LA VALUTAZIONE DI IMPATTO AMBIENTALE TRA “TIMIDI” INTERVENTI DI RIFORMA LEGISLATIVA E PRINCIPI GIURISPRUDENZIALI

Prof. Paolo DELL'ANNO

Pubblicato su Giurisdizione Amministrativa 1-2007

Sommario: 1. Premessa. I nuovi strumenti di valutazione e di tutela ambientale integrata. - 2. Principi fondamentali della disciplina comunitaria della v.i.a. comparati con i principi ed i criteri direttivi della legge di delega. - 3. Cenni sulle diverse tipologie di valutazione di impatto ambientale. 3.1. Premessa. 3.2. Ambito oggettivo di applicazione. - 4. I procedimenti di valutazione di impatto ambientale di competenza statale. Aspetti organizzativi e disciplina sostanziale. 4.1. Procedimento ordinario. 4.2. Procedimenti speciali. - 5. Casi giudiziari di particolare interesse. 5.1. Natura ed efficacia della valutazione di impatto ambientale. 5.2. Nullità dell’autorizzazione mancante della valutazione di impatto ambientale obbligatoria. 5.2.1. Conseguenze e rimedi (la posizione della giurisprudenza sulla valutazione di impatto ambientale “postuma”). 5.2.2. Effetti sull’opera già realizzata. 5.3. Il fattore temporale e la sua incidenza sull’obbligo di valutazione di impatto ambientale nel rinnovo delle autorizzazioni. 5.4. Opzione zero e principio di precauzione. 5.5. Valutazione di impatto ambientale e verifica di incidenza. 5.6. La valutazione dell’effetto cumulativo. 5.7. Progetto preliminare o progetto definitivo? - 6. Considerazioni conclusive.

1. - Premessa. I nuovi strumenti di valutazione e di tutela ambientale integrata. - Il nuovo codice ambientale disciplina un insieme di strumenti di nuova applicazione nel nostro ordinamento, che rappresentano il primo recepimento della direttiva 2001/42/CE sulla valutazione ambientale di piani e programmi, o che intendono realizzare la definitiva adozione di una disciplina organica in materia di valutazione d’impatto ambientale (fino ad oggi regolata da norme transitorie, in gran parte di natura regolamentare o tecnica), o infine che si ripromettono di coordinare l’autorizzazione integrata ambientale con il sistema generale delle autorizzazioni ambientali, rivisitato dal D.L.vo n. 152 del 2006.

In comune, tali strumenti presentano i seguenti connotati: (a) loro necessaria applicazione trasversale; (b) considerazione integrata ed intersettoriale di tutti i profili di interesse ambientale che un piano, un’opera, un impianto presentano, nella prospettiva della trasformazione progressiva del sistema amministrativo di controllo preventivo da un meccanismo elementare di “stimolo-risposta” ad un più complesso — ed ambizioso — disegno volto al governo dell’ambiente nel quadro ordinatore dello sviluppo sostenibile. Si differenziano, invece, per la loro collocazione strutturale. La valutazione ambientale strategica e la valutazione d’impatto ambientale precedono (necessariamente) la realizzazione di un’opera o di un impianto; anzi la v.i.a. costituisce un atto endoprocedimentale innestato nel procedimento che conduce al rilascio dell’autorizzazione alla costruzione. L’autorizzazione integrata ambientale, invece, regola l’esercizio degli impianti (e dunque viene periodicamente rinnovata).

Altro connotato caratteristico degli istituti in esame è rappresentato dalla loro funzione procedimentale e non sostanziale. Già all’inizio degli anni settanta, la Corte suprema degli Stati Uniti aveva espresso l’opinione che “la valutazione d’impatto ambientale non attribuiva alcun diritto sostanziale ai cittadini”, come pure era stato richiesto in un emendamento presentato — ma non accolto — durante il dibattito in Congresso sull’approvazione del national environment protection act del 1969, “ma prevede uno speciale procedimento”. La Commissione europea, contestando agli Stati membri le infrazioni per inadempimento rispetto alle direttive comunitarie sulla valutazione di impatto ambientale, fa sempre riferimento al procedimento, ed in particolare ai pilastri che lo sostengono e lo caratterizzano, e cioè alla necessaria pregiudizialità della valutazione d’impatto ambientale rispetto all’autorizzazione che consente la realizzazione dell’opera, alla partecipazione di tutte le autorità pubbliche titolari di funzioni coinvolte, alla partecipazione informata del pubblico(1).

Anche la direttiva 2001/42/CE sulla c.d. Valutazione ambientale strategica, cioè sulla valutazione degli effetti sull’ambiente di piani e programmi, riveste “carattere procedurale” (considerazione n. 9) e tende all’introduzione di un quadro minimo di principi generali del sistema di valutazione ambientale rimettendo agli Stati membri il compito di “definire i dettagli procedurali tenendo conto del principio di sussidiarietà” (considerazione n. 8), precisando che l’obiettivo comunitario risiede nell’adozione di “una serie di norme procedurali comuni” (considerazione n. 6).

Va sottolineato — infine — che l’entrata in vigore delle disposizioni relative al procedimento di valutazione di impatto ambientale, in origine differita di 120 giorni rispetto alla vigenza delle altre parti del decreto legislativo 152 del 2006, e cioè al 27 agosto 2006 (art. 52), è stata ulteriormente prorogata da due decreti legge, allo scopo di rivedere a fondo istituti e procedimenti della nuova disciplina. Con il decreto n. 173 del 2006 il termine era stato rinviato al 31 gennaio 2007, mentre con il decreto legge c.d. “milleproroghe” (n. 300 del 2006, art. 5 comma 1) è stato deciso uno slittamento al 31 luglio 2007. Alla data di consegna di questa relazione non sono state ancora fornite indicazioni sugli orientamenti del Governo. La segretezza con la quale procedono i lavori di revisione — più volte annunciati — non è stata apprezzata dalle Regioni, che avevano censurato il comportamento di chiusura del precedente Governo ed avevano sollecitato la propria partecipazione istituzionalizzata mediante forme di negoziazione pre-legislativa, ma si sono ritrovati nella medesima situazione di isolamento.

Dei principali punti critici della legislazione vigente e di quella “sospesa” si dirà nel corso di questa relazione. In assenza di ogni indicazione sulla direzione che il ministero dell’ambiente intende imprimere alla revisione di questa parte del decreto 152 del 2006, non è possibile formulare previsioni su quali norme siano destinate ad essere modificate e quali ad essere confermate. Trattandosi di una disciplina di stretta derivazione comunitaria, è comunque da ritenere che lo spazio di manovra sia limitato(2).

Ancora una volta l’attenzione degli operatori giuridici è stata sequestrata dalle iniziative della magistratura inquirente, la quale ha attribuito la massima priorità alle questioni relative alla gestione dei rifiuti, oscurando così i profili di vertice di una nuova e più efficace tutela dell’ambiente, che non può prescindere dalla valutazione di impatto ambientale e dal suo pieno dispiegarsi nella prassi amministrativa.

2. - Principi fondamentali della disciplina comunitaria della v.i.a. comparati con i principi ed i criteri direttivi della legge di delega. - L’origine comunitaria del procedimento di valutazione di impatto ambientale condiziona fortemente ogni intenzione di riforma dell’attuale assetto della disciplina. Appare pertanto necessario non soltanto un confronto tra i principi ed i criteri direttivi posti a fondamento della delega (legge n. 308 del 2004, art. 1 comma 9 lett. f) e la normativa predisposta dal D.L.vo n. 152 del 2006, ma anche una verifica di conformità rispetto alle direttive.

La delega — dopo un’affermazione generale che impegnava al pieno recepimento delle dir. 85/337 e 97/11 — assegnava al legislatore delegato i seguenti obiettivi:

- semplificare e delegificare le procedure di v.i.a.;

- tenere conto del rapporto costi-benefici dai punti di vista ambientale, economico e sociale;

- anticipare la procedura di v.i.a. al primo progetto da valutare;

- controllare l’effettivo rispetto delle prescrizioni impartite con la v.i.a.;

- garantire tempi certi nello svolgimento delle procedure;

- coordinare v.i.a., v.a.s. e i.p.p.c., evitando duplicazioni e sovrapposizioni delle rispettive procedure;

- disciplinare la valutazione di impatto ambientale riservata allo Stato per le opere di interesse nazionale (art. 71 comma 1 D.L.vo n. 112 del 1998; art. 35, D.L.vo n. 152 del 2006).

Prima di eseguire un sintetico raffronto tra i testi normativi nazionali e quelli comunitari, è opportuno anticipare un giudizio sulla fedeltà del decreto legislativo alla delega. Come si osserverà in seguito, si trattava di obiettivi ineludibili — perché imposti dalle norme europee — e tuttavia rimasti in larga misura inattuati, mentre nessuno dei problemi concreti insorti nei venti anni dall’entrata in vigore del primo (e transitorio…) recepimento della direttiva 85/337 sono stati risolti. Sarà sufficiente sottolineare che il coordinamento tra le procedure di v.a.s., v.i.a. e i.p.p.c. è stato rinviato a successivi atti (in modo esplicito per le piccole e medie imprese). Non è stata fornita alcuna garanzia di tempi certi per la conclusione delle procedure, dato che il ritardo amministrativo non poteva essere sanzionato con la misura del silenzio-assenso, mentre la diffida ad adempiere ed il silenzio-diniego costituiscono misure concorrenti la cui funzione riparatoria risulta comunque inadeguata.

Le direttive comunitarie (dir. 85/337, come modificata dalla dir. 97/11) poggiano la disciplina della valutazione di impatto ambientale su alcuni pilastri, la cui natura è indubbiamente procedimentale — come si è già rilevato — ma i cui vincoli risultano alquanto rigidi e tali da assicurare un quadro uniforme in tutto il territorio europeo. Essi sono:

- considerazione integrata di una pluralità di fattori (art. 3);

- predisposizione da parte del proponente di uno studio completo di impatto ambientale (art. 5 commi 1 e 3);

- esame e decisione preventiva, prima della realizzazione dell’opera (o del rilascio dell’autorizzazione), da parte di un’autorità pubblica competente (art. 4);

- partecipazione alla fase istruttoria di tutte le autorità titolari di interessi pubblici rilevanti (art. 5 comma 2 e art. 6 comma 1);

- presa in considerazione, da parte dell’autorità procedente, di tutti gli apporti partecipativi (art. 8);

- messa a disposizione del pubblico di tutte le informazioni essenziali sia durante l’istruttoria che dopo la decisione finale (art. 4 comma 4; art. 5 comma 4; art. 6 commi 2-3-9; art. 9);

- tutela della riservatezza industriale (art. 10).

Ognuno di questi “pilastri” meriterebbe un approfondito commento, dato che molti di essi hanno formato la base per l’apertura di procedimenti di infrazione a carico degli Stati membri (e del nostro). Se ne esaminerà la rilevanza nella disciplina dettata dal D.L.vo n. 152 del 2006 e nella prassi amministrativa.

3. - Cenni sulle diverse tipologie di valutazione di impatto ambientale. - 3.1. - Premessa. - L’ordinamento positivo disciplina diverse e differenti tipologie di valutazione di impatto ambientale, che traggono la loro origine dal tronco comune del procedimento disciplinato dalle direttive comunitarie 85/337 e 97/11, ma seguono strutture e forme organizzative diversificate in ragione degli oggetti su cui sono destinate a esprimersi e della natura degli interessi pubblici sottesi.

Possiamo classificare, pertanto, accanto ad una procedura ordinaria per opere, progetti ed attività di rilevanza comunitaria, riservata alla competenza statale o attribuita a quella regionale, alcune procedure speciali, predisposte per le infrastrutture pubbliche ed altri insediamenti produttivi strategici di interesse nazionale (legge n. 443 del 2001, legge n. 55 del 2002 e D.L.vo n. 190 del 2002), ovvero per altre opere pubbliche statali.

La disciplina disposta dal nuovo decreto n. 152 del 2006 conferma quasi integralmente l’impostazione assunta dalla valutazione di impatto ambientale nell’ordinamento previgente. Il recepimento delle direttive 85/337 e 97/11 era avvenuto per fasi eterogenee dal punto di vista della gerarchia delle fonti normative, parte della disciplina risalendo alla legge 349 del 1986 che disponeva un recepimento transitorio (art. 6), integrato da normative “tecniche (i D.P.C.M. del 1988, tuttora da considerarsi non abrogati)(3), mentre altre norme di attuazione delle direttive erano state dettate con il D.P.R. 12 luglio 1996 ed il D.P.C.M. 3 settembre 1999, per rendere possibile l’esercizio delle funzioni di competenza delle regioni. Infine, una miriade di leggine settoriali (gran parte delle quali abrogate dall’art. 48 del D.L.vo n. 152 del 2006) erano state dettate per regolare il procedimento di determinate opere ed impianti.

Il D.L.vo n. 152 del 2006 conferma la funzione “storica” della valutazione d’impatto ambientale di assicurare che nella fase di formazione delle decisioni per la realizzazione dei progetti contemplati negli allegati I e II delle direttive comunitarie siano adeguatamente considerati i beni giuridici essenziali quali la protezione della salute, il miglioramento della qualità della vita, il mantenimento della varietà delle specie e della capacità di riproduzione dell’ecosistema, l’uso plurimo delle risorse naturali, la fruizione collettiva dei beni pubblici, lo sviluppo sostenibile (art. 24 comma 1 lett. a). In tale obiettivo, la valutazione d’impatto ambientale esamina gli effetti diretti e indiretti del progetto su uomo, fauna, flora, suolo, acque, l’aria, clima, paesaggio, sull’interazione fra questi fattori, nonché sui beni materiali e sul patrimonio culturale (lett. b).

La procedura deve altresì garantire che siano state considerate le ragioni di scelta della soluzione progettata tra le alternative proposte dal committente, inclusa la “opzione zero”(4) (art. 24, lett. c] e art. 27, lett. d).

L’informazione e la partecipazione del pubblico costituiscono altre finalità essenziali della procedura (art. 24, lett. e).

La semplificazione degli atti autorizzatori necessari per ogni opera ed il loro coordinamento con la procedura di valutazione d’impatto ambientale, che costituiva uno degli obiettivi assegnati al legislatore delegato dalla legge di delega, è stata ulteriormente rinviata a successivi atti di delegificazione (art. 24, lett. f). Nell’immediato, il decreto legislativo si limita a confermare la previsione — già contemplata nelle leggi precedenti — della sospensione del procedimento principale in attesa della conclusione di quello finalizzato alla pronuncia di v.i.a., e l’effetto interdittivo che provoca sull’autorizzazione il suo mancato rilascio prima della realizzazione dell’opera(5).

3.2. - Ambito oggettivo di applicazione. - Per quanto concerne l’ambito di applicazione del procedimento di valutazione di impatto ambientale, le direttive comunitarie indicano i progetti e le opere il cui impatto ambientale rilevante(6) ne richiede l’assoggettamento alla valutazione di impatto ambientale, secondo differenziati criteri di selezione.

- elencazione tassativa: opere assoggettate a procedura obbligatoria ordinaria di v.i.a. (art. 4 comma 1 e allegato I, dir. CE);

- opere sottoposte a procedura preliminare di verifica (screening);

- valutazione caso per caso: opere con v.i.a. in forma ridotta (art. 2, lett. a);

- opere rimesse alla scelta discrezionale dello Stato membro (art. 4, comma 2, e all. II), il quale tuttavia deve stabilire in modo generale criteri e soglie per l’applicazione della v.i.a.(7);

- esenzioni caso per caso, previa notifica motivata alla Commissione e benestare comunitario (progetti specifici, in casi eccezionali);

- opere escluse dalla v.i.a. (difesa nazionale; leggi-provvedimento; protezione civile).

Il D.L.vo n. 152 del 2006 ha individuato un elenco per categorie di opere la cui valutazione di impatto ambientale è riservata allo Stato, così composto:

- Opere la cui realizzazione è oggetto di autorizzazione riservata allo Stato (impianti industriali di impatto rilevante: ad es. centrali termoelettriche con potenza termica superiore a 300 Mw);

Opere con effetti transfrontalieri o ultra regionali;

- Opere ed infrastrutture di rilievo nazionale o internazionale (aeroporti intercontinentali, rete ferroviaria ad alta velocità, porti industriali, autostrade di rilievo europeo, opere strategiche);

- Opere deliberate dal Governo, su proposta del ministro competente o dei ministri dell’ambiente e dei beni culturali (art. 14 quater legge n. 241 del 1990).

Il D.L.vo n. 152 del 2006 statuisce che sono assoggettati alla v.i.a. le opere ed i progetti che ricadono nell’elenco A dell’allegato III (i quali riproducono quelli indicati nell’allegato I delle direttive)(8), i progetti dell’elenco B che ricadono anche in parte all’interno di aree naturali protette(9), altri progetti che — pur non compresi all’interno delle aree naturali protette — presentano date caratteristiche (contemplate nell’allegato IV) da richiedere la sottoposizione a v.i.a. secondo il giudizio dell’autorità competente, ed infine quei progetti per i quali leggi speciali lo prevedono (art. 23 comma 1).

La valutazione di impatto ambientale attribuita alla competenza regionale si esercita sulle seguenti categorie di opere:

- opere indicate nell’allegato II della direttiva, non riservate dalla legge allo Stato;

- opere ed attività indicate nell’allegato III, elenco A, D.L.vo n. 152 del 2006;

- opere ed attività indicate nell’allegato III, elenco B, secondo soglie quantitative o qualitative;

- ulteriori opere, individuate con legge regionale.

La valutazione d’impatto ambientale è altresì necessaria qualora la modifica o l’estensione di un progetto (incluso negli allegati I e II delle direttive) autorizzato, realizzato o in corso d’opera, possa comportare “notevoli ripercussioni negative sull’ambiente”(10). Viene così definita la nozione di modifica sostanziale da apportare a impianti o opere esistenti (già sottoposte o meno a v.i.a.). Analoga qualifica va riconosciuta a quegli interventi che determinano l’ingresso delle opere nelle categorie per le quali è previsto l’obbligo di v.i.a. (art. 23 comma 3)(11).

L’autorità competente — previa attivazione della procedura di verifica(12) (art. 32) — può esentare dal procedimento di valutazione di impatto ambientale le opere destinate esclusivamente alla difesa nazionale (la verifica è sempre esclusa se sono coperte da segreto di Stato); i progetti dell’elenco B del D.L.vo n. 152 del 2006, a giudizio dell’autorità competente; le opere e gli interventi destinati esclusivamente alla protezione civile per ragioni di necessità ed urgenza ed a tutela dell’incolumità delle persone(13); gli interventi a carattere temporaneo, incluse le opere di bonifica(14) (art. 23, comma 4).

Sono invece esentati da ogni valutazione di compatibilità ambientale, con decreto del ministro dell’ambiente su proposta del ministro della difesa, gli interventi di somma urgenza destinati esclusivamente alla difesa nazionale e coperti da segreto di Stato (art. 23 comma 7).

4. - I procedimenti di v.i.a. di competenza statale. Aspetti organizzativi e disciplina sostanziale. 4.1. - Procedimento ordinario. - Come si è accennato, la competenza in materia di v.i.a. è ripartita tra Stato e Regioni secondo un criterio organizzativo basato sugli elenchi di opere allegati alle direttive. Il procedimento statale è regolato dalla Parte Terza del D.L.vo n. 152 del 2006, mentre le Regioni sono legittimate a legiferare nel dettaglio la disciplina di competenza, in conformità ai principi generali indicati dallo Stato (ed ai suddetti pilastri dell’ordinamento comunitario).

Il procedimento prende avvio a istanza di parte, con la presentazione della domanda di v.i.a. corredata dal progetto preliminare(15) dell’opera, dallo studio di impatto ambientale e dalla sintesi non tecnica(16) (art. 26 comma 1). Pregiudiziale all’istanza è la pubblicazione a mezzo stampa e internet della notizia della presentazione del progetto e dell’avvenuto deposito (art. 28)(17). Per le opere di maggiore spesa è richiesto anche il versamento di un contributo di istruttoria(18). L’autorità competente può richiedere integrazioni alla documentazione presentata, con effetto interruttivo dei termini, per una sola volta (art. 26 comma 4).

Come è disposto per la v.a.s., anche per la v.i.a. il committente può chiedere l’attivazione di una fase preliminare per definire in contraddittorio con l’autorità competente e sentite le altre autorità interessate, le informazioni necessarie da inserire nello studio, indicando il piano di lavoro e sollecitando l’esclusione dallo studio di informazioni riservate (art. 27 comma 2).

Le amministrazioni competenti individuano gli uffici “di deposito” degli studi d’impatto, per la consultazione da parte del pubblico.

I soggetti interessati possono presentare osservazioni scritte in merito al progetto ed allo studio d’impatto, entro 45 giorni dalla pubblicazione della notizia(19). Tali osservazioni devono essere considerate, singolarmente o per gruppi, nel giudizio di compatibilità ambientale(20). L’autorità competente può disporre lo svolgimento di una inchiesta pubblica per l’esame dello studio, dei pareri espressi dalle amministrazioni e delle osservazioni del pubblico. L’avvio dell’inchiesta pubblica, che deve concludersi entro 60 giorni, sospende il termine ordinario fissato dalla legge per la conclusione del procedimento. L’autorità competente redige una relazione sui lavori svolti ed esprime un giudizio sui risultati emersi, dei quali si dovrà tenere conto ai fini del giudizio conclusivo (art. 29).

L’introduzione dell’inchiesta pubblica, come figura organizzativa e procedimentale ordinaria (in precedenza era contemplata soltanto la facoltà regionale di disciplinarne l’attuazione, mentre l’inchiesta pubblica era stata soppressa nel procedimento per l’autorizzazione delle centrali termoelettriche) costituisce una novità positiva, anche se sarebbe stato preferibile conferire a tale organismo una posizione di terzietà rispetto all’autorità dotata del potere decisorio, definendo nel contempo le modalità di esercizio dei poteri istruttori(21).

Il D.L.vo n. 152 del 2006 mantiene ferma la separazione strutturale del procedimento autorizzatorio principale (che si svolge in conferenza dei servizi) da quello per il rilascio della v.i.a. (che si svolge in modo autonomo; in caso di mancato rilascio tempestivo della v.i.a., peraltro, scatta l’obbligo di fornire il parere il conferenza dei servizi (art. 14 bis comma 3 legge n. 241 del 1990)(22).

Nel procedimento di competenza statale, l’istruttoria è svolta dalla commissione per la valutazione d’impatto ambientale(23), che ha anche il compito di redigere il parere conclusivo. Il ministro dell’ambiente, ottenuto il concerto con il ministro dei beni culturali, emana il decreto di v.i.a.(24) La mancata conclusione del procedimento di v.i.a. (al netto di interruzioni e sospensioni legali) nel termine di 90 giorni dalla pubblicazione implica l’esercizio del potere sostitutivo del Consiglio dei ministri, previa diffida all’autorità inadempiente, anche su istanza degli interessati(25), mentre alla perdurante assenza dell’atto finale — dopo la diffida — è attribuito l’effetto di silenzio rigetto (art. 31)(26).

Il ministro proponente (titolare del potere di autorizzare l’opera) può contestare la v.i.a. negativa, o l’onerosità eccessiva delle prescrizioni, avanti al Consiglio dei ministri, che assume la decisione definitiva entro 60 giorni(27).

In ordine all’efficacia del giudizio di v.i.a., il decreto 152 del 2006 si pronuncia in modo implicito, statuendo che il giudizio di compatibilità ambientale deve essere acquisito prima del rilascio dell’autorizzazione alla realizzazione dell’opera, e precisando che tale autorizzazione va integrata con le prescrizioni impartite nella v.i.a. per la mitigazione degli impatti, il monitoraggio delle opere e degli impianti e le eventuali misure di compensazione ambientale (art. 31).

L’eventuale mancanza — per un qualsiasi motivo — della valutazione d’impatto ambientale obbligatoria comporta la nullità del provvedimento finale di autorizzazione alla realizzazione dell’opera (art. 4 comma 5). Si tratta di una misura non contemplata dalle direttive comunitarie, né prevista dalla legge di delega, il cui effetto innovativo non appare sufficientemente giustificato dal legislatore delegato. Si avrà modo di tornare su tale argomento.

4.2. - Procedimenti speciali. - Il D.L.vo n. 152 del 2006, con un palese inadempimento dei principi direttivi della delega, non ha provveduto ad unificare i diversi procedimenti di v.i.a. esistenti nel diritto positivo, tanto che li menziona solo di sfuggita. Convive pertanto con il procedimento ordinario di competenza statale il procedimento speciale, per la valutazione delle infrastrutture e degli insediamenti produttivi strategici di interesse nazionale (di cui alla legge 443 del 2001, per le c.d. grandi opere), al cui procedimento aveva fatto implicito riferimento la legge delega, nell’adottare i principi ed i criteri direttivi.

Il procedimento segue un percorso analogo a quello ordinario, già descritto, avendo cura di precisare tale legge che la pubblicazione a cura del soggetto interessato alla realizzazione dell’opera vale come avvio del procedimento, ai sensi dell’art. 5 legge n. 241 del 1990.

L’istruttoria sul progetto è svolta da una speciale commissione ministeriale di valutazione dell’impatto ambientale delle opere strategiche, in composizione diversa da quella ordinaria(28). Il progetto non è sottoposto all’esame in conferenza dei servizi, ma la commissione presenta al ministro dell’ambiente un documento istruttorio conclusivo, in base al quale il ministro dell’ambiente presenta al CIPE una proposta di v.i.a., corredata anche dell’analogo parere del ministro dei beni culturali. La decisione conclusiva sulla v.i.a. è assunta dal CIPE(29), d’intesa con i presidenti regionali interessati. L’organo collegiale approva anche il progetto preliminare, e rilascia contestualmente ogni altra autorizzazione necessaria (ambientale, sanitaria, edilizia), incluso l’effetto di variante urbanistica e la dichiarazione di necessità ed urgenza(30).

Del tutto analogo è il procedimento per la valutazione di impatto ambientale sulle centrali termoelettriche. In virtù della legge 55 del 2002 “sblocca centrali”, il procedimento autorizzatorio è unico, di competenza del ministero dello sviluppo, ferma restando l’attribuzione al ministero dell’ambiente della valutazione di impatto ambientale(31).

5. - Casi giudiziari di particolare interesse. - 5.1. - Natura ed efficacia della v.i.a. - Il D.L.vo n. 152 del 2006 non chiarisce i dubbi e le perplessità sollevati dalla dottrina in ordine alla natura ed all’efficacia della valutazione di impatto ambientale. Già dalla prima sistemazione provvisoria dell’istituto, operata dalla legge istitutiva del ministero dell’ambiente, ebbi occasione di rilevare che nel diritto positivo sembravano convivere diverse sistemazioni, che comportavano però diversa efficacia e — soprattutto — diversa natura della v.i.a.(32).

Il nuovo decreto, infatti, sembra confermare la configurazione della v.i.a. come procedimento per atto di procedimento, in virtù del quale la v.i.a. assume una natura endoprocedimentale; il procedimento principale si sospende in attesa della sua conclusione, e la decisione finale sull’approvazione dell’opera è subordinata all’esito della v.i.a. (che ne condizionata il rilascio e l’ambito precettivo). In modo alquanto contraddittorio; tuttavia, delinea il procedimento di v.i.a. come un procedimento permissivo autonomo, in quanto il parere esogeno rispetto al procedimento principale è qualificato di fatto come un elemento costitutivo, la cui assenza determina la nullità del provvedimento principale (nuova 241). Per di più, nel rinviare la definizione dei raccordi tra il procedimento di v.i.a. e l’autorizzazione integrata ambientale, lascia impregiudicata la possibilità, contemplata nel D.L.vo n. 159 del 2005, che la v.i.a. possa essere assorbita in questo nuovo procedimento autorizzatorio integrato. Deve essere ripetuto quanto già detto a suo tempo: qualificare la v.i.a. come vera e propria autorizzazione significa snaturarla, in quanto la si sottrae al suo ambito prevalentemente tecnico, esprimente un giudizio sulla compatibilità dell’opera con l’ambiente.

Se invece, si tratta di un’ulteriore autorizzazione, da esprimersi in modo autonomo, essa è manifestazione di discrezionalità tecnica (analoga alla disciplina attuale dell’autorizzazione paesaggistica). Infine, se si sceglie la sistemazione di una autorizzazione integrata ambientale, essa costituisce provvedimento di ampia discrezionalità.

Il decreto 152 del 2006 non offre elementi utili a chiarire il quesito sollevato dalla dottrina e dalla giurisprudenza in ordine alla natura anfibia della valutazione d’impatto ambientale, che è considerata tanto un esercizio di discrezionalità tecnica, quanto una manifestazione di discrezionalità amministrativa(33).

La giurisprudenza si sta orientando verso il riconoscimento nella v.i.a. di un carattere di ampia discrezionalità, in considerazione della pluralità degli interessi pubblici da ponderare e da bilanciare, della presenza di interessi a rappresentanza regionale, della sede decisionale attribuita all’organo politico di vertice, del conferimento al Governo del potere decisionale ultimo in caso di conflitto tra diverse autorità statali(34).

In ordine all’estensione del sindacato giurisdizionale al quale è sottoponibile la valutazione di impatto ambientale, vi è un orientamento consolidato in favore di uno scrutinio “debole”, cioè circoscritto “entro ben ristretti limiti” in ragione del “suo contenuto squisitamente tecnico ed ampiamente discrezionale”, onde ne possono essere censurati solo i profili sintomatici dell’eccesso di potere per illogicità manifesta e contraddittorietà. A tale proposito, le dettagliate e complesse prescrizioni annesse al giudizio di v.i.a., “cui va riconosciuta natura vincolante”, lungi dal dimostrare l’incompletezza del progetto (sì da doverlo respingere), costituiscono una garanzia delle istanze di ponderazione e di cautela che hanno sorretto la decisione amministrativa(35).

Non mi sembra revocabile in dubbio che si tratti di vera e propria discrezionalità amministrativa, dal momento che l’articolo 2 della Direttiva 85/337 statuisce che tale procedimento assume come parametri del suo giudizio (individua, descrive, valuta) la salute umana, la fauna, la flora, il suolo, l’acqua, l’aria, il clima, il paesaggio, i beni materiali e culturali, l’interazione fra questi fattori. In sostanza, si tratta di valutare e decidere in ordine alla cura di nove diversi interessi pubblici. Secondo un autorevole insegnamento, quando c’è una pluralità di interessi pubblici da curare, si è in presenza di discrezionalità amministrativa(36). La singolarità del giudizio di valutazione d’impatto ambientale consiste nella sua natura ambivalente di una discrezionalità amministrativa che assume la sua decisione nelle forme apparenti della discrezionalità tecnica, costringendo il giudice amministrativo a porsi in equilibrio tra le due situazioni. Per altre manifestazioni di discrezionalità tecnica, quali quelle delle autorità indipendenti, è stata coniata dal giudice amministrativo l’espressione “scrutinio debole”, che limita la sua incisività ai profili di illegittimità più evidenti, e ad alcune figure sintomatiche dell’eccesso di potere, quali il difetto di istruttoria, il travisamento dei fatti, la contraddittorietà, ecc..

5.2. - Nullità dell’autorizzazione mancante della v.i.a. obbligatoria. - 5.2.1. - Conseguenze e rimedi (la posizione della giurisprudenza sulla v.i.a. “postuma”). - La sanzione di nullità comminata dal D.L.vo n. 152 del 2006 nei confronti degli atti amministrativi di approvazione o autorizzazione di un’opera o di un progetto privi del presupposto della preventiva valutazione di impatto ambientale obbligatoria (art. 4, comma 5), irrigidisce l’orientamento comunitario, che nega legittimità a tali atti, ma non si pronuncia espressamente sulle conseguenze. I giudici europei, come si vedrà, nei casi di mancata effettuazione della procedura di v.i.a., si limitano a condannare lo Stato membro per violazione del diritto comunitario, lasciando così a quest’ultimo la scelta in ordine alle forme ed ai modi con cui perseguire la conformazione. Ancora una volta, si tratta di un’obbligazione di risultato che viene posta a carico dello Stato. Si pone pertanto il quesito in ordine all’ammissibilità dello svolgimento di una valutazione d’impatto ambientale “postuma”, cioè da rilasciare a sanatoria, dopo la realizzazione dell’opera(37).

In virtù del combinato disposto della norma nazionale che commina la nullità alle autorizzazioni prive della preliminare valutazione d’impatto ambientale, e dell’effetto di silenzio-rifiuto previsto in caso di omissione di provvedere sul giudizio di compatibilità ambientale attivato ma non esaurito, la v.i.a. configura un atto endoprocedimentale la cui assenza o formulazione negativa svolgono un effetto inibitorio sull’ulteriore corso del procedimento autorizzatorio principale (salvo il ricorso agli strumenti di tutela o di revisione, sopra menzionati).

Resta aperto il problema se la sanzione della nullità comporterà conseguenze anche sul termine per impugnare l’autorizzazione mancante della v.i.a.

La scelta del legislatore delegato è del tutto immotivata e dunque risulta in violazione di un elementare principio di trasparenza, il cui rispetto è necessario quando il decreto legislativo innova rispetto all’ordinamento senza che la delega l’abbia previsto o legittimato anche in modo indiretto. Va tenuto conto, in ogni caso, che la giurisprudenza amministrativa ha più volte ribadito che la violazione del diritto comunitario da parte degli atti nazionali non ne comporta la nullità, ma configura una speciale forma di illegittimità comunitaria(38). Ne consegue che l’atto amministrativo affetto da tale illegittimità deve essere disapplicato, qualora ne venga fatto valere in modo rituale e tempestivo il vizio.

Comminare la nullità nei confronti dei provvedimenti autorizzatori privi della prioritaria valutazione di impatto ambientale significa andare oltre le statuizioni giudiziali consolidate ma, ciò che più conta, contro le stesse pronunce della Corte di giustizia europea, che giammai ha dichiarato nulli gli atti lesivi dell’ordinamento comunitario.

La giurisprudenza comunitaria si è occupata in diverse occasioni delle opere approvate o autorizzate in assenza della pregiudiziale valutazione di impatto ambientale.

Nel caso riguardante il porto turistico di Fossacesia, realizzato con finanziamenti nazionali e regionali, l’approvazione e la realizzazione dell’opera non erano state precedute dalla “valutazione d’impatto ambientale”, necessaria in quanto il progetto è compreso nell’elenco contenuto nell’allegato II della direttiva 85/337.

La commissione europea, informata della vicenda da un esposto, contestava all’Italia la violazione delle norme comunitarie. Lo Stato italiano — a sua volta — chiedeva spiegazioni alla Regione Abruzzo, la quale provvedeva ad effettuare la valutazione di impatto ambientale nei confronti dell’opera già realizzata ed in esercizio, convalidandone la conformità.

La Corte di giustizia, a seguito del ricorso della commissione europea, dichiarava l’inadempimento dello Stato italiano, perché l’obbligo di sottoporre a valutazione di impatto ambientale un’opera contemplata nell’elenco dei progetti di rilevanza comunitaria, ne comporta l’effettuazione prima del rilascio dell’autorizzazione alla costruzione, e comunque prima che l’opera sia realizzata. La sentenza non indica alcun rimedio, limitandosi a ribadire l’insufficienza della valutazione di impatto ambientale postuma.

La vicenda riguarda i c.d. “casi triangolari”, dove di fronte alle istituzioni europee garanti del rispetto delle norme del Trattato e della normativa “derivata” sono posti tanto lo Stato membro quanto la Regione (o altro ente territoriale). Se la responsabilità diretta della infrazione comunitaria è da ascrivere alla Regione, in quanto soggetto dotato di autonomia istituzionale nell’ordinamento interno, lo Stato rimane l’unico responsabile dell’esatto adempimento degli obblighi assunti secondo il diritto comunitario (e dunque anche del controllo che tutti i soggetti pubblici e privati rispettino tali norme).

Altro caso esaminato dai giudici europei riguardava la riattivazione di una cava, posta in esercizio nell’immediato dopoguerra con una ordinanza interinale (vecchia concessione mineraria), rimasta inutilizzata per lunghi anni, ed infine riattivata in epoca recente, con l’imposizione di nuove condizioni di gestione(39). Alla Corte veniva posta la questione pregiudiziale se il nuovo atto di consenso necessario dovesse essere considerato come una vera e propria autorizzazione, e dunque preceduto (per la prima volta) da una valutazione di impatto ambientale. Sulla natura di tale atto la Corte ha affermato la sua giurisdizione, in quanto la definizione dell’istituto autorizzatorio, ove non esplicitamente rimessa agli Stati membri, rimane questione riservata al diritto comunitario(40).

Il principio di “precocità” della valutazione comporta che “qualora il diritto nazionale preveda che la procedura di autorizzazione si articoli in più fasi, consistenti l’una in una decisione principale e l’altra in una decisione di attuazione che deve rispettare i parametri stabiliti dalla prima, gli effetti che il progetto può avere sull’ambiente devono essere individuati e valutati nella procedura relativa alla decisione principale. Qualora i detti effetti fossero individuabili unicamente nella procedura relativa alla decisione di attuazione, in tal caso la valutazione dovrebbe essere effettuata in tale procedura” (par. 52)(41).

Il principio della “certezza del diritto” osta a che le direttive possano creare obblighi a carico dei singoli”, potendo esse “generare solo diritti”. Il singolo — tuttavia — può far valere le disposizioni di una direttiva nei confronti di uno Stato membro inadempiente, pretendendo che lo Stato applichi correttamente norme comunitarie che impongono la valutazione dell’impatto ambientale (par. 57). Non assume rilevanza l’incidenza dell’attuazione del diritto comunitario nei confronti di terzi (i proprietari della miniera, par. 56), i quali dovranno sospendere la coltivazione della cava fino all’esito della valutazione di impatto ambientale.

“Le operazioni minerarie devono essere interrotte per attendere i risultati della valutazione d’impatto ambientale” e l’autorizzazione deve essere revocata o sospesa o sottoposta a modifiche, riconoscendo agli Stati membri il principio dell’autonomia procedurale (60 e 65), come manifestazione dell’obbligo di eliminare le conseguenze illecite di una violazione del diritto comunitario (65), incluso il risarcimento dei danni, che può anche costituire una misura alternativa, sul consenso della parte lesa (66 e 69). Si tratta di una conseguenza dell’adempimento tardivo degli obblighi dello Stato, senza che possa essere qualificata come “inverse direct effect” delle disposizioni della direttiva nei confronti dei titolari della cava (58).

I giudici di Lussemburgo escludevano che la nuova disciplina sulla v.i.a. si applichi a progetti già approvati e/o realizzati in precedenza(42), sottolineando che la soluzione restrittiva è stata adottata per effetto della mancata previsione di una disciplina transitoria (“La Corte ha ritenuto inopportuno che procedure complesse a livello nazionale e formalmente avviate prima del 3 luglio 1988 siano appesantite e ritardate dalle specifiche prescrizioni imposte dalla direttiva, e che situazioni già consolidate ne siano colpite”)(43). È tuttavia contemplata un’unica eccezione alla preclusione dell’applicazione dello jus superveniens, quando si tratta di un’attività autorizzata ma divenuta inefficace per essere stata interrotta da tempo, per la quale è stata richiesta una nuova autorizzazione, ovvero è intervenuta una (rilevante) modifica del progetto originario, che comporta l’obbligo di essere nuovamente autorizzati(44).

Quest’ultima sentenza, che precede cronologicamente quella su Fossacesia, sembra fondarsi su un principio meno drastico. Viene confermato l’obbligo di sottoporre a valutazione di impatto ambientale la riattivazione di una cava, in quanto la nuova decisione amministrativa — che ne consentiva la ripresa di attività — sostituiva non solo i termini ma anche la sostanza della concessione mineraria precedente (par. 46). Viene anche affermato che nel periodo necessario allo svolgimento della valutazione di impatto ambientale la coltivazione della cava doveva essere sospesa, e che in ogni caso lo Stato membro doveva risarcire i danni arrecati al privato dall’inadempimento comunitario (par. 69). Non veniva affermata, tuttavia, l’irreparabilità dell’omissione di provvedere tempestivamente, anzi si indicava il percorso procedimentale per rimediare (“revocare o sospendere un’autorizzazione già rilasciata al fine di sottoporre il detto progetto ad una valutazione dell’impatto ambientale”: par. 70).

Ne consegue — in modo implicito ma evidente — che la valutazione d’impatto ambientale “a sanatoria” o “postuma” è ammessa, rimandando al suo esito le conseguenze sulla proseguibilità dell’opera. In altre parole, la valutazione d’impatto ambientale è uno strumento di prevenzione e non di repressione.

5.2.2. - Nullità dell’autorizzazione ed effetti sull’opera già realizzata. - Il nuovo codice ambientale, come di è detto, ha comminato la sanzione della nullità al mancato rispetto dell’obbligo di ottenere la previa valutazione di impatto ambientale positiva di un’opera. Quali conseguenze, dunque, devono essere ricondotte alla violazione della corretta sequenza procedimentale, nella quale la valutazione di impatto ambientale costituisce un presupposto per il rilascio (con prescrizioni) dell’autorizzazione alla costruzione.

L’opera deve senz’altro essere demolita (mediante un’implosione, analoga a quella della saracinesca sul lungomare di Bari?), o potrebbe essere sottoposta ad una valutazione “ora per allora” (come consente la giurisprudenza amministrativa nel caso di opere realizzate in assenza di autorizzazione paesaggistica obbligatoria)? Le sentenze comunitarie, come si è visto, ammettono qualsiasi soluzione, purché la valutazione di impatto ambientale venga effettivamente espletata.

È ipotizzabile anche una seconda strada, meno “militare”?

Una ventina di anni fa, si pose il problema della sorte delle opere pubbliche, in corso di realizzazione o già costruite, ma con i termini scaduti per l’espletamento delle procedure di espropriazione per pubblica utilità. A tale situazione l’ordinamento commina la sanzione della nullità della procedura di espropriazione. Se l’opera non è stata ancora realizzata, il proprietario può riprendersi il fondo. Se l’opera è in atto, il proprietario avrebbe il diritto di pretendere il risarcimento in forma specifica del danno subito, e dunque la restituzione previa demolizione (di un lotto autostradale o ferroviario, di una centrale elettrica, ecc..), ovvero il risarcimento per equivalente monetario. Ma la scelta era insindacabilmente rimessa al proprietario. Avvenne così che un brillante magistrato di cassazione (ora presidente della Corte costituzionale) elaborò in una sentenza la teoria dell’accessione invertita. Secondo l’istituto ordinario, accede al suolo ciò che viene costruito sopra di esso. Inversamente, qualora l’opera pubblica abbia determinato una trasformazione irreversibile del suolo, così che la restitutio ad integrum non risulta più possibile o eccessivamente onerosa per lo Stato, l’opera pubblica viene acquisita come se fosse stata realizzata in modo legittimo, ma al proprietario è corrisposto il risarcimento monetario basato sul valore venale del terreno in una libera contrattazione di mercato (anziché un indennizzo di valore minore).

Questa soluzione regola in modo satisfattivo i rapporti tra proprietario privato espropriato e pubblica amministrazione committente dell’opera pubblica. Non sembra fornire elementi specifici per la soluzione del nostro caso. E tuttavia, ci dimostra che l’interesse pubblico al ripristino della legalità non sempre prevale sull’interesse pubblico alla conservazione del bene, che abbia acquisito un rilevante valore economico.

5.3. - Il fattore temporale e la sua incidenza sull’obbligo di v.i.a. nel rinnovo delle autorizzazioni. - La Corte di giustizia si è più volte occupata delle varianti progettuali e del rinnovo di autorizzazioni che furono rilasciate quando la valutazione di impatto ambientale non era ancora stata introdotta nell’ordinamento europeo. L’avv. gen. Mischo sosteneva nelle sue conclusioni del 5 marzo 1998(45) che un’autorizzazione rilasciata prima del 3 luglio 1988(46) (recante l’approvazione di un piano urbanistico), e dunque senza la previa valutazione d’impatto ambientale, non perde la sua efficacia (par. 29). Tuttavia, qualora non sia stata sfruttata, ovvero sia stata modificata, e debba richiedere una nuova autorizzazione (permesso di costruire), deve munirsi anche della v.i.a. (par. 58). “La data di presentazione formale della domanda di autorizzazione costituisce” (…) “il solo criterio suscettibile di essere confermato [in vista della determinazione della data d’inizio della procedura]. Questo criterio è conforme ai principi della certezza del diritto e della funzione di preservare l’effetto utile della direttiva”(47). L’opinione dell’avvocato generale veniva ripresa integralmente nella sentenza della Corte di Giustizia, ove si ribadiva che, se la nuova autorizzazione non si limita a sostituire i termini (che legittimano la gestione di un’attività o di un impianto) ma modifica la sostanza della precedente autorizzazione, imponendo nuove condizioni, non si applica il principio “pipe-line”(par. 46) ma occorre la v.i.a.

Anche nella sentenza resa nella causa C-201/02, citata in precedenza, veniva affrontato il tema del rinnovo di autorizzazioni, che all’epoca del primo rilascio non furono sottoposte a valutazione di impatto ambientale (perché gli impianti non erano non ancora tenuti a tale adempimento, ovvero per omissione). Il giudice comunitario sottolinea che anche l’impianto preesistente dovrà sottostare alla nuova procedura di v.i.a. prima di ottenere il provvedimento di rinnovo, soltanto se esso vada qualificato come autorizzazione e contenga nuove prescrizioni o nuovi elementi prestazionali. Se tuttavia, si fosse trattato di un’opera da realizzare, che non comporta rinnovo di autorizzazione o suoi aggiornamenti, in quanto il rapporto tra il committente e l’autorità si esaurisce al momento del rilascio del provvedimento permissivo (come avviene in caso di costruzione di un’autostrada, o di un centro commerciale) il criterio del tempus regit actum appare inderogabile anche per le istituzioni comunitarie.

Se la procedura di autorizzazione è articolata in più fasi, “consistenti l’una in una decisione principale e l’altra in una decisione di attuazione che deve rispettare i parametri stabiliti dalla prima, gli effetti che il progetto può avere sull’ambiente devono essere individuati e valutati nella procedura relativa alla decisione principale” (par. 52) [in virtù del principio di anticipazione della v.i.a.].

Anche il supremo giudice amministrativo ha avuto occasione di occuparsi della questione, affermando l’obbligo di effettuare la valutazione d’impatto ambientale anche sulle opere già realizzate ed attivate, nel momento in cui il titolare richiede il rinnovo dell’autorizzazione all’esercizio(48). Secondo tale orientamento, essendo la valutazione d’impatto ambientale prevista come obbligatoria nella disciplina comunitaria, anche se l’opera è stata realizzata quando la normativa non era stata ancora recepita nell’ordinamento nazionale e dunque non rivestiva efficacia vincolante, il procedimento di v.i.a. deve essere svolto “ex-post”.

La statuizione giurisprudenziale non sembra condivisibile, in relazione ai nuovi problemi che essa apre. La valutazione d’impatto ambientale riveste la funzione di migliorare la qualità della progettazione e della decisione pubblica, attraverso la valutazione e la comparazione delle alternative progettuali (localizzazione, processo produttivo, tecnologia, materiali impiegati, prodotti, emissioni nelle varie matrici ambientali). Se l’opera esiste già, in virtù di un provvedimento amministrativo legittimo, l’unica alternativa concreta che potrebbe essere presa in considerazione è quella di interdire l’ulteriore prosecuzione dell’attività (cioè l’opzione zero). Ciò significa che la valutazione di impatto ambientale — qualora costituisca un indefettibile presupposto di legittimità dell’opera — dovrà essere effettuata senza alcuna limitazione derivante dalle scelte preesistenti. Ma significa anche che l’opera legittimamente assentita senza la v.i.a., perché all’epoca non prevista o comunque non dovuta, non può essere sottoposta a tale procedura. Le sentenze comunitarie finora esaminate — tuttavia — escludono espressamente l’applicazione “retroattiva” della disciplina della v.i.a., limitandone l’obbligo ai soli casi nei quali il rinnovo contiene nuove statuizioni e prescrizioni o regola varianti funzionali importanti.

Sull’ammissibilità di una valutazione d’impatto ambientale “postuma”, in un parere ormai risalente, il Consiglio di Stato aveva affermato l’incompatibilità ontologica della valutazione di impatto ambientale con una procedura “postuma”, negando la fattibilità della sanatoria di un’opera illegittimamente priva di tale presupposto(49).

In altra pronuncia, è stata espressa l’opinione che la v.i.a. possa essere effettuata legittimamente se interviene prima della realizzazione dell’opera, e dunque prima della trasformazione dell’ambiente(50). Si tratta di una particolare ipotesi che non contrasta con la natura preventiva dell’istituto, la cui funzione giuridica di individuazione e di mitigazione degli effetti lesivi di un’opera, anche attraverso l’esame delle alternative, risulta di ostacolo all’ammissione di un provvedimento “a sanatoria”.

In quest’ultimo caso sembra trovare applicazione il principio — indicato da un’autorevole dottrina (Giannini) — che la sequenza di atti endoprocedimentali può anche variare, a condizione che l’eventuale inversione non determini effetti negativi sul provvedimento finale(51).

5.4. - Opzione zero e principio di precauzione. - La giurisprudenza amministrativa ha avuto occasione di occuparsi dell’applicazione della c.d. opzione zero”, che comporterebbe l’esclusione della soluzione proposta dal committente, all’esito della valutazione comparativa delle diverse alternative progettuali. Nella sentenza citata in precedenza(52), veniva esaminata la censura avanzata dai ricorrenti(53), che la v.i.a. avrebbe mancato di esaminare (ed adottare) la decisione di non realizzare il ponte sullo stretto di Messina, in alternativa al mantenimento dell’attuale sistema di collegamento tra la Sicilia ed il continente basato sui traghetti marittimi, limitando il suo giudizio all’interno della scelta positiva. L’opzione zero sarebbe stata altresì imposta dal principio comunitario di precauzione, dal momento che mancano certezze scientifiche sugli effetti ambientali di un’opera di rilevanti dimensioni ed impatto ambientale, mai realizzata in precedenza nel mondo.

La sentenza — nel rigettare il motivo — osserva che la decisione di realizzare la specifica opera (definita dall’art. 4 della legge 1158 del 1971 come “collegamento stabile viario e ferroviario” (…) “tra la Sicilia e il continente”) e la sua qualificazione come strategica e di preminente interesse nazionale, era stata contemplata nell’art. 2, D.L.vo n. 114 del 2003, e che tale circostanza precludeva l’esame alternativo e dirimente della “opzione zero” (punto 4). Aggiunge che il principio comunitario di precauzione — invocato dai ricorrenti come presupposto imprescindibile dell’astinenza tecnologica — è destinato a ispirare le attività normative e amministrative della Comunità europea e degli Stati membri in quanto “criterio orientativo solo generale e di larga massima”, mentre “non è suscettibile di tradursi, per difetto di concretezza, nel preciso comando giuridico” inteso dai ricorrenti (punto 5b). La tesi è da condividere, dato che non si tratta di una norma di relazione, ma di una norma di azione, per di più dal contenuto tuttora indeterminato(54).

In ogni caso, osserva la sentenza, “va sgombrato il campo dall’idea (sostenuta dai ricorrenti - n.d.r.) che il progetto di un’opera da sottoporre a v.i.a. non debba determinare, per essere assentito, alcun impatto sull’ambiente” (punto 5b). Anche questa affermazione è condivisibile, perché l’importanza dell’impatto ambientale non costituisce il requisito sufficiente al diniego della realizzabilità dell’opera, ma il presupposto per effettuare la valutazione di impatto ambientale e definire le misure di bilanciamento tra gli interessi protetti e l’interesse pubblico di specie.

5.5. - Valutazione di impatto ambientale e verifica di incidenza. - La giurisprudenza amministrativa si è occupata in più occasioni delle relazioni intercorrenti tra la valutazione di impatto ambientale e la valutazione di incidenza(55), prescritta dalle dir. 79/409 (e succ. mod. 97/49) e 93/43 per le aree di interesse comunitario e per le zone di protezione speciale, affermando il principio che il rischio di pregiudizio “per l’integrità del sito” (contemplato nell’art. 6 della dir. habitat) non può essere meramente ipotizzato dalla parte ricorrente, ma deve presentare una dimostrabile “probabilità di incidenze significative”(56).

Inoltre, i contenuti della v.i.a. comprendono anche quelli della valutazione di incidenza, che ne costituisce un profilo particolare(57), sia perché la prima è più ampia ed approfondita, sia perché la normativa tecnica sulla v.i.a. richiede espressamente la considerazione specifica delle aree e dei siti di interesse comunitario(58).

In effetti, la v.i.a. assume come oggetto di giudizio di compatibilità il progetto, nel contesto ambientale sul quale può produrre effetti, mentre la valutazione di incidenza esamina il sito e gli effetti che su di esso l’opera potrebbe produrre, in un’inversione dell’ordine logico del giudizio che giustifica, a mio avviso, la compresenza di due distinti procedimenti.

5.6. - La valutazione dell’effetto cumulativo. - Il giudice amministrativo ha recentemente presentato al giudice comunitario una domanda di pronuncia pregiudiziale sull’ambito oggettivo di applicazione della direttiva sulla v.i.a., per quanto concerne un progetto che isolatamente considerato non avrebbe necessità di v.i.a., mentre potrebbe risultare obbligato a tale giudizio se il suo cumulo con altri progetti configura un complesso progettuale da cui possa risultare un significativo impatto sull’ambiente(59).

Viene altresì richiesto di chiarire se l’elenco dell’allegato I alla direttiva 85/337 (e succ. mod. della direttiva 97/11) è tassativo e se il D.P.R. 12 aprile 1996 ha correttamente trasposto l’allegato II della direttiva, non avendo contemplato il cumulo con altri progetti.

In precedenti sentenze il giudice amministrativo si era già pronunciato, ritenendo necessaria una verifica sul complesso strutturalmente individuato che tenga conto di successive addizioni al progetto originario(60), una valutazione non del solo tronco autostradale da realizzare, ma dell’intero tracciato, considerato nelle sue ipotesi di massima(61), una valutazione dell’effetto cumulativo di un progettato parco eolico nei confronti di altri impianti eolici già installati nella medesima zona(62). Più di recente, è stata sottolineata la non frazionabilità dell’opera pubblica allo scopo di sottrarla all’obbligo di v.i.a., dovendosi fare riferimento all’intero tracciato ovvero a “tronchi funzionali”, ma sempre con attenzione al complesso dell’opera pubblica, perché la v.i.a. deve tenere in considerazione gli impatti complessivi(63).

5.7. - Progetto preliminare o progetto definitivo? - La disciplina in materia di opere pubbliche di interesse strategico richiede che venga sottoposto a v.i.a. il progetto preliminare. Analoga statuizione era contenuta nella normativa tecnica per la prima attuazione della legge istitutiva della v.i.a., con riferimento al progetto di massima. La scelta legislativa è stata contestata in sede giurisdizionale amministrativa, sostenendo i ricorrenti che essa risulterebbe in contrasto con la disciplina comunitaria, in quanto destinata a sottrarre all’esame ambientale il progetto definitivo dell’opera(64). Il giudice amministrativo rispondeva, in tale occasione(65), che la direttiva non indica la fase di progettazione sulla quale effettuare la v.i.a., e dunque ne rimette la scelta alla discrezionalità degli stati membri, mentre uniche condizioni sostanziali sono la valutazione dell’impatto ambientale e la sua effettuazione prima che sia rilasciata l’autorizzazione ai lavori (sent. cit. in nota, punto 10b). A tali osservazioni, del tutto condivisibili, si può aggiungere che la stessa direttiva 85/337 si incarica di richiedere una valutazione la più anticipata possibile, e che la direttiva 97/11 impone il rinnovo del procedimento di v.i.a. in caso di varianti sostanziali al progetto approvato, condizione che ben può essere invocata qualora il progetto definitivo si discosti in modo rilevante da quello già valutato(66).

6. - Considerazioni conclusive. - La sintetica esposizione della disciplina introdotta dal decreto delegato in comparazione con alcune delle più significative pronunce giurisdizionali ci ha consentito di porre in evidenza alcuni fenomeni.

ìIn primo luogo, il legislatore nazionale continua a recepire le norme (e le sentenze) comunitarie secondo una singolare interpretazione, quasi mai fedele ai testi originari, introducendo elementi aggiuntivi inessenziali, trascurando fasi procedimentali (ad es., scarsa attenzione dedicata alla partecipazione informata dei cittadini), irrigidendo senza necessità le norme comunitarie.

In secondo luogo, la magistratura — con assoluta dominanza di quella amministrativa in questo settore della legislazione ambientale — continua a svolgere un ruolo di “supplenza” nei confronti di un legislatore distratto o confusionario. Nello stesso giorno di questo Convegno, altra giornata di studio presso l’Università di Modena e Reggio Emilia affronta il tema “Dalla giurisdizione come applicazione della legge alla giurisdizione come creazione del diritto”. Illustri studiosi ed emeriti magistrati si interrogano sul mutamento che il nostro ordinamento sta manifestando da tempo, “da un sistema di civil law (…) nel quale il giudice è tradizionalmente considerato come un mero esecutore della legge” (…) “ad una diversa tendenza, in forza della quale ad esso si assegna — sull’esempio dei modelli anglosassoni di common law — una funzione creatrice di diritto”(67).

Evoluzione della quale questa mia relazione vuole costituire una sintetica testimonianza, riservando ad altra occasione una sistematica ricostruzione dell’istituto della valutazione di impatto ambientale.

Prof. Paolo DELL’ANNO

(1) Nelle conclusioni dell’avv. gen. Cosmas, causa C-321/95 (Stichting Greenpeace Council - Greenpeace International ed altri c/ Commissione europea) si sostiene che la direttiva 85/337 ha dato origine ad alcuni diritti (procedimentali) in favore dei ricorrenti, che sarebbero stati violati dalla decisione della Commissione. Analoghe considerazioni sono ravvisabili nella sentenza dei giudici comunitari del 29 aprile 2004, causa C-117/02, laddove si ribadisce la necessità che la valutazione ambientale sia effettuata prima del rilascio di un’autorizzazione alla realizzazione di progetti a prevedibile forte impatto ambientale (punto 81). Stesso orientamento è manifestato dalla Corte Giust., sent. 10 giugno 2004, causa C-87/02, Commissione c/ Repubblica italiana (c.d. Lotto Zero, Teramo).

(2) Gli Stati membri erano obbligati al recepimento entro il 21 luglio 2004.

(3) In particolare, il D.P.C.M. 10 agosto 1988 n. 377, il D.M. 2 novembre 1988 ed il D.P.C.M. 27 dicembre 1988.

(4) Con questa espressione si intende fare riferimento all’eventualità di non realizzare l’opera progettata, valutando insoddisfacente il rapporto costi (ambientali) - benefici (derivanti dalla nuova opera).

Per un riferimento al criterio di giudizio basato sul bilanciamento tra danni e benefici, Cons. Stato, Sez. VI, n. 129 del 2006. Secondo la giurisprudenza amministrativa, l’opzione zero è esclusa quando l’opera è prevista per legge o per atto amministrativo generale che la contempla espressamente (ad es., il programma delle opere pubbliche strategiche approvato dal CIPE, d’intesa con le Regioni interessate): T.A.R. Lazio, Sez. I, 5117 del 2004. Il tema sarà più ampiamente sviluppato in seguito.

(5) Osserva a tale proposito la giurisprudenza amministrativa che le conseguenze del giudizio di v.i.a. non assumono nel nostro ordinamento un’efficacia tautologica, dal momento che una valutazione ambientale favorevole non obbliga di per sé al rilascio dell’autorizzazione alla realizzazione dell’opera, così come un giudizio negativo non costituisce l’ultima fase del procedimento, essendo contemplate forme di revisione nella sede politica di vertice.

(6) L’impatto ambientale rilevante (nella dir. 85/337 era definito come “importante”) costituisce un presupposto per l’applicazione della speciale procedura e non un elemento in sé ostativo al rilascio di un giudizio positivo sul progetto da realizzare. Secondo il giudice amministrativo “va sgombrato il campo dall’idea che il progetto di un’opera da sottoporre a v.i.a. non debba determinare, per essere assentito, alcun impatto sull’ambiente, imponendosi semmai un giudizio comparativo che tenga conto, da un lato, della necessità di salvaguardare preminenti valori ambientali, ma dall’altro dell’interesse pubblico sotteso all’esecuzione dell’opera” (T.A.R. Lazio, 5117 del 2004, cit.; conforme: Cons. Stato, VI, 1 del 2004). “il concetto di valutazione d’impatto ambientale implica necessariamente che le opere da valutare abbiano un’incidenza negativa sugli elementi naturalistici del territorio, modificandolo in maniera più o meno invasiva e penetrante”. Il procedimento di v.i.a., pertanto, tende a stabilire se le alterazioni possono ritenersi accettabili, “in un giudizio comparativo che tenga conto, da un lato, della necessità di salvaguardare preminenti valori ambientali, dall’altro, dell’interesse pubblico all’esecuzione dell’opera” (Cons. Stato, 129 del 2006, cit.). Per la natura di tali opere la previsione di un impatto ambientale importante è effettuata direttamente dal legislatore comunitario, mentre i progetti dell’allegato II “non necessariamente avranno in ogni caso tale impatto” (Corte Giust., V sez., 7 gennaio 2001, causa C-2012/02, n. 6).

(7) Sulla tassatività dell’elenco di opere di cui agli allegati I e II della direttiva, il supremo giudice amministrativo ha sollevata una questione pregiudiziale, per sapere se anche altri impianti a impatto ambientale importante devono essere sottoposti a v.i.a. (Cons. Stato, VI, ord. 6836 del 2006). In realtà, i progetti menzionati nell’allegato I sono assoggettati obbligatoriamente alla v.i.a. secondo una presunzione legale, mentre quelli dell’allegato II sono rimessi a scelte discrezionali dello Stato. Esiste peraltro una terza categoria di opere, il cui assoggettamento a v.i.a. è oggetto di una decisione — anch’essa discrezionale — dello Stato (art. 14 quater, legge 241 del 1990).

(8) Raffinerie petrolifere, centrali termiche con potenza superiore a 300 MW, centrali nucleari, acciaierie integrate, impianti per l’estrazione dell’amianto, impianti chimici integrati, tronchi ferroviari e aeroporti di grandi dimensioni, autostrade, vie navigabili e porti, impianti di smaltimento e recupero di rifiuti pericolosi e non pericolosi con determinate capacità di trattamento o di deposito, opere idriche, impianti di depurazione di acque reflue, coltivazione in mare di petrolio e gas naturale, dighe, gasdotti ed oleodotti, allevamenti zootecnici intensivi, cartiere, concerie, cave, elettrodotti, impianti per lo stoccaggio di petrolio e gas combustibili, recupero di suoli dal mare.

(9) I progetti e gli impianti compresi in questo allegato spaziano dai settori dell’agricoltura a quelli dell’industria energetica ed estrattiva, della lavorazione dei metalli, delle produzioni alimentari, dell’industria di tessili cuoio legno carta gomma e materie plastiche, delle infrastrutture, di impianti di gestione dei rifiuti non compresi nel precedente elenco, villaggi turistici, ed altro ancora, secondo una casistica assai dettagliata, comprensiva di soglie dimensionali e/o quantitative.

(10) Costituisce una variante sostanziale — ai sensi del punto 13 dell’all. II, dir. 85/337 modif. — non qualsiasi incremento della capacità produttiva, ma quello che può provocare notevoli ripercussioni negative, che vanno adeguatamente dimostrate (Cons. Stato, Sez. V, n. 6201 del 2005, p. 7.4.1.1.). “Non tutte le modifiche progettuali (…) comportano necessariamente un ritorno all’indietro ed un nuovo esame del progetto modificato (…) ma solo quelle che incidono in senso peggiorativo” sull’ambiente già valutato (Cons. Stato, Sez. V, n. 6405 del 2001). Secondo altra sentenza, “l’asserito carattere migliorativo della variante sarà valutabile solo in sede di una nuova v.i.a. in considerazione di tutti i diversi elementi dell’intervento progettato” onde verificare in concreto i riflessi sull’ambiente del progetto aggiornato (Cons. Stato, Sez. V, n. 6759 del 2003).

(11) Dottrina e giurisprudenza sono concordi nel ritenere che non ogni modifica del progetto valutato positivamente ed approvato comporti l’avvio di un nuovo procedimento di valutazione di impatto ambientale, ma solo quelle modifiche che incidono negativamente sull’ambiente, aggiungendo un quid pluris all’impatto già considerato (Cons. Stato, Sez. VI, n. 2694 del 2006). “Non tutte le modifiche progettuali (…) comportano necessariamente un ritorno all’indietro ed un nuovo esame del progetto modificato (…) ma solo quelle che incidono in senso peggiorativo” sull’ambiente già valutato (Cons. Stato, Sez. V, n. 6405 del 2001). Secondo altra sentenza, tuttavia, “l’asserito carattere migliorativo della variante sarà valutabile solo in sede di una nuova v.i.a. in considerazione di tutti i diversi elementi dell’intervento progettato” onde verificare in concreto i riflessi sull’ambiente del progetto aggiornato (Cons. Stato, Sez. V, n. 6759 del 2003, cit.).

(12) Si tratta di un procedimento semplificato di valutazione degli effetti ambientali di un’opera, che può condurre ad un giudizio di irrilevanza, e dunque di consenso alla prosecuzione ulteriore del procedimento autorizzatorio principale, ovvero alla richiesta di sottoporre il progetto alla v.i.a. E’ un obbligo procedimentale a cui l’autorità competente non ha il potere di esimersi (T.A.R. Napoli, Sez. III, n. 20 del 2005).

(13) Per un impianto di gestione di rifiuti approvato con decreto del commissario all’emergenza, vedi Cons. Stato, Sez. V, 6029 del 2006. La funzione della protezione civile è ampiamente utilizzata per interventi gestionali in materia di ambiente (smaltimento dei rifiuti e gestione delle acque, ma anche difesa del suolo e tutela dai rischi idrogeologici), onde l’esenzione dalla v.i.a. per opere ed interventi definitivi non appare contemplata dalle norme comunitarie.

(14) Il legislatore sembra dubitare della legittimità della sua scelta, stabilendo che l’esenzione delle suddette categorie dalla v.i.a. avverrà previa verifica d’impatto e notifica alla Commissione europea (art. 23 comma 5). La formulazione di questa categoria di opere risente di un equivoco: un intervento di bonifica — per definizione — comporta una trasformazione irreversibile del suolo contaminato. Se si vuole alludere alla possibilità di realizzare impianti provvisori, finalizzati esclusivamente alle opere di bonifica del sito contaminato, e dunque destinate ad esaurire la loro funzione (ad es. installazione di impianti mobili di trattamento dei rifiuti), la norma appare conforme ai principi comunitari. Non sarebbe condivisibile, invece, la sottrazione dalla v.i.a. di un’opera connotata dalla medesima natura strumentale, ma non temporanea, quale ad es., una discarica “di servizio” per i materiali ed i terreni contaminati da asportare dal sito oggetto di bonifica, o la realizzazione di una barriera fisica per il contenimento della falda inquinata.

(15) Se il progetto definitivo si discosta in modo rilevante dal progetto preliminare sottoposto a v.i.a., dovrà essere ripetuto il procedimento. Si tratta di un punto critico, sul quale era intervenuta la Commissione europea con un’anticipazione del procedimento di infrazione, poi risolta da una modifica legislativa nel senso ora indicato. La giurisprudenza osserva che, se il progetto preliminare è posto a base di una gara, deve avere già ottenuto la valutazione di impatto ambientale positiva (T.A.R. Veneto, Sez. I, n. 680 del 2004).

(16) Il committente deve anche asseverare i progetti e gli studi tecnici presentati.

(17) I termini per l’impugnazione decorrono dalla pubblicazione della notizia (T.A.R. Liguria, Sez. I, n. 1538 del 2004).

(18) Analogo obbligo di pubblicazione riguarda la valutazione di impatto ambientale, se favorevole, nonché il provvedimento permissivo finale (art 11 comma 10 L. n. 340 del 2000).

(19) Sulla differenza tra tale forma speciale di partecipazione e la disciplina generale del diritto di accesso, T.A.R. Basilicata, n. 785 del 2005. Analoga diversità funzionale giustifica la inapplicabilità dell’obbligo di dare previa comunicazione personale dell’avvio del procedimento nel caso della v.i.a., dove è richiesta la pubblicazione del progetto (T.A.R. Lazio, Sez. II bis, n. 5481 del 2005).

(20) Non occorre una risposta puntuale per ciascuna osservazione, ma è sufficiente l’esame per gruppi omogenei (Cons. Stato, Sez. VI, n. 129 del 2006). Le osservazioni del pubblico, così come avviene per le osservazioni agli strumenti urbanistici generali, in quanto “apporti collaborativi forniti all’amministrazione da chiunque vi abbia interesse (…) non richiedono, in caso di rigetto, una dettagliata confutazione, essendo sufficiente che dagli atti del procedimento risulti che sono state valutate e una sintetica motivazione della valutazione negativa, che non deve necessariamente investire ogni singola argomentazione del proponente” (T.A.R. Lazio, n. 5481 del 2005, cit.). L’assenza di qualsiasi riferimento alle osservazioni, viceversa, rende illegittimo il provvedimento di v.i.a. (T.A.R. Veneto, Sez. I, n. 2234 del 2005).

(21) Il fallimento delle precedenti esperienze deriva — in massima parte — dalla funzione “notarile” assegnata all’inchiesta pubblica sulle centrali termoelettriche, dal momento che la commissione preposta poteva soltanto raccogliere le osservazioni del pubblico, le note esplicative del soggetto proponente, riassumendo i lavori svolti in una relazione finale priva non solo di una autonoma potestà di giudizio sulle risultanze dell’inchiesta ma perfino della facoltà di formulare proposte per l’autorità titolare del potere decisorio finale.

(22) In virtù del principio di necessaria esplicazione della funzione ambientale, il giudizio di v.i.a. mancante non può essere sostituito dalle determinazioni maggioritarie della conferenza dei servizi.

(23) La commissione v.i.a. non è un organo collegiale perfetto, per mancanza degli elementi distintivi, quali la previsione di supplenti, la predeterminazione di specifiche figure professionali essenziali ecc.. (Cons. Stato, Sez. VI, n. 1112 del 2005).

(24) La giurisprudenza amministrativa è concorde nel ritenere che la competenza al rilascio della valutazione di impatto ambientale sia rimasta ferma nella competenza del Ministro, senza essere devoluta al dirigente ministeriale per effetto del D.L.vo n. 165 del 2001 sulla distinzione tra politica e gestione amministrativa, trattandosi di atto di alta amministrazione che esula dalla mera gestione, per rimanere riservata all’organo politico (Cons. Stato, Sez. VI, n. 316 del 2004, par. 7.1.). L’elencazione dei poteri di indirizzo politico amministrativo, infatti, non è tassativa (par. 4.1.). Viceversa, la successiva attivazione della vigilanza e l’irrogazione eventuale di sanzioni costituiscono attività amministrativa di gestione (e non già di autotutela provvedimentale), riservata alla competenza dirigenziale (Cons. Stato, Sez. VI, n. 127 del 2005).

(25) Tra gli interessati — oltre al committente — vanno comprese le parti pubbliche necessarie, e dunque l’autorità titolare del potere autorizzatorio conclusivo del procedimento e gli altri soggetti investiti di attribuzioni amministrative.

(26) Non si comprende quale sia il coordinamento tra le due misure sanzionatorie, se cioè il silenzio-rifiuto scatta in ogni caso, ovvero dopo l’eventuale ritardo nell’attivazione del giudizio “arbitrale” da parte del massimo organo di Governo. In ogni caso, la misura contemplata del silenzio-rifiuto costituisce un aggravio del procedimento, perché costringe l’interessato ad adire il giudice amministrativo per far accertare l’illegittimità del silenzio dell’amministrazione (e la conseguente carenza assoluta di motivazione), con la facoltà di richiedere la nomina di un commissario ad acta per la prosecuzione del procedimento. Ma si tratta di una scelta obbligata, data l’illegittimità comunitaria che colpisce ogni previsione di forme di silenzio assenso in materia ambientale.

(27) Per l’illegittimità del D.P.C.M. 16 maggio 2003, recante pronunzia di compatibilità ambientale per il completamento dell’autostrada A31 Valdastico Sud, in quanto — pur in presenza di parere negativo del ministro dei beni ambientali e culturali — non motivava in modo adeguato sulla prevalenza dell’interesse pubblico alla realizzazione dell’opera rispetto alla sua inopportunità per l’invasività sul contesto ambientale, territoriale e paesaggistico, T.A.R. Veneto, Sez. I, n. 2234 del 2005.

(28) La commissione speciale v.i.a. deve essere integrata da un rappresentante della regione interessata dalla localizzazione dell’opera progettata. Si tratta di un’esigenza posta dalla Corte costituzionale (sent. n. 303 del 2003), che vale però a qualificare il procedimento di v.i.a. come finalizzato alla rappresentanza di interessi più che alla definizione di esigenze tecniche.

(29) La v.i.a. costituisce, in questo procedimento, un “mero strumento di supporto tecnico alla decisione finale”, la quale — ove assunta dall’organo collegiale del Governo — “oltre ad essere di tipo tecnico-discrezionale” (…) “implica marcati profili di valutazione politica”, in quanto riguarda l’attuazione del programma di Governo, circostanza che “restringe ulteriormente la sindacabilità da parte del giudice amministrativo” (Cons. Stato, Sez. VI, n. 129 del 2006, cit.).

(30) Tale necessità va compiutamente dimostrata e ponderata con le esigenze ambientali (T.A.R. Sardegna, Sez. II, n. 2082 del 2006, in questa Rassegna 2006, II, 1888).

(31) T.A.R. Lazio, I ter, n. 4731 del 2006, in questa Rassegna 2006, II, 1083.

(32) P. DELL’ANNO, La valutazione d’impatto ambientale: problemi di inserimento nell’ordinamento italiano, Rimini 1987, in specie pag. 42 e seg.

(33) Il giudice amministrativo riassume questa ambivalenza individuando nella valutazione di impatto ambientale un giudizio dal “contenuto squisitamente tecnico ed ampiamente discrezionale” (T.A.R. Lazio, Sez. III bis, n. 5177 del 2004, cit.), senza esprimersi sulla compatibilità di tale convivenza. Altra sentenza puntualizza che la v.i.a. non costituisce un mero giudizio tecnico suscettibile di verificazioni, in quanto presenta profili particolarmente intensi di discrezionalità amministrativa sul piano dell’apprezzamento degli interessi pubblici in rilievo (Cons. Stato, VI, 2851 del 2006).

(34) T.A.R. Lazio n. 5117 del 2004, cit.

(35) Ex multis, T.A.R. Lazio n. 5117 del 2004, cit. (par. 9b).

(36) La v.i.a. è chiamata ad effettuare il bilanciamento degli interessi pubblici tra i preminenti valori ambientali e l’interesse pubblico specifico sotteso alla realizzazione dell’opera (Cons. Stato, Sez. IV, n. 5760 del 2006, in questa Rassegna 2006, I, 1419; analoghe considerazioni in T.A.R. Veneto, Sez. I, n. 2234 del 2005). Si tratta di un giudizio comparativo che presenta “marcati profili di valutazione politica” (Cons. Stato, 129 del 2005, cit.).

(37) Corte Giust., Sez. VI, 2 giugno 2005, causa C-83/03, Commissione c/ Italia (porto turistico di Fossacesia, Abruzzo).

(38) Per tutte, si rinvia alla sent. Cons. Stato, n. 1023 del 2006, in questa Rassegna 2006, I, 352 cit.

(39) Corte Giust., 25 settembre 2003, causa C-201/02, questione pregiudiziale, The Queen, su richiesta di Delena Wells, c/ Segretary of State for Transport ed altri.

(40) In quanto, aggiunge la Corte di Giustizia, non è ammissibile una nozione restrittiva di autorizzazione che eluderebbe l’obbligo comunitario (sent. citata nella nota precedente, par. 40).

(41) Analoga pronuncia del giudice europeo sostiene che, ai sensi degli articoli 2, n. 1, e 4, n. 2, della

direttiva, nel caso di un’autorizzazione da rilasciare in più fasi, qualora nel corso dell’istruttoria sulla seconda fase risulti che il progetto può avere un impatto ambientale importante, in particolare per la sua natura, le sue dimensioni o la sua ubicazione, deve essere effettuata la valutazione d’impatto ambientale, anche se l’opera è già realizzata (Corte Giust., 4 maggio 2006, causa C-290/03, Diane Barker c/ London Borough of Bromley).

(42) Richiamando il precedente della sentenza Corte Giust.. 11 agosto 1995, causa C-431/02, Commissione c/ Repubblica Germania.

(43) Corte Giust., 18 giugno 1998, causa C-81/96, Geputeerde Staten Van Noord c/ Holland.

(44) Corte Giust., causa C-72/95, Kraaijeved ed altri.

(45) Nella causa C-81/96, cit. alla nota 44.

(46) E’ il termine di scadenza per la trasposizione negli ordinamenti nazionali della dir. 85/337.

(47) Nella sentenza della Corte Giust., 11 agosto 1995 C-431/92, Commissione c/ Germania, viene introdotta per la prima volta la nozione di progetti “pipeline”, per indicare quei progetti la cui procedura di autorizzazione era stata avviata prima del 3 luglio 1988 ed era ancora in corso a tale data, onde non sono soggetti all’obbligo di v.i.a. (conclusioni dell’avv. gen. Léger, punto 46).

(48) Cons. Stato, Sez. IV, n. 5715 del 2004; Cons. Stato, Sez. V, n. 6201 del 2005.

(49) Cons. Stato, Sez. II, parere n. 2757/95.

(50) T.A.R. Lazio, Sez. III ter, n. 5240 del 2005.

(51) Altra pronuncia, tuttavia, esclude la legittimità di una inversione procedimentale della v.i.a. richiesta per le stazioni radio-base, qualora sia rilasciata dopo la concessione del permesso di costruire (Cons. Stato, Sez. VI, n. 6255 del 2004).

(52) T.A.R. Lazio, Sez. I, n. 5117 del 2004, cit.

(53) Il primo firmatario del ricorso, nella qualità di presidente della federazione dei verdi, è l’attuale ministro dell’ambiente, Pecorario Scanio.

(54) Sulla qualificazione dei principi comunitari come norme di azione, ci sia consentito il rinvio al nostro “Principi del diritto ambientale europeo e nazionale, Milano 2004, Giuffrè, pag. 39 e seg.

(55) La dir. 92/43 habitat, in relazione ai siti oggetto di speciale protezione comunitaria, richiede lo svolgimento di una “opportuna valutazione dell’incidenza” che “qualsiasi piano o progetto non direttamente connesso e necessario alla gestione del sito” possa avere su di esso, “singolarmente o congiuntamente con altri piani o progetti, precisando che deve trattarsi di una “incidenza significativa” (art. 6, comma 3).

(56) T.A.R. Lazio, Sez. I, 5117 del 2004, cit., punto 6b.

(57) Cons. Stato, Sez. VI, sent. 1102 del 2005

(58) T.A.R. Lazio, Sez. n. 5117 del 2004, cit.; T.A.R. Toscana, Sez. II, n. 5222 del 2003.

(59) Cons. Stato, Sez. VI, n. 4 del 2007. Il cumulo di progetti, quale condizione di applicabilità della valutazione di impatto ambientale, è menzionato nell’allegato III alla dir. 97/11, “Criteri di selezione”, al par. 1 “caratteristiche dei progetti”.

(60) Cons. Stato, Sez. IV, n. 3116 del 2004.

(61) T.A.R. Veneto, Sez. I, n. 2234 del 2005.

(62) T.A.R. Sardegna, Sez. II, n. 2682 del 2006, in questa Rassegna 2006, II, 2337.

(63) Cons. Stato, Sez. V, n. 5760 del 2006, in questa Rassegna 2006, I, 1419.

(64) Secondo il Consiglio di Stato, il progetto definitivo è tale non per astratta qualificazione ma per la sua essenza (se contiene il piano particellare di esproprio, il computo metrico estimativo, l’elenco prezzi) e la sua efficacia (dichiarazione di pubblica utilità, indifferibilità ed urgenza, con fissazione dei termini per l’espropriazione (Cons. Stato, Sez. V, n. 5760 del 2006, cit.). In realtà, il grado di dettaglio di alcuni dei requisiti indicati sembrano appartenere al progetto esecutivo.

(65) T.A.R. Lazio, Sez. n. 5117 del 2004, cit.

(66) L’anticipazione della v.i.a al progetto preliminare non comporta il venir meno di una valutazione effettiva e realistica delle ripercussioni dell’opera sull’ambiente, mentre il progetto definitivo deve — in conformità alla legge (art. 20 legge n. 443 del 2001, modificato dall’art. 2 D.L.vo n. 189 del 2005) — essere integrato da una relazione del progettista sulla rispondenza al progetto preliminare, essere sottoposto a verifica di ottemperanza delle prescrizioni annesse alla v.i.a., e sottoposto ad aggiornamento dello studio ed a nuova valutazione di impatto ambientale ministeriale, ove necessario (T.A.R. Lazio, Sez. III ter, n. 82 del 2006).

(67) Citazione dal testo illustrativo dell’invito alla Giornata di Studio.