Consiglio di Stato Sez. IV n. 6272 del 12 luglio 2024
Ambiente in genere.Obblighi dell'amministrazione comunale sull’istanza di repressione di abusi ambientali realizzati su area confinante, formulata dal relativo proprietario
Sussiste l’obbligo dell’Amministrazione comunale di provvedere sull’istanza di repressione di abusi ambientali realizzati su area confinante, formulata dal relativo proprietario, in quanto quest’ultimo gode di una legittimazione differenziata rispetto alla collettività potendo subire gli effetti nocivi immediati e diretti della commissione dell’eventuale illecito non represso, onde egli è titolare di una posizione di interesse legittimo all’esercizio di tali poteri di vigilanza e, quindi, può proporre l’azione a seguito del silenzio ai sensi dell’art. 31 cod.proc.amm. Ne discende che il proprietario di un’area o di un fabbricato, nella cui sfera giuridica incide dannosamente il mancato esercizio dei poteri di controllo, ripristinatori e repressivi relativi ad abusi ambientali da parte dell’organo preposto, può pretendere, se non vengono adottate le misure richieste, un provvedimento che ne spieghi esplicitamente le ragioni, con il risultato che il silenzio serbato sull’istanza integra gli estremi del silenzio-rifiuto, sindacabile in sede giurisdizionale quanto al mancato adempimento dell’obbligo di provvedere in modo espresso
Pubblicato il 12/07/2024
N. 06272/2024REG.PROV.COLL.
N. 01553/2024 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 1553 del 2024, proposto da Francesco De Simone, rappresentato e difeso dall'avvocato Cinzia Baroni, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
contro
Comune di Pozzolengo, in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati Gianpaolo Sina, Paola Ramadori, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
nei confronti
Ireneo Romano Gaio, Maria Righetti, non costituiti in giudizio;
per la riforma della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia sezione staccata di Brescia (Sezione Seconda) n. 00848/2023.
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio del Comune di Pozzolengo;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nella camera di consiglio del giorno 23 maggio 2024 il Cons. Luigi Furno e uditi per le parti gli avvocati come da verbale.
FATTO
1. Il signor De Simone è comproprietario di alcuni immobili situati nel Comune di Pozzolengo, in località Rovere.
L’accesso ai predetti immobili avviene attraverso la strada vicinale Cascina Rovere.
Da alcun anni il signor De Simone rappresenta al Comune le precarie condizioni della strada vicinale, lamentando il degrado ivi causato dalle precipitazioni atmosferiche, dai lavori eseguiti dagli altri frontisti in prossimità dei fossi, e dal passaggio di mezzi pesanti. 2. Nell’anno 2020 il signor De Simone ha radicato davanti al Tribunale di Brescia un giudizio diretto a far accertare nei confronti del Comune Pozzolengo e degli altri frontisti la natura pubblica della strada vicinale, e a ottenere la costituzione di un consorzio obbligatorio per la manutenzione e la ricostruzione della strada stessa.
3. Il Tribunale di Brescia, con sentenza 20 febbraio 2023, n. 397 (passata in giudicato), ha accertato l’esistenza dell’uso pubblico sulla strada vicinale, ma ha respinto la domanda relativa alla costituzione del consorzio obbligatorio, rimettendo la valutazione della relativa questione al Comune, e, nell’ipotesi di inerzia di quest’ultimo, al Prefetto, ovvero, in ultima analisi, al giudice amministrativo.
Le domande di condanna proposte nei confronti degli altri frontisti sono state in parte accolte (in relazione alla pulizia del fosso invaso dalla vegetazione, alla sistemazione del fosso da cui ha avuto origine il cedimento della banchina), e in parte respinte (quelle relative alla rimozione dei massi collocati in prossimità del confine).
4. Con PEC 19 aprile 2023 il ricorrente ha segnalato al Comune la presenza di un deposito incontrollato di rifiuti, verosimilmente proveniente da demolizioni edilizie, in corrispondenza dei due accessi al fondo confinante di proprietà dei signori Romano e Righetti.
Per tale ragione, il ricorrente ha, conseguentemente, invitato il Comune a intervenire, sia per reprimere l’abbandono di rifiuti, sia per tutelare la fascia di rispetto stradale.
5. Lamentando l’inerzia del Comune, il ricorrente ha radicato, ai sensi dell’art. 117, c.p.a, un giudizio dinanzi al T.a.r per far accertare l’obbligo di concludere il procedimento avviato in seguito alla predetta segnalazione effettuata in data 19 aprile 2023.
6. In data 12 luglio 2023, i funzionari del Comune hanno effettuato un sopralluogo sul terreno dei predetti controinteressati, rilevando la presenza “di alcune pietre di grandi dimensioni di probabile origine locale (le colline moreniche del Garda sono ricche di massi erratici anche di grandi dimensioni) e di alcuni pezzi in cemento di sostegno dei filari delle viti”.
I funzionari comunali hanno chiesto spiegazioni a uno dei controinteressati, il quale ha dichiarato che “le pietre sono state collocate per chiudere due accessi alla vicinale [mentre] i sostegni in cemento provengono da operazioni di manutenzione dei filari del vigneto. […] I sostegni usurati sono stati accatastati in prossimità della vicinale in attesa del loro conferimento in discarica appena le quantità siano tali da rendere economico il viaggio”.
7. Sulla base di quanto accertato sul posto, i funzionari comunali hanno concluso la relazione di sopralluogo ritenendo che “non si rileva l'abbandono di rifiuti […] ma solo la presenza di operazioni collegate alla normale conduzione di un fondo agricolo”.
Il responsabile del Settore Sviluppo Territoriale, con nota datata 1° settembre 2023, ha disposto l’archiviazione del procedimento avviato in seguito alla segnalazione del signor De Simone.
8. Con sentenza 20 novembre 2023, n. 848, il T.a.r ha dichiarato improcedibile il ricorso.
9. Il Signor De Simone ha proposto appello.
10. Nel giudizio di appello si è costituito il Comune di Pozzolengo, chiedendo di dichiarare l’appello infondato.
11. All’udienza camerale del 23 maggio 2024 la causa, all’esito della discussione delle parti, è stata trattenuta in decisione.
DIRITTO
1. L’appello non è fondato.
2. Con il primo mezzo di gravame (pagg. da 3 a 9 dell’appello) l’appellante si duole di taluni passaggi motivazionali della sentenza impugnata, che, a suo dire “appare particolarmente contraddittoria e lacunosa, non esaminando il singolo caso, le diverse fattispecie invocate e i presupposti del potere”.
La contraddittorietà della sentenza impugnata risiederebbe, nella prospettiva in esame, nel fatto che, per un verso, il T.a.r ha riconosciuto che sussiste l’obbligo del Comune di provvedere, sia sulla segnalazione relativa ai rifiuti, sia sulla segnalazione relativa alle innovazioni e ai depositi all’interno della fascia di rispetto stradale, in quanto essi costituirebbero ostacoli per la circolazione, e , per altro verso, ha, nondimeno, affermato che il segnalatore dell’abbandono di rifiuti e di manufatti in fascia di rispetto stradale non avrebbe un’aspettativa qualificata e non vanterebbe una posizione differenziata, non potendo dettare i tempi del provvedimento, ma potrebbe, al più, esercitare un accesso civico.
Tale contraddittoria conclusione, a giudizio dell’appellante, contrasterebbe con l’art.2, della legge n. 241/1990, il quale prevede l’obbligo di riscontrare anche le istanze non accoglibili o manifestamente infondate.
Peraltro, ad avviso della parte appellante, la statuizione con la quale la sentenza impugnata ha posto, in un giudizio sul silenzio, a suo carico il pagamento del contributo unificato sarebbe erronea in quanto formulata dopo aver riconosciuto che l’obbligo dell’amministrazione di provvedere era rimasto inevaso alla data di notifica del ricorso.
3. Con il secondo mezzo di gravame (pagg. da 9 a 14 dell’appello) l’appellante deduce l’erroneità della sentenza impugnata nella parte in cui, dopo aver ravvisato l’esistenza di un obbligo di provvedere in capo all’Amministrazione, ha poi concluso nel senso che non possa essere riconosciuta al privato segnalatore la facoltà di determinare i relativi tempi del procedimento.
Ad avviso dell’appellante, se esiste un dovere di procedere dell’Amministrazione, come ritenuto dal Giudice di primo grado, allora, ai sensi dell’art. 97 Cost. e degli artt. 1 e 2, della legge 241/1990, tale dovere deve essere esercitato entro un termine finale (ordinatorio o perentorio), decorso il quale sono esercitabili i rimedi previsti dall’ordinamento avverso l’inerzia dell’Amministrazione.
4. Con un ultimo mezzo di gravame la parte appellante deduce l’erroneità della sentenza impugnata nella parte in cui, in asserita violazione dell’art. 73, comma 3, c.p.a., ha rilevato l’assenza delle condizioni dell’azione in capo all’odierno appellante, nonostante l’assenza di un’eccezione formulata sul punto dai controinteressati ovvero dal Comune.
5. I motivi appena descritti sono sostanzialmente connessi e possono quindi essere esaminati congiuntamente.
Sul piano generale, il Collegio certamente condivide alcune argomentazioni sviluppate dalla parte appellante.
Come, infatti, rilevato da un costante orientamento giurisprudenziale, “sussiste l’obbligo dell’Amministrazione comunale di provvedere sull’istanza di repressione di abusi ambientali realizzati su area confinante, formulata dal relativo proprietario, in quanto quest’ultimo gode di una legittimazione differenziata rispetto alla collettività potendo subire gli effetti nocivi immediati e diretti della commissione dell’eventuale illecito non represso, onde egli è titolare di una posizione di interesse legittimo all’esercizio di tali poteri di vigilanza e, quindi, può proporre l’azione a seguito del silenzio ai sensi dell’art. 31 cod.proc.amm.” (v. Cons. Stato, Sez. IV, 9 novembre 2015 n. 5087; e, da ultimo, Sez. VI, 7 giugno 2018 n. 3460);
Ne discende che il proprietario di un’area o di un fabbricato, nella cui sfera giuridica incide dannosamente il mancato esercizio dei poteri di controllo, ripristinatori e repressivi relativi ad abusi ambientali da parte dell’organo preposto, può pretendere, se non vengono adottate le misure richieste, un provvedimento che ne spieghi esplicitamente le ragioni, con il risultato che il silenzio serbato sull’istanza integra gli estremi del silenzio-rifiuto, sindacabile in sede giurisdizionale quanto al mancato adempimento dell’obbligo di provvedere in modo espresso (v., da ultimo, Cons. Stato, Sez. VI, 28 marzo 2019 n. 2063).
In tal senso, del resto, depone espressamente il disposto di cui all’art. 2 della legge n. 241 del 1990, secondo cui l’Amministrazione ha in generale il dovere di concludere il procedimento conseguente in modo obbligatorio ad un’istanza di parte mediante l’adozione di un provvedimento espresso.
È, inoltre, affermazione largamente condivisa, sia in dottrina sia in giurisprudenza, quella secondo cui l’obbligo di provvedere può discendere non solo da puntuali previsioni legislative o regolamentari, ma anche dalla peculiarità della fattispecie, nella quale ragioni di giustizia o equità impongano l’adozione di provvedimenti espliciti, alla stregua del generale dovere di correttezza e di buona amministrazione della parte pubblica, ai sensi dell’art. 97 Cost., con conseguente sorgere in capo al privato di una legittima aspettativa a conoscere il contenuto e le ragioni delle determinazioni amministrative, quali che esse siano.
Ne deriva, pertanto, che in ipotesi di segnalazioni circostanziate e documentate, come quella indirizzata dall’odierno appellante al Comune di Pozzolengo, l’Amministrazione ha comunque “l’obbligo di attivare un procedimento di controllo e verifica dell’abuso della cui conclusione deve restare traccia, sia essa nel senso dell’esercizio dei poteri sanzionatori, che in quella della motivata archiviazione, dovendosi in particolare escludere che la ritenuta mancanza dei presupposti per l’esercizio dei poteri sanzionatori possa giustificare un comportamento meramente silente” (v. Cons. Stato, Sez. IV, 4 maggio 2012 n. 2592);
5.1. Tali consolidati principi, pur evidenziando alcuni disallineamenti nell’iter logico-argomentativo della sentenza impugnata, non appaiono tuttavia conducenti ai fini dell’accoglimento dell’appello in esame, non consentendo di superare la principale ragione posta a sostegno della pronuncia appellata, vale a dire la declaratoria di improcedibilità discendente dal fatto che, nelle more della definizione del giudizio di primo grado di giudizio, il Comune di Pozzolengo ha comunque adottato un provvedimento espresso (atto di archiviazione in data 1° settembre 2023), con cui ha formalmente archiviato l’esposto presentato dall’odierno appellante.
Deve, infatti, ritenersi che, conformemente a un tradizionale orientamento giurisprudenziale i cui assunti risultano, con l’entrata in vigore del codice del processo amministrativo, confermati dalla previsione di cui al comma 5 dell’articolo 117 del c.p.a., il ricorso per silenzio inadempimento proposto in primo grado diviene improcedibile per il sopraggiungere di un atto espresso di segno negativo, che la parte ricorrente può impugnare con motivi aggiunti, previa conversione del rito, oppure in modo autonomo (come avvenuto nella fattispecie, con ricorso al T.a.r. Brescia datato 24 ottobre 2023, n.r.g. 868/23).
5.2. Secondo un costante indirizzo interpretativo, infatti, la condanna dell’amministrazione a provvedere ai sensi dell’art. 117 c.p.a. presuppone che al momento della pronuncia del giudice perduri l’inerzia e che dunque non sia venuto meno l’interesse del privato istante a ottenere una pronuncia dichiarativa dell’illegittimità del silenzio-inadempimento.
Trattandosi di una condizione dell’azione, essa deve persistere fino al momento della decisione; pertanto, l’emanazione di un provvedimento (o l’adozione di un comportamento) esplicito in risposta all’istanza dell’interessato rende il ricorso inammissibile per carenza originaria dell’interesse ad agire o improcedibile per sopravvenuta carenza di interesse, a seconda se il provvedimento (o il comportamento conforme all'interesse del privato) intervenga prima della proposizione del ricorso o nelle more del giudizio conseguentemente instaurato (cfr. ex multis: Consiglio di Stato, III, 4 maggio 2018, n. 2660; id., V, 14 aprile 2016, n. 1502; id., V, 1 ottobre 2015, n. 4605).
Quanto sopra è sufficiente alla conferma della sentenza, non risultando superata l’autonoma ratio decidendi posta a fondamento della rilevata improcedibilità del ricorso di primo grado.
5.3. Quanto, infine, al sub-motivo con cui si censura la statuizione con la quale la sentenza impugnata ha posto a carico dell’odierno appellante il contributo unificato, il Collegio rileva che il pagamento del contributo unificato è dovuto in ogni caso dalla parte soccombente e rappresenta un'obbligazione ex lege espressamente prevista dall'art. 13, comma 6 bis, del d.P.R. n. 115 del 2002, per la cui ottemperanza non è neppure necessaria una esplicita pronuncia di condanna da parte dell'Autorità giurisdizionale (così, tra le altre, Cons. Stato, V, ord. 14 luglio 2016, n. 3146).
Secondo un costante orientamento giurisprudenziale, il Giudice ha ampi poteri discrezionali in ordine al riconoscimento, sul piano equitativo, dei giusti motivi per far luogo alla compensazione delle spese giudiziali e del contributo unificato, ovvero per escluderla (Cons. Stato, Ad. Plen., 24 maggio 2007, n. 8), con il solo limite, in pratica, di non poter condannare alle spese o al pagamento del contributo unificato la parte risultata vittoriosa in giudizio o disporre statuizioni abnormi (per tutte, Consiglio Stato, Sez. IV, 13 maggio 2019, n. 3092; Sez. IV, 22 marzo 2019, n. 1913; Sez. III, 9 novembre 2016, 4655; Sez. IV, 3 novembre 2015, n. 5012; Sez. VI, 9 febbraio 2011, n. 891; Sez. IV, 22 giugno 2004, n. 4471; Sez. IV, 27 settembre 1993, n. 798).
Nel caso in esame, la statuizione del T.a.r. non solo non risulta abnorme, ma non risulta di per sé incoerente con le statuizioni con cui il ricorso di primo grado è stato dichiarato improcedibile.
Quanto alla deduzione secondo cui il T.a.r avrebbe dovuto valutare la ‘soccombenza virtuale’ del Comune resistente, ritiene il Collegio che il giudice amministrativo – pur potendo valutare se il ricorrente vada ristorato delle spese del giudizio, se sopraggiungano ragioni ostative all’accoglimento di un ricorso di per sé fondato – è titolare al riguardo di un insindacabile potere discrezionale, che può esercitare tenendo conto di tutte le circostanze (cfr. Cons. Stato 14 giugno 2019, n. 4005; Cons. Stato, 22 settembre 2006, n. 5583).
6. Per le ragioni sin qui esposte, il ricorso in epigrafe non può trovare accoglimento.
7. Il Collegio ritiene che sussistano, nondimeno, giuste ragioni per disporre l’integrale compensazione delle spese di lite.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo rigetta nei sensi di cui in motivazione.
Compensa integralmente tra le parti costituite le spese del presente grado di giudizio.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 23 maggio 2024 con l'intervento dei magistrati:
Gerardo Mastrandrea, Presidente
Silvia Martino, Consigliere
Michele Conforti, Consigliere
Luca Monteferrante, Consigliere
Luigi Furno, Consigliere, Estensore