Cass. Sez. III n. 52031 del 7 dicembre 2016 (Ud 4 ott 2016)
Pres. Fiale Est. Aceto Ric. Bartozzi
Caccia e animali. Legittimazione alla costituzione di parte civile di associazioni diverse da quelle individuate nel decreto ministeriale
In attuazione dell'art. 19-quater, disp. att. c.p., il Ministero della Salute ha emanato il d.m. 2 novembre 2006, pubblicato nella Gazz. Uff. n. 19 del 24/01/2007. Appare evidente, dal combinato disposto delle due norme, che la loro interazione sistematica non determina alcun diritto di esclusiva a favore delle associazioni ed enti individuati con il citato decreto ministeriale a costituirsi parte civile nei processi penali relativi ai reati commessi ai danni di animali. In realtà l'art. 7, legge n. 189 del 2004 riconosce, a favore di tali associazioni ed enti (individuate al solo fine di ottenere l'affidamento e la custodia degli animali), l'esistenza "ope legis" della finalità di tutela degli interessi lesi dai reati previsti dalla stessa legge, ma non esclude in alcun modo che tale finalità possa essere perseguita anche da associazioni diverse da quelle così individuate che deducano di aver subito un danno diretto dal reato.
RITENUTO IN FATTO
1. Il sig. B.G. ricorre per l'annullamento della sentenza del 26/05/2015 del Tribunale di Ancona che lo ha dichiarato colpevole del reato di cui all'art. 727 c.p., comma 2, commesso in (OMISSIS) in epoca antecedente e prossima al (OMISSIS) (e comunque non successiva al mese di (OMISSIS)), e lo ha condannato alla pena di 3.000,00 Euro di ammenda, oltre al risarcimento del danno non patrimoniale in favore delle costituite parti civili.
Si contesta all'imputato, nella sua qualità di gestore dell'Hotel del Cane, incaricato da diversi Comuni del circondario della gestione degli animali a vario titolo ricoverati presso la struttura perchè sottratti ai titolari ovvero perchè privi di titolare, alcuni anche di sua proprietà, di aver detenuto numerosi cani (circa 200) in condizioni incompatibili con la loro natura e produttive di gravi sofferenze, omettendo, in particolare, di fornire loro adeguate cure veterinarie, di lavarli, di effettuare adeguata toilettatura, di utilizzare acqua calda, di consentire loro libero movimento e sgambatura, di fornire cibo e acqua adeguati e in quantità idonea, non avariati e puliti o non contaminati, di disinfestare regolarmente gli ambienti, nonchè di fornire adeguati ripari e strutture e ambiente sano, pulito e asciutto, nonchè ancora detenendo femmine di cane con cuccioli in capannoni freddi e completamente al buio.
All'esito dell'istruttoria dibattimentale, il Tribunale ha ritenuto provato che: a) in un capannone erano detenute, completamente al buio, alcune femmine in gestazione con cuccioli; b) alcuni cani erano detenuti in locali assolutamente inidonei; c) taluni cani, a causa della pessima regolamentazione delle acque meteoriche con conseguenti ristagni d'acqua e dei pantani nei box, erano perennemente bagnati, con conseguente pregiudizio per la loro salute.
Lo stesso Tribunale ha ritenuto insussistenti le altre omissioni ipotizzate nella rubrica ed in ogni caso, anche ove ritenute sussistenti, la loro inidoneità a provocare gravi sofferenze agli animali.
1.1. Con il primo motivo il ricorrente eccepisce, ai sensi dell'art. 606 c.p.p., lett. b) ed e), l'erronea applicazione dell'art. 727 c.p., comma 2, e vizio di motivazione mancante, contraddittoria o manifestamente illogica sul punto.
Deduce, a tal fine, che:
- per la sussistenza del reato per il quale si procede è necessario che le condizioni in cui l'animale è custodito siano non solo incompatibili con la sua natura ma anche produttive di gravi conseguenze;
- la sentenza impugnata non solo omette qualsiasi disamina in ordine all'entità e permanenza di tali sofferenze, ritenute "in re ipsa" e desunte da un mero ed acritico rinvio a talune delle risultanze istruttorie, ma è anche intrinsecamente contraddittoria allorquando alleggerisce la propria responsabilità in conseguenza del sostanziale ridimensionamento dell'accusa, affermando che gli ambienti, nel loro insieme, dovevano essere ritenuti sostanzialmente idonei e riconoscendo che le acque reflue convogliavano in contenitori stagni;
- la portata delle condotte escluse, peraltro, è ben più rilevante di quelle che, secondo l'impostazione accusatoria, erano in grado di provocare gravi sofferenze ma solo se valutate nel loro insieme.
1.2. Con il secondo motivo eccepisce, ai sensi dell'art. 606 c.p.p., lett. e), la contraddittorietà della motivazione con il contenuto di specifici atti quali: a) la relazione del CFS del 24/05/2011; b) gli accessi e le verifiche effettuati dagli organi di controllo dal marzo 2009 al mese di settembre 2011; c) la testimonianza resa dal medico veterinario della ASUR (OMISSIS) all'udienza del 24/03/2015; d) il verbale del WWF del 29/05/2010; e) il verbale del Nucleo Vigilanza Zoofila del 02/03/2011.
1.3. Con il terzo motivo impugna l'ordinanza dibattimentale del 24/02/2015, che ha respinto la richiesta di esclusione delle parti civili (associazioni Onlus "Amici animali" e "Qua la zampa") e le successive statuizioni civili ed eccepisce a tal fine, ai sensi dell'art. 606 c.p.p., lett. c) ed e), l'inosservanza degli artt. 74 e 91 c.p.p., e vizio di motivazione mancante, contraddittoria o manifestamente illogica sul punto.
Deduce, al riguardo, che le due associazioni non erano legittimate a costituirsi parte civile perchè non riconosciute ai sensi del Decreto Ministeriale emanato il 02/11/2006 in attuazione della L. 20 luglio 2004, n. 179, art. 7.
1.4. Con il quarto motivo, proposto in via del tutto subordinata, eccepisce, ai sensi dell'art. 606 c.p.p., lett. b), l'inosservanza e comunque l'erronea applicazione dell'art. 131-bis c.p. invocando la non punibilità per particolare tenuità del fatto.
CONSIDERATO IN DIRITTO
2. Il ricorso è fondato.
3. Per motivi di priorità logica è necessario esaminare il terzo motivo di ricorso.
3.1. La L. 20 luglio 2004, n. 189, art. 3, ha introdotto nel corpo delle disposizioni di coordinamento e transitorie del codice penale gli artt. 19-ter e 19-quater.
3.2. Recita, in particolare, quest'ultimo: "Art. 19-quater. - (Affidamento degli animali sequestrati o confiscati). - Gli animali oggetto di provvedimenti di sequestro o di confisca sono affidati ad associazioni o enti che ne facciano richiesta individuati con decreto del Ministro della salute, adottato di concerto con il Ministro dell'interno".
3.3. L'art. 7 della cit. legge recita: "7. Diritti e facoltà degli enti e delle associazioni. 1. Ai sensi dell'art. 91 c.p.p., le associazioni e gli enti di cui all'art. 19-quater disp. att. c.p., perseguono finalità di tutela degli interessi lesi dai reati previsti dalla presente legge".
3.4. In attuazione dell'art. 19-quater disp. att. c.p., il Ministero della Salute ha emanato il D.M. 2 novembre 2006, pubblicato nella Gazz. Uff. n. 19 del 24/01/2007.
3.5. Appare evidente, dal combinato disposto delle due norme, che la loro interazione sistematica non determina alcun diritto di esclusiva a favore delle associazioni ed enti individuati con il citato decreto ministeriale a costituirsi parte civile nei processi penali relativi ai reati commessi ai danni di animali.
3.6. In realtà la L. n. 189 del 2004, art. 7, riconosce, a favore di tali associazioni ed enti (individuate al solo fine di ottenere l'affidamento e la custodia degli animali), l'esistenza "ope legis" della finalità di tutela degli interessi lesi dai reati previsti dalla stessa legge, ma non esclude in alcun modo che tale finalità possa essere perseguita anche da associazioni diverse da quelle così individuate che deducano di aver subito un danno diretto dal reato.
3.7. E' ammissibile la costituzione di parte civile di un'associazione anche non riconosciuta che avanzi, "iure proprio", la pretesa risarcitoria, assumendo di aver subito per effetto del reato un danno, patrimoniale o non patrimoniale, consistente nell'offesa all'interesse perseguito dal sodalizio e posto nello statuto quale ragione istituzionale della propria esistenza ed azione, con la conseguenza che ogni attentato a tale interesse si configura come lesione di un diritto soggettivo inerente la personalità o identità dell'ente (Sez. U, n. 38343 del 24/04/2014, Espenhahn, Rv. 261110).
3.8. L'art. 91 c.p.p., attribuisce agli enti e alle associazioni ivi indicati i diritti e le facoltà attribuiti alla persona offesa dal reato. La legittimazione all'azione civile nel processo penale è invece riconosciuta dall'art. 74 c.p.p., a chiunque assuma di aver subito un danno in conseguenza del reato. Persona danneggiata (legittimata a costituirsi parte civile) e persona offesa (legittimata a esercitare anche le facoltà espressamente previste dal titolo 6^ del libro primo - parte prima del codice di rito) non sono normativamente sovrapponibili.
3.9. Le doglianze del ricorrente si fermano qui, non entrano nel merito della legittimazione ad agire, nè della esistenza del danno risarcito con la sentenza di condanna.
3.10. Il terzo motivo è pertanto totalmente infondato.
4. E' invece fondato il primo motivo di ricorso.
4.1. Questa Suprema Corte ha costantemente affermato il principio che configurano il reato di maltrattamenti di animali, anche nella formulazione novellata di cui all'art. 727 c.p., non soltanto quei comportamenti che offendono il comune sentimento di pietà e mitezza verso gli animali destando ripugnanza per la loro aperta crudeltà ma anche quelle condotte che incidono sulla sensibilità dell'animale, producendo un dolore, avuto riguardo, per le specie più note (quali, ad esempio, gli animali domestici), al patrimonio di comune esperienza e conoscenza e, per le altre, alle acquisizioni delle scienze naturali. (Sez. 7, n. 46560 del 10/07/2015, Francescangeli, Rv. 265267; Sez. 3, n. 6829 del 17/12/2014, Garnero, Rv. 262529; Sez. 3, n. 44287 del 07/11/2007, Belloni Pasquinelli, Rv. 238280; nello stesso senso anche Sez. 3, n. 49298 del 22/11/2012, Tomat, Rv. 253882, secondo la quale costituiscono maltrattamenti, idonei ad integrare il reato di abbandono di animali, non solo le sevizie, le torture o le crudeltà caratterizzate da dolo, ma anche quei comportamenti colposi di abbandono e incuria che offendono la sensibilità psico-fisica degli animali quali autonomi essere viventi, capaci di reagire agli stimoli del dolore come alle attenzioni amorevoli dell'uomo).
4.2. La natura "grave" delle sofferenze, quale conseguenza delle modalità della detenzione dell'animale, pone un limite all'applicabilità della norma incriminatrice di cui costituisce elemento costitutivo. Tale requisito non era espressamente previsto nella previgente formulazione dell'art. 727 c.p., che puniva puramente e semplicemente la detenzione dell'animale in condizioni incompatibili con la loro natura (il che ha indotto alcuni Autori a stigmatizzare il sostanziale arretramento di tutela).
4.3. Tuttavia, anche in precedenza, questa Corte aveva affermato che "l'ipotesi della detenzione di animali in condizioni incompatibili con la loro natura non può prescindere, per la sua configurabilità, dalla presenza dell'elemento della sofferenza, intesa come lesione dell'integrità fisica dell'animale. E tale sofferenza, che deve caratterizzare la condotta, deve risultare da una prova adeguata, non superabile sulla base di semplici presunzioni circa le conseguenze negative sul benessere fisico degli animali. Invero, sotto il profilo dell'interpretazione letterale, non può trascurarsi che la rubrica dell'art. 727 c.p. è, pur nel nuovo testo, intitolata "maltrattamento di animali", il che se non altro dimostra la "ratio" della disposizione di perseguire condotte caratterizzate da una componente di lesività dell'integrità fisica; inoltre, una interpretazione che prescindesse dal collegamento con il concetto di sofferenza, condurrebbe a conseguenze palesemente irrazionali, e quindi contrastanti con il principio di ragionevolezza di cui all'art. 3 Cost.: se fosse sanzionabile la semplice detenzione degli animali in condizioni incompatibili con la loro natura, di per sè sola e dunque in assenza di sofferenza fisica degli animali stessi, qualsivoglia detenzione, a prescindere dal luogo, dalle modalità, dalla durata e dagli scopi della stessa, si porrebbe, per ciò stesso, in contrasto col precetto penale, dal momento che si tradurrebbe, inevitabilmente, in una privazione della libertà dell'animale, e quindi contrasterebbe inevitabilmente con la natura dell'animale stesso, istintivamente propenso a vivere in libertà. Oltre che con l'art. 3 Cost., una interpretazione della disposizione in questione svincolata dalla sussistenza della sofferenza potrebbe porsi, per la latitudine indefinita della condotta contemplata, anche in contrasto con il principio di tassatività delle fattispecie penali, di cui all'art. 25 Cost., comma 2, (così, molto lucidamente, Sez. 3, n. 601 del 01/10/1996, Dal Prà, Rv. 206821; nello stesso senso Sez. 3, n, 139 del 13/11/2000, Moreschi, Rv. 218697).
4.4. Tale principio era però contrastato da altre pronunce secondo cui, invece, "l'elemento della sofferenza fisica, connaturato all'ipotesi di incrudelimento e sevizie, non è necessario per integrare le altre ipotesi, ed in particolare quella di detenzione in condizioni incompatibili con la natura degli animali. Peraltro l'elemento della incompatibilità naturalistica della detenzione conferisce al reato la necessaria determinatezza, così ottemperando al principio di legalità di cui all'art. 25 Cost., comma 2" (così, Sez. 3, n. 1353 del 19/11/1997, Losi, Rv. 209795).
4.5. Nelle intenzioni del legislatore del 2004 l'inserimento, nella nuova fattispecie di reato, del requisito della "sofferenza" (fisica o psichica), esprime con chiarezza la scelta di considerare gli animali come esseri viventi suscettibili di tutela diretta e non più indiretta sol perchè oggetto del sentimento di pietà nutrito dagli esseri umani verso di loro (come invece continua a ritenere una parte della dottrina in considerazione della collocazione codicistica della norma).
4.6. Conseguentemente, il concetto di "gravità" della sofferenza (che è certamente meno intensa dello "strazio" di cui all'art. 544-ter c.p.) risponde a un'esigenza di certezza e maggior determinatezza della fattispecie altrimenti esposta alle mutevoli sensibilità soggettive dei consociati e dello stesso giudice chiamata ad applicarla, sopratutto quando si tratta di sofferenze interiori, non essendo revocabile in dubbio che la sofferenza può ben consistere anche in soli patimenti (Sez. 3, n. 175 del 13/11/2007, Mollaian, Rv. 238602).
4.7. Il predicato della "gravità", da questo punto di vista, assolve al compito di rendere oggettiva e quanto più socialmente condivisa la sofferenza percepita dall'animale a causa delle condizioni in cui viene detenuto, sacrificando sull'altare della necessaria offensività e oggettività del reato situazioni di sofferenza che non superano la soglia di plateale evidenza (cfr., in tema, Sez. 3, n. 175 del 2007, cit., secondo cui "i concetti indicati nell'art. 727 c.p. di "condizioni incompatibili con la loro (degli animali) natura" e di "produttive di gravi sofferenze" sono ormai di percezione comune, essendo entrati a far parte della sensibilità della comunità. Per cui il fatto non appare indeterminato della sua tipicità").
4.8. La gravità della sofferenza individua in molte legislazioni regionali il discrimine tra la condotta penalmente sanzionata e quella integrante illecito amministrativo. La Regione Marche, per esempio, punisce con sanzione amministrativa la condotta del causare dolore o sofferenza agli animali (L.R. Marche 20 gennaio 1997, n. 10, artt. 1 e 21 recentemente modificata dalla L.R. 20 aprile 2015, n. 18; l'art. 21 sanziona in via amministrativa anche la detenzione di canili in condizioni diverse da quelle imposte dall'art. 3, cit. legge).
4.9. Non è perciò sufficiente a integrare il reato una qualsiasi sofferenza dell'animale; occorre anche che essa sia grave.
4.10. Poichè la norma pretende una corrispondenza biunivoca tra la sofferenza dell'animale e le modalità della sua detenzione, è dall'analisi di queste ultime e dal grado di incompatibilità con la natura dell'animale stesso che deve essere desunta la gravità della sua sofferenza (cfr., sul punto, quanto condivisibilmente affermato da Sez. 3, n. 8676 del 16 luglio 2013, dep. il 24/02/2014, n.m., secondo cui "se è innegabilmente vero che il concetto di gravità della sofferenza necessario per la condotta prevista dall'art. 727 c.p., è diverso dal concetto di grave danno alla salute (dell'animale) contemplato nell'art. 544 ter c.p., è comunque indispensabile che le sofferenze cui gli animali mal custoditi dovessero essere sottoposti debbano raggiungere un livello tale da rendere assolutamente inconciliabile la condizione in cui vengono tenuti con la condizione propria dell'animale in situazione di benessere. Tale giudizio va espresso con riferimento alle situazioni contingenti, essendo evidente che una temporanea situazione di disagio dell'animale non può essere confusa con la situazione contra legem enunciata dall'art. 727 c.p., comma 2").
4.11. Nel caso di specie la sentenza impugnata ancora le gravi sofferenze dei cani alle condizioni oggettive dei luoghi in cui erano detenuti, condizioni descritte nei termini sopra già indicati e ritenute di per sè sufficienti a cagionare gravi sofferenze anche in assenza delle condotte omissive pur contestate nella rubrica.
4.12. Non v'è dubbio che anche le sole condizioni ambientali dei luoghi di detenzione possono essere fonte di sofferenze gravi per l'animale, quando incompatibili con la sua natura; tuttavia, nel caso di specie, la rubrica individua, quali fattori interagenti con lo stato dei luoghi, anche una serie specifica di gravi omissioni che però sono state escluse dal Tribunale nella loro materiale sussistenza. Il che impone di spiegare in che modo il positivo compimento di quelle azioni lasci immutato il quadro di grave incuria che la rubrica aveva individuato quale fonte delle gravi sofferenze degli animali, non essendo sufficiente (ed apparendo anzi sbrigativa) l'affermazione che le ipotizzate omissioni non erano tali, anche ove accertate, da determinare quelle gravi sofferenze autonomamente provocate dalle condizioni logistiche della struttura. La contraddittorietà (e la carenza) della motivazione che si coglie in questo passaggio sta nel trascurare completamente gli effetti positivi che quelle cure e attenzioni che la rubrica ipotizza non date potrebbero sortire sui cani ospitati nella struttura.
4.13. A ciò si aggiunga l'ulteriore contraddizione in cui cade il Tribunale quando afferma che comunque gli ambienti nei quali erano ricoverati i cani "dovevano sostanzialmente essere ritenuti idonei".
4.14. Tali contraddizioni e insufficienze motivazionali impongono un nuovo esame dei fatti che tenga conto dei principi sin qui espressi.
4.15. La fondatezza del primo motivo di ricorso, comportando l'annullamento con rinvio della sentenza impugnata, rende superfluo l'esame degli altri motivi.
P.Q.M.
Annulla con rinvio la sentenza impugnata con rinvio al Tribunale di Ancona.
Così deciso in Roma, il 4 ottobre 2016.