Cass. Sez. III n. 24719 del 7 luglio 2025 (CC 3 apr 2025)
Pres. Ramacci Est. Aceto Ric. Fatticcio
Urbanistica.Ordine di demolizione esteso all'intero manufatto 

L’ordine di demolizione del manufatto abusivo, previsto dall'art. 31, comma nono, del d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, riguarda l'edificio nel suo complesso, comprensivo di eventuali aggiunte o modifiche successive all'esercizio dell'azione penale e/o alla condanna, atteso che l'obbligo di demolizione si configura come un dovere di "restitutio in integrum" dello stato dei luoghi e, come tale, non può non avere ad oggetto sia il manufatto abusivo originariamente contestato, sia le opere accessorie e complementari nonché le superfetazioni successive, sulle quali si riversa il carattere abusivo dell'originaria costruzione 

RITENUTO IN FATTO

                1. Marco Fatticcio ricorre per l’annullamento dell’ordinanza del 12 novembre 2024 della Corte di appello di Salerno che, pronunciando quale giudice dell’esecuzione, ha rigettato la richiesta di annullamento e/o revoca dell’ingiunzione a demolire emessa nei suoi confronti, quale attuale proprietario, dal Procuratore generale presso la medesima Corte in esecuzione dell’ordine contenuto nella sentenza del 14 maggio 2013 (irr. il 25 giugno 2014) pronunciata nei confronti del padre, Angelo Fatticcio, e di Gerardina Del Corsaro per i reati di cui ai capi A (art. 44, lett. b, d.P.R. n. 380 del 2001, accertato il 18 ottobre 2006), D (artt. 93 e 95 d.P.R. n. 380 del 2001, accertato il 18 ottobre 2006), E (art. 44, lett. b, d.P.R. n. 380 del 2001, accertato il 5 novembre 2008), F (artt. 64 e 71 d.P.R. n. 380 del 2001, accertato il 5 novembre 2008), G (artt. 65 e 72 d.P.R. n. 380 del 2001, accertato il 5 novembre 2008), H (artt. 93 e 95 d.P.R. n. 380 del 2001, accertato il 5 novembre 2008).
                    1.1. Con unico motivo deduce la illogicità, la contraddittorietà, l’assenza di motivazione, il travisamento della prova ed errores in iudicando ed in procedendo.
Premette, in fatto, che:
    (i)  le opere inizialmente rubricate al capo A erano state rimosse il 19 ottobre 2007;
    (ii)  successivamente erano state realizzate le opere di cui al capo E sottoposte a sequestro il 5 novembre 2008;
    (iii)  il 19 novembre 2008, l’allora proprietario, Angelo Fatticcio, aveva presentato al Comune di Salerno una DIA in sanatoria per le opere sanabili di cui al capo E ed aveva rimosso quelle non assentibili previa autorizzazione del Giudice procedente;
    (iv)  il Tribunale, accertata la effettiva rimozione delle opere non sanabili, aveva provveduto a revocare il sequestro con provvedimento del 14 maggio 2009;
    (v)  la sentenza di condanna di primo grado, pronunciata il 22 settembre 2009, non aveva “abiurato” l’ordinanza di dissequestro;
    (vi)  ciò nondimeno, il Procuratore generale ha ordinato la demolizione delle opere abusive non ancora rimosse benché alcuna opera abusiva fosse più presente sui luoghi come potuto accertate dallo stesso Tribunale a seguito di un sopralluogo all’esito del quale aveva decretato il dissequestro delle opere ritenute sanate in virtù della citata DIA;
    (vii)  in conseguenza di uno stato di fatto ritenuto legittimo, il 10 novembre 2009 Angelo Fatticcio aveva presentato una DIA per la realizzazione di alcune opere sul terrazzo. 
Osserva, in diritto, che:
    (a)  la sentenza di primo grado è stata travisata dalla Corte di appello nella parte in cui ha ritenuto che la sentenza stessa avesse escluso la sanabilità delle opere oggetto di DIA in sanatoria del 19 novembre 2008; 
    (b)  il fatto che il Tribunale avesse ordinato la demolizione delle opere abusive se non ancora eseguite non può essere valorizzato come implicita affermazione della illegalità delle opere stesse;
    (c)  del resto, se il Tribunale avesse rimeditato la decisione assunta con il decreto di dissequestro del 14 maggio 2009, lo avrebbe affermato con chiarezza nella sentenza pronunciata qualche mese dopo;
    (d)  il Giudice dell’esecuzione non ha tenuto conto del fatto che: i) a seguito di sopralluogo ordinato dal Tribunale, la polizia giudiziaria aveva accertato la rimozione della parte di gazebo realizzata in ampliamento, la rimozione nel locale cucinotto di tutti gli arredi che lo rendevano tale, la chiusura della finestra aggiuntiva realizzata; ii) con nota del 21 ottobre 2014, il Comune di Salerno , Ufficio Trasformazioni Urbanistiche, aveva dato atto che le opere presenti sul terrazzo di copertura erano conformi agli elaborati grafici prodotti e che le opere realizzate nel 2009, non sanabili con la DIA del 19 novembre 2008, erano state rimosse;
    (e)  il Giudice dell’esecuzione ha esorbitato dai propri poteri quando ha ritenuto errato il provvedimento di dissequestro del Tribunale sulla scorta di quanto sostenuto dalla Corte di appello secondo cui le opere non potevano essere sanate (e non erano state sanate) con la DIA del 2008; tale ultima considerazione costituiva frutto di una indebita interferenza del giudice di secondo grado in una vicenda non oggetto di devoluzione da parte del Pubblico ministero, con conseguente formazione del giudicato sul punto;
    (f)  il Giudice dell’esecuzione, inoltre, esorbitando dai suoi poteri, non poteva sindacare la legittimità delle DIA del 10 novembre 2009 e del 25 maggio 2010 perché successive alla data di pubblicazione della sentenza di primo grado e mai oggetto di contestazione;
    (g)  il Giudice dell’esecuzione ha dunque travisato il provvedimento di dissequestro del 14 maggio 2009 e la sentenza del Tribunale alla data della cui pronuncia non esistevano più opera abusive che possano aver reso abusive quelle successivamente realizzate;
    (h)  quel che rileva è che alla data del dissequestro del 14 maggio 2009, disposto dopo la rimozione delle opere abusive non sanabili e la presentazione della DIA per le opere sanabili, non vi erano più opere abusive nella proprietà in questione. 

    2.  Il 12 marzo 2025 sono pervenute scritte del difensore, Avv. Gino Bove, che ha concluso chiedendo l’accoglimento del ricorso.


CONSIDERATO IN DIRITTO

            1. Il ricorso è inammissibile perché manifestamente infondato.

            2. Dalla lettura dell’ordinanza impugnata risulta che:
                2.1. il padre dell’odierno ricorrente, Angelo Fatticcio, era stato irrevocabilmente condannato per il reato di cui all’art. 44, primo comma, lett. b), d.P.R. n. 380 del 2001, perché, quale comproprietario del lastrico solare, in assenza del permesso di costruire ed in totale difformità dalla d.i.a. presentata in data 13 dicembre 2006 (che prevedeva la realizzazione di un pergolato in legno coperto da incannucciato alto mt. 2,40 ed avente superficie di circa 48,00 mq.), aveva realizzato le seguenti opere descritte al capo E della rubrica: una tettoia in legno avente superficie complessiva di 84,30 mq., parzialmente ricoperta da un tavolato di legno con sovrastante manto di tegole, saldamente ancorata al suolo con piastre bullonate, dotata di banco cucina, illuminazione e doccia a muro; una finestra a tre ante delle dimensioni di metri 2×1; un bagno in luogo di un precedente ripostiglio; una cucina in luogo del preesistente, vano lavatoio;
                2.2. la realizzazione di tali opere era stata accertata il 5 novembre 2008, dopo la apparente rimozione di una pressoché identica tettoia già sequestrata nel mese di ottobre dell’anno 2006 (si tratta delle opere rubricate al capo A per le quali la Corte di appello aveva dichiarato l’estinzione del reato per prescrizione);
                2.3.  nel mese di maggio 2009 era stato revocato il decreto di sequestro dopo che si era accertata la rimozione delle opere non oggetto della d.i.a. in sanatoria (l’aumento volumetrico della tettoia, il manto di tegole, la finestra e la cucina);
                2.4. la Corte di appello, pronunziando all’esito dell’impugnazione degli imputati, aveva affermato che «la natura delle opere poste in essere, un bagno, una cucina, una finestra a tre ante, hanno trasformato la struttura posta sul terrazzo dell'abitazione degli imputati in un vano a tutti gli effetti abitabile, certamente non suscettibile di essere realizzato né sanato mediante la semplice dichiarazione di inizio attività, come sostenuto nell'atto di appello. La consistenza della realizzazione ha determinato un consistente aumento di superficie utile abitabile, circostanza questa che esclude la possibilità di configurare l'opera quale pertinenza della principale abitazione, come sostenuto nei motivi aggiunti dell'atto di appello: si è trattato a tutti gli effetti di un ampliamento di superficie utile di ben 89 mq che certamente avrebbe richiesto il permesso di costruire. La revoca del sequestro preventivo, adottata con provvedimento del Gip presso il Tribunale di Salerno in data 19.10.07 allegato dagli appellanti, si riferisce, con tutta evidenza, alle opere precedenti, dato che quelle indicate al capo E sono state accertate il 5.11.08»;
                2.5. avviato il procedimento esecutivo, il Pubblico ministero, a seguito di ulteriore sopralluogo, aveva accertato uno stato di fatto non corrispondente alle opere oggetto della sentenza, considerata la presenza di un gazebo composto da otto pilastri in legno ancorata al suolo e chiuso perimetralmente con vetrate frangivento scorrevoli, con altezza massima interna di metri 2,40 ed una minima di metri 2,32; era stata altresì accertata la presenza di un banco da lavoro, di una finestra che affaccia su un ripostiglio, di un bagno e di una cucina. 

            3. Nel disattendere le richieste difensive, la Corte di appello ha osservato che:
                3.1. tutti i provvedimenti amministrativi indicati nell’istanza di revoca/annullamento dell’ingiunzione di demolizione sono antecedenti alla sentenza della Corte di appello del 14 maggio 2013 che ha irrevocabilmente accertato l’esecuzione delle opere di cui al § 2.1 che richiedevano il previo rilascio del permesso di costruire (mai emesso) trattandosi di ampliamento sostanziale dell’edificio;
                3.2. la d.i.a. del 19 novembre 2008 deve essere considerata tamquam non esset sia perché la realizzazione delle opere richiedeva, come detto, il permesso di costruire, sia perché la previa eliminazione di alcune parti delle opere osta alla sanatoria delle restanti;
                3.3. del resto, se il Giudice di primo grado avesse ritenuto valida ed efficace la d.i.a., non avrebbe ordinato la demolizione delle opere in questione;
                3.4. le ulteriori opere eseguite ripetono da quelle precedenti il carattere dell’abusività sicché alcuna rilevanza possono avere le d.i.a. del 2009 e del 2010 e la attestazione del Comune di Salerno della loro conformità agli elaborati grafici prodotti;
                3.5. infine, e per lo stesso motivo, devono considerarsi abusive le opere accertate dal Pubblico ministero nell’ambito del procedimento esecutivo.    

            4. Tanto premesso, osserva il Collegio:
                4.1. come ben sottolineato dal Giudice dell’esecuzione, tutti i provvedimenti dei quali il ricorrente denunzia il travisamento sono antecedenti alla sentenza della Corte di appello le cui conclusioni sulla natura insanabilmente abusiva delle opere realizzate non possono più essere messe in discussione;
                4.2. quel che conta, in definitiva, è la corrispondenza tra l’abuso edilizio contestato e quello oggetto di condanna pronunciata a seguito di un giusto processo;
                4.3. il provvedimento di dissequestro adottato dal Giudice di primo grado non può essere utilizzato per scardinare il giudicato e sovvertire il fatto come accertato nel doppio grado di giudizio: la realizzazione, cioè, di un vero e proprio vano abitabile sopraelevato rispetto al piano sottostante oggetto dell’ordine di demolizione;
                4.4. le valutazioni effettuate dalla Corte di appello in ordine all’efficacia sanante delle d.i.a. ovvero alla loro attitudine a legittimare le opere eseguite costituivano affare del Giudice di merito, in quanto tali non più deducibili dinanzi al giudice dell’esecuzione il quale, anzi, ha fatto buon governo del principio reiteratamente affermato dalla giurisprudenza di legittimità secondo il quale l’ordine di demolizione del manufatto abusivo, previsto dall'art. 31, comma nono, del d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, riguarda l'edificio nel suo complesso, comprensivo di eventuali aggiunte o modifiche successive all'esercizio dell'azione penale e/o alla condanna, atteso che l'obbligo di demolizione si configura come un dovere di "restitutio in integrum" dello stato dei luoghi e, come tale, non può non avere ad oggetto sia il manufatto abusivo originariamente contestato, sia le opere accessorie e complementari nonché le superfetazioni successive, sulle quali si riversa il carattere abusivo dell'originaria costruzione (Sez. 3, n. 6049 del 27/09/2016, dep, 2017, Molinari, Rv. 268831 - 01; Sez. 3, n. 38947 del 09/07/2013, Amore, Rv. 256431 - 01; Sez. 3, n.21797 del 27/04/2011, Apuzzo, Rv. 250389 - 01; Sez. 3, n. 2872 dell’11/12/2008, dep. 2009, Corimbi, Rv. 242163 - 01; Sez. 3, n. 10248 del 18/01/2001, Vitrani, Rv. 218961 - 01; Sez. 3, n. 33648 del 08/07/2022, n.m.; Sez. 3, n. 41180 del 20/10/2021, n.m.; Sez. 3, n. 30298 del 02/07/2021, n.m.; Sez. 3, n. 19112 del 10/06/2020, n.m.);
                4.5. l’attuale gazebo, meglio descritto al § 2.5 che precede, ripete la natura assolutamente abusiva delle opere sostituite e correttamente ne è stata ingiunta la demolizione.

                5. Alla declaratoria di inammissibilità del ricorso consegue, ex art. 616 cod. proc. pen., essendo essa ascrivibile a colpa del ricorrente (C. Cost. sent. 7-13 giugno 2000, n. 186), l'onere delle spese del procedimento nonché del versamento di una somma in favore della Cassa delle ammende, che si fissa equitativamente nella misura di € 3.000,00. Il Collegio intende in tal modo esercitare la facoltà, introdotta dall’art. 1, comma 64, legge n. 103 del 2017, di aumentare, oltre il massimo edittale, la sanzione prevista dall’art. 616 cod. proc. pen. in caso di inammissibilità del ricorso considerate le ragioni della inammissibilità stessa come sopra indicate.


P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di € 3.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.
Così deciso in Roma, il 03/04/2025.