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Inquinamento visivo da insegne ed impianti pubblicitari
di Giovanni Fontana (Ufficiale della P.M. di Forte dei Marmi (LU))

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Beh, per quanto ormai da qualche tempo, parlo della pubblicità stradale, anche come di un macro-fenomeno, socio-economico, di rilevanza ambientale, non avrei mai creduto che sarei stato invitato ad un Convegno della Polizia Locale, nell’ambito di una sessione speciale dedicata proprio alla “polizia ambientale”.

Non da meno, l’autorevolezza dei Relatori che mi affiancano, il loro costante e duraturo riferimento per la mia attività professionale quotidiana, mi spingono a vivere questo momento, con una sorta di umile marginalità, anche affrontando una questione assai lata, rispetto alla più ampia e grave “questione ambientale”.

Ad ogni buon conto, cercherò di farlo, offrendo un taglio al mio intervento — così io spero — piuttosto pratico, per quanto sintetico

Piano dell’intervento:

Il “contesto costituzionale” della pubblicità e della tutela dell’ambiente

Il nuovo codice della strada del ‘92

Il codice dei beni culturali e del paesaggio

Forme pubblicitarie vietate e forme pubblicitarie consentite

Proposte risolutive


Il “contesto costituzionale” della pubblicità e della tutela dell’ambiente

La mia generazione e quella che l’ha preceduta — ma credo, quella che seguirà alla mia — ha coniato un detto molto significativo sul fenomeno pubblicitario: “la pubblicità è l’anima del commercio!”

Senza la pubblicità, dunque, non c’è commercio.

Tramite la pubblicità, si conoscono i beni ed i servizi di consumo e tramite la pubblicità stradale, in particolare, è possibile conoscere taluni generi di commercio o taluni luoghi ove si commerciano e dove si commercia.

Ora, l’art. 41 della Carta, afferma con forza, ancorché in modo assai sintetico che «l’iniziativa economica privata è libera», tanto che, in analogia a tale principio economico è possibile affermare che le stesse forme pubblicitarie sono libere, dal momento che sono necessarie ad iniziare l’attività economica privata.

Ma certamente, così come l’iniziativa economica «non può svolgersi in contrasto con l'utilità sociale o in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana», anche la pubblicità — e quella stradale, in particolare — non può arrecare danno alla sicurezza della circolazione stradale, o limitare quest’ultima, in quanto espressione di libertà individuale.

Certamente, l’iniziativa economica e le forme sociali mediante le quali è possibile salvaguardare tale diritto costituzionale, non possono andare a penalizzare i beni sociali, primo fra tutti, quello dell’ambiente; bene, quest’ultimo, che assurge a valore primario ed assoluto, riconosciuto come tale, dall’art. 9 della stessa Costituzione.

Solo recentemente, il c.d. Codice Urbani n. 42 del corrente anno, ha definito — a mio modo di vedere, limitandone grandemente la portata concettuale, ancorché da ricondurre alle disposizioni contenute in questo codice — il paesaggio (art. 131), quale parte omogenea di territorio i cui caratteri derivano dalla natura, dalla storia umana o dalle reciproche interrelazioni, i cui valori, sono individuati e tutelati nelle manifestazioni identitarie percepibili.

Certamente, il fenomeno pubblicitario è un fenomeno percettivo, che passa attraverso il mezzo della visione, ma va ben oltre, coinvolgendo il mondo interiore dell’osservatore: le sue emozioni, i suoi ricordi, la sua attenzione, ecc.

Certamente, quando questo avviene nell’ambito di un tratto stradale, il maggiore o minore fattore percettivo/attrattivo del messaggio pubblicitario, può determinare fenomeni tali da minacciare, da un lato, la stessa sicurezza della circolazione stradale; dall’altro, annullare la percezione dell’ambiente o, per meglio dire, di quel paesaggio che talvolta è stravolto dalle strade pubbliche e relative pertinenze e servizi.


Il nuovo codice della strada del ‘92

Con il nuovo codice della strada (n. 285 del 1992), entrato in vigore nel lontano 1° gennaio 2003, il legislatore dell’epoca, in un impeto di coraggio “Don Chisciottiano”, colpì duramente (si fa per dire) un fenomeno così deleterio, quale quello dell’abusivismo pubblicitario stradale, con misure così drastiche (se mai fossero state poste in essere), che segnarono il passo a nuove e diverse sanzioni, mai, sostanzialmente applicate.

In quello stesso codice, quello stesso legislatore, decise di inserire una norma a tutela dell’ambiente (art. 23, comma 3, c.d.s.), anzi, della cultura — per restare il linea con il codice ante(o anti, è un fenomeno di vocali)-Urbani n. 490 del 1999 — che di lì a poco, venne ritenuta non più “intrusa”, come alcuni — come chi oggi vi parla — solevano definire.

Ma certamente, una norma che determinava non poco imbarazzo a chi avesse voluto applicarla: nessuna forma pubblicitaria era consentita nelle c.d. zone vincolate dalle leggi a tutela dell’ambiente e della storia del 1939 e dalle successive leggi Galasso e c.d. decreti Galassini, della metà degli anni ottanta; forse, la sola esposizione delle insegne di esercizio.

Beh, come si sa, in Italia, ci si abitua presto al senso dell’imbarazzo.

Il divieto c’era, ma forse, la voglia di farlo rispettare era molto meno rilevante di quello che si poteva pensare; forse, se non altro, perché quello stesso divieto, così come formulato, così troppo drastico ed inderogabile, mancava di un vero e proprio principio di effettività che lo rendesse idoneo ad essere rispettato, dunque, fatto rispettare.


Il codice dei beni culturali e del paesaggio

Finalmente, dopo un amletico penar: tra l’essere ed il non essere, tra il fare ed il non fare, tra l’applicare la sanzione e l’attendere a farlo; qualcuno ha pensato bene di cassare il tutto.

Un colpo di spugna ed ecco, che con una legge dello Stato, anzi, con il ridondante Codice Urbani, l’art. 23 del nuovo codice della strada ha subito un restailing ed il problema delle zone a vincolo è sparito.

Ne ho avuto una prima consapevolezza, al Convegno de La Spezia, tra lo stupore dei Convegnisti e dei Relatori. Eppure è così: e allora.

Questa dovrebbe essere la motivazione di fondo, che mi trova qui.

Certamente, la pubblicità come “inquinamento visivo” è una realtà: basta metter fuori il naso da questo luogo di convegno, per ammirare, prima ancora che le bellezze — statiche, come quelle “dinamiche” — di Riccione, i numerosi e variegati messaggi pubblicitari.

Ma certamente, l’inquinamento visivo, se non quello luminoso — ancora scarsamente affrontato da un legislatore che probabilmente conta pochi astrofili, tra le sue fila o, ciò che più conta, tra i suoi elettori — è una forma “minore” di inquinamento, al quale noi, riserviamo nuovamente la nostra attenzione, per provare a fornire delle chiavi di lettura diverse, o magari, perché no, scontate.

Chiavi di lettura che ci permettono, non tanto di vietare la pubblicità — giacché in Italia, tutto quello che è vietato, spesso vien fatto, in ragione dell’etico divieto di vietar qualsiasi cosa, persino vietare — quanto piuttosto di disciplinarla, nell’ambito di quelle che sono le scelte d’indirizzo politico (se ve ne fossero!) dell’amministrazione locale.


Forme pubblicitarie vietate e forme pubblicitarie consentite

Per quanto abbiamo affermato il contrario, non noi, ma la legge, vieta talune forme di pubblicità, ma ne consente altre.

In altre parole, sono vietate tutte quelle forme pubblicitarie, il cui esercizio può determinare danno alla sicurezza e alla libertà delle persone, in linea con la norma di tutela prevista dall’art. 41 della Costituzione.

Le forme di pubblicità vietata sono quelle indicate all’art. 23, comma 1, del nuovo codice della strada (anzi, dopo gli innumerevoli interventi di modificazione, il nuovissimo codice della strada!), ovvero, quelle:

- che per dimensioni, forma, colori, disegno e ubicazione possono ingenerare confusione con la segnaletica stradale, ovvero possono renderne difficile la comprensione o ridurne la visibilità o l'efficacia, ovvero arrecare disturbo visivo agli utenti della strada o distrarne l'attenzione con conseguente pericolo per la sicurezza della circolazione; in ogni caso, detti impianti non devono costituire ostacolo o, comunque, impedimento alla circolazione delle persone invalide.

- che sono costituite da cartelli e altri mezzi pubblicitari rifrangenti, nonché le sorgenti e le pubblicità luminose che possono produrre abbagliamento.

- che sono posizionate sulle isole di traffico delle intersezioni canalizzate.

- che sono collocate lungo e in vista degli itinerari internazionali, delle autostrade e delle strade extraurbane principali e relativi accessi.

Tutte queste forme di pubblicità sono vietate, quindi, neppure autorizzabili: ma!

Poi ci sono le forme di pubblicità consentite, giacché concepibili quali espressioni di libera iniziativa economica, purché dotate di autorizzazione amministrativa (art. 23, comma 4, c.d.s.). Queste forme pubblicitarie sono (o, per meglio dire, dovrebbero essere) autorizzate, se realizzate in conformità a quanto stabilito dalla legge (art. 23 d. Lgs. 285 del 1992 e succ. modif.) e dal suo regolamento (artt. 47 ss. d.P.R. 495 del 1992): ma!

Beh, ho qualche dubbio a riguardo.

Certamente, le forme vietate, come quelle consentite, sono — in un pessimo, ma calzante, italianismo — “vietatissime” (è quindi ovvio, che siano particolarmente presenti sulle strade!), se danneggiano il paesaggio, siccome in evidente contrasto con l’art. 9 della Costituzione: già, ma il Codice Urbani ha abrogato il comma 3 dell’art. 23 e quanto altro resta dell’art. 23, a tutela dell’ambiente.

Ebbene, io non sono dello stesso avviso, così come non ritengo che non ci sia niente da fare contro l’abusivismo pubblicitario: si tratta di capire, piuttosto, se si vuole fare qualcosa, o restare ad osservare perplessi, il teschio dello struzzo, estratto dalla terra, per essere trattenuto nella nostra… amletica e tremante mano.


Proposte risolutive

Eccoci giunti — finalmente, direte Voi! — alla chiusura della storia: se vogliamo alla sua apertura, giacché il mio intervento voleva essere di natura esclusivamente pratica.

Tentiamo adesso di fornire delle risposte operative ovvero: come affrontare la questione dell’applicazione delle sanzioni e delle misure ripristinatorie, in materia di abusivismo pubblicitario.

Sanzioni amministrative

La prima questione, attiene all’applicazione delle sanzioni amministrative pecuniarie, giacché quelle accessorie — vivaddio! — sono state definitivamente eliminate, poiché inapplicabili (o non applicate) in concreto.

Si tratta di quelle indicate ai commi 11 e 12 dell’art. 23 del nuovo codice della strada e riguardano:

1) il comma 11, la violazione delle singole disposizioni previste dal nuovo codice della strada e dal relativo regolamento di esecuzione, nella misura minima di euro 343,35 e massima di euro 1.376,55;

2) il comma 12, la violazione delle singole prescrizioni indicate nelle autorizzazioni, nella misura minima di euro 137,55 e massima di euro 550,20.

Giusto il disposto di cui all’art. 202, comma 1 dello stesso codice, per le singole violazioni accertate, il trasgressore è ammesso a pagare, entro sessanta giorni dalla contestazione o dalla notificazione, una somma pari al minimo fissato dalle singole norme; in scelta, a presentare ricorso al prefetto (ex art. 203 c.d.s.) della commessa violazione, da presentarsi all’ufficio o comando cui appartiene l’organo accertatore ovvero, da inviarsi agli stessi, con raccomandata con ricevuta di ritorno: con il ricorso possono essere presentati i documenti ritenuti idonei e può essere richiesta l’audizione personale.

Si continua a condividere l’opinione espressa dall’Ufficio Studi del Ministero dell’ Interno (parere n. M/2413-11 del 14.12.2000), in ordine al fatto che «l’organo di polizia stradale deve contestare le singole violazioni commesse al trasgressore, indicando per ciascuna infrazione la facoltà di effettuare il pagamento in misura ridotta» e, più precisamente, «l’applicazione dell’aumento della sanzione pecuniaria (ex art. 198 c.d.s., n.d.a.), infatti, è obbligatorio soltanto per l’ufficio competente a comminare la sanzione», quindi, «il riconoscimento del concorso non è rimesso dalla legge né alla discrezione, né all’apprezzamento dell’organo accertatore, analogamente a quanto avviene in ambito penale».

Com’è comprensibile, la misura della sanzione amministrativa pecuniaria è inidonea a scoraggiare il trasgressore: non solo per l’entità della sanzione prevista — che spesso, in ragione dei facili guadagni che derivano dall’attività pubblicitaria, funge da mera “spesa di gestione” — ma anche per la possibilità di determinare un contenzioso con l’ente accertatore, tale da determinare “ritardi” nell’applicazione in concreto della sanzione stessa. Del resto, al primo atto d’accertamento, cui consegue la pretesa punitiva dell’amministrazione procedente, non può conseguire una successione di ulteriori atti di accertamento, con medesimi risultati, visto il regime della continuazione che contraddistingue la tipologia dell’illecito di cui si discute e che può essere interrotta esclusivamente dall’ufficio che commina, in concreto, la sanzione amministrativa ovvero, quando l’atto stesso, diviene titolo esecutivo.

Né del resto — come già abbiamo detto — risultava efficace il previgente sistema accessorio della applicazione del ripristino dello stato dei luoghi, se e quando applicato.

Certamente, l’efficacia della sanzione accessoria da ultimo citata e normata dall’art. 212, del nuovo codice della strada, può trovare favorevole riscontro, allorquando l’impianto è in corso d’opera. Infatti, in tale circostanza, chiunque provvede a collocare l’impianto pubblicitario — o per meglio dire, la relativa struttura di sostegno — è tenuto a dimostrare (ex art. 27, comma 10 c.d.s.) il possesso del prescritto titolo autorizzatorio; ragione per cui, la mancata presentazione dello stesso, importa la sospensione dei lavori (ex art. 27, comma 12 c.d.s.), nei termini previsti dal richiamato art. 212, cui si abbina la denuncia dell’inadempiente (ex art. 650 c.p.) con immediato esecuzione coattiva da parte dello stesso organo accertatore.

Ma certamente, l’ipotesi più generale e conosciuta dagli addetti ai lavori è quella dell’impianto pubblicitario che, in men che non si dica, appare, come la Madonna al pellegrino che percorre il deserto, sotto l’arsura del sole…

Miracolo italiano?

Certamente, la scelta del legislatore è stata quella di dare a Cesare, quello che è di Cesare e a Dio, quello che è di Dio.

Da qui il passaggio di competenze — in termini ripristinatori e di tutela del demanio stradale — dallo Stato agli enti locali o, per meglio dire, agli enti proprietari delle strade (di fatto, sempre più spesso sono proprio gli enti locali).

Le misure ripristinatorie

Non a caso, il comma 13 dell’art. 23 del nuovo codice della strada (nel testo sostituito dall’art. 30 della legge n. 472 del 1999), prevede che siano proprio gli enti proprietari delle strade ad assicurare il rispetto delle disposizioni del presente articolo e che, per il raggiungimento di tale finalità, l’ufficio o comando da cui dipende l’organo accertatore (dunque, uno dei servizi individuati all’art. 11 dello stesso codice), trasmette copia del verbale di contestazione delle violazioni di cui ai commi 11 e 12 più sopra richiamati, al competente ente proprietario.

L’ente proprietario, una volta ricevuto il suddetto verbale di contestazione:

1. se l’impianto abusivo è collocato in area privata, diffida l’autore della violazione (se non identificato, l’utilizzatore dello spazio pubblicitario privo di autorizzazione) o il possessore del suolo privato, nei modi di legge, a rimuovere il mezzo pubblicitario a loro spese, entro e non oltre dieci giorni dalla data di comunicazione dell’atto (ex art. 23, comma 13-bis, c.d.s.);

2. se l’impianto abusivo è collocato su suolo demaniale ovvero rientra nel patrimonio dell’ente proprietario, ovvero nel caso in cui costituisca pericolo per la sicurezza della circolazione, l’ente proprietario esegue senza indugio la rimozione del mezzo pubblicitario. Successivamente alla stessa, l’ente proprietario trasmette la nota delle spese sostenute al prefetto, che emette ordinanza-ingiunzione di pagamento e tale ordinanza costituisce titolo esecutivo ai sensi di legge (art. 23, comma 13-quater, c.d.s.).

La diffida prevista per la realizzazione di impianti pubblicitari in carenza di autorizzazione, installati su suolo privato, comporta, in caso di inottemperanza dei termini previsti dalla diffida stessa, l’azione diretta dell’ente proprietario della strada in vista del quale l’impianto è stato collocato. A parere di chi scrive, l’eventuale introduzione nel fondo altrui, per l’esecuzione della rimozione dell’opera abusiva, comporta in ogni caso, il previo rilascio dell’autorizzazione della competente Autorità Giudiziaria, trattandosi di una limitazione dell’uso della proprietà privata. Resta fermo il fatto, che in caso di inottemperanza alla diffida alla rimozione, i soggetti indicati al precedente punto 1, sono assoggettati all’applicazione della sanzione amministrativa pecuniaria da euro 4.000,00 ad euro 16.000,00.

La diffida, almeno per chi scrive, appare quale misura definitiva dell’ente proprietario della strada, impugnabile dinanzi al T.a.r. ovvero, dinanzi al Presidente della Repubblica, con lo strumento del ricorso straordinario al Capo dello Stato. Diversamente dall’applicazione della sanzione amministrativa pecuniaria indicata al comma 13-bis dell’art. 23 precedentemente citato, che resta vincolata al sistema di tutele previste nel Tit. VI, Capo I, Sez. I del nuovo codice della strada.

Prima di procedere oltre, è opportuno precisare che cosa si deve intendere per suolo demaniale e per patrimonio degli enti proprietari delle strade.

Una delle caratteristiche essenziale dei c.d. beni demaniali è la loro appartenenza agli enti pubblici territoriali; tra questi beni, quelli che costituiscono il c.d. demanio stradale, sono le strade e le autostrade appartenenti allo Stato, la cui demanialità non riguarda il suolo stradale, propriamente detto, ma si estende a tutte le pertinenze stradali. In via residuale, si individuano i beni patrimoniali (complessi di beni mediante i quali l’ente attua i propri scopi), in quanto non inquadrati come beni demaniali.

I beni demaniali precedentemente detti, sono considerati beni appartenenti al c.d. demanio necessario, distinti dal c.d. demanio accidentale, ovvero dal complesso dei beni non appartenenti allo Stato: in ogni caso, il carattere di demanialità, deriva dall’appartenenza del demanio accidentale a un ente pubblico territoriale ed alla sua destinazione all’uso di pubblica utilità: così come appunto avviene per le strade.

Ciò che più conta, i beni demaniali hanno la caratteristica dell’assoluta inalienabilità e imprescrittibilità.

Questa lunga digressione, per giungere alla conclusione che tutte le strade pubbliche appartengono alla categoria dei c.d. beni demaniali (artt. 822 ss. c.c.).

Ma come altri affermano, ciò che caratterizza il bene non è tanto la sua appartenenza all’ente pubblico territoriale quanto la sua specifica destinazione.

Infatti, il primo requisito — la proprietà del suolo — non è un requisito necessario della strada pubblica, essendo tale qualifica attribuita anche alla strada che, pur essendo costituita da suolo di proprietà privata, sia aperta al pubblico transito (P. La Rocca).

Certamente, la definizione che il d. Lgs. 285 del 1992 dà della strada (…area di uso pubblico, destinata alla circolazione…), è sufficiente a farci ritenere che le sue norme — ivi comprese quelle di cui all’art. 23 — siano applicabili a tutte quelle aree (indipendentemente dal titolo di proprietà che vi grava) aperte all’uso pubblico.

Ma è altresì evidente, che è l’ente proprietario della strada che è tenuto ad intervenire — per l’appunto, “senza indugio”, così come si enuncia al comma 13-quater dell’art. 23 c.d.s. — e, relativamente alla strada privata di uso pubblico, pare che tale potere venga meno, se non ricorrendo ad altri strumenti di tutela previsti da altri settori dell’ordinamento.

Restando quindi nell’ambito dei c.d. beni demaniali, l’ente proprietario della strada può agire direttamente — anzi, lo deve fare — con una misura ripristinatoria tendente a rimuovere materialmente l’impianto abusivo, rimettendo le spese sostenute al trasgressore, con lo strumento del titolo esecutivo emesso dall’autorità dell’Ufficio Territoriale del Governo.

Soggetti solidalmente obbliagati nella violazione

Peraltro, la mancata individuazione del trasgressore, pone l’organo accertatore nella condizione di dover individuare almeno uno dei soggetti obbligati in solido nella violazione che già l’Ente Strade (Circ. 10 marzo 2000, n. 14) individua nel:

- proprietario dell’impianto;

- soggetto reclamizzato (passivo, nel d. Lgs. 507/93, tenuto al pagamento della imposta);

- proprietario del suolo;

- usufruttuario del suolo.

Pur ribadendo che sono gli enti più prossimi alla comunità amministrata — dunque, gli enti proprietari delle strade — a dover assicurare il rispetto delle norme emanate a tutela delle strade, resta comunque evidente ed immutato il potere sostitutivo di garanzia (ora) del Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti, in caso di inadempimento nella vigilanza da parte dell’ente proprietario della strada, così come previsto dal comma 2 dell’art. 5 del codice e dal comma 1, dell’art. 6 del relativo regolamento.

Qualora l’ente proprietario della strada non abbia nella sua struttura amministrativa uffici preposti specificamente a tali servizi, esso provvede ad inviare, entro cinque giorni dall'accertamento, la segnalazione della violazione agli organi esercenti servizi di polizia stradale, che provvedono a svolgere le ulteriori fasi del procedimento. Qualora poi la violazione non sia stata contestata all'atto dell'accertamento, l'organo di polizia stradale destinatario della precedente segnalazione, provvede alla verbalizzazione ed alla notifica, con indicazione dell'agente che ha effettuato l'accertamento: il tutto, in conformità con quanto previsto dall’art. 25 del regolamento di esecuzione e di attuazione del nuovo codice della strada.

Ma certamente, una delle novità più rilevanti e dotate di effettività reale — unitamente all’entità della sanzione amministrativa pecuniaria precedentemente indicata — sta proprio nell’avere previsto che nel caso in cui non sia possibile individuare l'autore della violazione, alla stessa sanzione amministrativa è soggetto chi utilizza gli spazi pubblicitari privi di autorizzazione.

C’è da dire, che la violazione all’art. 23 del nuovo codice della strada può ben concorrere con la violazione all’art. 20 dello stesso codice laddove per l’impianto di sostegno del mezzo pubblicitario, non sia stata rilasciata la preventiva concessione per l’occupazione del suolo pubblico, applicandosi, in tal caso, anche la procedura prevista dal Capo I, Sez. II, del Titolo VI del Codice, quale sanzione amministrativa accessoria della rimozione dell’opera abusiva.

L’accertamento delle violazioni in materia di pubblicità stradale, può altresì comportare la necessità di contestare illeciti ben diversi da quelli originariamente previsti, a tutela di ben altri oggetti giuridici. Anche il tal caso, l’organo accertatore curerà di trasmettere i relativi atti di accertamento all’organo previsto all’applicazione di sanzioni e/o misure specificatamente previste. Tra queste, l’art. 6 della legge n. 77 del 1997, prevede che in caso di recidiva nella utilizzazione di mezzi pubblicitari e nella occupazione di suolo pubblico in violazione delle norme di legge e del regolamento comunale, l'autorità che ha rilasciato l'autorizzazione per l'esercizio dell'attività di vendita in sede fissa e su area pubblica di cui alla legge n. 426 del 1971, e alla legge n. 112 del 1991 (ora disciplinate dal c.d. decreto Bersani, inerente la disciplina del commercio su area pubblica e privata ed attuate dalle previste leggi regionali di dettaglio), nonché per l'esercizio dell'attività di somministrazione al pubblico di alimenti e bevande di cui alla legge n. 287 del 1991, dispone, previa diffida, la sospensione dell'attività per un periodo non superiore a tre giorni.

Per quanto si possa ancora affermare di avere ben poche armi per combattere l’abusivismo pubblicitario, a quelle ordinarie, se ne possono aggiungere altre, ancorché finalizzate a tutelare oggetti giuridici diversi da quello della sicurezza della circolazione stradale.

Decretazione fiscale

Si citano, ad esempio, i decreti inerenti la “fiscalità locale” n. 507 del 1993 e n. 446 del 1997, nel relativi testi più volte modificati.

Il decreto n. 507 (che istituisce la nuova imposta sulla pubblicità), all’art. 24, affianca alla sanzione amministrativa pecuniaria (da euro 206,00 ad Euro 1.549,00), altre misure di natura accessoria (rimozione dell’impianto), preventiva (copertura dell’impianto) e cautelare (sequestro dell’impianto), oltre che, all’art. 23, le ben note sanzioni tributarie pecuniarie. Peraltro, solo con lo strumento della rimozione, la distrazione (e la bruttura) che può derivare dalla presenza dell’impianto, può essere definitivamente risolta.

Ma non si deve dimenticare che un vero e proprio programma di prevenzione del fenomeno dell’abusivismo pubblicitario stradale, è previsto dal comma 5-bis, dell’art. 24 sopra richiamato, come aggiunto dall’art. 10 della legge n. 448 del 2001. Qui viene previsto che i comuni, ai fini dell'azione di contrasto del fenomeno dell'installazione di impianti pubblicitari e dell'esposizione di mezzi pubblicitari abusivi, adottano un piano specifico di repressione dell'abusivismo, di recupero e riqualificazione con interventi di arredo urbano, e disciplinano nel proprio regolamento misure di definizione bonaria di accertamenti e contenziosi in materia di imposta di pubblicità, che tendano a favorire l'emersione volontaria dell'abusivismo anche attraverso l'applicazione di sanzioni ridotte o sostituite da prescrizioni di recupero e riqualificazione a carico dei responsabili.

Allo stesso modo, l’art. 52 del d. Lgs. 446 del 1997, introduce un nuovo criterio di disciplina della pubblicità stradale locale: infatti, secondo questa nuova previsione normativa, le province ed i comuni possono disciplinare con regolamento le proprie entrate, anche tributarie, salvo per quanto attiene alla individuazione e definizione delle fattispecie imponibili, dei soggetti passivi e della aliquota massima dei singoli tributi, nel rispetto delle esigenze di semplificazione degli adempimenti dei contribuenti.

Ciò che più conta, secondo quanto previsto dall’art. 62 del richiamato decreto n. 446, proprio con lo strumento del regolamento comunale o provinciale, gli enti locali interessati possono escludere l'applicazione, nel proprio territorio, dell'imposta comunale sulla pubblicità di cui al capo I del decreto legislativo 15 novembre 1993, n. 507, sottoponendo le iniziative pubblicitarie che incidono sull'arredo urbano o sull'ambiente ad un regime autorizzatorio e assoggettandole al pagamento di un canone in base a tariffa.

Sul piano squisitamente ripristinatorio, l’art. 62, comma 4 del decreto n. 446 prevede che il comune che abbia adottato il c.d. canone autorizzatorio, procede alla rimozione dei mezzi pubblicitari privi della prescritta autorizzazione, o installati in difformità della stessa, o per i quali non sia stato effettuato il pagamento del relativo canone, nonché alla immediata copertura della pubblicità con essi effettuata, mediante contestuale processo verbale di contestazione redatto da competente pubblico ufficiale. Il tenore letterale della norma ed il richiamo al generico pubblico ufficiale — piuttosto che all’organo di polizia stradale — riconosce in capo al comune un vero e proprio potere demaniale di vigilanza, che gli consente di individuare personale ad hoc, tra quello in servizio presso l’Ente, purché il medesimo personale svolga una pubblica funzione. La rimozione dell’impianto, consegue quindi ad una diffida formale, consequenziale all’accertamento dell’abuso e redatta dal predetto pubblico ufficiale — una sorta di “controllore della pubblicità”, che ben si concilia con la figura prevista dal primo comma, dell’art. 56 del d.P.R. n. 495 del 1992 — che, a parere di chi scrive, resta comunque soggetta alla successiva ratifica da parte dell’organo di vertice amministrativo e, quindi, alla notificazione del relativo provvedimento definitivo di rimozione dell’impianto.

L’accertamento dell’abusiva o difforme collocazione di impianti pubblicitari, resta comunque sanzionata dalle medesime sanzioni pecuniarie previste dall’art. 23 del nuovo codice della strada (quando riguarda mezzi pubblicitari posti lungo le strade o in vista di queste) ovvero, se al di fuori di tali ambiti e, quindi, non comminabili, con quelle stabilite dall'art. 24, comma 2, del decreto n. 507, più volte citato.

In generale, si continua a condividere l’ipotesi di chi ritiene che, posti i diversi oggetti giuridici tutelati dalle norme sin qui osservate, si applicano le sanzioni previste dalle singole disposizioni, solo allorquando siano da considerare quali violazioni autonome rispetto a quelle previste dal codice.

Le zone a vincolo ed il Codice Urbani

Resta adesso da valutare se, ed in che misura, l’abrogazione di una parte sostanziale dell’art. 23 del nuovo codice della strada, da parte del Codice Urbani, abbia realmente determinato l’impossibilità di sanzionare l’abusiva collocazione di impianti pubblicitari in zone vincolate. Certamente, nell’ambito di tali zone, si sono continuati ad installare impianti pubblicitari, senza che alcuna delle (molte) autorità preposte alla particolare tutela di quei luoghi (ente proprietario e organo di tutela, tramite i propri organismi periferici di vigilanza), si sia troppo preoccupata di tale circostanza.

Ad ogni buon conto, l’entrata in vigore del d. Lgs. n. 42 del 2004 (Codice dei beni culturali e del paesaggio, ancorché trattasi di un testo unico), sembra avere “calmierato” i diversi punti di vista, abrogando definitivamente quelle norme (intruse) che sembravano così estranee al testo compatto approvato con il decreto n. 285 del 1992 e le sue successive modificazioni.

Intanto, è opportuno premettere che gli artt. 10 e 134 del codice n. 42 del 2004, individuano, rispettivamente, i c.d. beni culturali e quello paesaggistici.

In questi luoghi e per questi beni mobili ed immobili, sono previste particolari tutele, che si esplicano nel preventivo rilascio di autorizzazioni per l’esercizio della pubblicità ovvero, particolari divieti o modalità di effettuazione della pubblicità.

Infatti, l’art. 49 del richiamato codice sul beni culturali, vieta proprio la collocazione e l’affissione di mezzi pubblicitari sugli edifici e nelle aree specificatamente tutelate, salvo preventivo rilascio di autorizzazione amministrativa, da parte del competente soprintendente che, come tale, va ratificata dal comune, mediante definitivo rilascio dell’autorizzazione amministrativa locale. In particolare, il comma 2 dell’art. 42 dappoco citato, fa salvo quanto già previsto dal nuovo codice della strada (e adesso abrogato), prevedendo che il rilascio dell’autorizzazione amministrativa per la collocazione di impianti pubblicitari lungo le strade site nell’ambito o in prossimità dei detti beni culturali, faccia sempre seguito al parere favorevole della soprintendenza, sulla compatibilità della collocazione o della tipologia del mezzo di pubblicità con l’aspetto, il decoro e la pubblica funzione dei mezzi tutelati. Trattandosi di parere, il comune può sempre derogarvi, con provvedimento motivato.

Paradigmaticamente, l’art. 153 del decreto n. 42, assoggetta la collocazione degli impianti pubblicitari nell’ambito e in prossimità dei beni paesaggistici, al previo rilascio dell’autorizzazione da parte dell’organo individuato dalla regione; ancora, il rilascio di un parere del medesimo organo, finalizzato al rilascio dell’autorizzazione prevista dal comma 4, dell’art. 23 del nuovo codice della strada.

Se ciò non bastasse, gli artt. 162 e 168 del codice n. 42 del 2004, richiamano quod poenam, le sanzioni previste dall’art. 23 del nuovo codice della strada, per la collocazione degli impianti pubblicitari in violazione degli artt. 49 e 152 dappoco citati.

Insomma, ci pare che l’azione del legislatore abbia il solo pregio di avere messo ordine (meramente formale) in una materia assai complessa e confusa, per quanto, il testo attuale — tal quale — continua ad evidenziare lati oscuri di non facile lettura.

Ad esempio, la rubrica delle disposizioni sanzionatici, riguarda le violazioni in materia di affissioni, per quanto il contenuto delle stesse attenga, invece, alla collocazione degli impianti pubblicitari: dunque, ancorché sul piano meramente formale, l’una sembra disapplicare l’altra.

Ciò che più conta, il richiamo alle sanzioni previste dall’art. 23 del nuovo codice della strada e non anche alle sue norme (così come, del resto, testualmente accade per il richiamo alle sanzioni previste dai decreti n. 285 e 507, nell’ambito del decreto n. 446 del 1997 più addietro citato), solleva qualche dubbio in ordine alle modalità di applicazione in concreto, della sanzione medesima.

Insomma, ci dobbiamo domandare se nell’applicare la sanzione amministrativa pecuniaria prevista dal comma 11 (mancanza dell’autorizzazione) o dal comma 12 (inosservanza di prescrizioni indicate nell’autorizzazione) dell’art. 23 del codice stradale, si debbano anche qui seguire le procedure previste dal Titolo VI del medesimo codice, oppure quelle previste dal Capo I della legge n. 689 del 1981. Questa non è certamente cosa di poco conto, sol se si pensa, ad esempio, a quale autorità amministrativa (sindaco, soprintendente, organo regionale) si debba fare riferimento per la trasmissione del rapporto o degli scritti difensivi (applicando la legge n. 689 del 1981) o per la presentazione del ricorso (applicando il nuovo codice della strada).

Ragioni di sistema (ma, certamente, non vorremmo dire di stretto diritto), ci portano a concludere che l’eventuale applicazione delle sanzioni previste dall’art. 23, comunque richiamate, sono da applicare con i medesimi strumenti ermeneutici che si ricavano dalla lettura delle disposizioni speciali previste dal nuovo codice della strada, restando immutati i principi che si ricavano dalla lettura della legge n. 689 del 1981, quali disposizioni di carattere generale sulle sanzioni amministrative.

Insomma, sul piano sanzionatorio, restano salvi i principi previsti dal Tit. VI del nuovo codice della strada, individuando nel prefetto il vertice amministrativo preposto alla garanzia della giustezza del procedimento amministrativo connesso all’accertamento delle violazioni: anche quando queste riguardano oggetti di tutela giuridica, demandati, in astratto, ad altra autorità governativa.