Consiglio di Stato Sez. VI n. 7063 del 16 novembre 2020
Urbanistica.Opere edilizie su suoli demaniali
In via generale, ai fini della esecuzione di opere edilizie su suoli demaniali non è sufficiente il semplice provvedimento di concessione demaniale, ma occorre pur sempre l'ulteriore ed autonomo titolo edilizio comunale, stante la piena autonomia degli interessi amministrativi presi in considerazione dai due atti abilitativi; la necessità dell'apposito titolo edilizio per le opere da eseguirsi dai privati su aree demaniali è espressamente prevista dall'art. 8 d.P.R. n. 380/2001
Pubblicato il 16/11/2020
N. 07063/2020REG.PROV.COLL.
N. 08550/2018 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 8550 del 2018, proposto dalla Agenzia Marittima Cap. Francesco Iannaccone, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Vincenzo Fontanarosa e Christian Lombardi ed elettivamente domiciliata presso lo studio dell’avvocato Salvatore Scafetta in Roma, piazza Santi Apostoli, n. 81;
contro
il Comune di Gaeta, in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dall’avvocato Daniela Piccolo, con domicilio eletto come da PEC in Registri di Giustizia;
per la riforma
della sentenza del Tribunale amministrativo regionale per il Lazio, Sede di Latina, Sez. I, 23 luglio 2018 n. 416, resa tra le parti.
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Vista la costituzione in giudizio del Comune di Gaeta e i documenti prodotti;
Vista l’ordinanza 23 novembre 2018 n. 5677 con la quale la Sezione ha respinto l’istanza cautelare di sospensione dell’efficacia della sentenza di primo grado, proposta dalla parte appellante;
Esaminate le ulteriori memorie, anche di replica, depositate con documenti;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nella camera di consiglio del 16 luglio 2020 (svolta secondo la disciplina prevista dall’art. 84 comma 5, d.l. 17 marzo 2020, n. 18, convertito con modificazioni dalla l. 24 aprile 2020, n. 27, attraverso videoconferenza con l’utilizzo di piattaforma “Microsoft Teams” come previsto dalla circolare n. 6305 del 13 marzo 2020 del Segretario generale della Giustizia amministrativa) il Cons. Stefano Toschei;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
1. – Con ricorso in appello l’Agenzia marittima Capitano Francesco Iannaccone ha chiesto a questo Consiglio la riforma della sentenza del Tribunale amministrativo regionale per il Lazio, Sede di Latina, Sez. I, 23 luglio 2018 n. 416, con la quale è stato respinto il ricorso (n. R.g. 589/2017) proposto al fine dell’annullamento della ordinanza 27 giugno 2017 n. 278, con la quale il Dipartimento riqualificazione urbana del Comune di Gaeta ha ingiunto la demolizione di opere edili realizzate dalla predetta Agenzia e il conseguente ripristino dello stato dei luoghi.
2. - La documentazione prodotta in giudizio dalle parti controvertenti in sede di appello (nonché nel giudizio di primo grado) consente di ricostruire la vicenda contenziosa come segue, limitatamente alle questioni fatte oggetto di ricorso in primo grado e decise con la sentenza della quale qui si chiede la riforma:
- l’Agenzia marittima, oggi parte appellante, svolge da moltissimi anni l’attività di agenzia marittima, spedizioniere e commissario d'avaria nonché dal 1969 l’attività di pesa pubblica in Gaeta, località Porto Salvo;
- nel lontano 1981 l’Agenzia marittima presentò istanza al Comune di Gaeta per la realizzazione di una pesa portuale formata da elementi prefabbricati di facile rimozione e per la costruzione di un “gabbiotto/container” all’interno del Nuovo Porto, Banchina S. D’Acquisto che, dopo una lunga fase istruttoria, venne accolta dal predetto comune nel gennaio 1983, con il rilascio dell’autorizzazione a realizzare i lavori, per quanto di competenza comunale;
- nel 1985 venne chiesto al comune di poter installare un prefabbricato in ferro “tipo container” della superficie di 15 mq che avrebbe dovuto essere avvitato “sul cordolo in ferro già sistemato sul basamento di cemento insistente”. Anche tale istanza venne accolta con il rilascio della concessione edilizia n. 37 del 16 maggio 1985;
- ai fatti, come sopra descritti, va aggiunto che nel 1985 veniva rinnovata in favore dell’Agenzia la concessione demaniale marittima relativa all’area occupata dalle costruzioni di cui sopra e in tale occasione la Capitaneria di Porto specificava che l’Agenzia avrebbe tenuto “una stadera a ponte bilico di facile rimozione adibita a pesa portuale con relativo pannello di lettura e casotto prefabbricato in ferro di mq 15 (6x2,50) per locale pesatore”, precisando che per tale opera adibita a “pesa portuale” “la concessione (…) deve intendersi a carattere di assoluta precarietà e, pertanto, la pesa dovrà essere rimossa a semplice richiesta dell’Amministrazione Marittima in relazione ad incombenze tecniche connesse alle opere previste dal Piano Regolatore Portuale”;
- successivamente, con delibera n. 75 del 23 luglio 1999, il Comune di Gaeta approvava la variante al Piano regolatore del Porto Commerciale di Gaeta che espressamente prevedeva (nelle Norme Tecniche di attuazione, in particolare al “Lotto n. 8; Servizi pubblici: Pesa. Mantiene l’attuale conformazione e destinazione”) di includere la pesa pubblica dell’Agenzia Iannaccone, anche sotto il profilo “grafico” negli atti;
- si duole l’odierna appellante che, a distanza di moltissimi anni da quei fatti, durante i quali non sono mai state mosse contestazioni in ordine alla legittimità della installazione della “pesa” il Comune di Gaeta, con atto del 19 ottobre 2016, avviava un procedimento di contestazione della legittimità della suddetta installazione e che, nonostante la trasmissione di memorie oppositive a chiarimento della legittimità dell’opera, in data 28 giugno 2017, il predetto comune emanava l’ordinanza di demolizione n. 278, prot. n. 32416, con la quale ingiungeva la demolizione della pesa e dell’adiacente container adibito ad uffici ed il ripristino dello stato dei luoghi.
L’Agenzia proponeva dunque ricorso dinanzi al competente Tribunale amministrativo regionale per ottenere l’annullamento dell’ordinanza comunale sostenendone l’illegittimità.
3. – Lamenta oggi l’Agenzia appellante che il Tribunale amministrativo regionale per il Lazio, Sede di Latina, abbia errato nel respingere il suddetto ricorso con la sentenza qui oggetto di gravame.
Nel corso del giudizio di primo grado la odierna appellante aveva rappresentato al primo giudice che il provvedimento impugnato doveva essere dichiarato illegittimo in quanto affetto:
- da eccesso di potere, visto che il Comune di Gaeta aveva intimato, senza neppure svolgere una adeguata istruttoria, la demolizione di opere realizzate nel rispetto di titoli edilizi rilasciati e validi, non tenendo conto che le opere, rispetto alle quali era intimata la demolizione, consistevano in manufatti di facile rimozione sia perché soltanto avvitati al suolo sia per quanto espressamente previsto dalla circolare n. 120, serie 1, del 24 maggio 2001, prot. n. DEM2A-1268 (che qualifica le opere per le quali è qui controversia come di facile rimozione), oltre alla circostanza che dette le opere erano state espressamente volute, previste e graficizzate nel nuovo Piano regolatore del Porto commerciale di Gaeta;
- da vizio di violazione di legge con riferimento ai criteri e principi indicati nell’art. 1 nonché degli artt. 7, 10 e 21-nonies l. 7 agosto 1990, n. 241, oltre che dell’art. 97 Cost. e con riferimento all’art. 31 d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380;
- da vizio di incompetenza del Comune di Gaeta ad emettere provvedimenti autorizzatori e repressivi in favore della potestà esclusiva dell’Autorità portuale di Gaeta.
Il Tribunale amministrativo riteneva non fondati i motivi di censura dedotti in quanto, oltre alla circostanza che la bullonatura al cemento armato fa perdere la caratteristica di opere facilmente amovibili, effettivamente, per come contestato dal Comune di Gaeta nel corso dell’istruttoria che ha dato luogo all’adozione dell’ordinanza di demolizione impugnata, le opere sono state realizzate senza il necessario previo rilascio dell’autorizzazione paesaggistica e dell’autorizzazione all’allaccio in fogna e allo scarico (quest’ultima necessaria per il container, a carattere stabile e dotato di wc), non rilevando, al fine di ritenere legittima l’installazione, “la graficizzazione delle opere riprodotta nel Piano regolatore del porto commerciale di Gaeta, né la mancata valutazione dell’interesse pubblico alla riduzione in pristino, che non è necessaria nei casi di violazione di norme urbanistico/edilizie e di assenza di titolo edificatorio (ancorché la demolizione sia disposta a considerevole distanza di tempo dall’intervento edilizio abusivo)” (così, testualmente, nella sentenza qui oggetto di appello).
4. – L’appellante in primo luogo rileva come nella fase cautelare del giudizio di primo grado in sede di appello questa Sezione, con ordinanza n. 5421 del 31 dicembre 2017, abbia affermato che “le censure dedotte dall’originaria ricorrente (…) sono sorrette da consistenti elementi di fumus boni iuris, apparendo l’installazione della pesa conforme alle originarie autorizzazioni”.
Tale decisione cautelare del giudice di appello, all’opposto da quella assunta nelle sede di merito dal Tribunale amministrativo regionale, era da ritenersi corretta.
Infatti, quanto alla precarietà e facile amovibilità delle opere, dalla piana lettura della surrichiamata circolare ministeriale n. 120 del 2001 emerge che “gli impianti, i manufatti e le opere realizzati o da realizzare sul demanio marittimo o nel mare territoriale si considerano di “difficile rimozione” quando rientrano nelle tipologie contraddistinte dalle lettere A B ed E, della allegata tabella “Tipologia delle opere”, mentre si considerano di “facile rimozione” quelle contraddistinte dalla lettera C, D, F e G”. Dal momento che appartengono categoria “C”, per espressa indicazione della suddetta circolare ministeriale, le “strutture prefabbricate realizzate su piattaforma di cemento armato incernierate o appoggiate con calcestruzzo in basamento”, non vi è dubbio che le opere fatte oggetto del provvedimento di ingiunzione a demolire corrispondono proprio a quelle considerate “di facile rimozione”, di talché la sanzione demolitoria inflitta si presenta illegittima e sproporzionata.
Inoltre le opere in questione sono state realizzate nella piena corrispondenza di quanto consentito dall’amministrazione competente con i titoli abilitativi a realizzarle rilasciati in seguito a approfondite attività istruttorie, peraltro svolte in un arco temporale significativo.
Erroneamente, sotto altro profilo, il giudice di primo grado ha respinto il ricorso segnalando la illegittimità delle opere realizzate senza che fosse stata rilasciata l’autorizzazione “all’allaccio in fogna e allo scarico (quest’ultima necessaria per il container, a carattere stabile e dotato di wc)”, in quanto tale presunto deficit di legittimità non è stato contestato alla odierna appellante nell’ordinanza demolitoria impugnata (n. 278, prot. n. 32416, del 27 giugno 2017), tenuto anche conto che il container in questione non è munito di servizi sanitari di alcun tipo.
Neppure coglie nel segno l’affermazione di infondatezza del ricorso proposto, espressa dal primo giudice, in ordine alla mancanza di autorizzazione paesaggistica. Pare evidente, infatti, che, essendo il parere paesaggistico prodromico al rilascio del titolo edilizio ed avendo il Comune di Gaeta rilasciato l’autorizzazione prot. n. 29348 del 25 gennaio 1983 per l’installazione della pesa nonché la concessione edilizia n. 37 del 16 maggio 1985 per il posizionamento del container, il ridetto parere paesaggistico sia stato ritenuto acquisito dall’amministrazione competente ovvero che essa non lo abbia considerato, nel caso di specie, necessario.
D’altronde le opere per le quali è qui controversia rientrano nella categoria delle opere di ordinaria manutenzione, per la cui realizzazione non si rende necessario il rilascio né di titolo edilizio né di nulla osta paesaggistico, anche perché dette opere, come si è sopra detto, sono facilmente amovibili.
Non da ultimo va poi considerato che la ricomprensione della installazione della pesa nel Piano regolatore portuale e la sua graficizzazione costituiscono elementi utili a considerare acquisite tutte le prescrizioni amministrative necessarie per la installazione e per il mantenimento della pesa.
A quanto sopra la parte appellante aggiungeva la mancata considerazione, da parte del giudice di primo grado, delle contestazioni sollevate con il ricorso introduttivo riferibili alla violazione e mancata applicazione delle disposizioni della l. 241/1990 nonché del d.P.R. 380/2001.
5. – Si è costituito il Comune di Gaeta contestando analiticamente le avverse prospettazioni e sostenendo la correttezza della sentenza pronunciata dal giudice di prime cure. L’Ente locale appellato ricorda, in particolare, che in data 26 giugno 2016, a seguito di sopralluogo da parte di funzionari del Dipartimento di riqualificazione urbana, veniva accertato che le opere in merito alle quali qui si controverte non erano conformi a quanto prescritto nei titoli edilizi rilasciati. Emesso il verbale n. prot. 33779, in data 19 ottobre 2016, gli uffici comunicavano all’Agenzia Iannaccone l’avvio del procedimento di repressione delle opere abusive (con comunicazione prot. n. 57426), specificando che dette “opere risultano realizzate in contrasto con le citate autorizzazioni in quanto non presentano caratteristiche di facile rimozione essendo saldamente ancorate su basamenti di calcestruzzo armato sia per il manufatto della pesa che per quello accessorio della pesa” e che “risultano realizzate in assenza della preventiva autorizzazione paesaggistica ex art. 146 del D.Lgs 24/2004, trattandosi di zona vincolata giusto D.M. 17.05.1956 ex L. 1497/39 e senza l’autorizzazione allo scarico e/o allaccio alla rete fognaria”. Da qui l’adozione dell’ordinanza di demolizione e di riduzione in pristino n. 278, prot. n. 32416, del 27 giugno 2017 manifestandosi un evidente contrasto tra quanto assentito nell’ordinanza di autorizzazione prot. 29348 del 25 gennaio 1983 e quanto poi realizzato.
Il Comune appellato concludeva per la reiezione dell’appello siccome proposto.
6. – La Sezione, con ordinanza 23 novembre 2018 n. 5677 ha respinto l’istanza cautelare di sospensione dell’efficacia della sentenza di primo grado, proposta dalla parte appellante, ritenendo insussistente, all’esito di una indagine preliminare, il requisito del fumus boni iuris.
Le parti hanno prodotto memorie, anche di replica, confermando le conclusioni già rassegnate nei precedenti atti processuali.
7. – In primo grado è stata fatta oggetto di impugnazione, ai fini dell’annullamento, l’ordinanza del Comune di Gaeta n. 278, prot. n. 32416, del 27 giugno 2017.
Leggendo il suddetto provvedimento emerge che, all’esito del sopralluogo del 24 giugno 2016, si è potuto appurare come:
- le opere realizzate non sono conformi a quanto previsto dall’autorizzazione prot. 29348 del 25 gennaio 1983 (per l’installazione di una pesa pubblica nel Porto (visto anche quanto indicato nel parere reso all’epoca dalla commissione edilizia nella seduta del 20 dicembre 1982) nella parte in cui si prescriveva che la pesa fosse di facile rimozione ed avesse carattere un provvisorio (non definitivo) e che l’ufficio annesso (il container) fosse costituito da un box smontabile di mq. 6.00 di superficie coperta;
- quanto sopra è confermato dalla circostanza specifica che dette opere risultano realizzate in contrasto con la citata autorizzazione anche perché non presentano le caratteristiche proprie di un’opera di facile rimozione, essendo saldamente ancorate su basamenti di calcestruzzo armato sia per il manufatto della pesa che per quello accessorio alla pesa e che le dimensioni della stadera a ponte non corrispondono con quanto riportato nel grafico allegato alla ridetta autorizzazione del 1983;
- inoltre le opere risultano essere state realizzate in assenza della preventiva autorizzazione paesaggistica, ricadendo in area che “secondo il vigente P.R.G. del Comune di Gaeta approvato con D.G.R. n. 1498 del 10.10.1973, in zona “Attrezzature Portuali”, risulta vincolata ai sensi dell'art. 134 del D.Lgs. 42 del 22.01.2004, codice dei beni culturali e del paesaggio ex L. 1497/1939 per D.M. 11.05.1956 e classificato secondo il vigente P.T.P. ambito territoriale sub 14 "Ir" normata dall'art.31 e secondo il P.T.P.R. in Reti infrastrutture e servizi art. 23 e vincolo sismico di cui alla L. 64/74 e s.m.i” (così, testualmente, nel provvedimento impugnato).
Per le suindicate ragioni, ai sensi degli artt. 27, 31 e 41 d.P.R. 380/2001 era disposta la demolizione e la riduzione in pristino dello stato dei luoghi.
8. – Cominciando l’esame delle varie questioni sottoposte al vaglio di questo giudice d’appello e scrutinando la contestazione con la quale l’Agenzia marittima appellante sostiene che erroneamente il primo giudice non abbia valorizzato la circostanza che la realizzazione delle opere era stata assentita con atto di autorizzazione e con atto di concessione edilizia e che dunque non poteva essere contestata, a distanza di molti anni, l’assenza del nulla osta paesaggistico, in quanto tale titolo abilitativo doveva essere considerato incorporato nei titoli abilitativi rilasciati, va detto che:
- in via generale, ai fini della esecuzione di opere edilizie su suoli demaniali non è sufficiente il semplice provvedimento di concessione demaniale, ma occorre pur sempre l'ulteriore ed autonomo titolo edilizio comunale, stante la piena autonomia degli interessi amministrativi presi in considerazione dai due atti abilitativi; la necessità dell'apposito titolo edilizio per le opere da eseguirsi dai privati su aree demaniali è espressamente prevista dall'art. 8 d.P.R. n. 380/2001 (che riproduce a sua volta il contenuto della disposizione di cui all’art. 31, comma terzo, l. 17 agosto 1942, n. 1150, nel testo sostituito dall’art. 10 l. 6 agosto 1967, n. 765);
- nello specifico, tenuto conto che l’area ove insiste la pesa e il container ricade in zona vincolata e che tale circostanza non è stata, ovviamente, contestata dalla odierna parte appellante, che si è limitata ad affermare che i titoli abilitativi a costruire rilasciati avrebbero considerato implicitamente assentito anche il nulla osta paesaggistico, deve ribadirsi come, in tema di autorizzazione paesaggistica, il parere della Soprintendenza è vincolante (ai sensi dell’art. 146 d.lgs. 22 gennaio 2014, n. 42 recante il “Codice dei beni culturali e del paesaggio”), tanto da costituire “atto distinto e presupposto della concessione o degli altri titoli legittimanti l'intervento edilizio”, come è espressamente sottolineato dall’art. 146, comma 8, d.lgs. 42/2014 (si veda, in tal senso, Cons. Stato, Sez. V, 23 febbraio 2018 n. 1146);
- di conseguenza il Comune di Gaeta, in applicazione degli artt. 27 (che attribuisce la vigilanza sull'attività urbanistica al responsabile del competente Ufficio comunale) e 31 (e, implicitamente, dell’art. 35, che concernono i lavori abusivi eseguiti sulle aree di proprietà dello Stato e degli enti pubblici e che dispongono l’irrogazione della sanzione del ripristino dello stato dei luoghi, per il tramite della demolizione delle opere abusive, perché realizzate in assenza ovvero in rilevante difformità dal titolo edilizio rilasciato) non poteva non adottare il provvedimento impugnato in primo grado.
Ed infatti è ormai più che noto, secondo il costante insegnamento giurisprudenziale (cfr. Cons. Stato, Ad. pl., 17 ottobre 2017 n. 9 e , da ultimo, Cons. Stato, Sez. VI, 26 giugno 2020 n. 4106), che:
- l'ordine di demolizione è atto dovuto e vincolato e non necessita di motivazione aggiuntiva rispetto all’indicazione dei presupposti di fatto e all'individuazione e qualificazione degli abusi edilizi;
- non può aver rilievo, ai fini della validità dell'ordine di demolizione, il tempo trascorso tra la realizzazione dell’opera abusiva e la conclusione dell'iter sanzionatorio;
- la mera inerzia da parte dell'amministrazione nell'esercizio di un potere-dovere finalizzato alla tutela di rilevanti finalità di interesse pubblico non è idonea a far divenire legittimo ciò che (l'edificazione sine titulo) è sin dall'origine illegittimo;
- allo stesso modo, tale inerzia non può certamente radicare un affidamento di carattere “legittimo” in capo al proprietario dell'abuso, giammai destinatario di un atto amministrativo favorevole idoneo a ingenerare un'aspettativa giuridicamente qualificata;
- non si può applicare a un fatto illecito (l’abuso edilizio) il complesso di acquisizioni che, in tema di valutazione dell'interesse pubblico, è stato enucleato per la diversa ipotesi dell'autotutela decisoria;
- non è in alcun modo concepibile l'idea stessa di connettere al decorso del tempo e all'inerzia dell'amministrazione la sostanziale perdita del potere di contrastare l'abusivismo edilizio ovvero di legittimare in qualche misura l'edificazione avvenuta senza titolo, non emergendo oltretutto alcuna possibile giustificazione normativa a una siffatta - e inammissibile - forma di sanatoria automatica;
- se pertanto il decorso del tempo non può incidere sull'ineludibile doverosità degli atti volti a perseguire l'illecito attraverso l'adozione della relativa sanzione, deve conseguentemente essere escluso che l'ordinanza di demolizione di un immobile abusivo debba essere motivata sulla sussistenza di un interesse pubblico concreto e attuale al ripristino della legalità violata. In tal caso, è del tutto congruo che l'ordine di demolizione sia adeguatamente motivato mercé il richiamo al comprovato carattere abusivo dell'intervento, senza che si impongano sul punto ulteriori oneri motivazionali, applicabili nel diverso ambito dell'autotutela decisoria;
- il decorso del tempo, lungi dal radicare in qualche misura la posizione giuridica dell'interessato, rafforza piuttosto il carattere abusivo dell'intervento;
- anche nel caso in cui l'attuale proprietario dell'immobile non sia responsabile dell'abuso e non risulti che la cessione sia stata effettuata con intenti elusivi, le conclusioni sono le stesse;
- resta fermo - ovviamente dopo il ripristino della legalità - la facoltà dell'interessato di presentare una nuova istanza di realizzazione delle opere e il potere delle amministrazioni preposte di valutare la conciliabilità dell'interesse imprenditoriale con gli interessi tutelati dalle norme edilizie e dai vincoli esistenti sulla zona.
9. – In virtù di quanto sopra il provvedimento impugnato già manifesta la sua legittimità, avendo gli uffici comunali appurato e contestato la mancanza dell’autorizzazione paesaggistica a realizzare le opere oggetto dell’ingiunzione a demolire.
Il Collegio non ritiene, infatti, di doversi discostare dal consolidato orientamento giurisprudenziale secondo il quale “ove l’atto impugnato (provvedimento o sentenza) sia legittimamente fondato su una ragione di per sé sufficiente a sorreggerlo, diventano irrilevanti, per difetto di interesse, le ulteriori censure dedotte dal ricorrente avverso le altre ragioni opposte dall'autorità emanante a rigetto della sua istanza” (cfr., tra le molte, Cons. Stato, Sez. IV, 28 novembre 2013 n. 5704 e Sez. VI, 31 marzo 2011 n. 1981) e “laddove una determinazione amministrativa di segno negativo si fondi su una pluralità di ragioni, ciascuna delle quali di per sé idonea a supportarla in modo autonomo, è sufficiente che anche una sola di esse resista alle censure mosse in sede giurisdizionale perché il provvedimento nel suo complesso resti esente dall'annullamento” (cfr., ancora, Cons. Stato, Sez. VI, 29 marzo 2011 n. 1897).
Ad ogni buon conto, per completezza espositiva, va rilevato come anche il contestato profilo della abusività delle opere perché realizzate difformemente da quanto imponevano i tioli abilitativi a suo tempo rilasciati non si presta ad essere accolto. In disparte da ogni considerazione prospettata dalla parte appellante l’avere ancorato con bulloni la pesa a basamenti di appoggio realizzati in cemento armato, per quanto di limitata consistenza in termini di spessore e di tipologia costruttiva, non rende l’opera effettivamente amovibile, malgrado l’astratta possibilità di procedere alla sua integrale rimozione e tanto si desume da un semplice esame delle fotografie allegate agli atti, che mostrano inequivocamente la palese solidità della struttura del manufatto in questione, anche con riferimento al container. Se, come lascia intendere la parte appellante nelle sue difese, una diversa collocazione e sistemazione della pesa non avrebbe potuto essere realizzata in quanto l’opera non sarebbe stata più funzionale al proprio uso, anche perché deve “ospitare” autocarri di molte tonnellate di peso, tale incongruenza del contenuto dei titoli abilitativi avrebbe dovuto essere contestata all’amministrazione che li aveva rilasciati a suo tempo.
Nondimeno va anche precisato che la infondatezza del gravame proposto dalla odierna appellante, confermata nella sede di appello, non esclude, come si è già anticipato più sopra, che la stessa possa richiedere alle amministrazioni competenti un nuovo rilascio dei titoli per la realizzazione delle opere, questa volta compatibilmente alle prescrizioni edilizie e urbanistiche imposte dalle specifiche discipline di settore rilevanti in quell’area territoriale.
10. - In ragione delle suesposte osservazioni l’appello va respinto, con conseguente conferma della sentenza del Tribunale amministrativo regionale per il Lazio, Sede di Latina, Sez. I, 23 luglio 2018 n. 416, con la quale è stato respinto il ricorso (n. R.g. 589/2017) proposto in primo grado.
Le spese del giudizio in grado di appello seguono la soccombenza, per il noto principio di cui all’art. 91 c.p.c., per come richiamato espressamente dall’art. 26, comma 1, c.p.a., di talché le stesse vanno imputate a carico della parte appellante, Agenzia marittima Cap. Francesco Iannaccone ed in favore della parte appellata, il Comune di Gaeta, nella misura complessiva di € 3.000,00 (euro tremila/00), oltre accessori come per legge.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta), definitivamente pronunciando sull’appello n. R.g. 8550/2018, come in epigrafe proposto, lo respinge e, per l’effetto, conferma la sentenza del Tribunale amministrativo regionale per il Lazio, Sede di Latina, Sez. I, 23 luglio 2018 n. 416, con la quale è stato respinto il ricorso (n. R.g. 589/2017) proposto in primo grado.
Condanna l’Agenzia marittima Cap. Francesco Iannaccone, in persona del rappresentante legale pro tempore, a rifondere le spese del giudizio in grado di appello in favore del Comune di Gaeta, in persona del rappresentante legale pro tempore, nella misura complessiva di € 3.000,00 (euro tremila/00), oltre accessori come per legge.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’Autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella Camera di consiglio del giorno 16 luglio 2020 con l'intervento dei magistrati:
Sergio De Felice, Presidente
Bernhard Lageder, Consigliere
Vincenzo Lopilato, Consigliere
Alessandro Maggio, Consigliere
Stefano Toschei, Consigliere, Estensore