Le modifiche all’art. 21-nonies L. 241 del 1990. I limiti di applicabilità ai titoli abilitativi edilizi.

di Massimo GRISANTI

Nella Gazzetta Ufficiale n. 187 del 13 agosto 2015 è stata pubblicata la Legge 7 agosto 2015, n. 124, entrata in vigore il successivo 28 agosto.

L’art. 6 “Autotutela amministrativa” appare devastante, se applicabile alla materia urbanistico-edilizia.

Ad una prima lettura delle combinate disposizioni dei novellati articoli 19, 21 e 21-nonies L. 241/1990 sembrerebbe che le false rappresentazioni dei fatti (in relazione ai quali, poi, scaturiscono le false asseverazioni) non potrebbero mai portare all’esercizio del potere di vigilanza ex art. 27 TUE nel caso in cui la falsità non sia stata accertata in sede penale entro diciotto mesi dall’efficacia della SCIA o della DIA sostitutiva del permesso di costruire.

Infatti, il comma 4 dell’art. 19 L. 241/1990 impone, quale norma di comportamento per le PP.AA., che i provvedimenti “… di divieto di prosecuzione dell'attività e di rimozione degli eventuali effetti dannosi di essa …” sia soggetti alle medesime condizioni dell’art. 21-nonies. Sempreché gli effetti siano dannosi! Un aggettivo che sterilizzerebbe il sopravvissuto comma 1 dell’art. 21, rendendolo di fatto inefficace.

Considerata la propensione delle regioni a far realizzare con SCIA anche gli interventi soggetti a permesso di costruire ognuno può comprendere la portata della novella legislativa qualora applicabile tout court anche all’attività edilizia.

Non rimane che confidare in quegli sparuti consiglieri del Consiglio di Stato che, stoicamente ed anche in contrasto con i loro colleghi, hanno affermato come in materia di governo del territorio è inapplicabile l’art. 21-nonies L. 241/1990 in quanto l’interesse pubblico al mantenimento degli effetti del titolo abilitativo, sempre prevalente su quello privato, è in re ipsa nel rispetto della disciplina urbanistica (cfr. ex multis: Cons. Stato, n. 562/2015; n. 834/2013; n. 359/2013; n. 1041/2012; n. 4982/2011; n. 7342/2010).

Se così non fosse, perché continuare a mantenere il permesso di costruire in deroga? Ma principalmente, perché continuare nella formazione degli strumenti urbanistici?

Ed essenzialmente: perché sono state fatte le leggi anti corruzione?

Da Il Fatto Quotidiano on-line del 22/10/2015, estratto dall’articolo di Sandro Bartolini, intitolato “X., Pisa e i rapporti con la giunta Pd: <Con l’assessore siamo amici>”:

“… Perché B. si interessa così tanto alle sorti della politica pisana? Perché è proprio qui che negli anni ha trasferito il cuore del suo gruppo. Un legame saldo, quello tra la città della torre pendente e l’imprenditore che può contare su ottimi rapporti anche con l’attuale amministrazione. Come con l’assessore all’Urbanistica XX che sembra avere grande stima del costruttore. Succede ad esempio che il 4 luglio 2014 venga presentata in consiglio comunale un’interpellanza per chiedere conto del progetto YY, opera colossale che nelle intenzioni iniziali doveva essere il fiore all’occhiello del costruttore e rischia di rimanere incompleta come altre opere a firma X..ZZ informa il suo socio X. della reazione della XX: “Mi ha detto che oggi c’era la riunione s’era discussa la questione in Consiglio Comunale si era discussa la questione lì de XX, che avevano fatto … quelli del 5 Stelle avevano fatto una … cosa .. un’interpellanza ed e uscito il discorso … quello de .. ‘ah, perché a X. gli avete fatto fare la speculazione'”. Un’accusa che, racconta sempre Z., ha mandato su tutte le furie l’assessore. “Allora dice che lei si è incazzata come le bestie … ha detto … ‘basta, avete rotto i coglioni con queste cose … X. non ha mai fatto una speculazione in questa città … ha sempre comprato tutte le cose con la concessione edilizia non sapete nulla … siete dei cretini …”.

L’Assessora, a modo suo, ha perfettamente ragione. Basta intendersi sul concetto di regolarità!

A quali regole risponde una concessione edilizia rilasciata in violazione delle leggi urbanistiche? Certamente a regole del tutto diverse, e finanche opposte, a quelle dell’urbanistica, talvolta di dubbia legalità.

A quali regole risponde l’applicazione tout court dell’art. 21-nonies L. 241/1990 alla materia urbanistica? Certamente alle regole dei furbi, dei disonesti, di coloro che non sono così fessi da credere nella Giustizia. Certamente alle logiche del mantenimento di frutti illecitamente acquisiti e agli speculatori edilizi.

Considerato che:

  • dal rilascio del permesso di costruire i lavori possono essere iniziati dopo un anno;

  • il procedimento di annullamento in autotutela deve avere inizio con la comunicazione di avvio ove sono esposte le contestazioni, deve contenere l’assegnazione dei termini per osservazioni, talvolta prorogabili in considerazione della complessità dei fatti ecc;

  • il provvedimento di annullamento del titolo abilitativo edilizio deve essere notificato entro diciotto mesi dalla data di rilascio;

tutto ciò significa non annullare mai i permessi di costruire rilasciati in sostanziale violazione della disciplina urbanistica.

Ma non basta.

Qualora la violazione della disciplina urbanistica sia conseguente ad una falsa rappresentazione dello stato dei luoghi, se l’annullamento non interviene entro i diciotto mesi – oppure il colpevole non viene condannato in via definitiva, dopo il terzo grado di giudizio, entro i termini di prescrizione del reato – la concessione edilizia non potrebbe più essere annullata.

Nel concreto, sostenere l’applicabilità tout court dell’art. 21-nonies L. 241/1990 alla materia urbanistico-edilizia significa:

  • che il Comune non annullerà più, in via di autotutela, un titolo abilitativo edilizio;

  • che l’annullamento del titolo potrà essere conseguente il solo accoglimento del ricorso amministrativo dell’interessato. Tuttavia, se quest’ultimo il timore, naturale o provocato, di mettersi contro la P.A. o i soggetti variamente interessati alla realizzazione dell’opera, non impugnerà mai il titolo innanzi al G.A.

Quando si dice la forza dissuasiva dei prepotenti e dei possibili corruttori.

Poiché sarebbe macroscopica la violazione di molteplici principi costituzionali che deriverebbe dalla meccanica applicazione dell’art. 21-nonies alla materia urbanistica, ecco che tali disposizioni non possono riguardare, in via generale, i titoli abilitativi edilizi che, come è noto, costituiscono autorizzazioni ovverosia attestazioni di conformità dei progetti ai contenuti predeterminati dalla legge e dagli strumenti urbanistici, ove la discrezionalità tecnico-amministrativa è ridotta a zero fatta eccezione per la valutazione di esistenza o adeguatezza delle opere di urbanizzazione primaria ex art. 12 TUE di competenza propria del dirigente comunale e perciò non sostituibile.

Cosicché, al di fuori dei soli casi di valutazione ex post della sussistenza delle opere di urbanizzazione primaria, che comunque devono esistere per l’ammortizzazione del carico urbanistico, è una contraddizione in termini che in procedimento di amministrazione attiva di secondo grado vengano introdotti elementi di discrezionalità prima inesistenti perché spesi in sede di formazione degli strumenti urbanistici.

In sostanza, la decisione dirigenziale di non procedere con l’annullamento in autotutela di titoli abilitativi rilasciati in contrasto con la sostanziale disciplina urbanistica verrebbe a configurarsi come un’inammissibile deroga, o peggio ancora variante, al piano regolatore, adottata da soggetto incompetente e al di fuori dei procedimenti fissati dal legislatore a tutela di quel fascio di interessi pubblici che devono trovare composizione nella formazione del PRG.

Dal momento che i permessi di costruire non rispettosi del piano regolatore possono essere adottati dal dirigente solamente previa deliberazione del consiglio comunale e nei limiti fissati dall’art. 14 TUE, ecco che i titoli abilitativi rientranti nelle fattispecie dell’art. 14 TUE – a maggior ragione quelli esorbitanti, come quelli in violazione di vincoli ex lege – devono ritenersi inderogabilmente esclusi dall’ambito di operatività dell’art. 21-nonies L. 241/1990, in quanto gli enti locali possono valutare solamente l’interesse pubblico loro disponibile, o rimesso alla loro cura, purché in via preventiva rispetto all’adozione del titolo edilizio. E ciò a garanzia della genuinità della valutazione amministrativa, dimodoché sia il meno possibile influenzabile da condizionamenti o atti corruttivi di varia natura.

A tal proposito così ha stabilito il TAR Toscana, con sentenza n. 853/2011, riguardo alla deroga al vincolo ferroviario: <… In tale contesto la comparazione dei contrapposti interessi non può trovare spazio, in quanto l’interesse pubblico sotteso all’atto impugnato, coincidente con quello tipizzato e valorizzato dagli artt. 49 e 60 del D.P.R. n.753/1980, non è nella disponibilità del Comune e non si presta a sue valutazioni discrezionali>.

E nella materia urbanistica la disponibilità degli interessi pubblici in capo al Comune è stata limitata dal legislatore statale ai soli casi contemplati dall’art. 14 TUE e nei limiti in esso indicati, circoscrivendo la discrezionalità amministrativa in sede di attuazione degli strumenti urbanistici e quindi automaticamente limitando quel potere di amministrazione attiva di secondo grado di cui le disposizioni dell’art. 21-nonies L. 241/1990 costituiscono il recepimento degli approdi giurisprudenziali.

Pertanto, si è del fermo avviso che l’art. 21-nonies L. 241/1990 sia applicabile alla materia urbanistica solo per valutare ex post se le opere di urbanizzazione primaria sia state comunque realizzate o adeguate anche non contestualmente all’ultimazione dell’opera privata. In ciò perseguendo il preminente interesse pubblico a che la zona sia adeguatamente servita.

Diversamente opinando saremmo in presenza di un surrettizio condono edilizio, pianificatorio e finanche paesaggistico, in costanza della vigenza dell’istituto dell’accertamento di conformità ex art. 36 TUE.

E addirittura in presenza di una forma di reintroduzione, per altra via, della c.d. sanatoria giurisprudenziale espulsa dall’agere della P.A. con la sentenza n. 101/2013 della Corte costituzionale (red. Mattarella) ove venne costituzionalizzato il principio della c.d. doppia conformità anche nella declinazione di deterrente contro fenomeni corruttivi.

In ultimo, si ritiene fermamente che dell’errata applicazione dell’art. 21-nonies L. 241/1990 ai provvedimenti abilitativi edilizi ne debba rispondere il segretario comunale quale garante all’interno dell’ente locale della legalità dell’azione amministrativa e del contrasto ai fenomeni corruttivi esplicantesi in ogni loro forma.

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Scritto il 20 ottobre 2015