Rapporto tra uso dell’edificio ed i reati di abuso edilizio e lottizzazione abusiva

di Massimo GRISANTI

Non mi consta che sinora le Autorità giudiziarie, penali ed amministrative, – men che meno gli organi delle PP. AA. preposti alla vigilanza sull’attività edilizia – abbiano posto l’attenzione su una novità fondamentale del Testo Unico dell’Edilizia, ossia le implicazioni derivanti dalla trasposizione al suo interno delle disposizioni inerenti l’utilizzazione degli immobili, l’agibilità, fino ad allora contenute nel TULS approvato con RD 1265/1934.

Il TUE è strutturato in tre parti:

  • la <PARTE I – Attività edilizia>, comprendente gli articoli da 1 a 51;

  • la <PARTE II – Normativa tecnica per l’edilizia>, comprendente gli articoli da 52 a 135 bis;

  • la <PARTE III – Disposizioni finali>,i restanti articoli.

La Parte I riguarda, per l’appunto, l’attività edilizia e di essa fanno parte le disposizioni inerenti l’utilizzazione degli immobili (artt. 24 e 25).

A rafforzativo, nelle disposizioni generali dell’attività edilizia (artt. 1-5), il legislatore stabilisce che:

  • il testo unico contiene i principi fondamentali e generali e le disposizioni per la disciplina dell’attività edilizia (art. 1);

  • i Comuni, nell’ambito della propria autonomia statutaria e normativa di cui all’articolo 3 del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, disciplinano l’attività edilizia (art. 2); ed i regolamenti contengono, e devono contenere, norme sull’utilizzazione degli edifici;

  • lo sportello unico dell’edilizia provvede alla ricezione delle denunce di inizio attività e delle domande per il rilascio di permessi di costruire e di ogni altro atto di assenso comunque denominato in materia di attività edilizia, ivi compreso il certificato di agibilità.

Non vi può essere dubbio alcuno, quindi, che l’utilizzazione degli immobili, da permettersi mediante il certificato di agibilità espressamente qualificato atto di assenso ex art. 5 TUE, costituisca “attività edilizia”.

Così facendo il legislatore ha valorizzato la finalità dei titoli abilitativi, in quanto non avrebbe alcun senso – specie in considerazione della <concessione> comunale, contenuta negli strumenti urbanistici, ad utilizzare risorse comuni esauribili (territorio, paesaggio), il cui godimento particolare ex art. 42 Cost. deve essere improntato all’utilità sociale, mediante interventi incidenti sull’igiene dell’abitato, sulla salute e la sicurezza dei Cittadini, sulla salubrità dell’ambiente, sulla dotazione e sulla programmazione dei servizi essenziali di urbanizzazione – realizzare un’opera per lasciarla lì, inutilizzata, come un soprammobile.

Da qui la scelta che l’utilizzazione degli immobili deve essere qualificata come “attività edilizia”, la quale deve avvenire, in un sistema ordinato, in conformità al titolo abilitativo, rilasciato a sua volta in conformità alle leggi, ai regolamenti e agli (efficaci) strumenti urbanistici; a soggetti legittimati (onde evitare inutili conflitti sociali e l’inutile ricorso ai Giudici).

Del resto, come insegnano costantemente la Corte costituzionale, la Suprema Corte di Cassazione e il Consiglio di Stato, è l’utilizzazione degli immobili – conducente alla richiesta di quei servizi che il Comune deve garantire ex art. 13 TUEL – che può produrre disordine urbanistico.

E ciò avviene in contesti non pianificati, oppure non pianificati per gli usi esercitati e il carico urbanistico effettivamente riversato sul territorio, privi di quelle adeguate urbanizzazioni primarie (che stabiliscono la sostenibilità dell’insediamento) e secondarie (attinenti alla qualità della vita, bene immateriale a cui ha diritto il Cittadino) almeno nelle misure prescritte dal DM 1444/1968.

Ecco che nelle intenzioni del legislatore l’abusiva “attività edilizia” realizzativa – e tale è, ex art. 27 TUE, tanto quella radicalmente sine titulo, quanto quella posta in essere con titoli rilasciati in violazione della disciplina, sintomo della sussistenza di reati di abuso d’ufficio – si salda in un unicum inscindibile – nei casi più gravi, ovverosia per le opere necessitanti ex artt. 24 e 25 del certificato di agibilità – con la “attività edilizia” di utilizzazione della res abusiva.

Cosicché, in tali casi, l’utilizzazione dell’immobile costituisce ripresa della “attività edilizia” finalisticamente autorizzata, solamente interrotta con l’ultimazione dei lavori, e il dies a quo per l’inizio della decorrenza dei termini di prescrizione del reato (di abuso edilizio, paesaggistico, di lottizzazione abusiva) non può che coincidere con il giorno in cui la res abusiva cessi di essere utilizzata.

Fino a quando perdura l’utilizzazione di un immobile realizzato in contrasto con il complesso della disciplina urbanistica, il reato non inizia a prescriversi.

Così intesa la riforma della disciplina dell’attività edilizia operata con il TUE, alcun processo per abuso edilizio può concludersi nel nulla se perdura l’attività edilizia di utilizzazione di immobile abusivo.

Il legislatore statale, trasponendo le norme sull’agibilità dal TULS nel TUE, ha chiaramente voluto offrire mezzi ancor più incisivi alla Magistratura penale per combattere il fenomeno dell’abusivismo edilizio, nei confronti del quale i Comuni non solo non si sono mai impegnati a sufficienza (cfr. Corte costituzionale, sentenze n. 196/2004; n. 149/1999), ma addirittura, come nel caso della recente legislazione toscana (artt. 207 e 208 LRT 65/2014), hanno spinto la Regione – la quale, colpevolmente, non ha opposto valida resistenza all’indebita pressione esercitata – ad adottare norme di legge costituenti ignobili condoni edilizi extra ordinem (v. Corte costituzionale, sentenza n. 233/2015, che prossimamente sarà oggetto di analisi in ragione del rilevantissimo contenuto).

_______________________________________________________

Scritto il 13 dicembre 2015