Il TAR Toscana è stupefacente.
(Nota senza aggettivi alla sentenza n. 517 del 30/3/2015)

di Massimo GRISANTI

Al peggio non c’è mai fine, dicevano i nostri anziani.

Ci risiamo con il TAR Toscana.

Il caso è questo.

Il corpo di fabbrica di una sopraelevazione viene autorizzato dal comune a distanza inferiore a 10 metri ex art. 9 DM 1444/68 dalla parete finestrata dell’edificio frontistante, sulla base di una norma comunale palesemente contrastante con il DM e che verrà fatta oggetto di annullamento del Giudice Amministrativo, durante il corso di esecuzione dei lavori, nell’ambito di un ricorso pendente per un’altra sopraelevazione in una frazione del medesimo Comune.

Poiché l’edificio preesistente del vicino non ha la parete sul confine, ma in posizione più interna, il progettista della sopraelevazione – in assenza di qualsiasi consenso del vicino e quindi del tutto arbitrariamente e senza che il Comune niente obietti in sede di controllo in ordine alla legittimazione – prevede la realizzazione di un muro lungo circa 6 metri ed alto circa 3 metri per potersi “agganciare” al fabbricato del confinante.

Nonostante ciò il Comune rilascia il permesso di costruire, ma, ovviamente, in sede esecutiva si manifesta il problema di costruire il muro di collegamento sul suolo altrui.

Allora che viene fatto? Non si costruisce il muro e la sopraelevazione, nel frattempo eseguita, si mantiene a distanza inferiore ai 10 metri dalla parete finestrata del vicino.

Immaginando che vi sia stata l’insorgenza di indagini penali, il dirigente dell’ufficio tecnico comunale ordina la demolizione della sopraelevazione motivando il provvedimento repressivo sul fatto che la mancata realizzazione del muro di “collegamento” ha gettato la nuova costruzione (alias sopraelevazione) nell’illiceità per violazione dell’art. 9 DM 1444/68.

Il Collegio giudicante ha stabilito:

  1. “… In linea di principio, la realizzazione parziale di un progetto edilizio assentito non può essere equiparata alla difformità dovuta alla realizzazione di opere non previste dal titolo poiché nulla vieta al destinatario del permesso di realizzarlo solo in parte (TAR L’Aquila 29/11/2011 n. 755). Tuttavia, allorché si verifichi, come nella specie è accaduto, che dall’omissione derivi la violazione (non del titolo ma) di una norma urbanistica o edilizia, essa trasmoda senza dubbio in un illecito edilizio il quale, però, non può essere tout court sanzionato ordinando la demolizione dell’intera opera, dovendosi, invece, disporre prioritariamente il completamento del progetto assentito che, in tali ipotesi, diviene obbligatorio e non più facoltativo. Invero, allorché il ripristino della legalità violata sia possibile attraverso la conformazione della attività intrapresa alle norme che la disciplinano tale soluzione deve essere preferita ed anteposta alla irrogazione delle misure di carattere ripristinatorio.”;

  2. “Nella specie, peraltro, nulla ostava alla adozione di un siffatto ordine. Non il fatto che il permesso edilizio originario fosse scaduto perché non si trattava di esercitare una facoltà da esso assentita ma di adempiere ad un obbligo di conformazione reso necessario dalla violazione della normativa sulle distanze. Né il fatto che fosse stato annullato medio tempore l’art. 24 del regolamento edilizio che consentiva di sopraelevare in deroga alle distanze minime previste dal d.m. 1444/68.

Con riguardo a tale profilo occorre, infatti, osservare che la realizzazione del muro di congiunzione previsto dal titolo edilizio non contravveniva all’obbligo di osservare le predette distanze ma era, invece, funzionale al suo rispetto.”.

Ecco, gli operatori del settore dal 30 marzo 2015 sono venuti a conoscenza che quando due edifici finestrati, anche già esistenti perché realizzati in forza di un illegittimo titolo oppure radicalmente abusivi, sono posti a distanza inferiore a 10 metri è sufficiente realizzare un muro isolato che li congiunge per far venire meno la preesistente intercapedine nociva, dannosa e pericolosa, e per l’effetto far venire meno l’illiceità. Ma rimane un (solo?) dubbio.

Perché la sentenza conclude dicendo: “Entro tali limiti il ricorso deve essere accolto, restando in facoltà del comune di Poggibonsi, in sede di rinnovazione del potere, adottare un ordine di conformazione avente il contenuto prefigurato nella presente pronuncia.”?

Se all’attualità, in assenza del muro di congiunzione, il Collegio ha sentenziato che:

  • “… dall’omissione deriv(a) la violazione … di una norma urbanistica o edilizia … (e ciò) trasmoda senza dubbio in un illecito edilizio …”;

  • occorre “… adempiere ad un obbligo di conformazione reso necessario dalla violazione della normativa sulle distanze …”;

  • “… la realizzazione del muro di congiunzione previsto dal titolo edilizio non contravveniva all’obbligo di osservare le predette distanze ma era, invece, funzionale al suo rispetto …”;

perché il dirigente comunale avrebbe la facoltà, anziché l’OBBLIGO, in sede di rinnovazione del potere, di adottare l’ordine di costruzione del muro di congiunzione visto che i poteri dirigenziali sono vincolati e doverosi e la disciplina delle distanze (come ha detto lo stesso TAR nella sentenza n. 385 del 10/3/2015) non è nella disponibilità del Comune?

Quante sfaccettature hanno il principio di legalità e quel grave fenomeno che affligge il nostro Paese e che non riusciamo (perché non vogliamo) a debellare?

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Scritto il 13 aprile 2015