Cass. Sez. III n. 2525 del 24 gennaio 2022 (CC 19 ott 2021)
Pres. Gentili Est. Zunica Ric. Montesoro
Urbanistica.Sequestro preventivo e facoltà d’uso

In tema di reati edilizi, la facoltà d’uso residenziale privato di un manufatto sottoposto a sequestro preventivo cosiddetto impeditivo è incompatibile con le finalità della misura cautelare, ovvero quelle di inibire le conseguenze antigiuridiche, ulteriori rispetto alla consumazione dei reati, essendo stato peraltro esteso tale principio anche al caso in cui la facoltà d’uso residenziale sia stata riconosciuta rispetto a un manufatto sottoposto a sequestro non cd. impeditivo, ma che sia finalizzato alla sola confisca, configurandosi anche in tal caso la necessità di non vanificare l’esigenza di sottrarre fisicamente la disponibilità del bene al destinatario della misura, e ciò senza contare il rischio di un possibile deterioramento del bene


RITENUTO IN FATTO

1. Con ordinanza del 19 maggio 2021, il Tribunale del riesame di Roma, in accoglimento dell’appello cautelare proposto dal P.M., annullava il provvedimento del G.I.P. di Roma del 24 dicembre 2020, con il quale era stata concessa all’indagato Michele Montesoro la facoltà d’uso relativamente all’immobile oggetto del decreto di sequestro preventivo emesso il 14 ottobre 2020 dal medesimo G.I.P.; tale decreto, già confermato dal Tribunale del Riesame con precedente ordinanza, era stato reso in ordine al reato di cui all’art. 1161 del Codice della navigazione, contestato a Montesoro per avere occupato, in difetto di titolo concessorio, un’area pubblica demaniale, pari a circa 180 mq., ubicata sul Lungomare Amerigo Vespucci di Ostia, civico 99 (cottage della fila B).
2. Avverso l’ordinanza del Tribunale capitolino, Montesoro, tramite il suo difensore di fiducia, ha proposto ricorso per cassazione, sollevando due motivi esposti congiuntamente, con i quali la difesa deduce la violazione degli art. 275, 299 e 321 cod. proc. pen., nonché il difetto di motivazione della decisione impugnata, osservando come fosse apodittica l’affermazione del Tribunale, secondo cui l’uso del bene era incompatibile con la finalità della misura cautelare adottata, ossia di evitare la protrazione dello stato antigiuridico, non essendosi considerato che la decisione del Tribunale si era risolta in una modifica in peius della misura, le cui modalità attuative erano state rese meno gravose dal G.I.P. in ragione di una corretta valutazione in termini di proporzionalità rispetto alla entità e alla natura del fatto contestato, essendo applicabile anche al sequestro preventivo il principio di proporzionalità, dovendosi inoltre considerare che all’avv. Montesoro erano state imposte severe prescrizioni, peraltro rispettate.
Sarebbero rimaste altresì ignorate nel provvedimento impugnato le allegazioni volte a rimarcare la situazione del complesso “Maresole”, contraddistinta da un coacervo di norme regolamentari succedutesi nel tempo e da una violazione continuativa delle stesse da parte degli enti territoriali preposti al rilascio, alla proroga e al rinnovo delle concessioni demaniali, il che avrebbe dovuto rilevare ai fini della valutazione sull’elemento soggettivo del reato contestato.
Da ultimo, infine, il ricorrente evidenzia che nel caso di specie vi è stata la immediata riapposizione dei sigilli al manufatto de quo, senza attendere i termini di legge per l’impugnazione, risultando ciò in antitesi con la previsione di cui all’art. 310, comma 3, cod. proc. pen., che sospende l’esecuzione dell’ordinanza che accoglie l’appello del P.M. fino a quando la decisione non diventi definitiva.
Vi sarebbe dunque una sperequazione della disciplina, in forza della quale la difesa chiede di sollevare la questione di legittimità dinnanzi al Giudice delle leggi per la violazione dei parametri costituzionali di cui agli art. 2, 3 e 24 Cost.

CONSIDERATO IN DIRITTO

Il ricorso è infondato.
1. Occorre premettere che il bene oggetto del decreto di sequestro del G.I.P. del 14 ottobre 2020 è costituito da un immobile di circa 180 mq. ubicato sul lungomare Amerigo Vespucci di Ostia al n. 99, composto da un corpo di fabbrica principale (cottage) di 112 mq. e da 68 mq. di pertinenze esterne.
Dopo l’imposizione della misura cautelare reale, il G.I.P. aveva riconosciuto all’indagato Michele Monteroso la facoltà d’uso dell’immobile, valorizzando il fatto che si trattava di una detenzione risalente a molti anni prima, inseritasi nel peculiare contesto della gestione di un complesso residenziale, “Maresole”, che si protrae da molti anni nonostante la scadenza dei titoli concessori.
Nell’accogliere l’appello del P.M., il Tribunale del riesame, pur ritenendo (correttamente) la decisione del G.I.P. non abnorme, ha tuttavia annullato il provvedimento di autorizzazione all’uso del bene immobile sequestrato, rilevando che, con il riconoscimento della facoltà d’uso, non temporaneo o dettato da motivi contingenti, erano state di fatto vanificate le ragioni che avevano indotto il medesimo giudice a disporre il sequestro preventivo cd. impeditivo, essendo la misura finalizzata proprio a evitare la protrazione dello stato antigiuridico, collegato appunto alla commissione del reato (art. 1161 del Codice della navigazione), di cui è stato ravvisato il fumus nella fase genetica del sequestro.
Ora, l’impostazione seguita dai giudici dell’impugnazione cautelare appare immune da censure, dovendosi richiamare la condivisa affermazione di questa Corte (cfr. Sez. 3, n. 16689 del 26/02/2014, Rv. 259540 e Sez. 3, n. 30482 del 28/05/2015, Rv. 264303), secondo cui, in tema di reati edilizi, la facoltà d’uso residenziale privato di un manufatto sottoposto a sequestro preventivo cosiddetto impeditivo è incompatibile con le finalità della misura cautelare, ovvero quelle di inibire le conseguenze antigiuridiche, ulteriori rispetto alla consumazione dei reati, essendo stato peraltro esteso tale principio anche al caso in cui la facoltà d’uso residenziale sia stata riconosciuta rispetto a un manufatto sottoposto a sequestro non cd. impeditivo, ma che sia finalizzato alla sola confisca, configurandosi anche in tal caso la necessità di non vanificare l’esigenza di sottrarre fisicamente la disponibilità del bene al destinatario della misura, e ciò senza contare il rischio di un possibile deterioramento del bene (cfr. in termini Sez. 3, n. 2296 del 06/12/2019, dep. 2020, Rv. 278020).
Di qui l’infondatezza delle censure sollevate sul punto, dovendosi altresì escludere che la decisione impugnata, rimuovendo la facoltà d’uso del bene, si ponga in contrasto con il principio di proporzionalità, che non risulta violato dal ripristino della piena espansività di un sequestro, la cui legittimità sostanziale peraltro non appare suscettibile di essere rimessa in discussione in questa sede.
       2. Da ultimo, deve osservarsi che non si ravvisano i presupposti per accogliere la sollecitazione difensiva volta a sollevare la questione di legittimità costituzionale rispetto alla previsione, desumibile dal combinato disposto degli art. 310 comma 3 e 325 comma 4 cod. proc. pen., secondo cui, a differenza di quanto avviene per le impugnazioni cautelari in materia di libertà personale, la decisione con cui il Tribunale del riesame inasprisce il regime cautelare delle misure reali è immediatamente esecutiva, anche se non ancora definitiva (tanto è vero che, nella vicenda in esame, vi è stata la pronta riapposizione dei sigilli prima ancora della proposizione del ricorso per cassazione).
E invero la differente disciplina della produzione degli effetti tra le ordinanze del Tribunale del riesame che modificano in peius il regime cautelare in materia di libertà personale e quelle peggiorative rese in ambito cautelare reale non presenta profili di irragionevolezza, dovendosi evidenziare che la previsione di cui al citato art. 310 comma 3, secondo cui l’esecuzione della decisione con la quale il Tribunale del riesame, accogliendo l’appello del P.M., dispone una misura cautelare personale, è sospesa fino a che la decisione non sia divenuta definitiva, costituisce già un’eccezione alla regola generale, codificata dall’art. 588 comma 2 cod. proc. pen., secondo cui le impugnazioni contro i provvedimenti in materia di libertà personale (e ciò a maggior ragione vale per quelli in materia cautelare reale) non hanno in alcun caso effetto sospensivo del provvedimento impugnato.
Orbene, l’evidente differenza degli interessi in gioco tra la materia cautelare reale e la materia della limitazione della libertà personale rende non irragionevole la mancata estensione alla prima di quella che, per la seconda, costituisce già una previsione derogatoria alla regola secondo cui le impugnazioni cautelari non sospendono gli effetti della decisione impugnata, costituendo quella di cui all’art. 310 comma 3 una norma di garanzia che risulta giustificata per i soli casi in cui, in tema di libertà personale, vi sia stata una difforme valutazione dei giudici di merito, la seconda delle quali si riveli sfavorevole all’indagato.
Ove tale evenienza si verifichi in materia cautelare reale, non appare illogico recuperare la regola generale, affermata espressamente dall’art. 325 comma 4 cod. proc. pen., secondo cui il ricorso per cassazione non sospende l’esecuzione dell’ordinanza impugnata, ovvero sia di quella che abbia applicato la cautela in prima battuta, sia di quella che l’abbia disposta in accoglimento dell’appello del P.M., non derivando da ciò compromissioni della sfera della libertà personale, cui non può essere equiparata tout court la tutela della libera disponibilità dei beni.
Non vi è dunque spazio per l’accoglimento della sollecitazione difensiva, e ciò a maggior ragione ove si consideri che, nella vicenda in esame, la decisione del Tribunale del riesame non ha disposto ex novo la misura cautelare del sequestro, ma si è limitata a escludere (fondatamente) una facoltà d’uso riconosciuta dal giudice che aveva disposto la cautela rispetto a un sequestro già in esecuzione.
       3. In conclusione, alla stregua delle considerazioni svolte, il ricorso proposto nell’interesse di Montesoro deve essere rigettato, con onere per il ricorrente, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., di sostenere le spese del procedimento.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso il 19/10/2021