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TAR Campania Sez. IV sent.5 marzo 2003
Beni Ambientali. Costruzione centrale eolica

Si ringrazia l'Avv. Maurizio BALLETTA per la segnalazione

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REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale della Campania, Sezione Quarta, ha pronunciato la seguente

SENTENZA

sui ricorsi riuniti nn. 8494/2001 e 12350/2001 proposti dai Sigg.ri MARRA Mario Alessandro, MARRA Raffaele, MARRA Vittorio, ABAZIA Maria Rosa Cristina, SAVIGNANO Maria, LABRUZZO RINALDI Antonio, DE LILLO Michelina e ABAZIA Addolorata, rappresentati e difesi, congiuntamente e disgiuntamente, dagli avv.ti Giacomo Mescia e Giuseppe Mescia, ed elett.te dom.ti in Napoli presso lo studio dell’avv. Antonio Melillo, via Michele Pietravalle n. 11

CONTRO

- il Comune di Savignano Irpino, in persona del Sindaco pro-tempore, rappresentato e difeso dall’avv. Vincenzo Pratola, ed elett.te dom.to in Cercola, via Europa n. 9 presso lo studio dell’avv. Immacolata Ilardi.

PER L’ANNULLAMENTO

- quanto al ricorso n. 8494/2001:

- del provvedimento datato 25 maggio 2001, prot. n. 2032, avente ad oggetto “istanza per rilascio concessione edilizia L. 10/77 per i lavori di costruzione di una centrale eolica in località S. Angelo-Difesa”, con il quale il responsabile del procedimento ha comunicato che “l’istanza non può essere accolta in quanto l’intervento proposto si pone in contrasto con lo strumento urbanistico vigente (P.di F.)”;

- del provedimento datato 14 dicembre 2001, prot. n. 5876, avente ad oggetto “riesame ai sensi dell’ordinanza TAR Campania - Napoli - n. 4754/01, notificata in data 19 novembre 2001, dell’istanza per il rilascio concessione edilizia L. 10/77 per i lavori di costruzione di una centrale eolica in Località S. Angelo-Difesa presentata dai Sigg.ri Marra Raffaele + 7”, con il quale il responsabile del procedimento ha comunicato che “l’istanza di che trattasi, in sede di riesame, in ossequio all’ordine del Tribunale Amministrativo Regionale della Campania, non può essere accolta in quanto l’intervento proposto si pone in contrasto con lo strumento urbanistico vigente (P.di F.) e con le normative richiamate.

- ove occorra, della deliberazione del Consiglio Comunale di Svignano Irpino n. 20 del 25 luglio 2001, nella parte in cui prescrive “per garantire la tutela dei valori paesaggistici di Svignano Irpino - fortemente caratterizzato dalle ondulazioni costituenti la transizione tra i rilievi appenninici e la piana pugliese - nell’intero territorio comunale sono vietate tutte le installazioni capaci di alterarne le caratteristiche e/o la percezione, quali, ad esempio, antenne, pale eoliche, silos di altezza superiore a m. 6; 

- di ogni altro atto presupposto, connesso o consequenziale a quelli impugnati;

- quanto al ricorso n. 8494/2001:

- della deliberazione n. 20 del 25 luglio 2001 del Consiglio Comunale di Svignano Irpino, con la quale sarebbe stato adottato il nuovo piano regolatore generale, nella parte in cui verrebbe preclusa la realizzazione di centrali eoliche in zona agricola e quindi anche sui fondi dei ricorrenti;

- di ogni altro atto presupposto, connesso o consequenziale a quelli impugnati.

NONCHE’, QUANTO AD ENTRAMBI I RICORSI, PER IL RISARCIMENTO

dei danni ex art. 35 D.L.vo n. 80/98 così come sostituito dall’art. 7 L. n. 205/2000.

      Visto il ricorso con i relativi atti.

      Visti gli atti tutti di causa.

      Designato Relatore il Referendario Alessandro Tomassetti.

      Udite le parti alla pubblica udienza del 5 febbraio 2003.

FATTO

      Gli odierni ricorrenti, quali proprietari di svariati appezzamenti di terreno in Svignano Irpino, tenuto conto della costante presenza di vento, hanno commissionato ad un tecnico di fiducia uno studio di fattibilità tecnico-economico per la realizzazione di un parco eolico.

      Il professionista incaricato, dopo avere effettuato i dovuti rilevamenti ed accertamenti, anche strumentali, ha constatato la piena fattibilità del progetto, proprio in ragione della idoneità del sito proposto.

      I ricorrenti, tenuto conto anche della possibilità di far ricorso a fondi strutturali, sia comunitari che nazionali per la realizzazione di parchi eolici, hanno incaricato un esperto in materia al fine di procedere alla redazione di un progetto per la costruzione di una centrale eolica composta dal 15 aerogeneratori.

      In data 26 marzo 2001, i ricorrenti hanno richiesto al Comune di Svignano Irpino il rilascio della concessione edilizia per la installazione dei 15 aerogeneratori sui propri fondi.

      Nella richiesta di concessione edilizia veniva tra l’altro evidenziato che:

- la L. n. 10/99 incentiva lo sviluppo e l’utilizzazione delle fonti rinnovabili di energia, riconoscendo anche carattere di pubblico interesse e di pubblica utilità alle relative opere;

- l’area interessata all’intervento risulta destinata a verde agricolo e, pertanto, non è incompatibile con l’installazione degli aerogeneratori.

      Del tutto inaspettatamente, il Comune di Svignano Irpino, con nota del 25 maggio 2001, prot. 2032, a firma del responsabile del procedimento, ha comunicato ai ricorrenti che “l’istanza di che trattasi non può essere accolta in quanto l’intervento proposto si pone in contrasto con lo strumento urbanistico vigente”.

      Avverso il diniego di concessione edilizia, i ricorrenti hanno proposto ricorso al TAR Campania - Napoli n. 8494/2001 notificato in data 23 luglio 2001 e depositato in data 7 agosto 2001 deducendo i seguenti motivi di illegittimità:

1) violazione di legge per carenza di motivazione;

2) violazione e falsa applicazione del vigente Piano di Fabbricazione e della L.R. n. 14/82; eccesso di potere per sviamento

e chiedendo il risarcimento del danno.

      Con ordinanza n. 4754/2001 del 17 ottobre 2001, il TAR adito ha accolto la domanda incidentale di sospensione dell’efficacia del diniego di concessione edilizia ai fini del riesame della stessa.

      Successivamente, i ricorrenti, del tutto casualmente, sono venuti a conoscenza che il Comune di Svignano Irpino, con deliberazione consiliare n. 20 del 25 luglio 2001, avrebbe adottato un nuovo strumento urbanistico, con il quale avrebbe precluso tout court la realizzazione di parchi eolici in zona agricola o, comunque, la installazione di tali impianti sui loro fondi.

      Con ricorso n. 12350/2001 notificato in data 14 novembre 2001 e depositato in data 10 dicembre 2001, i ricorrenti hanno quindi impugnato tale deliberazione consiliare per i seguenti motivi:

1) eccesso di potere per difetto assoluto di istruttoria; contraddittorietà; manifesta irragionevolezza e sviamento; illegittimità;

2) violazione e falsa applicazione dell’art. 13 L. n. 64/74; illegittimità;

3) violazione e falsa applicazione degli artt. 126 e 134 D.L.vo n. 267/2000; illegittimità,

chiedendo il risarcimento del danno ingiusto arrecato dalla Amministrazione agli stessi ricorrenti.

      Con motivi aggiunti, i ricorrenti impugnavano poi il provvedimento datato 14 dicembre 2001, prot. n. 5876, avente ad oggetto “riesame ai sensi dell’ordinanza TAR Campania - Napoli - n. 4754/01, notificata in data 19 novembre 2001, dell’istanza per il rilascio concessione edilizia L. 10/77 per i lavori di costruzione di una centrale eolica in Località S. Angelo-Difesa presentata dai Sigg.ri Marra Raffaele + 7”, con il quale il responsabile del procedimento ha comunicato che “l’istanza di che trattasi, in sede di riesame, in ossequio all’ordine del Tribunale Amministrativo Regionale della Campania, non può essere accolta in quanto l’intervento proposto si pone in contrasto con lo strumento urbanistico vigente (P.di F.) e con le normative richiamate, oltre alla deliberazione del Consiglio Comunale di Svignano Irpino n. 20 del 25 luglio 2001, nella parte in cui prescrive “per garantire la tutela dei valori paesaggistici di Svignano Irpino - fortemente caratterizzato dalle ondulazioni costituenti la transizione tra i rilievi appenninici e la piana pugliese - nell’intero territorio comunale sono vietate tutte le installazioni capaci di alterarne le caratteristiche e/o la percezione, quali, ad esempio, antenne, pale eoliche, silos di altezza superiore a m. 6.

      Deducevano i ricorrenti i seguenti profili di illegittimità:

1) violazione e falsa applicazione dell’art. 9 Costituzione; violazione e falsa applicazione dell’art. 7 della L. n. 1150/42;  eccesso di potere per difetto di istruttoria; eccesso di potere per difetto di motivazione; eccesso di potere per sviamento, con richiesta di risarcimento del danno ingiusto.

      Si costituiva in giudizio l'Amministrazione resistente deducendo l’infondatezza del ricorso e chiedendone il rigetto.

      Alla pubblica udienza del 5 febbraio 2003 su richiesta della parte ricorrente, la causa veniva assunta in decisione dal Collegio.

DIRITTO

      Preliminarmente, ritenuta la connessione soggettiva ed oggettiva dei ricorsi, gli stessi possono essere riuniti.

      Il ricorso n. 8494/2001 è improcedibile quanto alla impugnativa del provv. n. 2032 del 25 maggio 2001 mentre è infondato in ordine alla richiesta di risarcimento dei danni; il ricorso n. 12350/2001 è improcedibile con riferimento alla impugnazione del provv. prot. n. 2032 del 25 maggio 2001; è fondato sia con riferimento alla impugnazione della delibera n. 20 del 25 luglio 2001, sia con riferimento ai motivi aggiunti; è infondato quanto alla richiesta di risarcimento dei danni.

      In particolare, a seguito di ordinanza n. 4754/2001 con la quale il T.A.R. Campania, Sez. IV, ha accolto la domanda incidentale di sospensione dell’efficacia del diniego di concessione edilizia ai fini del riesame della istanza alla luce dei motivi del ricorso e dei documenti allegati, è venuto meno l’interesse dei ricorrenti all’annullamento dell’originario atto di diniego (provv. n. 2032 del 25 maggio 2001) in considerazione della emanazione, ad opera della Amministrazione di un nuovo provvedimento di rigetto impugnato con motivi aggiunti.

      Quanto all’impugnazione: a) del provvedimento in data 14 dicembre 2001, prot. n. 5876, avente ad oggetto “riesame ai sensi dell’ordinanza TAR Campania - Napoli - n. 4754/01, notificata in data 19 novembre 2001, dell’istanza per il rilascio concessione edilizia L. 10/77 per i lavori di costruzione di una centrale eolica in Località S. Angelo-Difesa presentata dai Sigg.ri Marra Raffaele + 7”, con il quale il responsabile del procedimento ha comunicato che “l’istanza di che trattasi, in sede di riesame, in ossequio all’ordine del Tribunale Amministrativo Regionale della Campania, non può essere accolta in quanto l’intervento proposto si pone in contrasto con lo strumento urbanistico vigente (P.di F.) e con le normative richiamate”; b) della Deliberazione del Consiglio Comunale di svignano Irpino n. 20 del 25 luglio 2001 nella parte in cui prescrive che “per garantire la tutela dei valori paesaggistici di Svignano Irpino - fortemente caratterizzato dalle ondulazioni costituenti la transizione tra i rilievi appenninici e la piana pugliese - nell’intero territorio comunale sono vietate tutte le installazioni capaci di alterare le caratteristiche e/o la percezione, quali, ad esempio, antenne, pale eoliche, silos di altezza superiore a mt. 6”, le stesse appaiono fondate.

      Il problema che si pone alla attenzione del Collegio, in particolare, concerne la possibilità, in capo al Comune e per il tramite dello strumento urbanistico del Piano Regolatore Generale, di vietare la posa in opera, sull’intero territorio comunale, di "tutte le installazioni capaci di alterare le caratteristiche e/o la percezione, quali, ad esempio, antenne, pale eoliche, silos di altezza superiore a mt. 6”, impedendo, in tal modo, lo stesso esercizio di attività di pubblico interesse quale è quella della produzione di energia alternativa.

      Sotto tale profilo, infatti, rilevato che “le  scelte effettuate  dall'amministrazione nell'adozione  del P.R.G. costituiscono  apprezzamento  di  merito sottratto  al  sindacato  di legittimita', a meno che non siano  inficiate da errori di fatto o da abnormi    illogicità" (Consiglio Stato sez. IV, 22 maggio 2000, n. 2943; Cons. Stato n. 664 del 6 febbraio 2002), occorre verificare se la discrezionalità della Amministrazione possa giungere sino alla imposizione di limitazioni assolute sull’intero territorio comunale.

      Sotto un profilo generale osserva il Collegio che il Comune, pur nell’ambito della ampia discrezionalità di cui gode nello svolgimento della attività di regolamentazione del proprio territorio attraverso l’adozione degli strumenti urbanistici, sia pur sempre tenuto ad esercitare il proprio potere in modo da bilanciare i diversi interessi posti alla sua attenzione ed in maniera da evidenziare le ragioni poste a fondamento delle scelte operate (T.A.R. Campania - Napoli, 22 giugno 2001 n. 2883 “Il   provvedimento  sindacale   di   diniego  del   nulla  osta   per l'autorizzazione  paesaggistica ai  sensi  dell'art. 7  l. 29  giugno 1939 n.  1497 e  della l.  8 agosto  1985 n.  431, in  relazione alla realizzazione  di lavori  per  il collegamento,  alla esistente  rete nazionale di  trasmissione, degli  impianti di produzione  di energia eolica deve indicare, in forza  del principio di proporzionalita', le ragioni  ostative  al  rilascio  della  autorizzazione,  al  fine  di eliminare la  sproporzione tra tutela  dei vincoli e la  finalita' di pubblico   interesse  sotteso   alla   produzione  ed   utilizzazione dell'energia   elettrica;  pertanto,   e'   illegittimo  il   rigetto dell'istanza  motivato solo  dall'assenza, nell'intervento  proposto, di  misure  di  salvaguardia  di  non  precisati  valori  ambientali, paesistici, architettonici e monumentali").  

      Non v’è dubbio, infatti, che la  destinazione   a  zona   agricola  possieda  anche   una  valenza conservativa dei valori naturalistici (Consiglio Stato sez. IV, 21 luglio 2000, n. 4076; T.A.R. Lombardia-Brescia n. 696 del 21 agosto 2001 “La destinazione di un'area a zona agricola non dipende necessariamente dalla relativa « vocazione », ben potendo dipendere dalla scelta discrezionale, motivata sul piano generale, di orientare gli insediamenti urbani e produttivi in determinate direzioni, ovvero di salvaguardare precisi equilibri dell'assetto territoriale"; Cons. Stato n. 6327 del 20 dicembre 2001 "La previsione dello strumento urbanistico di destinazione a verde agricolo non deve necessariamente rispondere a interessi dell'agricoltura, ben potendo essere imposta per soddisfare l'esigenza di impedire in determinate zone un'ulteriore edificazione, anche a fini di tutela ambientale") ed in tale ambito non potrebbe essere tacciata di illegittimità una norma di P.R.G. che, motivando in ordine alla tutela dei valori ambientali, territoriali o paesistici, impedisse non solo la edificabilità del suolo ma anche la destinazione industriale della zona (T.A.R. Perugia n. 147 del 28 aprile 1988 “Al fine di determinare se la concessione edilizia per la realizzazione di un impianto di allevamento di bestiame (suini) possa essere assentita nella zona del territorio comunale destinata ad uso agricolo o debba essere destinata a quella industriale, non è possibile riferirsi puramente e semplicemente alla distinzione tra attività agricola ed attività industriale, quale si desume dall'art. 2125 Cod. civ. per concludere che può rientrare nell'esercizio normale dell'agricoltura qualsiasi attività connessa a quella tipica, ma occorre avere riguardo alle specifiche disposizioni dello strumento urbanistico, che può anche non rispecchiare il concetto tecnico-economico, avendo di mira l'assetto del territorio e quindi la tutela degli interessi rispondenti a criteri diversi").

      La possibilità di interventi industriali nell’ambito di zone agricole deve, infatti, ritenersi limitata da un lato dalla quantità ed estensione degli stessi e, dall’altro, dal rispetto di vincoli specifici imposti discrezionalmente dallo stesso piano regolatore (Cons. Stato n. 6327 del 20 dicembre 2001 “La previsione dello strumento urbanistico di destinazione a verde agricolo non deve necessariamente rispondere a interessi dell'agricoltura, ben potendo essere imposta per soddisfare l'esigenza di impedire in determinate zone un'ulteriore edificazione, anche a fini di tutela ambientale. La zona destinata a verde agricolo dal piano regolatore generale è suscettibile di usi diversi dalla coltivazione dei fondi e di essere utilizzata anche per la realizzazione di opere che non implichino l'aumento di insediamenti abitativi residenziali, ma alla condizione che tali vocazioni differenziate e complementari trovino in un atto pianificatorio approvato ed efficace la loro legittima causa. Pur se nelle zone agricole destinate dal piano regolatore sono normalmente ammessi interventi edificatori di natura anche non strettamente agricola, non di meno si deve trattare di interventi di portata tale da non alterare, per quantità ed estensione, un assetto agricolo da tempo remoto consolidatosi, magari caratterizzato da opere di bonifica complesse e coordinate; pertanto, l'emungimento di acqua da pozzi, occupanti una vastissima area, ed il rilevante carico di traffico veicolare concentrato nella stagione estiva appaiono elementi in grado di incidere significativamente sulla stessa conduzione dell'attività agricola dei fondi gravitanti nella zona oggetto di intervento. Pur se nelle zone agricole destinate dal piano regolatore sono normalmente ammessi interventi edificatori di natura anche non strettamente agricola, non di meno non può trattarsi di interventi di portata tale da alterare, per qualità, quantità ed estensione, l'assetto agricolo esistente. L'art. 43 L. 28 febbraio 1985 n. 47, che consente la sanatoria, e quindi il completamento dei lavori, per opere edilizie abusive non ultimate entro il 1 ottobre 1983 per effetto di provvedimenti di sospensione, si riferisce a semplici lavori strettamente necessari alla funzionalità di quanto già costruito e non consente di integrare le opere con interventi edilizi che diano luogo di per sé a nuove strutture").

      Posto, quindi, che la scelta della Amministrazione di impedire la edificazione e la installazione di strumenti atti all’esercizio di attività anche di carattere industriale  in una determinata zona deve essere adeguatamente motivata (T.A.R. Brescia n. 2 del 12 gennaio 2001 “Costituisce adeguata giustificazione, che rende legittima la scelta pianificatoria, quella volta ad escludere, in via generale e preventiva, la realizzabilità, in una determinata zona, di industrie classificate insalubri. La preesistenza di un piano di lottizzazione approvato e già convenzionato non costituisce ostacolo alla modifica delle previsioni urbanistiche vigenti su una determinata area perché il piano regolatore non rappresenta uno strumento immodificabile di pianificazione del territorio, sul quale i privati possono fondare sine die le loro aspettative, ma è suscettibile di revisione ogni qual volta sopravvenute esigenze di pubblico interesse, obiettivamente esistenti e adeguatamente documentate, facciano ritenere superata, in tutto o in parte, la disciplina da esso dettata. Il Comune, pur avendo la più ampia discrezionalità di rivedere le previsioni urbanistiche in sede di disciplina del proprio territorio, tuttavia, anche in assenza di una preesistente lottizzazione convenzionata, ove abbia ingenerato precisi affidamenti sull'edificabilità nel proprietario dell'area, non può adottare una variante che modifichi le previsioni già in vigore senza una congrua comparazione tra i vari interessi in conflitto e senza addurre una circostanziata motivazione sulle particolari ragioni di pubblico interesse che abbiano reso necessario incidere sulle posizioni giuridiche del privato costituitesi con l'avallo dell'Amministrazione. Una variante al piano regolatore generale destinata dichiaratamente a tutelare, tra gli altri valori, quello ambientale, è sufficientemente motivata anche se non presenta una diffusa analisi argomentativa, avuto riguardo al valore fondamentale del paesaggio protetto dall'art. 9 Cost."), occorre tuttavia chiedersi se tale destinazione possa essere imposta non già  rispetto ad una particolare area quanto piuttosto con riferimento all’intero territorio comunale.

      Non si tratta invero di valutare la possibile coesistenza della destinazione agricola del bene con lo svolgimento di una attività eventualmente definibile in termini di industrialità. Posto, infatti, che la destinazione agricola dell’area non appare di per sé impeditiva della possibilità dell’esercizio di attività definibili in termini di industrialità (T.A.R. Brescia n. 273 del 5 aprile 2000 “La destinazione ad area agricola del terreno interessato non è sufficiente a giustificare il diniego di autorizzazione all'esercizio di una discarica per rifiuti solidi urbani, giacché la classificazione di area come agricola non impone un obbligo di utilizzazione effettiva in tal senso e consente, di regola, interventi edilizi di vario genere, sicché, nell'ambito e nei limiti delle prescrizioni di zona e salve diverse previsioni normative, può risultare non incompatibile la realizzazione di un impianto di discarica, che, per ovvie ragioni, non può che essere ubicato in aperta campagna e quindi in zona agricola, dove il piano regolatore generale non preveda apposite localizzazioni. E' illegittimo il diniego di autorizzazione alla realizzazione di un impianto di compostaggio di rifiuti vegetali nel caso in cui la Regione non ha esplicitato quali aspetti negativi, tra quelli rimarcati dagli Enti locali presenti in sede di conferenza di servizi e dalla stessa condivisi, non avrebbero potuto essere corretti mediante opportune prescrizioni imposte alla richiedente sotto forma di condizioni. Nel caso in cui nel corso di un procedimento amministrativo vengano acquisiti pareri contrastanti degli organi consultivi, l'Amministrazione ha l'obbligo di motivare adeguatamente le ragioni per le quali ritenga di seguire un parere piuttosto che un altro, sia con riferimento all'organo consultivo da cui esso promana sia con riguardo alla complessità della questione, in modo che siano chiari i motivi della scelta effettuata"), occorre rilevare come nella fattispecie oggetto del presente ricorso, l’impedimento alla installazione delle apparecchiature non si riferisca ad una determinata zona qualificata come agricola, quanto piuttosto all’intero territorio in vista della tutela della “qualità del paesaggio urbano e rurale” (art. 92 P.R.G.).

      Ritiene il Collegio che la possibilità per il Comune di disporre un divieto di carattere generale rispetto a tutte le installazioni in grado di alterare le caratteristiche dei luoghi sia da escludere non solo in relazione alle specifiche finalità del Piano Regolatore Generale (Cons. Stato, Ad. Plen. n. 24 del 22 dicembre 1999 “I Comuni sono tenuti, ai sensi dell'art. 41 quinquies, comma 8 della L. 17 agosto 1942 n. 1150, come modificato dall'art. 17 della L. 6 agosto 1967 n. 765, e del D.M. 2 aprile 1968, ad assicurare ai cittadini rapporti massimi tra spazi destinati agli insediamenti, residenziali e produttivi, e spazi pubblici o destinati alle attività collettive, a verde pubblico o a parcheggi: dunque, livelli di vita qualitativamente accettabili"), ma anche rispetto al bilanciamento di interessi tutelati dai principi generali dell’ordinamento e desumibili in via principale dalla Carta Costituzionale.

      Sotto il primo profilo, infatti, se da un lato rientra anche nella sfera di competenza dei Comuni la tutela dei valori connessi all’ambiente ed al paesaggio (T.A.R. Brescia n. 49 del 5 febbraio 2001 “Non solo allo Stato, ma anche autonomamente al Comune, nell'ambito dei poteri di governo compiuto del territorio, esercitabili in sede di approvazione del piano regolatore generale, deve essere riconosciuta la competenza a tutelare gli interessi ambientali e paesistici"; successivamente alla riforma del Titolo V Cost., sulla ampiezza della definizione del “valore” ambiente anche in relazione alle distinte sfere di competenza si veda Corte Cost. n. 407 del 26 luglio 2002 “Non tutti gli ambiti materiali specificati nel comma 2 dell’art. 117 Cost. possono configurarsi, in quanto tali, come materie in senso stretto, poiché in alcuni casi si tratta più esattamente di competenze del legislatore statale idonee ad investire una pluralità di materie. La cd. materia della tutela ambientale indicata nell’art. 117, comma 2 lett. s)  Cost., non può essere considerata come sfera di competenze statali rigorosamente circoscritta e delimitata, giacchè, al contrario, essa investe e si intreccia inestricabilmente con altri interessi e posto che l’ambiente costituisce un ‘valore’ costituzionalmente protettodelineante una sorta di materia di carattere trasversale, in ordine alla quale si manifestano competenze diverse, anche regionali, spettando allo Stato le determinazioni che rispondono ad esigenze meritevoli di disciplina uniforme su tutto il territorio nazionale. Dalla direttiva Cons. C.E. n. 96/82 c.d. Sevesoe dal D.L.vo 17 agosto 1999 n. 334 di recepimento della stessa si desume che la prevenzione di incidenti rilevanti riguarda aspetti appartenenti anche alla tutela della salute, al governo del territorio, alla protezione civile ed alla tutela e sicurezza del lavoro, ossia a materie rientranti nella competenza concorrente delle Regioni, che pertanto sono abilitate, nell’ambito dei principi fondamentali della legislazione statale, a dettare norme nel settore, pur se intrecciato alla tutela dell’ambiente; pertanto, è infondato il ricorso dello Stato contro gli artt. 3 comma 1, 4 comma 2 e 5 commi 1 e 2 Regione Lombardia 23 novembre 2001 n. 19 nel suo motivo principale, secondo cui la Regione non potrebbe legiferare in ordine alla materia ambientale, ipotizzata erroneamente come di esclusiva appartenenza statale"), dall’altro deve ritenersi che tale tutela si inserisca nell’ambito dei poteri e dei limiti insiti nello strumento urbanistico che deve ritenersi volto alla disciplina della suddivisione del territorio in zone in grado di garantire il contemperamento delle diverse esigenze radicate all’interno dell’ente territoriale stesso.

      Il Comune, quindi, nell’ambito dello svolgimento della attività connessa allo strumento urbanistico, deve necessariamente farsi carico di valutare le diverse possibili localizzazioni anche di impianti, all'evidente scopo di comparare le aspettative dei soggetti privati connesse allo svolgimento di attività imprenditoriali ed industriali

      D’altra parte, passando al secondo dei rilevati profili, il bilanciamento di interessi di equivalente natura costituzionale e di rilevanza comunitaria deve condurre l’Amministrazione ad una adeguata considerazione degli stessi in vista del perseguimento degli obiettivi connessi allo svolgimento della attività urbanistica del Comune (T.A.R. Aquila n. 679 del 20 novembre 2001 “Il Comune ha la facoltà, ampiamente discrezionale, di modificare con apposite varianti le precedenti previsioni urbanistiche senza obbligo di motivazione specifica e analitica per le singole zone innovate, purché fornisca un'indicazione congrua delle diverse esigenze che ha dovuto affrontare ed a condizione che le soluzioni predisposte in funzione del loro soddisfacimento siano coerenti con i criteri d'ordine tecnico urbanistico stabiliti per la formazione del piano regolatore generale. La divisione in zone del territorio comunale, operata dallo strumento urbanistico, è intesa essenzialmente a disciplinare l'espansione dell'abitato e, in particolare, la destinazione agricola di una zona significa che la zona stessa non può essere destinata ad insediamento abitativo residenziale, ma tale destinazione non preclude l'installazione di opere che nulla hanno a vedere con la localizzazione della residenza della popolazione, specie poi se si tratta di opere che non possono essere allocate nelle zone residenziali").

      Sempre più rilevante, soprattutto con riferimento alla disciplina di livello comunitario, appare infatti la materia delle fonti di energia alternativa (Dir. 2001/77/CE del 27 settembre 2001 - art. 3 “Gli Stati membri adottano misure appropriate atte a promuovere l'aumento del consumo di elettricità prodotta da fonti energetiche rinnovabili perseguendo gli obiettivi indicativi nazionali di cui al paragrafo 2. Tali misure devono essere proporzionate all'obiettivo. Entro il 27 ottobre 2002, e successivamente ogni cinque anni, gli Stati membri adottano e pubblicano una relazione che stabilisce per i dieci anni successivi gli obiettivi indicativi nazionali di consumo futuro di elettricità prodotta da fonti energetiche rinnovabili in termini di percentuale del consumo di elettricità. Tale relazione delinea inoltre le misure adottate o previste a livello nazionale per conseguire tali obiettivi (…). Gli Stati membri pubblicano, per la prima volta entro il 27 ottobre 2003, e successivamente ogni due anni, una relazione che contiene un'analisi del raggiungimento degli obiettivi indicativi nazionali tenendo conto, in particolare, dei fattori climatici che potrebbero condizionare tale realizzazione, e che indica il grado di coerenza tra le misure adottate e gli impegni nazionali sui cambiamenti climatici. Sulla base delle relazioni degli Stati membri di cui ai paragrafi 2 e 3 la Commissione valuta in quale misura: - gli Stati membri hanno progredito verso i rispettivi obiettivi indicativi nazionali; - gli obiettivi indicativi nazionali sono compatibili con l'obiettivo indicativo globale del 12% del consumo interno lordo di energia entro il 2010 e in particolare con una quota indicativa del 22,1% di elettricità prodotta da fonti energetiche rinnovabili sul consumo totale di elettricità della Comunità entro il 2010") con conseguente necessità, per il Comune, di bilanciare gli interessi sottesi all’ambiente ed al paesaggio con quelli concernenti lo sfruttamento energetico in via alternativa.

      Non v’è dubbio allora che, se da un lato, agli enti locali è consentito di integrare la tutela dell’ambiente e del paesaggio attraverso lo strumento del Piano Regolatore Generale (T.A.R. Lazio n. 7238 del 7 settembre 2001 “Il Comune può disciplinare il proprio territorio in chiave urbanistica anche in vista della tutela di valori paesaggistici, in quanto rientra, fra gli interessi pubblici suscettibili di essere presi in particolare considerazione in sede di pianificazione generale, anche quello che attiene alla tutela ambientale, con la conseguenza che il piano regolatore ben può introdurre vincoli diretti alla tutela del paesaggio ancorché siano stati già adottati i provvedimenti di cui alla L. 29 giugno 1939 n. 1497 nonché, se del caso, un regime più restrittivo di quello previsto da questi ultimi strumenti, aggiungendo nuove ed ulteriori limitazioni in quanto le previsioni dei piani sovraordinati o settoriali danno vita per la pianificazione urbanistica generale soltanto a limiti minimi inderogabili. Le varianti ai piani regolatori generali possono essere distinte, in relazione alla loro funzione ed estensione, in varianti generali, varianti specifiche e normative essendo ammissibili anche varianti che interessano solo limitate porzioni del territorio comunale"), tuttavia, agli stessi non è consentita una totale sostituzione nella tutela di tali valori per il tramite di strumenti, quali il P.R.G., non idonei al raggiungimento degli scopi normativamente previsti.

      Quanto poi alla richiesta di risarcimento dei danni subiti dal ricorrente a seguito dell’illegittimo comportamento del Comune resistente, rileva il Collegio la infondatezza della domanda.

      Posto che il risarcimento dei danni derivanti da lesione di interessi legittimi presuppone: a) la ricostruzione del nesso causale tra atto annullato e danno; b) la ragionevole quantificabilità del danno; c) l’enucleazione di un elemento di colpa che emerge in quanto l’errore commesso dall’apparato amministrativo non sia scusabile, tenuto anche conto del contesto in cui si è sviluppata l’azione amministrativa e che oltre alla declaratoria giurisdizionale della illegittimità dell’atto amministrativo appare altresì necessaria una puntuale e ragionevole dimostrazione del rapporto di causa ed effetto che si instaura tra atto illegittimo e danno ed una plausibile quantificazione di quest’ultimo (Cons. Stato, n. 6393 del 18 novembre 2002, in motivazione si legge che “Nel giudizio amministrativo, la declaratoria giurisdizionale della illegittimità di un atto amministrativo non costituisce un elemento sul quale la parte interessata può innestare una domanda di risarcimento del danno, senza dare puntuale e ragionevole dimostrazione del rapporto di causa ed effetto che si instaura tra atto illegittimo e danno , senza fornire una sua plausibile quantificazione. (vedi: C.d S., V sez. n. 3863 dell’11 luglio 2001) e, quindi, senza cercare di ricostruire gli elementi che configurano un comportamento colpevole di tale gravità , tenuto anche conto del contesto in cui si sviluppa l’azione amministrativa, da rendere risarcibile il danno proprio in quanto sussiste la colpa dalla pubblica amministrazione, sul piano della violazione delle regole di normale diligenza e perizia amministrativa (C d S. n.6281, VI sez, del 18 dicembre 2001)"), ritiene il Collegio che nella odierna fattispecie non possano ritenersi integrati tutti i requisiti necessari ad integrare la responsabilità della P.A. 

      Se, infatti, nella fattispecie in esame potrebbe ravvisarsi la teorica sussistenza sia di un danno ingiusto derivante soprattutto dai mancati profitti realizzabili a seguito della installazione della centrale, sia del nesso causale tra lo stesso danno e l'atto annullato, tuttavia appare mancare il profilo soggettivo della colpa o del dolo, non solo poiché il comportamento della Amministrazione appare volto, seppure illegittimamente nel caso concreto, alla realizzazione di un programma volto alla tutela del territorio dell’ente minore, ma anche in considerazione dei seguenti profili: a) la astratta possibilità che l’azione comunale incida sulla tutela ambientale e paesistica (seppure con le limitazioni che hanno reso, nel caso concreto, gli impugnati atti illegittimi) ; b) la complessa incidenza di interessi costituzionalmente rilevanti (ambiente, paesaggio, iniziativa economica privata); c) la assenza di normativa specifica di riferimento; d) la novità e rilevanza degli interessi posti alla attenzione della Amministrazione.

      Conseguentemente e per i motivi esposti, il ricorso n. 8494/2001 è improcedibile quanto alla impugnativa del provv. n. 2032 del 25 maggio 2001 mentre è infondato in ordine alla richiesta di risarcimento dei danni; il ricorso n. 12350/2001 è improcedibile con riferimento alla impugnazione del provv. prot. n. 2032 del 25 maggio 2001; è fondato sia con riferimento alla impugnazione della delibera n. 20 del 25 luglio 2001, sia con riferimento ai motivi aggiunti; è infondato quanto alla richiesta di risarcimento dei danni.

      Le spese, in considerazione della sussistenza di giusti motivi, possono essere compensate per intero tra le parti.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Campania, Sezione Quarta, così decide:

1) dichiara improcedibile il ricorso n. 8494/2001 quanto alla impugnazione del provv. n. 2032 del 25 maggio 2001;

2) dichiara infondato il ricorso n. 8494/2001 in ordine alla richiesta di risarcimento dei danni;

3) dichiara improcedibile il ricorso n. 12350/2001 con riferimento alla impugnazione del provv. prot. n. 2032 del 25 maggio 2001;

4) accoglie il ricorso n. 12350/2001 ed i relativi motivi aggiunti con riferimento alla impugnazione della delibera n. 20 del 25 luglio 2001 e del provv. n. 5876 del 14 dicembre 2001 e per l’effetto annulla i provvedimenti impugnati nei limiti della proposta impugnativa;

5) dichiara infondato il ricorso n. 12350/2001 ed i relativi motivi aggiunti in merito alla richiesta di risarcimento dei danni;

6) dispone la compensazione delle spese tra le parti.

      Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'Autorità Amministrativa.

      Così deciso in Palermo nella Camera di Consiglio del 5 marzo 2003 con l’intervento dei Signori Magistrati: 

  - Nicolò Monteleone, Presidente;

      - Ugo De Maio, Consigliere;

      - Alessandro Tomassetti, Referendario - estensore.