di Luca RAMACCI
Pubblicata sulla rubrica "Ecolex" in La Nuova Ecologia Marzo 2007
Quando parliamo di ambiente ormai facciamo quasi esclusivamente riferimento ai rifiuti. Una materia che “tira” economicamente e mediaticamente.
Vi sono però settori della legislazione ambientale completamente dimenticati per semplice distrazione o perché è meglio non parlarne.
Mi riferisco alle disposizioni sugli incidenti rilevanti, quelle comunemente chiamate con il generico termine di “direttive Seveso” (siamo arrivati alla terza, la Seveso-ter).
Si tratta di disposizioni,varate per la prima volta nel 1988 e successivamente aggiornate, finalizzate ad impedire il verificarsi di eventi quale quello di Seveso, città ormai associata alla diossina.
Queste disposizioni sono applicabili agli stabilimenti che utilizzano determinate sostanze oltre certi quantitativi e prevedono una serie di adempimenti da parte delle industrie interessate.
Il problema è che, effettuati alcuni adempimenti formali, le aziende non devono fare praticamente altro. In caso di incidente dovrebbe scattare, invece, tutto un sistema di informazione e di intervento con la creazione di scenari tipo quelli che si vedono in certi film americani. Ma nei film c’è sempre il lieto fine, nella realtà non sempre è così.
Vi immaginate il responsabile di uno stabilimento che, verificatosi un incidente (e sapendo di aver violato qualche legge) si attiva subito per segnalare l’accaduto, praticamente autodenunciandosi? E le autorità locali, preoccupate per l’immagine e le conseguenze politiche della vicenda, che avvertono tempestivamente i cittadini del rischio che stanno correndo?
Io, con tutta la buona volontà non ci riesco e non mi meraviglio che, dal 1988 ad oggi, si ricordi un solo processo per la violazione di queste disposizioni. Un processo finito, manco a dirlo, con un’assoluzione e che viene segnalato anche per la testimonianza di un funzionario ministeriale che non ebbe difficoltà ad illustrare la confusione regnante negli uffici preposti alla trattazione delle pratiche.
L’Italia, però, è piena di impianti soggetti a queste disposizioni. Solo a Marghera, se non ricordo male, ce ne sono una trentina. Incidenti ne sono capitati, ogni tanto, per fortuna senza conseguenze, come quello del 2002 che stava per interessare gli impianti contenenti fosgene, un gas che nella prima guerra mondiale venne efficacemente usato come aggressivo chimico: nel 1917, ad esempio, con 900 Kg di fosgene i tedeschi ammazzarono 800 militari italiani. A Marghera, si disse dopo l’incidente, ce ne erano 45 tonnellate.
Il fatto di non pensarci, quindi, non è proprio la soluzione migliore.