T.A.R. Emilia Romagna (PR) Sez. I  n. 218 del 28 giugno 2011
Ambiente in genere. Inquinamento e prove

L’esigenza di effettività della protezione dell’ambiente consente all’Amministrazione di avvalersi di prove dirette e indirette, ossia – in quest’ultimo caso – di presunzioni semplici ex art. 2727 cod.civ., prendendo in considerazione elementi di fatto dai quali possano trarsi indizi gravi precisi e concordanti, che inducano a ritenere verosimile, secondo l’id quod plerumque accidit, che si sia verificato un inquinamento e che questo sia attribuibile a determinati autori

N. 00218/2011 REG.PROV.COLL.
N. 00185/2005 REG.RIC.



REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO


Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Emilia Romagna

sezione staccata di Parma (Sezione Prima)



ha pronunciato la presente


SENTENZA


sul ricorso n. 185 del 2005 proposto dal Consorzio Agrario Provinciale di Piacenza S.c.r.l., in persona del legale rappresentante p.t. Pierluigi Scrocchi, difeso e rappresentato dall’avv. Stefano Antonio Marchesi ed elettivamente domiciliato in Parma, p.zza Garibaldi n. 17, presso lo studio dell’avv. Eugenia Monegatti;


contro


il Comune di Cortemaggiore, in persona del Sindaco p.t., rappresentato e difeso dall’avv. Francesco Adavastro e dall’avv. Annalisa Molinari, e presso quest’ultima elettivamente domiciliato in Parma, via Mistrali n. 4;

nei confronti di

Emme Gestioni S.p.A., non costituita in giudizio;

per l'annullamento

dell’ordinanza n. 1010 in data 11 ottobre 2004, con cui il Responsabile dell’Ufficio Tecnico del Comune di Cortemaggiore ha diffidato i responsabili dell’inquinamento a dare comunicazione, entro sette giorni, della volontà di procedere all’esecuzione del “progetto di bonifica” dell’area dell’ex-sede dell’Agenzia del Consorzio Agrario Provinciale di Piacenza, e ha ingiunto loro di eseguire i lavori entro i successivi trenta giorni;

di tutti gli atti presupposti, conseguenti o comunque collegati, e in particolare dell’atto prot. n. 9591 in data 9 ottobre 2004 (con cui il Responsabile dell’Ufficio Tecnico del Comune di Cortemaggiore ha individuato i responsabili dell’inquinamento dell’area), della deliberazione della Giunta comunale n. 84 del 17 settembre 2004 (recante l’approvazione del “progetto di bonifica”) e dell’atto del Sindaco del Comune di Cortemaggiore prot. n. 3229 in data 7 aprile 2004.

Visto il ricorso con i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio del Comune di Cortemaggiore;
Viste le memorie prodotte dalle parti a sostegno delle rispettive difese;
Visti gli atti tutti della causa;

Nominato relatore il dott. Italo Caso;

Uditi, per le parti, alla pubblica udienza del 15 giugno 2011 i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue:


FATTO e DIRITTO


Richiamata la circostanza che un’area del territorio comunale, in precedenza occupata dal Consorzio Agrario Provinciale di Piacenza, risultava contaminata da idrocarburi per un quantitativo superiore ai 100 mc., il Sindaco del Comune di Cortemaggiore disponeva l’avvio degli accertamenti volti all’individuazione del responsabile dell’inquinamento e prescriveva le altre misure necessarie alla bonifica dell’area (v. atto prot. n. 3229 in data 7 aprile 2004). Successivamente, la Giunta comunale approvava, ai sensi dell’art. 17, comma 4, del d.lgs. n. 22 del 1997, il “progetto di bonifica” del sito (v. delib. n. 84 del 17 settembre 2004), mentre il Responsabile dell’Ufficio Tecnico comunale, all’esito dell’istruttoria compiuta, prima individuava quali responsabili dell’inquinamento il Consorzio Agrario Provinciale di Piacenza, i sigg.ri Giuseppe Villa e Ferdinando Villa, nonché i sigg.ri Luigi Salmoni e Giancarlo Salmoni in qualità di rappresentanti legali della SA.GI. S.r.l. (v. atto prot. n. 9591 in data 9 ottobre 2004), poi li diffidava a dare comunicazione, entro sette giorni, della volontà di procedere all’esecuzione del “progetto di bonifica”, e ingiungeva loro di eseguire i lavori entro i successivi trenta giorni (v. ordinanza n. 1010 in data 11 ottobre 2004).

Il consorzio ricorrente, che nel febbraio 2002 aveva ceduto alla Emme Gestioni S.p.A. l’area di che trattasi, ha impugnato i suindicati atti con ricorso straordinario al Capo dello Stato. Assume illegittimamente applicato l’art. 17 del d.lgs. n. 22 del 1997 ad un evento inquinante che l’Amministrazione colloca in un arco temporale (1979/1994) anteriore all’entrata in vigore della norma – che andrebbe intesa come non retroattiva anche per sottrarla a profili di incostituzionalità in relazione agli artt. 25 e 42 Cost. –, censura inoltre l’istruttoria effettuata dall’Amministrazione per non risultare comprovate le conclusioni secondo cui lo sversamento di idrocarburi dai serbatoi di gasolio sarebbe riconducibile all’epoca in cui l’area era nella disponibilità del consorzio stesso, lamenta ancora l’illogicità e iniquità del brevissimo termine assegnatogli per manifestare la volontà di realizzazione della bonifica e per presentare la fideiussione di € 35.000,00 ma anche dell’esiguo termine fissato per l’esecuzione dell’intervento, adduce altresì l’incongruità del termine di sette giorni per la produzione di memorie e documenti a sèguito della comunicazione di avvio del procedimento, si duole infine dell’immediata approvazione del progetto di bonifica senza in tal modo consentire agli interessati la proposizione di soluzioni progettuali alternative. Di qui la richiesta di annullamento degli atti impugnati.

A séguito, poi, dell’opposizione del Comune di Cortemaggiore ex art. 10 del d.P.R. n. 1199 del 1971, il Consorzio Agrario Provinciale di Piacenza ha trasposto il ricorso in sede giurisdizionale.

Si è costituito in giudizio il Comune di Cortemaggiore, resistendo al gravame.

All’udienza del 15 giugno 2011, ascoltati i rappresentanti delle parti, la causa è passata in decisione.

Osserva il Collegio che gli atti in questa sede impugnati sono già stati oggetto di esame da parte della Sezione (v. sent. n. 486 del 10 novembre 2010) e che dalle relative conclusioni non v’è ragione di discostarsi.

Il ricorso è infondato.

Quanto, innanzi tutto, all’addotta estraneità della fattispecie all’ambito di applicazione dell’art. 17 del d.lgs. n. 22 del 1997 nell’assunto che detta disciplina non opererebbe per le situazioni anteriori alla sua entrata in vigore, appare al Collegio sufficiente far rinvio alle diverse conclusioni della giurisprudenza, argomentate nei seguenti termini: “…Giova rammentare che, ai sensi dell’art. 51 bis, ratione temporis vigente, del d.lgs n. 22/1997, “Chiunque cagiona l’inquinamento o un pericolo concreto ed attuale di inquinamento, previsto dall’articolo 1; comma 2, è punito con la pena dell’arresto da sei mesi a un anno e con l'ammenda da lire cinque milioni a lire cinquanta milioni se non provvede alla bonifica secondo il procedimento di cui all’articolo 17. Si applica la pena dell'arresto da un anno a due anni e la pena dell'ammenda da lire diecimilioni a lire centomilioni se l'inquinamento è provocato da rifiuti pericolosi. Con la sentenza di condanna per la contravvenzione di cui al presente comma, o con la decisione emessa ai sensi dell’articolo 444 del codice di procedura penale, il beneficio della sospensione condizionale della pena può essere subordinato alla esecuzione degli interventi di messa in sicurezza, bonifica e ripristino ambientale”. La Sezione condivide l’orientamento giurisprudenziale (cfr. Cass. pen. 28 aprile 2000, n. 1783) secondo cui la normativa in parola, che peraltro presenta profili di continuità sostanziale con le disposizioni pregresse, trova applicazione a qualunque situazione di inquinamento in atto al momento dell’entrata in vigore del decreto legislativo. Infatti, posto che l’inquinamento dà luogo ad una situazione di carattere permanente che perdura fino a che non ne vengano rimosse le cause ed i parametri ambientali alterati siano riportati entro i limiti normativamente accettabili, si deve convenire, in armonia con i puntuali rilievi svolti sul punto dal Primo Giudice, che le previsioni del decreto Ronchi si applicano a qualunque sito che risulti attualmente inquinato, indipendentemente dal momento in cui possa essere avvenuto il fatto o i fatti generatori dell’attuale situazione patologica. La formulazione della norma collega infatti la pena non al momento in cui viene cagionato l’inquinamento o il relativo pericolo ma alla mancata realizzazione, da parte del responsabile, della bonifica, ai sensi dell’art. 17. Non si tratta quindi di portata retroattiva della norma ma dell’applicazione ratione temporis della legge onde fare cessare gli effetti di una condotta omissiva a carattere permanente, che possono essere elisi solo con la bonifica; detto altrimenti, non viene sanzionato l’inquinamento in epoca precedente prodotto ma la mancata eliminazione degli effetti che permangono nonostante il fluire del tempo. In sintonia con detta ricostruzione la giurisprudenza della Cassazione, alla quale si ritiene di aderire (Cass. pen. n. 1773/2000 cit.) ha per l’appunto osservato che “la contravvenzione di cui all’art. 51 bis del d.lgs n. 22/1997 si configura come reato omissivo di pericolo presunto che si consuma ove il soggetto non proceda all’adempimento dell’obbligo di bonifica secondo le cadenze procedimentalizzate dall’art. 17. La predetta si applica anche a situazioni verificatesi in epoca anteriore all’emanazione del regolamento di cui al D.M. 471/1999” …” (così Cons. Stato, Sez. VI, 9 ottobre 2007 n. 5283). La circostanza, allora, che non si determina in tali casi un’applicazione retroattiva del c.d. “decreto Ronchi” rende manifestamente infondate anche le questioni incentrate sulla presunta violazione degli artt. 25 e 42 Cost.

Quanto, ancora, al denunciato difetto di istruttoria circa l’individuazione dei responsabili dell’evento inquinante, osserva il Collegio come le determinazioni conclusive si sorreggano su accertamenti tecnici che fanno risalire lo sversamento di idrocarburi ad un arco temporale (1979/1994) tale da includervi anche il periodo in cui ha operato in loco il ricorrente, il quale del resto contesta l’esito di simili verifiche in modo solo generico, pur essendone stato a suo tempo debitamente informato e quindi posto in condizione di proporre eventuali rilievi specifici. E’ noto, invero, che l’esigenza di effettività della protezione dell’ambiente consente all’Amministrazione di avvalersi di prove dirette e indirette, ossia – in quest’ultimo caso – di presunzioni semplici ex art. 2727 cod.civ., prendendo in considerazione elementi di fatto dai quali possano trarsi indizi gravi precisi e concordanti, che inducano a ritenere verosimile, secondo l’id quod plerumque accidit, che si sia verificato un inquinamento e che questo sia attribuibile a determinati autori (v. Cons. Stato, Sez. V, 16 giugno 2009 n. 3885).

Quanto, poi, ai lamentati brevi termini assegnati al consorzio ricorrente per esprimere la disponibilità all’esecuzione del progetto di bonifica, per prestare fideiussione e per completare il relativo intervento, si tratta di scelte legate all’evidente esigenza di provvedere al più presto al risanamento ambientale dell’area, non essendo stato peraltro fornito un principio di prova circa l’asserita insufficienza del tempo concesso per l’attuazione del progetto, così come resta indimostrato che le condizioni economiche dell’interessato ostassero alla tempestiva costituzione della garanzia finanziaria.

Né v’è ragione di dolersi dei soli sette giorni attribuiti per presentare memorie e documenti a sèguito della comunicazione di avvio del procedimento preordinato all’individuazione dei responsabili dell’inquinamento. Soccorre, in ogni caso, la disposizione di cui all’art. 21-octies, comma 2, della legge n. 241 del 1990 (“Non è annullabile il provvedimento adottato in violazione di norme sul procedimento o sulla forma degli atti qualora, per la natura vincolata del provvedimento, sia palese che il suo contenuto dispositivo non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato …”), posto che, come si è detto, neppure in giudizio sono stati indicati quegli elementi tecnico-scientifici che si lamenta non essere stato consentito introdurre in sede amministrativa per contrastare le conclusioni dell’istruttoria.

Quanto, infine, alla denunciata approvazione del progetto di bonifica in un termine ampiamente inferiore al limite di un anno fissato dalla normativa di settore e alla conseguente preclusione alla proposizione di soluzioni progettuali meno onerose da parte dei soggetti che, individuati quali responsabili dell’inquinamento, sopportano gli oneri finanziari della bonifica, osserva il Collegio che il termine legale di un anno non costituisce certo un tempo minimo per i relativi adempimenti e non impedisce dunque la celere conclusione di tale fase procedimentale, soprattutto se alla base della relativa condotta è la necessità di affrontare una grave situazione di danno ambientale. Il ricorrente, d’altra parte, non ha fornito riscontri oggettivi dell’addotta possibilità di soluzioni progettuali recanti un minore esborso di denaro, onde la doglianza non si accompagna in realtà ad un effettivo pregiudizio di chi la fa valere.

In conclusione, il ricorso va respinto.

Le spese di lite seguono la soccombenza del ricorrente, e vengono liquidate come da dispositivo.


P.Q.M.


Il Tribunale Amministrativo Regionale per l’Emilia-Romagna, Sezione di Parma, pronunciando sul ricorso in epigrafe, lo respinge.

Condanna il ricorrente al pagamento delle spese di lite, nella misura complessiva di € 2.500,00 (duemilacinquecento/00), oltre agli accessori di legge.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’Autorità Amministrativa.

Così deciso in Parma, nella Camera di Consiglio del 15 giugno 2011, con l’intervento dei magistrati:

Mario Arosio, Presidente
Italo Caso, Consigliere, Estensore
Emanuela Loria, Primo Referendario

L'ESTENSORE

IL PRESIDENTE


DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 28/06/2011