TAR Emilia Romagna (BO), Sez. I, n. 504, del 12 maggio 2014
Urbanistica.Vincolo di destinazione delle aziende ricettive
L’introduzione, da parte di una normativa di rango primario, di un vincolo alberghiero trova giustificazione negli artt. 41, terzo comma, e 42, secondo comma, della Costituzione, che rispettivamente consentono alla legge di «funzionalizzare» a fini sociali sia la libera attività economica sia la proprietà privata. Nell’esercizio della sua discrezionalità regolativa il legislatore, statale e regionale, ha inteso attuare la “funzionalizzazione” della proprietà alberghiera, mediante la previsione dell’immodificabilità della destinazione d’uso impressa ai relativi compendi immobiliari, se non previa dimostrazione, da parte degli interessati alla rimozione del vincolo, della “non convenienza” della gestione delle strutture turistiche. Ebbene, indiscutibilmente siffatta economicità deve essere apprezzata in termini oggettivi, ancorando cioè la valutazione delle effettive potenzialità economiche dell’azienda alle sue peculiari caratteristiche fisiche, spaziali e funzionali, a nulla rilevando, per contro, le soggettive capacità organizzative dell’imprenditore. (Segnalazione e massima a cura di F. Albanese)
N. 00504/2014 REG.PROV.COLL.
N. 00243/2009 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Emilia Romagna
(Sezione Prima)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso n. 243 del 2009 proposto da Valentina Crociati, rappresentata e difesa dall’avv. Giancarlo Migani, dall’avv. Andrea Balzani e dall’avv. Gianni Migani, ed elettivamente domiciliata in Bologna, via Marsili n. 15, presso lo studio dell’avv. Luciana Petrella;
contro
il Comune di Rimini, in persona del Sindaco p.t., rappresentato e difeso dall’avv. Maria Assunta Fontemaggi ed elettivamente domiciliato in Bologna, strada Maggiore n. 31, presso lo studio dell’avv. Francesco Bragagni;
per l'annullamento
della deliberazione n. 13 del 24 gennaio 2008, con cui il Consiglio comunale di Rimini ha adottato la variante normativa al PRG denominata “progetto integrato della zona portuale e delle aree limitrofe per la riqualificazione delle strutture ricettive”;
della deliberazione n. 105 del 20 novembre 2008, con cui il Consiglio comunale di Rimini ha approvato la suindicata variante normativa;
di ogni altro atto presupposto, conseguente o successivo.
Visto il ricorso con i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio del Comune di Rimini;
Visti gli atti tutti della causa;
Nominato relatore il dott. Italo Caso;
Uditi, per le parti, alla pubblica udienza del 16 aprile 2014 i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue:
FATTO e DIRITTO
Con deliberazione n. 13 del 24 gennaio 2008 il Consiglio comunale di Rimini adottava la variante normativa al PRG denominata “progetto integrato della zona portuale e delle aree limitrofe per la riqualificazione delle strutture ricettive”. La ricorrente, proprietaria di edificio a destinazione alberghiera (dotato di sole 14 camere) ubicato in località Torre Pedrera e con attività svolta fino all’anno 2002, rilevava come l’art. 22-bis delle n.t.a. del piano regolatore («Strutture ricettive alberghiere - Modalità di rimozione del vincolo e di modifica della destinazione d’uso») subordinasse la trasformazione in residenza, per le strutture con non più di 25 camere e ricadenti nella zona contraddistinta come “fascia 1”, alla condizione che la relativa attività fosse cessata alla data del 10 settembre 1999, e perciò proponeva un’osservazione all’Amministrazione comunale affinché fosse eliminato il vincolo temporale suindicato o che, quanto meno, venisse consentita la modifica da struttura alberghiera tradizionale in residenza alberghiera o albergo residenziale, così venendo superata l’ulteriore preclusione imposta dall’art. 4.4.1 delle n.t.a. del piano regolatore («zone alberghiere edificate - D1»); ma, respinta l’osservazione, l’Amministrazione comunale approvava la “variante” nei termini censurati dall’interessata (v. delib. cons. n. 105 del 20 novembre 2008).
Avverso i suindicati atti ha proposto impugnativa la ricorrente. Denuncia l’illegittimità della previsione di piano (22-bis n.t.a.) che subordina la rimozione del vincolo alberghiero, per le strutture ricettive con non più di 25 camere e ubicate in c.d. “fascia 1”, alla condizione dell’intervenuta cessazione dell’attività alla data del 10 settembre 1999, in quanto condizione rivelatrice dell’introduzione di un vincolo permanente ed assoluto, in contrasto con la legge reg. n. 28 del 1990; censura, inoltre, l’art. 4.4.1 delle n.t.a. del piano regolatore («zone alberghiere edificate - D1»), laddove esclude – tra le destinazioni ammesse – le “nuove residenze turistico-alberghiere” e i “nuovi residence”, in quanto previsione che indebitamente restringerebbe le tipologie di strutture ricettive alberghiere previste dalla legge reg. n. 16 del 2004. Di qui la richiesta di annullamento degli atti impugnati.
Si è costituito in giudizio il Comune di Rimini, resistendo al gravame.
All’udienza del 16 aprile 2014, ascoltati i rappresentanti delle parti, la causa è passata in decisione.
Vanno innanzi tutto disattese le eccezioni processuali sollevate dalla difesa dell’Amministrazione comunale. Non costituisce, invero, motivo di inammissibilità la circostanza che la ricorrente non avesse a suo tempo impugnato la variante di PRG che nel 2000 aveva dato una prima regolamentazione al vincolo alberghiero – disciplina su cui si sono poi innestate alcune modifiche introdotte con la variante ora censurata –, in quanto l’attività della ricorrente è cessata solo nel 2002 e quindi difettava a quel tempo l’interesse ad impugnare previsioni che si rivelavano prive di carattere lesivo, mentre il nuovo testo della norma (art. 22-bis delle n.t.a.), seppur solo in parte mutato rispetto al precedente, reca e fa propria una disciplina che a questo punto assorbe in toto anche le prescrizioni parzialmente sopravvissute, come un tutto indistinto, e le rende quindi direttamente lesive e tuttora impugnabili, tanto più che l’interessata aveva proposto (con questioni poi dedotte in giudizio) un’osservazione in tema di limiti alla rimozione del vincolo alberghiero e che l’Amministrazione comunale l’aveva motivatamente respinta. Né, poi, rileva l’omessa notificazione del ricorso alla Provincia di Rimini, posto che le varianti specifiche ex art. 15, comma 4, della legge reg. n. 47 del 1978, lungi dal rientrare nello schema dell’atto complesso plurisoggettivo, si configurano come atto unisoggettivo – di esclusiva competenza comunale –, con la conseguenza che solo il Comune è legittimato passivo nel ricorso proposto avverso le stesse (v. TAR Emilia-Romagna, Bologna, Sez. I, 2 marzo 2000 n. 238).
Nel merito, il ricorso è parzialmente fondato.
Va premesso che, in tema di vincoli alberghieri, la giurisprudenza ha elaborato un orientamento oramai consolidato. In particolare, si è detto che “…occorre notare come la questione della durata dei vincoli di destinazione alberghiera sia stata esaminata dalla Corte costituzionale, con la sentenza n. 4 del 28 gennaio 1981 dove, dichiarando la illegittimità costituzionale dell’art. 5 del d.1. 27 giugno 1967, n. 460, convertito nella legge 28 luglio 1967, n. 628, il giudice delle leggi si è espresso per la intrinseca natura temporalmente limitata dei vincoli per l’uso alberghiero di un immobile. Tali vincoli, in via di principio legittimi, in quanto espressione di “un diverso approccio del legislatore al modo di vincolare l’uso dell’immobile, e di instaurare quel controllo sulla proprietà e l’iniziativa privata, che costituisce il riflesso dell’interesse, e quindi dello stesso aiuto pubblico, all’espansione e al miglioramento dei servizi turistici”, hanno ragione di esistere in ragione di esigenze concrete e sono destinati naturalmente ad affievolirsi. Pertanto, le discriminazioni introdotte con un regime vincolistico troppo lungo sconfinano “oltre il ragionevole esercizio della discrezionalità legislativa”, venendo così a violare il principio costituzionale di eguaglianza. La posizione della Corte costituzionale è diventata quindi canone di azione del legislatore. Con la legge 17 maggio 1983, n. 217 “Legge quadro per il turismo e interventi per il potenziamento e la qualificazione dell’offerta turistica”, pur prevedendo all’art. 8 “Vincolo di destinazione”, la possibilità di istituire un vincolo di destinazione per le strutture ricettive, veniva espressamente disposto, al comma 5, la possibilità di rimozione del detto vincolo, dando carico alle Regioni, al successivo comma 6, di procedere all’individuazione delle modalità, fermo rimanendo che la detta limitazione dovesse in ogni caso venir meno “su richiesta del proprietario solo se viene comprovata la non convenienza economico-produttiva della struttura ricettiva e previa restituzione di contributi e agevolazioni pubbliche eventualmente percepiti e opportunamente rivalutati ove lo svincolo avvenga prima della scadenza del finanziamento agevolato”. Gli interventi normativi a livello nazionale successivi, ossia la legge 29 marzo 2001, n. 135 ed ora il D.Lgs. 23 maggio 2011 n. 79, hanno spostato a livello di legislazione regionale il piano delle attribuzioni, senza però ovviamente poter intaccare i principi di rango costituzionale che permeano la materia. Da tale ricostruzione, emerge che il rispetto del canone di temporaneità e di modificabilità del vincolo di destinazione d’uso alberghiero, lungi dall’essere una possibilità liberamente valutabile dal legislatore regionale, appartiene alla stessa ragion d’essere della sua istituzione e deve ritenersi a questo intrinseco …” (così Cons. Stato, Sez. IV, 6 ottobre 2011 n. 5487). Occupandosi, poi, della normativa introdotta in materia dalla Regione Emilia-Romagna (legge 9 aprile 1990 n. 28, recante la «disciplina del vincolo di destinazione delle aziende ricettive in Emilia-Romagna»), ed affrontando proprio la questione della possibilità o meno di subordinare la rimozione del vincolo di destinazione alberghiera a condizioni ulteriori e diverse rispetto al presupposto dell’insussistente convenienza economica della gestione, è stato osservato che “…l’introduzione, da parte di una normativa di rango primario, di un vincolo alberghiero trova giustificazione negli artt. 41, terzo comma, e 42, secondo comma, della Costituzione, che rispettivamente consentono alla legge di «funzionalizzare» a fini sociali sia la libera attività economica sia la proprietà privata. Nell’esercizio della sua discrezionalità regolativa il legislatore, statale e regionale, ha inteso attuare la “funzionalizzazione” della proprietà alberghiera, mediante la previsione dell’immodificabilità della destinazione d’uso impressa ai relativi compendi immobiliari, se non previa dimostrazione, da parte degli interessati alla rimozione del vincolo, della “non convenienza” della gestione delle strutture turistiche. Ebbene, indiscutibilmente siffatta economicità deve essere apprezzata in termini oggettivi, ancorando cioè la valutazione delle effettive potenzialità economiche dell’azienda alle sue peculiari caratteristiche fisiche, spaziali e funzionali, a nulla rilevando, per contro, le soggettive capacità organizzative dell’imprenditore. È altrettanto incontrovertibile che le amministrazioni comunali, istituzionalmente investite della potestà pianificatoria, godano di un’ampia discrezionalità nell’individuare i parametri idonei a rappresentare i fattori più significativi di detta capacità produttiva. Il confine insuperabile della discrezionalità amministrativa in materia risiede tuttavia nell’intrinseca ragionevolezza della selezione degli indici della redditività potenziale. In altre parole, l’amministrazione può ritenere che la ricorrenza di taluni connotati aziendali implichi a priori la convenienza gestionale dell’azienda ricettiva (così precludendo – rebus sic stantibus – la rimovibilità del vincolo) se, e soltanto se, gli elementi presi in considerazione si presentino realmente e palesemente sintomatici di redditività. Diversamente, in assenza cioè di un evidente nesso di correlazione tra il parametro individuato e la redditività obiettiva dell’attività alberghiera, l’imposizione (od il mantenimento) in via amministrativa del vincolo in parola esorbiterebbe dai rigorosi limiti all’esercizio della relativa potestà fissati dalla fonte di rango primario, risolvendosi in un vulnus della tutela costituzionale assicurata alla proprietà privata ed all’iniziativa economica individuale ed, in definitiva, in una paradossale lesione degli stessi interessi superindividuali perseguiti attraverso la funzionalizzazione dei relativi diritti …” (in questi termini Cons. Stato, Sez. V, 15 maggio 2006 n. 2696).
Ciò posto, la disposizione nella fattispecie censurata (“…Nella fascia 1: è ammessa la trasformazione di destinazione d’uso delle strutture ricettive (E1) in residenza ed eventuali attività complementari (A1) a condizione che la struttura sia inattiva dal 10/09/96 e, nel rispetto di quanto previsto in tema di destinazioni dall’art. 23.1.2. La strutture ricettive che hanno non più di 25 camere possono trasformarsi in residenza qualora abbiano comunicato la cessata attività al 10/09/99 …”), per ancorare rigidamente la rimozione del vincolo di destinazione alberghiera ad una soglia temporale che funge da automatico spartiacque tra aziende ricettive suscettibili di riconversione in altra destinazione d’uso e aziende ricettive che sono comunque condannate a rimanere tali, si risolve nella fissazione di un requisito che assegna rilievo alla convenienza economica della gestione solo in ragione dell’epoca di svolgimento dell’attività. In tal modo, però, il Comune di Rimini ha esercitato la propria discrezionalità in sede pianificatoria discostandosi indebitamente dai parametri legali che avrebbero dovuto orientarne lo svolgimento, con il risultato di sacrificare contra legem la posizione soggettiva della ricorrente, che si è vista preclusa la possibile variazione delle modalità di impiego del proprio immobile per il solo fatto che la cessazione dell’attività dell’azienda ricettiva si fosse collocata in un arco temporale successivo al 10 settembre 1999, circostanza in sé evidentemente inidonea a costituire elemento sintomatico di redditività dell’attività alberghiera.
E’ inammissibile invece l’impugnativa della norma di piano relativa alle «zone alberghiere edificate - D1» (art. 4.4.1 delle n.t.a. del piano regolatore), censurata nella parte in cui stabilisce espressamente che tra le destinazioni ammesse non rientrano le “nuove residenze turistico-alberghiere” e i “nuovi residence”. Si tratta, invero, di previsione che rientra nella c.d. “variante Darsena”, sicché non riguarda l’area di proprietà della ricorrente.
Di qui l’accoglimento parziale del ricorso e, in ragione di ciò, l’annullamento della «variante» impugnata, limitatamente all’art. 22-bis delle n.t.a. del piano regolatore (avente ad oggetto «strutture ricettive alberghiere - modalità di rimozione del vincolo e di modifica della destinazione d’uso»), nei limiti dell’interesse della ricorrente.
Le spese di lite seguono la soccombenza dell’Amministrazione comunale, e vengono liquidate come da dispositivo.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per l’Emilia-Romagna, Bologna, Sez. I, pronunciando sul ricorso in epigrafe, lo accoglie nei sensi di cui in motivazione e, per l’effetto, annulla in parte qua gli atti impugnati (art. 22-bis n.t.a.), nei limiti dell’interesse della ricorrente.
Condanna l’Amministrazione comunale al pagamento delle spese di lite, nella misura complessiva di € 3.000,00 (tremila/00), oltre agli accessori di legge e alla rifusione del contributo unificato.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’Autorità Amministrativa.
Così deciso in Bologna, nella Camera di Consiglio del 16 aprile 2014, con l’intervento dei magistrati:
Carlo d'Alessandro, Presidente
Angelo Gabbricci, Consigliere
Italo Caso, Consigliere, Estensore
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L'ESTENSORE |
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IL PRESIDENTE |
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DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 12/05/2014
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)