Consiglio di Stato Sez. VI n.902 del 5 febbraio 2025
Ambiente in genere. Tutela dell'ambiente e del paesaggio 

Le amministrazioni preposte alla tutela del paesaggio e dell’ambiente esercitano una discrezionalità amplissima, in quanto correlata a valori primari di rango costituzionale ed internazionale, rispetto ai quali la ponderazione degli interessi privati non deve essere giustificata neppure allo scopo di dimostrare che il sacrificio imposto sia stato contenuto al minimo possibile, collocandosi tale valutazione all’interno della tutela costituzionale del paesaggio. Ne consegue che, gravando la tutela ambientale e paesaggistica su un bene complesso ed unitario, anche se non necessariamente omogeneo (non a caso questo termine è stato espunto dalla legge), l’avvenuta edificazione, il degrado, l’antropizzazione di una determinata area non costituiscono ragioni sufficienti per recedere dall’intento di proteggere i valori estetici e culturali ad essa legati, per i profili espressivi di “identità” ambientale, storico e paesaggistica che vi si ritrovano. Il nuovo testo dell’art. 9 Cost., come novellato dalla legge costituzionale 11 febbraio 2022, n. 1, depone nel senso della maggiore, e non minore, tutela dei valori ambientali e paesaggistici nell’ottica della salvaguardia delle generazioni future e dello sviluppo sostenibile, sicché l’interpretazione delle disposizioni che disciplinano i procedimenti in materia di ambiente e paesaggio dovrebbe essere orientata nel senso di conseguire tale obbiettivo di fondo e quindi accrescere e non diminuire il livello di protezione effettiva di tali valori

Pubblicato il 05/02/2025

N. 00902/2025REG.PROV.COLL.

N. 06145/2023 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 6145 del 2023, proposto da
Laura Paneni e Alessandra Paneni, rappresentate e difese dagli avvocati Sergio Gostoli e Alessandro Falasca, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato Alessandro Falasca in Roma, via Vittorio Veneto, 116;

contro

Regione Lazio, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall'avvocato Rosa Maria Privitera, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
Roma Capitale, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall'avvocato Giorgio Pasquali, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;

per la riforma

della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Quinta) n. 1809/2023, resa tra le parti;


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio della Regione Lazio e di Roma Capitale;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 30 gennaio 2025 la Cons. Gudrun Agostini e uditi per le appellanti gli avvocati Sergio Gostoli e Alessandro Falasca.

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO

1. Con il ricorso in appello si chiede la riforma della sentenza del T.A.R. per il Lazio, (Sezione Quinta). n. 1809/2023, che ha respinto il ricorso R.G. 6995/2015 proposto per l’annullamento della deliberazione della Giunta Regionale del Lazio n. 649 del 7 ottobre 2014 ad oggetto: <Dichiarazione di notevole interesse pubblico paesaggistico ambito “Agro romano occidentale zona del fosso della Quistione e tenuta della Massa Gallesina lungo la via Aurelia e via di Casal Selce” sito all’interno di Roma Capitale> e il parere espresso sull’osservazione cod. CD058169SI0003O1 presentata dalle ricorrenti con prot. n. 711 del 2 gennaio 2014.

2. In punto di fatto le appellanti, riassuntivamente, espongono che:

- con proposta di vincolo, pubblicata in data 8.12.2013 presso l’Albo Pretorio di Roma Capitale, l’Amministrazione regionale ha dato avvio alla procedura finalizzata alla perimetrazione, ai fini della “dichiarazione di notevole interesse pubblico”, di n. 7 ambiti del territorio comunale di Roma ritenuti di particolare pregio paesistico;

- all’interno dell’area perimetrata quale ambito n. 2, contraddistinto come “Agro romano occidentale zona del fosso della Quistione e Tenuta della Massa Gallesina lungo la Via Aurelia e Via di Casal Selce”, sostanzialmente antropizzata e caratterizzata da una molteplicità di insediamenti a varia destinazione d’uso, insiste il lotto di loro proprietà, sito in via Augusto Persichetti n. 92, censito al Catasto terreni, al Foglio 345, partt. 345, 66, 67 e 68, con vocazione anche residenziale;

- tale area era già ricompresa nel PTP 15/4 “Arrone Galeria” tra le zone “di tutela paesaggistica, sottozona di tutela dei paesaggi agrari di media estensione”;

- in seguito all’adozione della proposta, in data 2.1.2014, hanno presentato osservazioni procedimentali per evidenziare come l’Amministrazione procedente si sia limitata passivamente a recepire le analisi della pianificazione paesaggistica regionale senza aver preso in considerazione il reale stato dei luoghi e, quindi, l’estesa antropizzazione dell’ambito a causa della presenza di numerose abitazioni residenziali e corpi di fabbrica ad uso industriale ed artigianale nonché la sostanziale perdita della vocazione agricola di origine, per la sostanziale assenza di colture agricole, dando quindi seguito ad una iniziativa di vincolo in carenza di presupposti, immotivata e contraria alle finalità stesse della normativa attributiva del potere;

- nonostante le articolate osservazioni, l’Amministrazione, disattendendo il contributo partecipativo reso dalla parte privata, ha concluso la procedura di dichiarazione di interesse pubblico dell’ambito, adottando la deliberazione della Giunta Regionale del Lazio n. 649 del 7 ottobre, 2014, pubblicata sul BURL n. 84 del 21.10.2014.

3. Ritenendo il provvedimento illegittimo e lesivo dei propri interessi le odierne appellanti hanno promosso ricorso straordinario al Capo dello Stato che è stato successivamente trasposto in sede giudiziaria, con riassunzione, del ricorso avanti al Tar Lazio. Il ricorso era affidato a tre motivi di doglianza per censurare eccesso di potere, carenza di istruttoria e motivazione nonché sviamento e travisamento.

4. All’esito del giudizio, il Tar Lazio, con la qui appellata sentenza, ha respinto il ricorso evidenziando che si versa in ambito di potere di natura tecnica e discrezionale che nello specifico poggia su un’ampia attività tecnico istruttoria riportata nella relazione illustrativa e che le ricorrenti si sono limitate a mere allegazioni senza fornire alcuna prova documentale idonea a dimostrare l’illogicità delle conclusioni cui è pervenuta la relazione illustrativa in ordine alla necessità di tutela ai fini del mantenimento dei caratteri identitari dei luoghi.

5. Ne è seguito l’odierno appello affidato a tre motivi di impugnazione, così rubricati:

I “Omissione, carenza, erroneità della motivazione e travisamento dei fatti in relazione al I motivo del ricorso al Tar; violazione dell'art. 97 Cost.; violazione degli artt. 1, 2 e 3 L. 241/90”.

II “Omissione, carenza, erroneità della motivazione e travisamento dei fatti in relazione al II motivo del ricorso al Tar; omessa pronuncia su un punto decisivo della controversia; violazione dell'art. 97 Cost.; violazione degli artt. 1, 2 e 3 L. 241/90”.

III “Omissione, carenza, erroneità della motivazione e travisamento dei fatti in relazione al II motivo del ricorso al TAR; omessa pronuncia su un punto decisivo della controversia”.

6. Si sono costituiti in giudizio di appello in resistenza Roma Capitale, in data 18.7.2023, e la Regione Lazio, il 2.8.2023. Nei termini di rito le parti hanno depositato memorie difensive ex art. 73, comma 1, c.p.a. per illustrare le rispettive posizioni. Roma Capitale ha eccepito il proprio difetto di legittimazione passiva, motivato dal fatto che risulta impugnato un provvedimento della Regione Lazio. Le appellanti hanno depositato anche una memoria di replica.

7. All’udienza pubblica del 30 gennaio 2025 il ricorso è stato trattenuto in decisione.

DIRITTO

1. In via preliminare va accolta l’eccezione di difetto di legittimazione passiva di Roma Capitale, dalla stessa sollevata. In effetti, oggetto dell’impugnazione è un atto deliberativo della Regione Lazio, assunto su iniziativa congiunta della Direzione Regionale per i Beni Culturali e Paesaggistici del Lazio, della Soprintendenza per i Beni Architettonici e Paesaggistici per il Comune di Roma e della Regione Lazio, in conformità alla valutazione dalla Commissione Provinciale espressa in data 6 marzo 2013, al quale è rimasta estranea Roma Capitale. Va pertanto disposta l’estromissione di Roma Capitale dal presente giudizio.

2. Si può quindi passare allo scrutinio dei motivi di appello che sono finalizzati a rimettere in esame gli originari motivi di ricorso e con essi i rilievi formulati nelle osservazioni oppositive che, a dire delle appellanti, sarebbero rimasti privi di un riscontro concreto essendosi la Regione Lazio limitata a ribadire il contenuto della relazione illustrativa.

2.1. Con il primo mezzo di gravame le ricorrenti lamentano il difetto di istruttoria e di motivazione della deliberazione di imposizione del vincolo di notevole interesse pubblico, nella parte in cui ingloba anche le aree di loro proprietà.

A tale riguardo ricordano di aver obiettato in sede procedimentale che:

- i valori ai quali si riferisce l’Amministrazione ai fini del vincolo sarebbero, in realtà, in gran parte irreperibili nella porzione di territorio interessata dalla perimetrazione;

- la “stretta fascia” a ridosso della via Aurelia ingloba moltissime edificazioni, soprattutto di natura civile, che non hanno alcuna inerenza con l’attività agricola;

- la considerazione in merito alla presenza dei soli “insediamenti produttivo-commerciali” non fotografa la realtà dei luoghi;

- la relazione illustrativa sembra non essere fondata su un’effettiva ed accorta analisi condotta “sul terreno”, quanto piuttosto sulle risultanze della pianificazione sovra comunale che riportano uno stato di fatto non più attuale.

Sostengono, quindi, che il procedimento di imposizione del vincolo dovrebbe partire non da deduzioni astratte ma da una effettiva considerazione dello stato di fatto del rapporto tra valore che si intende tutelare e presenza antropica, operando un compendio tra le diverse istanze in ossequio ai principi generali contenuti nella l. 7 agosto 1990, n. 241. Non sarebbe stata analizzata la possibile interferenza tra l’imposizione di un vincolo aeroportuale sulla porzione di terreno in contrasto con i valori che si intendono preservare e neppure considerata la proposta di graduazione del vincolo – con stralcio delle aree già compresse. Ritengono che il provvedimento impugnato si porrebbe in palese contrasto con i principi giurisprudenziali espressi in ambito di imposizione di vincoli di cui all’art. 136 D.lgs. 42/04 che richiedono la ragionevolezza e proporzionalità della misura.

Non basterebbe un interesse culturale o paesistico semplice ma vi dovrebbe essere un interesse particolarmente “rilevante” fuori dal comune, che nella specie sarebbe assente. Mancherebbe inoltre l’esposizione delle specifiche ragioni per le quali la Commissione ha ritenuto opportuno proporre il vincolo in oggetto nonostante le valutazioni già effettuate, in sede di pianificazione paesistica con l’adozione del PTPR del 2007, dalla Regione Lazio che non aveva ravvisato la necessità di imporre sul comprensorio in oggetto alcun vincolo di natura paesistica. Ritengono la descrizione delle aree estremamente generica con l’aggiunta di alcune “formule di stile” che potrebbero adattarsi a qualsiasi altra porzione dell'agro romano. Insistono nel sostenere che l'estensione del vincolo imporrebbe un'adeguata dimostrazione, non soltanto del pregio di specifici ambiti in esso ricompresi, ma anche delle eccezionali caratteristiche di omogeneità dell'intero territorio oggetto di tutela e che mancherebbe del tutto un qualsiasi approfondimento sulle reali caratteristiche del territorio considerato, del quale vengono ignorate le odierne ed effettive condizioni naturalistiche, ambientali e geomorfologiche ed anche urbanistiche con le trasformazioni in atto o in fieri nonché le forme di tutela già esistenti. Non sarebbe ravvisabile una seria e rigorosa indicazione delle c.d. “bellezze d’insieme” con la puntuale - e non generica - localizzazione delle stesse, così da rendere possibile una esatta ricostruzione dell’iter valutativo compiuto dall’Amministrazione in sede di individuazione della zona vincolata (cfr. sul punto TAR Lazio, 16.9.98, n. 1428).

2.2. Con la seconda censura si critica la sentenza nella parte in cui il T.a.r. ha affermato che sarebbe stato onere delle ricorrenti provare la “compromissione” dell’originaria integrità agricola dell’area. Ribadiscono a tale riguardo che spetta alla P.A. procedente dimostrare, alla luce delle disposizioni previste dagli art. 135 e ss. D. Lgs. n. 42/04, il “notevole interesse pubblico” dell’area oggetto della proposta, tenendo conto dei valori storici, culturali, naturali, morfologici ed estetici espressi dagli immobili di riferimento e della valenza identitaria del territorio considerato. Tale verifica si rivelerebbe ancora più necessaria nel caso in esame per il fatto che il terreno delle ricorrenti, in base al PTPR della Regione Lazio (all’epoca già adottato), non era interessato da vincoli cogenti, pertanto vi sarebbe richiesto un obbligo motivazionale rafforzato. Lamentano di aver fornito numerosi elementi probatori a riprova delle varie critiche rivolte alla relazione (così il contrasto con la norma tecnica del PTP 15/4 “Arrone Galera”) e per documentare la non corrispondenza del reale stato dei luoghi con quanto affermato nella relazione (ad es. le torri isolate, casali agricoli, aree coltivate spesso contornate da aree boschive) e l’avvenuta approvazione di un progetto per un impianto di produzione di compost di qualità da raccolta differenziata di rifiuti urbani.

2.3. Con il terzo motivo si deduce l’omessa pronuncia sotto il profilo sostanziale sulle osservazioni presentate e la violazione del principio di buon andamento dell’Amministrazione in presenza di legittime aspettative, nel caso di specie derivanti dalla pendenza di pratiche di condoni edilizi che avrebbero dovuto indurre a prendere in considerazione la graduazione del vincolo.

3. I motivi - in ragione dell’intima connessione - possono essere congiuntamente esaminati.

3.1. Per le ragioni che si andranno ad esporre, il Collegio ritiene che le valutazioni riportate nella relazione illustrativa a fondamento dell’imposizione del vincolo delle aree perimetrate, che si inseriscono in un più esteso ambito di tutela dell’Agro romano, si basino su una solida istruttoria e non evidenzino elementi di contraddittorietà, irragionevolezza ed illogicità e ritiene altresì che la scelta operata dall’amministrazione non sia manifestamente inattendibile sul piano metodologico.

3.2. Prima di entrare nel merito del caso specifico, occorre - anche in questa sede di gravame – confermare che, in relazione all’oggetto della presente causa, ossia l’imposizione di una “dichiarazione di notevole interesse pubblico” ai sensi dell’art. 136, comma 1, lett. c) e d), del D. Lgs. n. 42/2004 (“Codice dei beni culturali e del paesaggio”), il giudizio che vi presiede è, in rapporto al principio fondamentale dell’art. 9 Cost., un giudizio connotato da un’ampia discrezionalità tecnico-valutativa e come tale si sottrae al sindacato giurisdizionale, salvo sia basato su un percorso argomentativo travisante o incongruo rispetto alla tecnica stessa o risulti oggettivamente inattendibile (tra le tante, Cons. Stat. Sez. VI, n. 5522/2024; Sez. VI, n. 999/2015).

Come inoltre chiarito da giurisprudenza oramai consolidata (Cons. St.: sez. V, 22 marzo 2012, n. 1640; sez. IV, 5 luglio 2010, n. 4246; sez. V, 12 giugno 2009, n. 3770, Corte giust., 25 luglio 2008, C-142/07; Corte cost., 7 novembre 2007, n. 367), le amministrazioni preposte alla tutela del paesaggio e dell’ambiente esercitano una discrezionalità amplissima, in quanto correlata a valori primari di rango costituzionale ed internazionale, rispetto ai quali la ponderazione degli interessi privati non deve essere giustificata neppure allo scopo di dimostrare che il sacrificio imposto sia stato contenuto al minimo possibile, collocandosi tale valutazione all’interno della tutela costituzionale del paesaggio. Ne consegue che, gravando la tutela ambientale e paesaggistica su un bene complesso ed unitario, anche se non necessariamente omogeneo (non a caso questo termine è stato espunto dalla legge), l’avvenuta edificazione, il degrado, l’antropizzazione di una determinata area non costituiscono ragioni sufficienti per recedere dall’intento di proteggere i valori estetici e culturali ad essa legati, per i profili espressivi di “identità” ambientale, storico e paesaggistica che vi si ritrovano.

Il nuovo testo dell’art. 9 Cost., come novellato dalla legge costituzionale 11 febbraio 2022, n. 1, depone nel senso della maggiore, e non minore, tutela dei valori ambientali e paesaggistici nell’ottica della salvaguardia delle generazioni future e dello sviluppo sostenibile, sicché l’interpretazione delle disposizioni che disciplinano i procedimenti in materia di ambiente e paesaggio dovrebbe essere orientata nel senso di conseguire tale obbiettivo di fondo e quindi accrescere e non diminuire il livello di protezione effettiva di tali valori (Cons. di Stato, Sez. IV n. 2836/2023; Cons. di Stato, Sez. VII n. 6578/2023).

Invero, a differenza delle scelte politico-amministrative (c.d. «discrezionalità amministrativa») ‒ dove il sindacato giurisdizionale è incentrato sulla ‘ragionevole’ ponderazione degli interessi, pubblici e privati, non previamente selezionati e graduati dalle norme - nel caso di valutazioni dei fatti complessi richiedenti particolari competenze (c.d. «discrezionalità tecnica»), come in ispecie, difettando parametri normativi a priori che possano fungere da premessa del ragionamento sillogistico, il giudice non ‘deduce’ ma ‘valuta’ se la decisione pubblica rientri o meno nella (ristretta) gamma delle risposte maggiormente plausibili e convincenti alla luce delle scienze rilevanti e di tutti gli altri elementi del caso concreto.

3.3. Sotto il profilo normativo, si dà atto che l’art. 138, comma 1, del D.Lgs. 42/2004, prevede che “le Commissioni di cui all’articolo 137 (…) acquisite le necessarie informazioni attraverso le soprintendenze e i competenti uffici regionali e provinciali e consultati i comuni interessati nonché, ove opportuno, esperti della materia, valutano la sussistenza del notevole interesse pubblico, ai sensi dell’art. 136, degli immobili e delle aree (…) e propongono alla regione l’adozione della relativa dichiarazione. La proposta è formulata con riferimento ai valori storici, culturali, naturali, morfologici, estetici espressi dagli aspetti e caratteri peculiari degli immobili o delle aree considerati ed alla loro valenza identitaria in rapporto al territorio in cui ricadono, e contiene proposte per le prescrizioni d’uso intese ad assicurare la conservazione dei valori espressi”.

E’ quindi chiaro che le proposte di vincolo provenienti dalla Commissione competente costituiscono sempre l’esito di un lavoro (e di un’analisi tecnico-scientifica) svolto di concerto fra diversi soggetti pubblici, che tiene conto esclusivamente dei valori intrinsechi dei beni e delle aree e della loro valenza identitaria, in rapporto al territorio di riferimento.

3.4. Nella fattispecie in esame il vincolo dichiarativo, avente ad oggetto i diversi ambiti territoriali enunciati nella Relazione, è stato apposto su una più vasta area, considerata e rappresentata in maniera unitaria in funzione della finalità della tutela, e identificata specificatamente dalla presenza delle “tenute storiche” individuate, “condotte a pascolo o a seminativo che conservano i valori storico paesaggistici dell’ambiente agricolo”, costituenti un complesso unitario.

Nella Relazione generale allegata alla proposta di vincolo sono indicate le motivazioni che hanno determinato la scelta di tutela, riassunte in un “elevato livello di qualità paesaggistica ed un buono stato di conservazione degli originari caratteri identitari dei luoghi”, nonostante vi siano “porzioni puntuali” del territorio interessate da processi di trasformazione.

Come ha sottolineato la difesa regionale e come emerge anche dalla relazione accompagnatoria, la scelta di tutela è scaturita dalla esistenza di criticità presenti nel territorio di Roma, evidenziate dalla Direzione Regionale per il Paesaggio del MiBACT. L’individuazione dell’ambito da sottoporre a vincolo è stata fatta congiuntamente dalla Regione e dal MiBACT ed è stata confermata dalla Commissione provinciale di Roma, al fine di garantire la tutela delle porzioni residue dell’Agro romano non ancora antropizzate o interessate solo in parte da trasformazioni urbanistiche. In considerazione del fenomeno della urbanizzazione, spesso abusiva, si è scelto di non escludere del tutto dal perimetro del vincolo le porzioni parzialmente edificate, al fine di mantenere un controllo paesaggistico sulle trasformazioni in atto e/o da attuare, “e garantire il mantenimento dei valori d’insieme riconosciuti all’interno dell’ambito da tutelare”.

Quanto all’esistenza di procedimenti edilizi in essere, ed in particolare quelli relativi alle istanze di condono, l’Amministrazione ha chiarito nel parere di controdeduzione che “la commissione di abusi non preclude né ha effetto retroattivo sulla qualificazione paesaggistica delle aree interessate (…)”.

Come risulta dalla Relazione tecnica di sintesi allegata alla deliberazione, il territorio considerato è quello della “Campagna Romana”, specificatamente delimitato al capitolo I – Declaratoria del Perimetro, dove “L’urbanizzazione incontrollata dell’agro non ha impedito il mantenimento di alcune tenute “storiche” condotte a pascolo o a seminativo che conservano i valori storico paesaggistici dell’ambiente agricolo”. Il territorio è caratterizzato, con riguardo ai peculiari caratteri paesaggistici, dalla presenza delle “torri isolate sulle sommità delle pendici collinari e i casali agricoli, con aree coltivate spesso contornate da aree boscate, che si alternano ai più modesti insediamenti della cintura periurbana”. Il territorio “conserva un paesaggio agrario sostanzialmente integro”, salvo una fascia a ridosso della statale Aurelia occupata da insediamenti produttivo – commerciali, “anche in relazione alla presenza dei numerosi edifici rurali, tuttora in esercizio, dove le colture agricole costituiscono la copertura vegetale dominante (…)”.

Il paesaggio oggi non dev’essere limitato al significato, meramente estetico, di bellezza naturale, ma va inteso come “complesso dei valori inerenti al territorio” (cfr. Corte cost., n. 379/1994), mentre il termine “paesaggio” indica essenzialmente l’ambiente complessivamente considerato come bene “primario” ed “assoluto” (così Corte cost., sentenze del 5 maggio 2006 nn. 182 e 183), necessitante di una tutela unitaria e supportata pure da competenze regionali, nell’ambito degli standard stabiliti dallo Stato (così Corte cost., sent. 22 luglio 2004 n. 259) in quanto, mediante l’imposizione dei vincoli paesistici, si garantisce la tutela del paesaggio ed anche dell’ambiente (cfr. Cons. Stato, sezione VI, sent. 22 marzo 2005 n. 1186).

La presenza di zone degradate dall’edilizia abusiva, lungi dal giustificare l’ulteriore compromissione del territorio, radica invece proprio la necessità di riqualificazione, che costituisce uno degli obiettivi del provvedimento, ed anzi qualifica peculiarmente, sotto il profilo dell’interesse pubblico, l’intervento della Regione Lazio. Pertanto, la presenza di insediamenti di poco pregio e la presenza di diverse abitazioni civili non dimostra assolutamente un’insufficiente istruttoria ed una carenza di presupposti che sarebbero stati necessari per classificare l’area come “paesaggio agrario di rilevante valore”.

Anche sotto il profilo della correttezza e della sussistenza dei presupposti di fatto gli obiettivi di tutela individuati appaiono corrispondenti alla situazione concreta. Come ricordato nella relazione di sintesi, si tratta di un ampio territorio che mantiene ancora alta la qualità paesaggistica della campagna romana sia sotto il profilo paesaggistico che per la presenza di un paesaggio agrario sostanzialmente integro anche in relazione alla presenza di numerosi edifici rurali tuttora in esercizio, dove le colture agricole costituiscono la copertura vegetale dominante, relegando la vegetazione naturale spontanea alle parti più acclivi delle valli e alle sponde dei corsi d'acqua, come rilevato dalle cartografie storiche e recenti (Carta dell'Agro, PRG 1965, Variante al PRG 1965, PRG 2003, PRG 2008, PTP, PTPR). La campagna romana è un luogo riconosciuto dalla memoria collettiva proprio perché ha mantenuto attraverso i secoli i suoi lineamenti fisici ed insediativi come provato dalle tracce di secoli di produzione artistica e letteraria ed alla documentazione amministrativa descrittiva del territorio (mappe catastali e censuarie ecc.). Nonostante le ferite cagionate dall’edilizia spontanea, si tratta di un terreno che ancora conserva i tratti tipici del paesaggio agrario romano.

La finalità del provvedimento di tutela – l’arresto dell’indiscriminato consumo del territorio – appare legittimo sul piano degli interessi pubblici generali, in quanto l’ulteriore espansione edilizia in periferia consumerebbe enormi quantità di terreno agricolo di notevole pregio, e secolare valore, mentre il riconoscimento del valore intrinseco del bene che giustifica il vincolo garantisce la conservazione di un ambito finora non ancora del tutto compromesso da scelte pianificatorie o di sviluppo urbanistico.

Quanto al lamentato difetto di istruttoria e di motivazione, la corposità e la puntualità della relazione istruttoria della proposta e soprattutto della relazione di sintesi allegata al provvedimento ripercorrono analiticamente i caratteri geomorfologici, i profili storici e culturali, i singoli sistemi paesaggistici che fanno capo agli scenari interessati. Dà conto, sia complessivamente che analiticamente delle osservazioni dei privati e puntualizza le ragioni per le quali non ritiene discostarsi dalle scelte operate. Del tutto legittimamente sono state peraltro utilizzati i dati delle pianificazioni e le mappe digitali di Google Earth, che permettono di confrontare situazioni in atto anche con riguardo a diversi periodi storici.

3.5. Tra l’altro, rispetto a questa ampia relazione istruttoria le appellanti si sono limitate ad affermazioni del tutto generiche in ordine ad asseriti estesi processi di antropizzazione delle aree da loro ritenute non meritevoli di tutela, senza fornire alcun principio di prova (rappresentazione fotografica del paesaggio in contestazione, perizia professionale o quant’altro) che dia conto del reale stato dei luoghi e che dimostri che esso non corrisponda alla situazione rappresentata nella relazione illustrativa che dà atto della presenza di edificazioni anche di natura non agricola.

Pertanto, come affermato in giurisprudenza, ove l’interessato non ottemperi all’onere di mettere seriamente in discussione l’attendibilità tecnico-scientifica della valutazione amministrativa e si fronteggino opinioni divergenti parimenti plausibili, il giudice deve far prevalere la posizione espressa dall’organo istituzionalmente competente ad adottare la decisione (Cons. Stato, Sez. VII, n. 6578/2023; Cons. Stato, sez. VI, n. 8167/2022).

Le appellanti non hanno assolto l’onere su di loro gravante di dimostrare che il vincolo imposto per la preservazione dei valori identitari considerati in concreto non sia più utile e necessario. A tale fine, il Collegio ritiene del tutto insufficiente, e quindi non idoneo, il documento grafico descrittivo depositato in prime cure in cui si propone una perimetrazione alternativa che, oltre alle molteplici aree evidenziate come già escluse in sede di istruttoria, escluda anche i terreni di proprietà delle appellanti andando così a spezzare in due settori l’ambito di tutela unitario individuato dall’Amministrazione preposta.

4. Per le ragioni esposte e previa estromissione di Roma Capitale, l’appello deve essere rigettato.

Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come da dispositivo. Ricorrono giustificati motivi per disporre la compensazione delle spese nei confronti di Roma Capitale.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta), definitivamente pronunciando sull'appello come in epigrafe proposto, lo respinge come in motivazione e dispone l’estromissione di Roma Capitale dal giudizio.

Condanna le appellanti, in solido, a rifondere le spese di lite del presente grado di giudizio in favore della Regione Lazio che si liquidano in euro 4.000,00 (quattromila/00), oltre agli accessori di legge. Spese compensate nei confronti di Roma Capitale.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 30 gennaio 2025 con l'intervento dei magistrati:

Carmine Volpe, Presidente

Roberto Caponigro, Consigliere

Giovanni Gallone, Consigliere

Roberta Ravasio, Consigliere

Gudrun Agostini, Consigliere, Estensore