La rilevanza penale dello scarico di acque industriali ed urbane eccedenti i limiti tabellari imposti dal legislatore: una questione ancora aperta.
di Francesco CHIAROMONTE - Magistrato
Al fine di comprendere l'attuale ambito di rilevanza penale delle attività di irregolare smaltimento di acque reflue occorre anzitutto premettere che la subiecta materia è tornata di attualità alla luce del nuovo impianto normativo introdotto dal combinato disposto del Dlvo 152/99 e della L. 258/00.
Il complesso dei due interventi legislativi ora richiamati consente anzitutto di ritenere superato l'orientamento giurisprudenziale, formatosi nella vigenza della precedente disciplina, uniformemente indirizzato nell'attribuire la qualifica di "insediamento produttivo" ai depuratori comunali, così da consentire l'applicazione agli stessi di sanzioni penali altrimenti precluse dal dettato della legge Merli.
Nel nuovo sistema, infatti, il problema non si pone poichè la distinzione degli scarichi è fondata sulla natura delle acque reflue in essi contenute, che, per i depuratori comunali, sono le acque reflue urbane: la sanzione penale è quella dell'art. 59 co. 6 che prevede l'applicabilità delle sanzioni di cui al co. 5 "al gestore di impianti di trattamento delle acque reflue urbane che nell'effettuazione dello scarico supera i valori limite previsti dallo stesso comma".
Relativamente a tale disposizione, la modifica del 2000 ha inteso chiarire i dubbi interpretativi formatisi nella vigenza della precedente formulazione riferita al "gestore di impianti di depurazione", stabilendo che tale accezione va intesa come riguardante il gestore di impianti di trattamento delle acque reflue urbane.
L'innovazione legislativa, però, non si è limitata a questo, ma ha ritenuto opportuno uniformare il criterio di responsabilità del gestore dell'impianto di trattamento delle acque reflue urbane con quello del gestore degli impianti di depurazione dei reflui industriali per analoghi fatti di inquinamento, riaffermando il principio generale della responsabilità per colpa nei reati contravvenzionali mediante la soppressione dell'inciso che limitava la responsabilità di tali soggetti ai soli casi di dolo o colpa grave. Anticipando quanto sul punto più innanzi si analizzerà, tale intervento rappresenta uno dei punti sintomatici dell'inversione di tendenza in senso repressivo realizzata dal legislatore con il decreto del 2000.
Punto nodale della questione, allora, è quello di individuare quali siano i valori limite il cui superamento determina la sanzione penale ed a quali sostanze questi debbano intendersi riferiti. Al riguardo può risultare di estrema importanza la lettura comparativa della norma alla luce delle modifiche introdotte dal D. Lvo 258/00 e nel quadro sistematico dell'impianto normativo di riferimento.
L'originaria formulazione dell'articolo distingueva, al fine di considerare sanzionabile penalmente la condotta, a seconda che lo scarico superasse i valori limite fissati nella tabella 3 dell'allegato 5 al decreto, ovvero i limiti più restrittivi fissati dagli enti locali: "chiunque nell'effettuazione di uno scarico di acque reflue industriali….supera i valori limite fissati nella tabella 3 dell'allegato 5 in relazione alle sostanze indicate nella tabella 5, ovvero i limiti più restrittivi fissati dalle regioni o dalle province autonome, è punito….".
Infatti, mentre nel primo caso la sanzione penale scattava soltanto allorquando tale superamento avesse avuto riguardo le sostanze pericolose di cui alla tabella 5, nella seconda ipotesi si riteneva sufficiente il mancato rispetto dei limiti fissati dagli enti locali con riferimento a qualunque sostanza indicata nella tabella 3.
Nella sostanza, il legislatore del '99 intendeva sollecitare una presa di posizione forte da parte delle regioni nei confronti del problema inquinamento, addirittura connotando penalmente il mancato rispetto di quanto dalle stesse stabilito in maniera più forte rispetto alle norme statali, ritenute viceversa meritevoli di sanzione penale soltanto nei casi più gravi relativi alle sostanze pericolose.
Il portato innovativo del dettato normativo era evidente, soprattutto in considerazione del netto restringimento dell'ambito di rilevanza penale del fatto rispetto alla abrogata legge Merli, nella quale, invece, erano previste due diverse e concorrenti ipotesi di reato, l'una per il mero superamento dei limiti previsti nelle tabelle A e C (corrispondenti nella sostanza alla tabella 3 del D. 152/99) e l'altra per il superamento dei limiti relativi alle sostanze tossico-nocive.
Orbene, in seguito alla modifica introdotta dal D. Lvo 258/00, la formulazione della norma è la seguente:" chiunque, nell'effettuazione di uno scarico di acque reflue industriali, supera i valori limite fissati nella tabella 3 o, nel caso di scarico sul suolo, nella tabella 4 dell'allegato 5 ovvero i limiti più restrittivi fissati dalle regioni o dalle province autonome o dall'autorità competente a norma degli articoli 33, comma 1, in relazione alle sostanze indicate nella tabella 5 dell'allegato 5, è punito….".
Il portato della modifica legislativa, in termini di netta inversione di tendenza in senso repressivo, appare evidente: non soltanto da un punto di vista letterale, ma anche alla luce dell'interpretazione sistematica della disposizione nel contesto normativo di riferimento e delle scelte legislative in ordine alle condotte penalmente rilevanti, si ritiene che la necessaria relazione con le sostanze della tabella 5 debba ora riferirsi esclusivamente al caso di violazione dei limiti più restrittivi fissati dalle autorità indicate nella seconda parte dell'articolo.
Appare evidente, allora, come il nuovo intervento normativo rappresenti il frutto di un ripensamento sulla scelta operata dal legislatore con il decreto 152/99 in materia di autonomia degli enti locali nella fissazione di limiti più restrittivi e conseguente qualificabilità del superamento di tali valori come condotta penalmente rilevante, forse anche in seguito ad una riflessione sulle conseguenze in termini di disparità di trattamento e di "incertezza" del diritto che la stessa avrebbe comportato.
Non da ultimo, è intuibile che sia nel tempo emersa l'incongruenza del dettato normativo antecedente alla modifica, che, nel caso di superamento dei valori limite fissati per tutti dal legislatore, qualificava tale comportamento come penalmente rilevante soltanto allorquando avesse ad oggetto le sostanze pericolose indicate nella tabella 5; viceversa, riteneva meritevole di sanzione penale ogni scarico eccedente i diversi parametri stabiliti dagli enti locali, anche se relativo alle sostanze della tabella 3 non richiamate nella tabella 5 in quanto non pericolose.
Ma soprattutto, anche alla luce di quanto verificatosi nel primo periodo di applicazione della legge, non è forzato ritenere che la modifica rappresenti la conseguenza della presa d'atto, da parte del legislatore, del sostanziale fallimento di quella spinta che aveva inteso imprimere agli enti locali con il decreto 152/99, la cui colposa inerzia nella fissazione dei valori limite di inquinamento aveva determinato un pericoloso vuoto di tutela normativa, con conseguenze non trascurabili in termini di danno ambientale. Il decreto 258 del 2000, allora, rappresenta una risposta a quella flessione di attenzione in materia di tutela dell'ambiente causata dalla mancata attuazione pratica di una normativa pur teoricamente valida.
Coerentemente, anche le modifiche al quadro sanzionatorio non sono altro che il risultato di un'opera di adeguamento normativo alle risultanze applicative della precedente disciplina: in quest'ottica si inserisce il nuovo reato di cui all'art. 59 co. 6 ter per il titolare di uno scarico che non consenta l'accesso al soggetto incaricato del controllo, l'eliminazione della responsabilità solo per dolo o colpa grave per il gestore dell'impianto di trattamento delle acque reflue urbane e l'estensione dell'area dell'illecito anche alle violazioni delle prescrizioni stabilite dal gestore del servizio idrico integrato.
Con riferimento a tale ultima fattispecie, è opportuno precisare che con il D. Lvo 258/00 è stato previsto anche in capo al gestore del servizio idrico integrato il potere di definire valori limite più restrittivi di quelli previsti nell'allegato 5, seppure previa approvazione dell'amministrazione pubblica responsabile (cfr. art. 33 co.1 nuova formulazione).
Orbene, la previsione di tale facoltà in capo ad un soggetto diverso dal legislatore e nemmeno appartenente alla pubblica amministrazione (vedi la definizione di cui all'art. 2 comma o-bis, secondo la quale è gestore del servizio idrico integrato quel soggetto che in base alle convenzioni con gli enti locali gestisce il servizio pubblico di trattamento delle acque reflue urbane), anche se previa approvazione da parte di quest'ultima, ha confermato il legislatore della necessità di operare una scelta nel campo del penalmente sanzionabile, improntata al fine di evitare ingiuste ed eccessive differenze di trattamento "territoriali" a seconda dei diversi valori limite stabiliti dalle regioni, e nell'ottica di consentire la determinazione del contenuto delle condotte penalmente rilevanti da parte di soggetti diversi dal legislatore (anche privati, previa autorizzazione) solo nelle ipotesi di maggiore gravità, quali quelle relative allo scarico di sostanze pericolose.
In altre parole, la modifica legislativa deve essere letta come una netta inversione di tendenza in ordine alla possibilità concessa alle autorità sopra indicate (regioni, province autonome ed adesso anche gestore del servizio idrico integrato) di qualificare un comportamento come penalmente sanzionabile, con conseguente riespansione delle conseguenze penali nel caso di violazione di parametri fissati dal legislatore nazionale.
Alla luce di quanto argomentato, dunque, si ritiene che l'innovazione introdotta con la nuova formulazione dell'art. 59 co. 6 determini l'applicabilità della sanzione penale nel caso di scarico di acque reflue urbane che superi i valori limite previsti nella tabella 3, anche se non relativamente alle sostanze indicate nella tabella 5.
Una volta chiarite le ragioni per cui l'attuale formulazione dell'art. 59 commi V e VI, consente di ritenere penalmente rilevanti gli scarichi di acque reflue che superano i limiti tabellari imposti per tutte le sostanze dell'allegato 3, non puo' essere sottaciuto, per dovere di completezza, che -purtroppo- pare in corso di sedimentazione nella Giurisprudenza di legittimità un orientamento di segno diametralmente contrario (cfr. per tutte sentenza Cass. Sez.Un. n.3798/02 imp.Turina).
In realtà deve essere evidenziato che, attraverso una attenta compulsazione dei precedenti di Giurisprudenza surrichiamati, è agevole notare che la principale (se non esclusiva) attenzione dei Giudici di legittimità è stata principalmente rivolta al diverso problema della normativa intertemporale applicabile a quegli scarichi di acque reflue industriali già esistenti all'epoca della entrata in vigore dlgs. 152/99.
In altre parole, sull'innegabile presupposto che il vecchio art.21 della l.319/76 sanzionava penalmente ogni superamento di limiti tabellari imposti, si è posto frequentemente nella prassi applicativa lo spinoso problema se l'entrata in vigore della nuova disciplina dovesse essere considerata una abolitio criminis della precedente disciplina, almeno per quanto concerne i gruppi di sostanze non ricompresi nella tabella 5 dell'allegato 5.
Orbene, nell'affrontare tali questioni, i Giudici di Legittimità sembrano avere dato sempre e comunque per acclarato che la nuova disciplina non consentisse di prevedere sanzioni penali per il caso di superamento tabellare di sostanze non pericolose, senza mai considerare il reale contributo innovativo che la legge 258/00 ha apportato in parte qua all'originaria formulazione dell'art. 59 comma 5 dlgs.152/99.
In altre parole viene da chiedersi se, per caso, non siano state proprio le difficoltà di diritto intertemporale, riscontrate in sede di prima applicazione della nuova disciplina, che abbiano indotto il legislatore ad effettuare le suesposte modifiche normative, riportando nell'alveo del penalmente rilevante quello che già lo era sotto la vigenza della legge Merli.
Certamente, comunque, alla elaborazione giurisprudenziale va attribuito il merito di avere da subito evidenziato come rischiasse di diventare un paradosso che una legge che aveva il dichiarato intento di effettuare una disciplina piu' rigorosa in tema di inquinamento delle acque, potesse ridurre di fatto l'ambito delle condotte aventi rilievo penale.
E' appena il caso di aggiungere che scegliendo di seguire la interpretazione surrichiamata, verrebbero certamente meno buona parte dei sostanziali problemi di coordinamento con la previgente disciplina.
E' evidente, infatti, che ritenendo anche oggi penalmente rilevante il superamento dei valori di tutte le sostanze di cui alla tabella 3, allegato 5, non dovrebbe piu' profilarsi la possibilità di ritenere abolito il vecchio reato di cui all'art. 21 l.319/76, trovandosi semplicemente di fronte ad una meno problematica riformulazione di leggi penali.