valle dopo aver eseguito il sopralluogo e constatato la commissione dei segnalati abusi.
In definitiva il ricorso deve essere respinto. Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Molise (Sezione Prima), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo respinge.
Condanna parte ricorrente al pagamento delle spese processuali nei confronti della resistente amministrazione comunale nella misura di euro 1.500,00 (millecinquecento/00) oltre interessi ed accessori di legge.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’Autorità amministrativa.
Così deciso in Campobasso nella camera di consiglio del giorno 18 aprile 2018 con l'intervento dei magistrati:
Silvio Ignazio Silvestri, Presidente
Orazio Ciliberti, Consigliere
Domenico De Falco, Primo Referendario, Estensore
L'ESTENSORE IL PRESIDENTE
Domenico De Falco Silvio Ignazio Silvestri