Cass. Sez. III n. 13735 del 6 aprile 2016 (Ud 20 gen 2016)
Pres. Ramacci Est. Liberati Ric. Adami
Aria.Realizzazione di impianto in difetto di autorizzazione e soggetti responsabili
Il reato di realizzazione di impianto in difetto di autorizzazione (o di gestione di impianto di cui, come nel caso in esame, non siano state autorizzate, ai sensi dell' articolo 269, comma 8, modificazioni sostanziali), di cui all'art. 279 d.lgs. n. 152 del 2006, ha natura permanente, e dunque non si esaurisce con la condotta di chi lo costruisce (o apporta le modificazioni), ma è commesso anche dai successivi responsabili che proseguono l'esercizio dell'attività produttiva, in quanto anche su costoro grava l'obbligo di chiedere il rilascio del titolo abilitativo per le emissioni atmosferiche prodotte o di cessare l'attività in assenza dello stesso
RITENUTO IN FATTO
1. Con sentenza del 27 settembre 2013 il Tribunale di Terni ha condannato A.G., quale amministratore della S.r.l.
Monteplast (autorizzata a svolgere attività di recupero di rifiuti non pericolosi costituiti da materiale plastico di scarto), alla pena di Euro 400 di ammenda per il reato di cui al D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 279, comma 1 (per avere realizzato una modifica sostanziale dello stabilimento senza darne la comunicazione prescritta dal D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 8).
Il Tribunale, nel disattendere l'eccezione di prescrizione del reato sollevata dall'imputato, ne ha affermato la natura permanente, sulla base del rilievo che la condotta illecita si protrae fino a quando, mediante lo stabilimento come indebitamente modificato, viene esercitata l'attività di recupero di rifiuti in assenza della autorizzazione alla modificazione, determinando lo svolgimento di tale attività pericolo per la salute della popolazione e per l'integrità dell'ambiente. Il Tribunale ha quindi ritenuto la responsabilità di A.G., quale amministratore della società fino al 21 dicembre 2009.
2. Avverso tale sentenza ha proposto ricorso l'imputato mediante il suo difensore, affidato ad un unico motivo, con il quale ha denunciato vizio di motivazione in ordine all'epoca di commissione dell'illecito, cioè di realizzazione della indebita modificazione dello stabilimento, a proposito della quale non erano stati acquisiti elementi o dati precisi attraverso l'esame dei testimoni e di cui non era stato dato sufficientemente conto nella motivazione della sentenza impugnata, con la conseguente annullabilità della stessa, per essere il reato contestato estinto per prescrizione.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è inammissibile.
Va ricordato che il reato di realizzazione di impianto in difetto di autorizzazione (o di gestione di impianto di cui, come nel caso in esame, non siano state autorizzate, ai sensi dell'art. 269, comma 8, modificazioni sostanziali), di cui al D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 279, ha natura permanente, e dunque non si esaurisce con la condotta di chi lo costruisce (o apporta le modificazioni), ma è commesso anche dai successivi responsabili che proseguono l'esercizio dell'attività produttiva, in quanto anche su costoro grava l'obbligo di chiedere il rilascio del titolo abilitativo per le emissioni atmosferiche prodotte o di cessare l'attività in assenza dello stesso (Sez. 3, n. 3206 del 02/10/2014, Pasquinelli, Rv. 262009; conf. Sez. 3, n. 12436 del 20/02/2008, Contento, Rv. 238924).
Di tale principio ha fatto corretta la sentenza impugnata che, sul rilievo della natura permanente del reato, in quanto diretto a salvaguardare la salute e l'ambiente, ha affermato la responsabilità del ricorrente quale amministratore della società Monteplast fino al 21 dicembre 2009, per avere proseguito l'attività mediante l'impianto come modificato, escludendo di conseguenza la prescrizione dell'illecito, accertato a seguito di sopralluogo effettuato nello stabilimento il 17 giugno 2010.
Ne consegue l'irrilevanza dell'epoca di realizzazione della modificazione non autorizzata, in relazione alla quale il ricorrente ha prospettato la mancanza e la contraddittorietà della motivazione, essendo proseguita l'attività produttiva mediante l'impianto non debitamente autorizzato (e dunque la permanenza dell'illecito) fino al sopralluogo del 17 giugno 2010 dei tecnici dell'ARPA, con la conseguente responsabilità del ricorrente fino alla cessazione dalla carica di amministratore della società (21 dicembre 2009).
Ne consegue la manifesta infondatezza e, dunque, l'inammissibilità del ricorso.
L'inammissibilità del ricorso preclude il rilievo della prescrizione del reato, compiutasi il 21 dicembre 2014, essendo intervenuta anteriormente la pronuncia del Tribunale, resa il 27 settembre 2013, atteso che, nella consolidata interpretazione di questa Corte, un ricorso per cassazione inammissibile, per manifesta infondatezza dei motivi o per altra ragione, "non consente il formarsi di un valido rapporto di impugnazione e preclude, pertanto, la possibilità di rilevare e dichiarare le cause di non punibilità a norma dell'art. 129 c.p.p." (Cass., Sez. U, n. 32 del 22/11/2000, De Luca, Rv 217266; v. anche, negli stessi termini, Cass. , Sez. 4, n. 18641 del 20/01/2004, Tricorni).
Alla declaratoria di inammissibilità del ricorso consegue, ex art. 616 c.p.p., non potendosi escludere che essa sia ascrivibile a colpa del ricorrente (Corte Cost. sentenza 7 - 13 giugno 2000, n. 186), l'onere delle spese del procedimento, nonchè del versamento di una somma in favore della cassa delle ammende, che si determina equitativamente, in ragione dei motivi dedotti, nella misura di Euro 1.000.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1.000,00 in favore della cassa delle ammende.
Così deciso in Roma, il 20 gennaio 2016.
Depositato in Cancelleria il 6 aprile 2016