Gli scarichi contenenti determinate sostanze, particolarmente pericolose per l’ambiente e la salute umana, già in passato erano stati fatti oggetto di una normativa peculiare rispetto a tutti gli altri scarichi di acque reflue. In particolare, gli scarichi industriali contenenti le sostanze individuate dalle direttive comunitarie n. 76/464/CEE, n. 82/176/CEE, n. 83/513/CEE, n. 84/156/CEE, n. 84/491/CEE, n. 88/347/CEE e n. 90/415/ erano, prima del D. Lgs. 152/1999, sottoposte, oltre che alla legge Merli, alla normativa speciale prevista dal D. Lgs. 133/1992, abrogato dal D. Lgs. 152/1999. Quest’ultimo prevede ora, oltre a determinati divieti di derogare alla normativa legale, specifici poteri conformativi in capo all’amministrazione competente al rilascio dell’autorizzazione allo scarico, diretti a renderne più rigoroso il regime amministrativo. Detti poteri possono arrivare a comprimere in modo significativo le facoltà rimesse dalla legge al privato, ed incidere considerevolmente sull’esercizio dell’attività economica autorizzata.
Gli scarichi sottoposti a detto regime specifico sono
identificati essenzialmente dall’art. 34 del D. Lgs.152/1999, il quale, al
comma 1, definisce il campo di applicazione delle disposizioni relative agli
scarichi di sostanze pericolose prevedendo che le disposizioni di detto art.34
si applichino “agli stabilimenti nei
quali si svolgono attività che comportano la produzione, la trasformazione o
l'utilizzazione delle sostanze di cui alle tabelle 3/A e 5 dell'Allegato 5 e nei
cui scarichi sia accertata la presenza di tali sostanze in quantità o
concentrazioni superiori ai limiti di rilevabilità delle metodiche di
rilevamento in essere all'entrata in vigore del presente decreto o degli
aggiornamenti messi a punto ai sensi del punto 4 dell'Allegato 5”.
La norma citata chiarisce innanzitutto le condizioni che debbono ricorrere affinché possano trovare applicazione le speciali norme dettate per gli scarichi contenenti sostanze pericolose, e cioè: 1) che nello stabilimento[1] interessato vengano eseguite attività che comportano produzione, trasformazione o utilizzazione delle sostanze pericolose indicate nelle tabelle 3/A e 5 dell'Allegato 5; 2) che negli scarichi dello stabilimento stesso sia accertata la presenza di tali sostanze in quantità o concentrazioni superiori ai limiti di rilevabilità fissati dalle metodiche di rilevamento in essere all'entrata in vigore del D. Lgs. 152/1999, o degli aggiornamenti operati ai sensi del punto 4 dell'Allegato 5 del decreto stesso.
Le sostanze pericolose indicate nelle tabelle 3/A e 5 dell'Allegato 5 devono quindi appartenere in qualche modo al ciclo produttivo dello stabilimento da cui ha origine lo scarico, non essendo sufficiente (seppure sia necessaria) la presenza negli scarichi di dette sostanze, che potrebbero esservi in quanto le acque siano prelevate già inquinate dallo stabilimento industriale che le impiega.
Ciò è del resto del tutto coerente con il modo in cui i limiti di emissione per le sostanze pericolose sono stati fissati dal legislatore; in particolare, i limiti contenuti nella tabella 3/A, vengono individuati per unità di prodotto e sempre riferiti a specifici cicli produttivi, tramite una correlazione tra il settore produttivo, la quantità di sostanza scaricata per unità di prodotto (o capacità di produzione), la media mensile e la media giornaliera dei valori scaricati.
La deroga ai valori limite di emissione
La presenza di sostanze pericolose nello scarico comporta innanzitutto il potere per l’autorità competente di fissare valori limite di emissione diversi da quelli previsti normativamente.
L’art 34 comma 2 del D. Lgs. 152/1999 prevede infatti una possibilità di deroga ai valori limite fissati dalle tabelle 3/A e 5 dell'Allegato 5, disponendo che l'autorità competente in sede di rilascio dell'autorizzazione allo scarico possa fissare, tenendo conto della tossicità, della persistenza e della bioaccumulazione della sostanza considerata nell'ambiente in cui è effettuato lo scarico, in particolari situazioni di accertato pericolo per l'ambiente, anche per la contemporanea presenza di altri scarichi di sostanze pericolose, valori limite di emissione più restrittivi di quelli fissati ai sensi dell'articolo 28, commi 1 e 2.
Va ricordato che mentre è possibile per l'autorità di controllo prevedere per gli scarichi di sostanze pericolose valori limite di emissione più restrittivi, al contrario, ai sensi dell’art. 28, sono inderogabili in senso più permissivo da parte delle Regioni le 18 sostanze pericolose elencate alla tabella 5 dell'Allegato 5. Un analogo divieto di deroga è inoltre previsto per i limiti di emissione per unità di prodotto riferiti agli specifici cicli produttivi di cui alla tabella 3/A. Va però anche ricordato come detta inderogabilità non sia in realtà assoluta, poiché le note in calce alla tabella 5 dell'Allegato 5 prevedono una limitata possibilità di deroga, a determinate condizioni, anche per i parametri dichiarati "inderogabili".
In particolare, oltre al potere di deroga attribuito dall’art. 33 del D. Lgs. 152/1999 al gestore del servizio idrico integrato[2], viene previsto nell'Allegato 5, che, per i parametri della tabella 5, ad eccezione di quelli indicati sotto i numeri 2, 4, 5, 7, 15, 16, 17 e 18, le Regioni e le province autonome, nell'ambito dei piani di tutela, possono ammettere valori di concentrazione che superano di non oltre il 50% i valori indicati nella tabella 3, purché sia dimostrato che ciò non comporta un peggioramento della situazione ambientale e non pregiudica il raggiungimento gli obiettivi ambientali.
Il potere dell’amministrazione competente di fissare, all’atto del rilascio dell'autorizzazione, limiti più restrittivi di quelli legali è comunque vincolato al riscontro di “particolari situazioni di accertato pericolo per l'ambiente”. Non si tratta quindi di un potere discrezionale, ma, al contrario, strettamente ancorato all’esistenza di specifiche situazioni di pericolo ambientale, che devono perciò essere espressamente individuate dall’amministrazione nell’attività istruttoria funzionale al rilascio dell’autorizzazione.
La norma richiede infatti un pericolo concreto, che sia stato fatto oggetto di specifico accertamento (“accertato”), mentre la presenza contemporanea di altri scarichi di sostanze pericolose costituisce solo uno degli indici la cui sussistenza, seppure non necessaria per affermare la presenza di un pericolo concreto per l’ambiente, non è neppure da sola sufficiente a giustificare l’imposizione del limite più restrittivo.
Il comma 3 dell’art. 34 prescrive altresì che per le sostanze di cui alla tabella 3/A dell'Allegato 5, derivanti dai cicli produttivi indicati nella medesima tabella, le autorizzazioni debbano stabilire la quantità massima della sostanza espressa in unità di peso per unità di elemento caratteristico dell'attività inquinante, per materia prima o per unità di prodotto, in conformità con quanto indicato nella stessa tabella.
Si rammenta inoltre che l’art. 34 comma 4 fissa poi il punto di misurazione dello scarico per le acque reflue industriali contenenti le sostanze della tabella 5 dell’Allegato 5 “subito dopo l’uscita dallo stabilimento o dall’impianto di trattamento che serve lo stabilimento stesso", in deroga a quanto previsto dall’art. 28 comma 3, del D. Lgs. 152/1999, che dispone invece come regola generale, ed in modo identico a quanto già previsto dall’art. 9 della legge Merli, l’obbligo di misurazione dello scarico “subito a monte del punto di immissione” nel corpo ricettore.
L’eccezione non è nuova, in quanto per queste stesse sostanze, l’art. 11 del D.Lgs. n. 133/1992 già stabiliva che i valori limite di emissione si dovessero normalmente applicare “al punto in cui le acque di scarico [...] fuoriescono dal singolo impianto industriale”, ovvero, “se le acque di scarico contenenti tali sostanze sono canalizzate e trattate fuori dell’impianto industriale in un impianto di trattamento destinato alla depurazione delle stesse e/o di altre analoghe, i valori limite sono applicati al punto in cui le acque escono dall’impianto di trattamento”. Va poi ricordato che detto punto di misurazione è quello generalmente previsto dalla normativa comunitaria, che indica il punto di campionamento, indipendentemente dal punto di immissione, subito all’uscita dallo stabilimento industriale o dall’impianto di trattamento per tutti gli scarichi, e non solo per quelli contenenti sostanze pericolose.
La diluizione
degli scarichi contenenti sostanze pericolose
Come è noto l’art. 28 comma 5 del D. Lgs. 152/1999 prescrive in via generale, riprendendo il divieto già contenuto nella legge Merli all'art. 9, comma 4, che i valori limite di emissione non possono in alcun caso essere conseguiti mediante diluizione con acque prelevate esclusivamente allo scopo[3].
L'art. 28 comma 5, rivolgendosi agli scarichi contenenti determinate sostanze pericolose, prescrive invece (in modo analogo al previgente art. 9, comma 7, della Merli) che non è comunque consentito diluire con acque di raffreddamento, di lavaggio o prelevate esclusivamente allo scopo gli scarichi parziali contenenti le sostanze pericolose di cui ai numeri 1, 2, 3, 4, 5, 6, 7, 8, 9, 10, 12, 15, 16, 17 e 18 della tabella 5 dell'Allegato 5. In quest'ultimo caso, “l'autorità competente, in sede di autorizzazione, può prescrivere che lo scarico delle acque di raffreddamento, di lavaggio, ovvero impiegate per la produzione di energia, sia separato dallo scarico terminale di ciascun stabilimento".
Per le sostanze pericolose viene quindi espressamente previsto il divieto di diluire con acque di raffreddamento e di lavaggio (oltre che prelevate esclusivamente allo scopo) lo scarico che contenga le stesse; in tale caso, viene altresì prevista la possibilità, per l'autorità competente, di prescrivere che lo scarico delle acque di raffreddamento, di lavaggio e di quelle impiegate per la produzione di energia sia separato dallo scarico terminale di ciascun stabilimento.
Stante la particolare pericolosità delle sostanze in questione il legislatore ha rimesso all’autorità il potere (espressamente esercitabile solo in sede di rilascio dell’autorizzazione) di vietare ogni commistione tra acque di processo in senso stretto e altri tipi di acque, anche se le stesse vengano prelevate senza alcun intento fraudolento, in quanto effettivamente impiegate per il raffreddamento, il lavaggio, o la produzione di energia. La norma indica chiaramente i presupposti di fatto che possono giustificare l'imposizione della separazione in sede di autorizzazione nella sussistenza di un fenomeno di diluizione, in assenza del quale la prescrizione stessa non avrebbe regione alcuna e non potrebbe perciò essere considerata legittima.
Disposizioni particolari sono poi volte a disciplinare la diluizione degli scarichi contenenti le sostanze della tabella 5, diluizione che potrebbe intervenire come effetto di una commistione di scarichi provenienti da diversi insediamenti quando il trattamento delle acque reflue avvenga in un unico impianto posto al servizio di più stabilimenti industriali.
L'art. 34, comma 4, dopo la modifica introdotta dal D.
Lgs. 258/2000 prevede infatti che
"Qualora, nel caso di cui
all'articolo 45, comma 2, secondo periodo, [e cioè nel caso di scarichi
effettuati da più stabilimenti riuniti in consorzio, n.d.r.]
l'impianto di trattamento di acque reflue industriali che tratta le sostanze
pericolose di cui alla tabella 5 dell'Allegato 5, riceva scarichi provenienti da
altri stabilimenti o scarichi di acque reflue urbane, contenenti sostanze
diverse non utili a una modifica o riduzione delle sostanze pericolose, in sede
di autorizzazione l'autorità competente dovrà
ridurre opportunamente i valori limite di emissione indicati nella tabella 3
dell'Allegato 5 per ciascuna delle predette sostanze pericolose indicate in
tabella 5, tenendo conto della diluizione operata dalla miscelazione dei diversi
scarichi".
All'autorità competente viene quindi rimesso il compito di imporre valori limite di emissione più restrittivi per neutralizzare, anche ai fini di un efficace controllo dello scarico finale, l'effetto di diluizione che deriva dalla commistione di acque di scarico contenenti le sostanze pericolose della tabella 5 con altre tipologie di acque più “pulite” all’interno dell’impianto di trattamento centralizzato.
Va comunque sottolineato che tale revisione dei limiti non deve né può essere imposta quando dal mix di acque reflue non derivi una mera diluizione del refluo contenente le sostanze pericolose, bensì una vera e propria modifica o riduzione delle sostanze stesse, utile ai fini della protezione della risorsa idrica. Si tratta naturalmente di una valutazione di natura essenzialmente tecnica, ma che non può essere omessa dall’amministrazione all’interno del procedimento diretto al rilascio di una autorizzazione che prescriva la riduzione dei limiti di emissione indicati nella tabella 3 dell'Allegato 5.
Il pretrattamento prima dello scarico
All’art. 28, comma 4, del D. Lgs. 152/1999 viene previsto che l'autorità competente per il controllo è autorizzata ad effettuare tutte le ispezioni che ritenga necessarie per l'accertamento delle condizioni che danno luogo alla formazione degli scarichi e che, nell'ambito di tali controlli, "essa può inoltre richiedere che scarichi parziali contenenti le sostanze di cui ai numeri 1, 2, 3, 4, 5, 6, 7, 8, 9, 10, 12, 15, 16, 17 e 18 della tabella 5 dell'Allegato 5, subiscano un trattamento particolare prima della loro confluenza nello scarico generale".
La possibilità per l’autorità amministrativa di imporre il “pretrattamento” di “scarichi parziali” (cioè di reflui canalizzati in condotte destinate a confluire a loro volta in una condotta avente come recapito finale il corpo recettore) era già contenuta nell’art. 9, comma 5, della legge Merli, con riferimento agli scarichi parziali contenenti le sostanze di cui al punto 10 delle abrogate tabelle A e C.
Anche la nuova disposizione, come l’abrogata previsione della Merli, continua a consentire che il trattamento aggiuntivo possa essere imposto dall'autorità competente in sede di controllo. Sarebbe indubbiamente stato preferibile prevedere che detta prescrizione fosse impartita, ove ritenuta necessaria, ed analogamente a quanto previsto per la separazione degli scarichi dall’art. 28 comma 5, in sede di autorizzazione (e cioè di controllo preventivo), dato che in tale momento l’autorità deve già essere a conoscenza delle condizioni che danno luogo alla formazione degli scarichi, ed è quindi nella posizione di comparare gli interessi del privato e le esigenze di tutela ambientale. L’imposizione del pretrattamento in una fase successiva rischia invece di gravare eccessivamente il privato, che si vedrà costretto a modificare la propria rete fognaria e struttura impiantistica con costi aggiuntivi rilevanti.
La prescrizione di un tale tipo di trattamento tramite l’emanazione di un provvedimento amministrativo successivo all’autorizzazione dovrà naturalmente essere supportata da un’adeguata motivazione ed accompagnata da idonea istruttoria, nel rispetto dei principi e delle cadenze procedimentali stabilite dalla legge 241/1990 sul procedimento amministrativo.
In particolare, la ratio
della previsione normativa dell’art. 28, comma 4 ed i principi generali che
debbono reggere le azioni della pubblica amministrazione dovrebbero portare ad
escludere, salvo casi eccezionali, adeguatamente motivati, che il pretrattamento
possa essere imposto quando lo scarico parziale, già
prima della sua confluenza in quello terminale, si presenti conforme ai
valori limite di emissione del D. Lgs. 152/1999 senza che vi sia ricorso a
diluizioni non consentite.
Il trattamento delle acque di scarico pericolose come rifiuti
Il potere conformativo più penetrante rimesso all’amministrazione riguardo gli scarichi contenenti sostanze pericolose è senza dubbio quello, sempre previsto dall’art. 34, comma 4, del D. Lgs. 152/1999, in base al quale l'autorità competente può richiedere che “gli scarichi parziali contenenti le sostanze della tabella 5 dell'Allegato 5 siano tenuti separati dallo scarico generale e disciplinati come rifiuti, ai sensi del decreto legislativo 5 febbraio 1997, n. 22, e successive modifiche e integrazioni”.
Si rimette quindi all’amministrazione la possibilità di richiedere che i reflui provenienti dagli impianti in cui vengono trattate le sostanze pericolose della tabella 5 dell'Allegato 5 siano prelevati prima di essere convogliati nello scarico terminale dello stabilimento, interrompendone così il nesso funzionale con il corpo recettore, per essere inviati al trattamento come rifiuti liquidi, nel qual caso la loro gestione dovrà naturalmente essere conforme in ogni fase a quanto previsto dalla normativa sui rifiuti (tenuta del registro di carico e scarico, inclusione nel M.U.D., consegna a smaltitore autorizzato, compilazione del formulario di trasporto, etc.), fatto salvo quanto previsto dall’art. 36 del D. Lgs. 152/1999 nell’ipotesi in cui siano consegnati al gestore del servizio idrico integrato per essere smaltiti nell’impianto di trattamento delle acque reflue urbane.
Alla pubblica amministrazione viene quindi in pratica consentito di vietare lo scarico di determinati reflui, comprimendo così in modo sostanziale una facoltà normativamente concessa al privato se svolta nel rispetto dei valori limite di emissione.
La norma non prevede in quale sede l’autorità competente possa prescrivere il trattamento come rifiuti liquidi dei reflui, e pertanto sarebbe possibile ritenere che detta prescrizione possa essere impartita anche in sede di controllo dello scarico successivo al rilascio dell’autorizzazione.
Va però considerato che l’imposizione dell’obbligo di trattare i reflui contenenti le sostanze pericolose come rifiuti incide in modo assai penetrante sulla sfera giuridica del privato, che può in tal modo trovarsi a dover sopportare costi aggiuntivi rilevanti. Inoltre, come detto, l’esercizio di tale potere comporta, da parte dell’amministrazione, una vera e propria soppressione in via autoritativa di una facoltà generalmente consentita dalla legge, e, di fatto, può equivalere ad un totale o parziale diniego (o ad una revoca) dell’autorizzazione allo scarico, pur quando l’emissione inquinante risulti rispettosa dei parametri tabellari.
Pertanto, sembra quantomeno inopportuno consentire all’autorità, in sede di controllo a posteriori, la facoltà di imporre un simile divieto, in quanto tale facoltà presuppone una comparazione di interessi ed un esercizio di poteri, anche discrezionali, che parrebbero dover essere effettuati più propriamente in sede di rilascio dell’autorizzazione.
Ove comunque si ammetta la possibilità di un provvedimento successivo all’autorizzazione tale da imporre il trattamento come rifiuto dell'acqua di scarico, questo potrà essere basato o sul mutamento delle circostanze di fatto esistenti al momento del rilascio dell’autorizzazione allo scarico, o su una nuova valutazione della stessa situazione già precedentemente oggetto di ponderazione al momento dell’adozione dell’autorizzazione, ma in entrambi i casi la decisione dell'amministrazione dovrà essere supportata da un’adeguata istruttoria e da una convincente motivazione, in base a quanto previsto dalla legge 241/1990 in tema di provvedimento amministrativo.
Va comunque segnalato che la previsione della possibilità di vietare lo scarico ed imporne il trattamento alla stregua di un rifiuto liquido è stata criticata dai primi commentatori del D. Lgs. 152/1999. Si è infatti rilevato che la norma introdurrebbe surrettiziamente un criterio di zero discharge che non sembra trovare corrispondenza nella normativa comunitaria, in quanto le sostanze elencate nelle tabelle 3A e 5 non sono incluse nella black list, cioè nella categoria per cui vige il divieto assoluto di scarico nell’ambiente idrico[4].
Si è altresì criticata la disparità di trattamento che potrebbe derivare dal differente principio indicato all’art. 28, comma 4, in base al quale l’autorità può richiedere per le sostanze più pericolose un pretrattamento prima della confluenza nello scarico generale, stante l'evidente possibilità che due scarichi contenenti le medesime sostanze possano essere assoggettati ad un regime giuridico del tutto diverso (in particolare, a quello delle acque reflue in un caso ed a quello dei rifiuti nell’altro).
E' perciò da ritenere che una tale imposizione
amministrativa possa essere emanata solo qualora la tutela del corpo recettore
non possa essere assicurata altrimenti, neppure tramite l’imposizione della già
onerosa prescrizione prevista dall’art. 28, comma 4, relativa
al pretrattamento dello scarico parziale prima della confluenza nello
scarico generale.
[1] Lo stabilimento è definito alla lettera gg) dell'art. 2, nel seguente modo: "stabilimento industriale” o, semplicemente, "stabilimento”, qualsiasi stabilimento nel quale si svolgono attività commerciali o industriali che comportano la produzione, la trasformazione ovvero l'utilizzazione delle sostanze di cui alla tabella 3 dell'Allegato 5 (che fissa i valori di emissione per gli scarichi industriali) ovvero qualsiasi altro processo produttivo che comporti la presenza di tali sostanze nello scarico.
[2]L'art. 33, comma 1, precisa altresì che i valori-limite adottati dal gestore del servizio idrico integrato non possono comunque derogare ai valori-limite di emissione di cui alla tabella 3/A e, limitatamente ai parametri di cui alla nota 2 della tabella 5 dell’Allegato 5, alla tabella 3. La nota 2 della tabella 5 precisa a sua volta che per quanto riguarda gli scarichi in fognatura, purché sia garantito che lo scarico finale della fognatura rispetti i limiti di tabella 3, o quelli stabiliti dalle Regioni ai sensi dell'articolo 28 comma 2, l'ente gestore può stabilire per i parametri della tabella 5, ad eccezione di quelli indicati sotto i numeri 2, 4, 5, 7, 14, 15, 16 e 17, limiti di accettabilità i cui valori di concentrazione superano quelli indicati in tabella 3
[3] In argomento vedi L. Ramacci, Brevi osservazioni in tema di divieto di diluizione degli scarichi, in Riv. pen., 1999, p. 13.
[4]P. Dell’Anno, La tutela delle acque dall’inquinamento, 1999, Rimini, pp. 126 e 127.