La SCIA, gli abusi legalizzati e la disciplina anti-sismica.
[Nota all’ordinanza n. 469/2015 del TAR Toscana di rimessione alla Corte Costituzionale della q.l. dell’art. 84-bis, c. 2, lett. b) della LRT 1/2005]

di Massimo GRISANTI

Con l’ordinanza n. 469/2015 la III^ Sezione del TAR Toscana solleva la q.l.c. dell’art. 84-bis, c. 2, lett. b) della LRT 1/2005 le cui disposizioni stabiliscono:

2. Nei casi di SCIA relativa ad interventi di cui all’articolo 79, comma 1, lettere b), d), e) ed f) e di cui all’articolo 79, comma 2, lettere a), b), c) ed e), decorso il termine di trenta giorni di cui all’articolo 84, comma 6, possono essere adottati provvedimenti inibitori e sanzionatori qualora ricorra uno dei seguenti casi:

a) in caso di falsità o mendacia delle asseverazioni, certificazioni, dichiarazioni sostitutive di certificazioni o degli atti di notorietà allegati alla SCIA medesima;

b) in caso di difformità dell’intervento dalle norme urbanistiche o dalle prescrizioni degli strumenti urbanistici generali, degli atti di governo del territorio o dei regolamenti edilizi;

c) qualora dall’esecuzione dell’intervento consegua pericolo di danno per il patrimonio storico artistico, culturale e paesaggistico, per l’ambiente, per la salute, per la sicurezza pubblica o la difesa nazionale.

Il Collegio giudicante “… ritiene rilevante e non manifestamente infondata la questione della legittimità costituzionale dell’art. 84 bis comma 2 lettera b) della legge regionale toscana 3 gennaio 2005 n. 1 nella parte in cui consente alla amministrazione comunale di adottare provvedimenti inibitori e sanzionatori anche dopo la scadenza del trentesimo giorno dalla presentazione della s.c.i.a. sulla base del solo presupposto della riscontrata difformità dell’intervento che ne è oggetto dalle norme urbanistiche o dalle prescrizioni degli strumenti urbanistici generali, degli atti di governo del territorio o dei regolamenti edilizi. In particolare, la Sezione dubita che la predetta norma possa ritenersi conforme ai principi fondamentali della materia contenuti nei commi secondo terzo e quarto dell’art. 19 della L. 241 del 1990 in tema di s.c.i.a. concernenti anche la s.c.i.a. edilizia in forza del disposto del comma 6 ter del predetto articolo, e, quindi, incorra nella violazione dell’art. 117 comma 3 della Costituzione. La Sezione dubita altresì della costituzionalità della predetta norma sotto il profilo della violazione dell’art. 117 comma 2 lett. m) Cost. in quanto non rispetta i livelli essenziali delle prestazioni dei diritti civili e sociali stabiliti in materia di segnalazione certificata di inizio attività dai menzioni comma dell’art. 19 della L. 241/90.”.

Nell’argomentare la rimessione il Collegio richiama a fondamento della propria tesi la sentenza n. 188/2012 della Corte Costituzionale:

“Ritiene il collegio che la questione di costituzionalità non sia manifestamente infondata con riferimento sia alla possibile violazione dei principi fondamentali della materia edilizia (rientrante in quella più generale del governo del territorio oggetto di competenza concorrente ai sensi dell’art. 117 comma 2 Cost.) sia al mancato rispetto dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali stabiliti con legge dello Stato ai sensi dell’art. 117 comma 2 lett. m) Cost.

Con riguardo al primo profilo occorre innanzitutto rammentare che la disciplina statale dei titoli edilizi è pacificamente ritenuta dalla Corte Costituzionale essere norma di principio (Corte Cost. 203/2003).

La regolamentazione dei titoli edilizi è, inoltre, strettamente connessa con i profili della disciplina edilizia attinenti ai poteri di vigilanza sul corretto uso del territorio.

In particolare, come ha osservato la Corte costituzionale nella sentenza 188 del 2012, il comma 6 bis dell’art. 19 della L. 241 del 1990 è stato introdotto proprio allo scopo di raccordare la “configurazione normativa dei poteri amministrativi di repressione dell’abuso edilizio” previsti dalla legislazione edilizia nazionale e da quelle regionali con “la riforma dei titoli abilitativi all’edificazione, culminata con l’introduzione della segnalazione certificata di inizio attività”.

“L’interesse costituzionale al controllo pubblico volto a preservare l’armonico sviluppo e l’integrità del territorio” necessitava, infatti, essere contemperato con “l’affidamento ingenerato dalla SCIA stessa” e tale contemperamento è avvenuto da un lato fissando un termine perentorio per la verifica della conformità urbanistica della s.c.i.a. edilizia dopo il quale gli interventi conformi alla segnalazione certificata non sono più sanzionabili e dall’altro attribuendo alla p.a. rimedi che consentano, nei “casi di più grave sacrificio del bene pubblico”, di “compensare il potenziale pregiudizio insito nella contrazione dei modi e dei tempi dell’attività amministrativa” inerente la vigilanza.

Tali rimedi non sono, peraltro, limitati al solo potere finalizzato a prevenire i pericoli che possono riguardare interessi pubblici particolarmente sensibili, previsto dal comma 4 dell’art. 19 della L. 241/90, ma comprendono anche il generale potere di autotutela contemplato dal comma 3 del medesimo articolo il quale, anche se non espressamente richiamato nel comma 6 bis, “si adatta compiutamente alla materia dell’edilizia, alla quale non vi è ragione per ritenere che non si riferisca”; anche perché “si esporrebbe a censura di manifesta irragionevolezza una interpretazione contraria, che venisse a sottrarre gli interessi implicati dal governo del territorio all’applicabilità di un generale istituto del diritto amministrativo, la cui compatibilità con la SCIA è stata riconosciuta dallo stesso legislatore con il citato comma 3”.

L’equilibrio raggiunto dall’art. 19 della L. 241/90 fra l’interesse pubblico al corretto uso del territorio e l’affidamento del privato assume a, giudizio, del Collegio rango di principio fondamentale che deve essere rispettato da parte delle legislazioni regionali che intervengano nell’ambito della materia di competenza concorrente del governo del territorio.

Il carattere “fondamentale” dei principi è dato dall’essere gli stessi il risultato di una precisa scelta di politica attinente il bilanciamento dei diversi interessi in gioco che, costituendo momenti chiave della disciplina di una determinata materia, sono inderogabili da parte delle legislazioni regionali.

L’art. 84 bis comma 2 lettera b. della L.R. 1/05 nel momento in cui consente l’esercizio dei poteri sanzionatori relativi a determinate categorie di interventi edilizi che hanno formato oggetto di s.c.i.a. anche oltre il termine di 30 giorni dalla sua presentazione sulla base del mero riscontro della difformità dalle norme urbanistiche o dalle prescrizioni degli strumenti urbanistici generali, degli atti di governo del territorio o dei regolamenti edilizi, altera gravemente l’equilibrio fra i due valori sopra menzionati a tutto sfavore della tutela dell’affidamento del privato che la norma non tiene in alcun considerazione, equiparando in tutto e per tutto le opere conformi alla s.c.i.a. a quelle realizzate in modo del tutto abusivo.

Sotto diverso profilo l’art. 84 bis comma 2 lettera b) della L.R. 1/05 incorre in una possibile violazione dell’art. 117 comma 2 lettera m) della Costituzione non osservando i livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali dei cittadini nell’ambito del procedimento amministrativo.

Ai sensi del comma 4 ter del D.L. 78/2010, infatti, l’intera disciplina della s.c.i.a. contenuta nel comma 4-bis si inquadra nel predetto titolo di competenza esclusiva dello Stato.

Costituiscono, pertanto, livelli essenziali delle prestazioni tutti i profili della disciplina della s.c.i.a. che riguardano il rapporto fra amministrazione e cittadino ivi compresi quelli afferenti alla posizione in cui si viene a trovare l’autore della segnalazione allo scadere del trentesimo giorno dalla sua presentazione, posizione connotata dalla garanzia che l’amministrazione non possa più adottare i provvedimenti di inibizione della attività e di rimozione dei suoi effetti se non nei casi contemplati dalla norma medesima.

E’ appena il caso di ricordare che la Corte costituzionale con la sentenza 164 del 2012, nel respingere i ricorsi proposti dalle regioni avverso la suddetta norma, ha stabilito che la disciplina della s.c.i.a. ben si presta ad essere ricondotta al parametro di cui all’art. 117, secondo comma, lettera m), Cost. che permette una restrizione dell’autonomia legislativa delle Regioni, giustificata dallo scopo di assicurare un livello uniforme di godimento dei diritti civili e sociali tutelati dalla stessa Costituzione, in quanto l’attività amministrativa può assurgere alla qualifica di “prestazione”, della quale lo Stato è competente a fissare un livello essenziale a fronte di uno specifico diritto di individui, imprese, operatori economici e, in genere, soggetti privati.

In particolare, ha affermato la Corte, tutto il meccanismo su cui si basa la segnalazione certificata di inizio attività per cui “al soggetto interessato si riconosce la possibilità di dare immediato inizio all’attività …, fermo restando l’esercizio dei poteri inibitori da parte della pubblica amministrazione, ricorrendone gli estremi” e “fatto salvo il potere della stessa pubblica amministrazione di assumere determinazioni in via di autotutela, ai sensi degli artt. 21-quinquies e 21-nonies della legge n. 241 del 1990”, costituisce “prestazione specifica” anche laddove viene tutelato “il diritto dell’interessato ad un sollecito esame, da parte della pubblica amministrazione competente, dei presupposti di diritto e di fatto che autorizzano l’iniziativa medesima”.”.

Ad avviso dello scrivente il ricorso sarà dichiarato inammissibile perché la Corte ha già dato risposta alle questioni nella stessa sentenza n. 188/2012 richiamata per sostenere l’ordinanza di rimessione, ovverosia:

“4.– La questione di costituzionalità vertente sull’art. 6, comma 1, lettera b), del decreto-legge n. 138 del 2011, per quanto originata da un plausibile dubbio sul significato della disposizione, è ugualmente inammissibile, giacché l’interpretazione da cui deriverebbe il vulnus costituzionale, temuto dalla ricorrente, è erronea, come ha sostenuto anche l’Avvocatura dello Stato.

La disposizione impugnata, infatti, può e deve essere letta nel senso che essa non esclude il ricorso, da parte dell’amministrazione, al potere di autotutela previsto dal comma 3 dell’art. 19 della legge n. 241 del 1990, in aggiunta alla ulteriore potestà di intervento configurata dal comma 4. Il suo significato, infatti, non può essere compreso se la norma non viene inserita nel più ampio contesto costituito dalla configurazione normativa dei poteri amministrativi di repressione dell’abuso edilizio con cui il legislatore ha inteso accompagnare e completare la riforma dei titoli abilitativi all’edificazione, culminata con l’introduzione della segnalazione certificata di inizio attività.

Il rilevante interesse costituzionale (cui largamente partecipa il sistema regionale e delle autonomie locali: sentenza n. 196 del 2004) al controllo pubblico, a garanzia di un armonico sviluppo del territorio che ne preservi l’integrità, non potrebbe, infatti, essere completamente posposto alle pur rilevanti finalità di semplificazione e accelerazione valorizzate mediante la SCIA (sentenza n. 151 del 1986) se il legislatore non si fosse nel contempo premunito di assicurare un rimedio che, per i casi di più grave sacrificio del bene pubblico, possa consentire di superare l’affidamento ingenerato dalla SCIA stessa.

A tal fine, l’attribuzione all’autorità amministrativa del potere di incidere in autotutela sugli effetti della SCIA, pur dopo l’esaurimento del breve termine concesso per vietare l’attività edilizia, opera quale corollario della linea di tendenza alla semplificazione normativa e allo snellimento delle procedure amministrative.

Tale attribuzione, infatti, anche in ossequio al principio costituzionale di buon andamento, formulato dall’art. 97 Cost., viene a compensare, a vantaggio del pur persistente interesse pubblico, il potenziale pregiudizio insito nella contrazione dei modi e dei tempi dell’attività amministrativa. Difatti, sarebbe irragionevole trascurare che, per quanto efficacemente organizzata, non sempre la pubblica amministrazione può disporre di mezzi tali da consentirle di controllare tempestivamente l’intreccio delle numerose e varie iniziative private soggette a controllo.

Per queste ragioni, già nel vigore della normativa sulla denuncia di inizio attività, la giurisprudenza comune non ha dubitato dell’applicabilità del generale potere di autotutela spettante all’amministrazione, fino a che ciò non è stato espressamente riconosciuto dal legislatore con l’art. 3 del decreto-legge 14 marzo 2005, n. 35 (Disposizioni urgenti nell’ambito del piano di azione per lo sviluppo economico, sociale e territoriale), convertito in legge, con modificazioni, dalla legge 14 maggio 2005, n. 80. L’art. 49, comma 4-bis, del decreto-legge n. 78 del 2010, che ha sostituito il testo dell’art. 19 della legge n. 241 del 1990, ha confermato tale scelta normativa, riproducendo nel comma 3 la clausola di salvezza del potere di autotutela, senza ulteriori distinzioni.

La natura generale della previsione normativa recata dal comma 3, in altri termini, si adatta compiutamente alla materia dell’edilizia, alla quale non vi è ragione per ritenere che non si riferisca. Del resto, si esporrebbe a censura di manifesta irragionevolezza una interpretazione contraria, che venisse a sottrarre gli interessi implicati dal governo del territorio all’applicabilità di un generale istituto del diritto amministrativo, la cui compatibilità con la SCIA è stata riconosciuta dallo stesso legislatore con il citato comma 3. Né si vede, inoltre, per quale ragione l’affidamento ingenerato nei consociati dalla SCIA dovrebbe in sé fruire di una forma di tutela maggiore di quella derivante dall’espresso provvedimento amministrativo, che è sempre potenzialmente cedevole, ove ricorrano le condizioni indicate dagli artt. 21-quinquies e 21-nonies della legge n. 241 del 1990.

Date tali premesse, l’introduzione, da parte dell’art. 49, comma 4-bis, del decreto-legge n. 78 del 2010, di un ULTERIORE potere di intervento pubblico, configurato dal comma 4 dell’art. 19 della legge n. 241 del 1990, riflette la scelta del legislatore non già di depotenziare irragionevolmente la potestà amministrativa rispetto alla SCIA, ma quella, opposta, di assicurare una protezione ULTERIORE a taluni preminenti beni giuridici, per i quali si è reputata insoddisfacente la sola via dell’autotutela decisoria.

I lavori preparatori relativi all’art. 49, comma 4-bis, confermano, da ultimo, l’esattezza di tale interpretazione. Difatti, mentre l’emendamento 49.1000 al disegno di legge n. 2228, approvato dalla V Commissione del Senato della Repubblica il giorno 7 luglio 2010, ometteva ogni riferimento al potere di autotutela, il subemendamento 49.1000/17, approvato il successivo 8 luglio, ha reintrodotto nel comma 3 dell’art. 19 la clausola di salvezza di tale potere, così manifestando chiaramente la volontà del legislatore di mantenere in vita, senza eccezioni, la potestà in questione, affiancandovi quella ULTERIORE prevista dal comma 4.

Per le ragioni esposte è da escludere che la norma impugnata abbia l’effetto di privare, nella materia edilizia, l’amministrazione del potere di autotutela, che, viceversa, persiste «fatta salva l’applicazione delle disposizioni di cui al comma 4», cioè congiuntamente all’intervento ammesso in caso di pericolo di danno per gli interessi ivi indicati.”.

Si consideri, peraltro, che l’affidamento del privato può essere riposto unicamente in una SCIA che risponde integralmente ai presupposti legittimanti, tra cui la conformità urbanistica del progetto. In caso diverso l’art. 21 L. 241/1990 stabilisce, quale sanzione, l’inefficacia dell’asseverazione e, di conseguenza, della SCIA e ribadisce l’applicabilità, e la doverosità dell’esercizio, dei poteri di vigilanza. Addirittura ne vieta la conformazione a legge nel caso in cui la difformità del progetto rispetto alle norme urbanistico-edilizie non dipenda da valutazioni tecnico-discrezionali bensì da false asseverazioni.

A tal proposito si ricorda che ai sensi dell’art. 5 del T.U.E. in caso di dubbio su come deve essere applicata una norma tecnica può farsi ricorso al rooling, cosicché chi opera in azzardo non può che aver scelto di sopportarne i rischi.

Ciò posto, diverse sono gli aspetti interessanti emergenti dalla sentenza n. 188/2012 della Consulta e dalla vicenda dell’ordinanza di rimessione.

La sentenza della Corte è estremamente interessante laddove riconosce che con l’espressione “fatta salva l’applicazione delle disposizioni di cui al comma …” il legislatore ha voluto congiungere con esse le disposizioni che successivamente andava ad enunciare.

Ebbene, l’interpretazione conferma anche una posizione da sempre sostenuta nello scrivente nei propri scritti pubblicati su Lexambiente ovverosia la cumulabilità delle disposizioni degli articoli 19 e 20 della L. 241/1990 e, di conseguenza, la riferibilità della SCIA ad una richiesta di permesso di costruire per qualsivoglia tipo d’intervento (escluso quelli ex art. 6 TUE).

Recita l’art. 20 (Silenzio assenso): “1. Fatta salva l'applicazione dell'articolo 19, nei procedimenti ad istanza di parte per il rilascio di provvedimenti amministrativi il silenzio dell'amministrazione competente equivale a provvedimento di accoglimento della domanda …”.

Pertanto, qualsiasi intervento diverso da quelli liberi è soggetto ad istanza di permesso di costruire e solo se l’interessato, nei casi previsti dalla legge, intende iniziare l’attività prima che sia stato rilasciato il provvedimento amministrativo, o si sia formato il silenzio-assenso, deve dare apposita segnalazione (SCIA).

Del resto, la Corte Costituzionale (sentenza n. 164/2012) ha stabilito chiaramente che la SCIA semplifica la parte iniziale del procedimento amministrativo autorizzatorio:

“… 9.— Le considerazioni fin qui svolte vanno applicate anche alla SCIA in materia edilizia, come ormai in modo espresso dispone l’art. 5, comma 1, lettera b), e comma 2, lettere b) e c), del d.l. n. 70 del 2011, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 106 del 2011, entro i limiti e con le esclusioni previsti.

Infatti, ribadito che la normativa censurata riguarda soltanto il momento iniziale di un intervento di semplificazione procedimentale, e precisato che la SCIA non si sostituisce al permesso di costruire (i cui ambiti applicativi restano disciplinati in via generale dal d.P.R. n. 380 del 2001), non può porsi in dubbio che le esigenze di semplificazione e di uniforme trattamento sull’intero territorio nazionale valgano anche per l’edilizia.”.

E l’art. 22, c. 7, TUE stabilisce che sono realizzabili con permesso di costruire anche gli interventi di manutenzione straordinaria, di restauro e risanamento conservativo ecc.”.

L’aspetto interessante che emerge dall’ordinanza di rimessione è il riconoscimento dei Giudici amministrativi del fatto che le disposizioni relative alla SCIA ex art. 19 L. 241/1990 attengono ai livelli essenziali delle prestazioni.

Intendiamoci, non ci voleva un particolare sforzo se non quello di leggere l’art. 29, c. 2-ter, della L. 241/1990.

Dal riconoscimento dovremmo aspettarci – anche in regioni come l’Emilia Romagna, l’Umbria ecc. ovverosia in quelle ove gli interventi di ristrutturazione edilizia tout court vengono eseguiti con SCIA oppure vengono iniziate opere in zone sismiche di classe 3 in assenza dell’autorizzazione del Genio Civile – che venga applicata la legge statale, su cui alcuna incidenza può avere la legislazione regionale per il semplice fatto che trattasi di esercizio di potestà legislativa esclusiva.

A tal proposito si ricorda che l’art. 70, c. 2, lett. c) del D.L. 70/2011, convertito dalla L. 106/2011, ha stabilito che la SCIA non sostituisce la DIA alternativa al permesso di costruire, rendendo impossibile iniziare attività edilizia con la SCIA nei casi ex art. 10, c. 1, TUE.

Oltre a ciò si ricorda che la Corte Costituzionale con la celeberrima sentenza n. 182/2006 aveva già equiparato il deposito-progetto ex art. 94 TUE alla DIA, oggi SCIA, arrivando ad affermare che all’indomani dell’entrata in vigore del D.L. 35/2005 (convertito con modificazioni dalla L. 80/2005) non era più possibile operare nelle zone sismiche con sistemi di controllo semplificato, bandendo la DIA/SCIA dal novero dei titoli abilitativi. Posizione ribadita anche nella sentenza n. 101/2013 (red. Mattarella).

Nonostante che l’art. 19 dell’attuale formulazione della L. 241/1990 contenga ancora il divieto di ricorrere alla SCIA in caso di interventi che interessano la pubblica incolumità si continua ad assistere all’andazzo generale – compreso il comportamento degli organi della Magistratura, sia penale che amministrativa, non esclusa la Polizia Giudiziaria – di considerare idoneo il deposito-progetto in luogo dell’autorizzazione sismica espressa per poter costruire in zona sismica. Il tutto senza considerare che il legislatore, così disponendo, ha affermato il principio dell’impossibilità per il professionista privato di fornire al Cittadino quell’idonea garanzia che lo metta al riparo dai danni e dalle corresponsabilità in caso di eventi tellurici.

Con l’ordinanza di rimessione alla Consulta ci dovremmo aspettare che il TAR Toscana sia conseguente rispetto all’affermazione, ivi contenuta, di attinenza della disciplina della SCIA all’art. 117, c. 2, lett. m) Cost., ma sono sicuro che non sarà così (e ve lo farò sapere quando uscirà la prossima sentenza).

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Scritto il 14 aprile 2015