Consiglio di Stato Sez. IV sent.3409 del 17 giugno 2003
Vincolo ambientale. Silenzio-rifiuto della P.A.
R
E P
U B B
L I
C A I
T A
L I
A N A
IN
NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta) ha
pronunciato la seguente
D E C I S I O N E
sul ricorso in
appello n. 8296 del 2002, proposto da
COMUNE
di ALME’,
in
persona del Sindaco p.t.,
rappresentato e difeso dall’avv.to
Mario Viviani ed elettivamente domiciliato presso lo studio dell’avv. Grez, in
Roma, lungotevere Flaminio, 46,
c
o n t r o
FONDERIA
ARICCI s.p.a.,
in
persona del legale rappresentante p.t.,
costituitasi in giudizio,
rappresentata e difesa dall’avv. Felice C. Besostri ed elettivamente
domiciliata presso lo studio del dr. Alfredo Placidi, in Roma, lungotevere
Flaminio, 46
e
nei confronti di
REGIONE
LOMBARDIA,
in
persona del Presidente p.t. della Giunta Regionale,
non costituitasi in giudizio,
per
l’annullamento
della sentenza
del Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia – Brescia, n. 1005/02
del 26 giugno 2002.
Visto
il ricorso, con i relativi allegati;
Visto
l’atto di costituzione in giudizio dell’intimata società;
Visto
che non si è, invece, costituita in giudizio la Regione Lombardia;
Vista la
memoria prodotta dalla parte appellata a sostegno delle sue difese;
Visti
gli atti tutti della causa;
Data
per letta, alla Camera di consiglio del 18 marzo 2003, la relazione del
Consigliere Salvatore Cacace;
Uditi,
alla stessa Camera di consiglio, l’avv. Mario Viviani per l’appellante e
l’avv. Felice C. Besostri per l’appellata;
Ritenuto e considerato in fatto e in
diritto quanto segue:
F
A T T O
Con ricorso
proposto dinanzi al T.A.R. per la Lombardia, sezione staccata di Brescia, la
Fonderia Aricci s.p.a., ricordate le pregresse vicende – anche di carattere
giudiziario – che avevano portato ad accertare la inesistenza di un vincolo
ambientale sulle aree di sua proprietà sulle quali la stessa svolge da tempo la
sua attività, chiedeva l’annullamento del silenzio – rifiuto formatosi
sulla diffida rivolta al Comune di Almè affinché provvedesse alla eliminazione
del vincolo ambientale risultante su dette aree dagli atti e allegati
progettuali di P.R.G.
Il T.A.R., con
la sentenza indicata in epigrafe, ha accolto il ricorso, ritenendo “che
sussiste nella specie l’obbligo di dar corso ad ogni occorrente procedura
finalizzata alla correzione degli atti e degli allegati progettuali al vigente
P.R.G.” (pag. 2 sent.).
Avverso detta
sentenza insorge, con l’atto di appello in esame, il Comune di Almè,
deducendo l’inammissibilità e infondatezza del ricorso sotto diversi profili
e chiedendo la reiezione della domanda risarcitoria proposta in primo grado,
sulla quale, comunque, il T.A.R. non si è pronunciato e che peraltro, né in
sede di controricorso né con la successiva memoria, l’appellata ha
riproposto.
La causa è stata
chiamata e trattenuta in decisione alla Camera di consiglio del 18 marzo 2003,
con le regole di cui all’art. 21 - bis della legge 6
dicembre 1971, n. 1034.
D I R I T T O
Il ricorso è
fondato e va accolto, avuto riguardo, in particolare, all’assorbente secondo
motivo di impugnazione, con il quale si lamenta che “nella specie non
sussisteva e non sussiste alcun obbligo (né alcun potere) del Comune di
rimuovere il vincolo contestato dalla ricorrente” (pag. 13 app.).
Costituisce,
invero, ius receptum, in
giurisprudenza, che il silenzio – rifiuto costituisca uno strumento avente la
precipua finalità di provocare, nell’ambito di un rapporto tra privato e P.A.
previsto e regolato dalla legge, una pronuncia esplicita da parte dell’Autorità
amministrativa, allorché questa abbia l’obbligo di provvedere sulla domanda
del privato.
Ciò comporta
che presupposto imprescindibile di siffatto istituto sia la “competenza”
della Autorità adìta a soddisfare l’istanza del privato, nel senso che deve
sussistere l’obbligo dell’Amministrazione di adottare provvedimenti positivi
o negativi sull’istanza stessa, idonei ad attribuire o denegare il bene della
vita, cui il soggetto interessato aspiri; sì che l’eventuale, relativo,
silenzio – rifiuto sarà poi impugnabile in sede giurisdizionale proprio e
sempre ai fini del perseguimento del “bene”, di cui si è detto.
Ciò premesso,
risulta evidente come lo schema solutorio, indicato, nella fattispecie che ne
occupa, dalla sentenza impugnata, sia errato.
Chiarito,
infatti, che l’originaria ricorrente (odierna appellata) lamentava, come s’è
visto, la mancata eliminazione del vincolo ambientale risultante su aree di sua
proprietà site in Comune di Almè dagli atti e allegati progettuali di P.R.G.,
la menzionata decisione, dopo aver preso correttamente atto del
“riconoscimento da parte del Comune dell’obiettiva incertezza
dell’estensione del vincolo in questione, come introdotto dal D.M. 28.9.1966
del Ministero della Pubblica Istruzione” (pag. 2 sent.) e del fatto che agli
“strumenti urbanistici non può essere riconosciuta alcuna autonoma efficacia
in ordine all’introduzione di un vincolo che trova il proprio esclusivo
fondamento nel ridetto D.M. del Ministero della Pubblica Istruzione” (pag. 3
sent.), ha concluso che al Comune compete “l’ulteriore obbligo di dar corso
al richiesto accertamento in fatto e, in caso di suo esito affermativo, alla
richiesta correzione, previa occorrendo indizione di conferenza di servizi tra
tutti gli enti al riguardo interessati” (ibidem).
Nella specie
il Giudice di primo grado ha così omesso di considerare che, a fronte
“dell’obiettiva incertezza dell’estensione del vincolo”, il rapporto
esistente tra disciplina urbanistica e tutela paesaggistico – ambientale del
territorio (improntato alla ratio di
evitare che le diverse sedi di pianificazione finiscano con l’assumere
posizioni antagonistiche, non sempre riconducibili ad un unitario disegno di
sviluppo territoriale) comporta, da un lato, che il potere di pianificazione
paesaggistico – ambientale attribuito alla Regione (la quale, nel caso di
specie, lo ha esercitato approvando, con L.R. n. 8 del 1991, il Piano
territoriale di coordinamento del Parco regionale dei Colli di Bergamo,
delimitando la zona del vincolo in discussione con apposita perimetrazione,
all’interno della quale sono incontestatamente ricompresi, secondo detta
delimitazione, i terreni di proprietà della società appellata) vincola la
pianificazione comunale e ciò ai sensi dell’art. 5 della legge n. 1150 del
1942 (v. anche l’art. 52 del D.Lgs. 31 marzo 1998, n. 112 “Conferimento
di funzioni e compiti amministrativi dello Stato alle regioni ed agli enti
locali, in attuazione del capo I della L.
15 marzo 1997, n. 59); e, dall’altro, che spetta tuttora al
Ministro per i beni e le attività culturali il potere d’integrazione (e di
conseguente, eventuale, modifica) degli elenchi delle bellezze naturali
meritevoli di tutela (ex artt. 144 e
145 del D. Lgs. 29 ottobre 1999, n. 490 “Testo unico delle
disposizioni legislative in materia di beni culturali e ambientali, a norma
dell'articolo 1 della L.
8 ottobre 1997, n. 352”).
Se, dunque,
con il decreto cui s’è fatto cenno, l’Autorità ministeriale s’è fatta
carico di individuare, a conclusione dell’apposito procedimento amministrativo
di cui all’allora vigente legge 29 giugno 1939, n. 1497 (Protezione delle
bellezze naturali), un ampio territorio a valenza ambientale e paesaggistica
(con l’effetto, che costituisce la causa prima del procedimento di cui si
discute avviato presso il Comune dall’odierna appellata, di determinare,
nell’ambito delle zone sottoposte a tutela, un vincolo d’inedificabilità
relativa, che fa sì che l’attività di trasformazione edilizia ed urbanistica
interessante tale territorio non sia vietata in assoluto, ma sia subordinata ad
autorizzazione, ex art. 7 della
medesima legge n. 1497), ciò comporta che alla caducazione, modificazione,
specificazione, rettifica od integrazione della autonoma dichiarazione
d’interesse ambientale contenuta nel suddetto Decreto ministeriale possa
provvedere solo la stessa Autorità ministeriale, ponendo in essere l’autonomo
e specifico apprezzamento, che in tale sede le compete, nell’ambito del
procedimento disegnato dai citati artt. 144 e 145 del D. Lgs. n. 490 del 1999; e
che la parte interessata alla rimozione del vincolo stesso (o, come parrebbe nel
caso all’esame, alla corretta identificazione dell’ambito territoriale
inciso dal vincolo) a tale Autorità debba rivolgersi per la caducazione o
specificazione parziale dello strumento di tutela paesaggistica.
La
connotazione più specificamente urbanistica del vincolo rileverà, allora, solo
dopo le determinazioni di spettanza dell’Autorità preposta alla
identificazione dello stesso.
Né può in
tale sede in alcun modo rilevare la questione, controversa tra le parti, se si
sia o meno formato il giudicato su un punto della precedente sentenza dello
stesso T.A.R. Brescia (n. 488/94), che, decidendo su un ricorso proposto dalla
stessa società avverso un diniego di rilascio di concessione edilizia ed
avverso la variante generale al P.R.G., aveva notato “che la stessa
Amministrazione Comunale di Almè, a seguito delle risultanze dell’istruttoria
….. condivide ora l’assunto secondo cui il vincolo imposto dal D.M.
328.9.1966 ..… non inerisce anche fondi di proprietà della Società …”.
Basti, in
proposito, constatare, per un verso, come lo strumento processuale idoneo ad
ottenere dall’Amministrazione un comportamento conforme alle statuizioni della
sentenza sia quello del giudizio di ottemperanza e non certo quello
dell’azione di accertamento nella fattispecie proposta; e, per altro verso,
come anche lo stesso eventuale giudicato formatosi sulla questione non sia di
per sé idoneo a creare un obbligo di provvedere in capo ad una Amministrazione
(il Comune) in linea di fatto e di diritto, come s’è visto, incompetente.
Del resto la
stessa deducente originaria finisce per riconoscere che l’Autorità comunale
non ha poteri concreti in ordine alla facoltà di esaminare la domanda di
rimozione in questione, allorché, pur prendendo atto con favore della proposta
di modifica del vincolo elaborata dalla apposita Conferenza dei Servizi
convocata dal Comune di Almè dopo la decisione di primo grado, afferma che
“tali circostanze … non comportano la cessazione della materia del
contendere. Infatti, il Ministero potrebbe non accogliere la proposta di
rilocalizzazione del vincolo” (pag. 2 mem. del 27 febbraio 2003).
In
conclusione, l’appello deve essere accolto e, annullata l’impugnata
sentenza, va respinto il ricorso di primo grado.
Sussistono,
comunque, giuste ragioni per compensare integralmente fra le parti le spese di
entrambi i gradi di giudizio.
P.
Q. M.
il Consiglio di Stato in sede
giurisdizionale (Sezione Quarta), definitivamente pronunciando sul ricorso
indicato in epigrafe, lo accoglie e, per l’effetto, annullata la sentenza
impugnata, respinge il ricorso di primo grado.
Spese
ed onorari di entrambi i gradi compensati.
Ordina
che la presente decisione sia eseguita dall’Autorità amministrativa.
Così deciso in
Roma, addì 18 marzo 2003, dal Consiglio di Stato in sede giurisdizionale –
Sezione Quarta – riunito in Camera di consiglio con l’intervento dei
seguenti Magistrati:
Giuseppe
BARBAGALLO -
Presidente f. f.
Antonino
ANASTASI
- Consigliere
Giuseppe
CARINCI
- Consigliere
Carlo
SALTELLI -
Consigliere
Salvatore
CACACE
- Consigliere, rel. est.