TAR Lazio (LT), Sez. I, n. 697, del 26 agosto 2013
Urbanistica.Sanatoria parziale
Allorchè il progetto sia scindibile nel senso che sia costituito da opere che potrebbero formare oggetto di progetti distinti, è possibile l’annullamento parziale di una concessione edilizia oppure il diniego parziale di sanatoria, nella fattispecie la parte di opere realizzata anteriormente all’acquisto non forma un tutto inscindibile con quelle realizzate successivamente (come del resto dimostra proprio la circostanza che sono state eseguite in tempi diversi e anche da soggetti diversi) per cui il comune avrebbe potuto (e dovuto) considerarle distintamente valutando la possibilità di una sanatoria parziale. (Segnalazione e massima a cura di F. Albanese)
N. 00697/2013 REG.PROV.COLL.
N. 00689/2004 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio
sezione staccata di Latina (Sezione Prima)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso n. 689 del 2004, proposto da Carolina Casa, in persona del suo procuratore generale Alessandro Casa, rappresentata e difesa dall’avvocato Massimo D’Ambrosio, presso il cui studio in Latina, corso della Repubblica n. 257, è elettivamente domiciliata;
contro
il comune di San Felice Circeo, in persona del legale rappresentante pro tempore, non costituito in giudizio;
per l’annullamento, previa sospensione dell’esecuzione
del diniego di concessione edilizia in sanatoria prot. n. 10144 del 18 maggio 2004, del parere n. 477 del 5 aprile 2004 e di ogni altro atto e/o provvedimento presupposto, connesso e /o consequenziale.
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 11 luglio 2013 il dott. Davide Soricelli e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
1. In data 22 marzo 1986 il signor Salvatore Casa, nonno della ricorrente e padre del procuratore speciale di quest’ultima che, in sua rappresentanza, ha proposto il ricorso all’esame, presentava un’istanza di condono edilizio ex articolo 31 della legge 28 febbraio 1986 al fine di “sanare” alcune opere realizzate in difformità dalla licenza edilizia n. 7131 del 26 settembre 1964 su un immobile in via XX settembre n. 41; in particolare l’istanza menzionava l’apertura di una finestra realizzata prima della data di acquisto (avvenuto nel 1968) e altre opere (risolventisi in un modesto ampliamento oltre a opere minori) realizzate dopo il 1970.
2. Con il provvedimento 14 maggio 2004 il responsabile del settore urbanistica respingeva la domanda di condono edilizio nel presupposto che: a) come risultava dall’atto notorio allegato all’istanza, l’ampliamento (ampliamento del terrazzo e portico) era stato realizzato nel 1970; b) l’unità immobiliare interessata ricade secondo il programma di fabbricazione vigente al tempo della commissione dell’abuso in zona “centro storico” in cui tale strumento urbanistico consente esclusivamente interventi di restauro conservativo senza modifica dei volumi e dei prospetti; c) di conseguenza l’abuso in questione ricadeva nella previsione di incondonabilità dell’articolo 33, comma 1, lettera a) della citata legge n. 47 che esclude la sanatoria di opere realizzate in aree soggette a vincoli “di in edificabilità imposti dagli strumenti urbanistici”.
In data 5 aprile 2004 lo stesso responsabile del settore urbanistica aveva espresso parere negativo alla sanatoria (in relazione alla circostanza che l’immobile ricade anche in area soggetta a vincolo paesaggistico in forza di D.M. 20 luglio 1967); il provvedimento menziona il seguente parere della “conferenza di settore integrata”: “parere negativo. Le modifiche apportate al progetto approvato sono in contrasto con la normativa della zona A (centro storico). Costituiscono però variazioni che compromettono il carattere dell’edificio preesistente anche se, come dalla documentazione fotografica si evince, sono presenti nell’immediato contesto aggiunte e superfetazioni simili”.
3. La signora Carolina Casa, nuda proprietaria dell’immobile (che ha ricevuto in donazione dal padre il quale a sua volta lo ha ricevuto in eredità dal signor Salvatore Casa che è deceduto il 9 giugno 1993) proponeva quindi il ricorso all’esame con cui impugna i due atti sopra descritti chiedendone l’annullamento, previa sospensione.
4. Il comune di S. Felice Circeo non si è costituito in giudizio.
5. Con ordinanza n. 568 del 24 luglio 2004 la sezione respingeva l’istanza di tutela cautelare.
DIRITTO
1. Preliminarmente occorre verificare se il ricorso sia procedibile.
In data 23 luglio 2004 è stata infatti depositata dalla ricorrente una (ulteriore) istanza di condono edilizio proposta in base all’articolo 32 del d.l. 30 settembre 2003, convertito in legge con modificazioni dalla legge 24 novembre 2003, n. 326 dalla signora Mirella Serra (nonna della ricorrente e usufruttuaria dell’immobile).
Premesso che nella fattispecie all’esame, stante la sua evidente diversità, non può applicarsi la nota giurisprudenza secondo cui la presentazione di istanza di sanatoria rende improcedibile il ricorso proposto avverso l’ordinanza di demolizione, il dubbio che potrebbe porsi è che dal deposito della istanza di condono possa in qualche modo dedursi una volontà di acquiescenza.
Tuttavia il dubbio deve essere risolto in senso negativo. Il nuovo condono è stato infatti richiesto da soggetto diverso dalla ricorrente che non ha manifestato esplicitamente alcuna volontà di desistere dal ricorso (anzi a seguito di avviso di perenzione per pendenza ultraquinquennale è stata presentata l’istanza di fissazione sottoscritta personalmente dalla parte il che sottintende una volontà di ottenere la pronuncia di merito sul ricorso); a ciò si aggiunge che, in relazione alle motivazione del diniego e del carattere più restrittivo del condono del 2003, è dubitabile che la nuova istanza possa essere accolta e ciò conferma che la ricorrente ha ancora interesse alla definizione nel merito del ricorso.
2. Il ricorso è fondato.
3. Con il primo motivo si contesta la nullità degli atti impugnati perché essi sono stati notificati in persona del signor Salvatore Casa nonostante egli fosse morto da lungo tempo.
Il motivo è infondato dato che il vizio della notifica non incide sulla legittimità degli atti dell’amministrazione ma al più sulla decorrenza dei termini per l’impugnazione da parte dei soggetti legittimati (eredi o in genere aventi causa); nella fattispecie il problema nemmeno si pone dato che il ricorso è stato consegnato per la notifica sin dal 18 giugno 2004.
4. Con il secondo e il terzo motivo – che possono essere esaminati congiuntamente - si deduce che il provvedimento di diniego è illegittimo perché non ha tenuto conto dell’atto presupposto (cioè del nulla osta rilasciato a fini paesaggistici dallo stesso comune), come dimostra la circostanza che esso non menziona quest’ultimo e inoltre sarebbe motivato in modo scarsamente intellegibile non spiegando esattamente quali siano le ragioni del diniego.
Il motivo è fondato.
Va riconosciuto che entrambi gli atti impugnati sono formulati in modo poco felice e sono anche non coordinati tra loro.
Il diniego infatti non menziona il nulla osta paesaggistico e fa riferimento alla legge 23 dicembre 1994, n. 724 (pur indicando nelle premesse che la domanda di condono era stata presentata in base alla legge n. 476 del 1985); esso poi giustifica la misura adottata richiamando l’articolo 33 della legge n. 47 (che vieta la sanatoria di opere eseguite in aree soggette a vincolo di inedificabilità assoluta imposto anteriormente alla loro realizzazione) e aggiungendo che il vincolo di inedificabilità discende dalle previsioni in punto di edificazione nella zona centro storico contenute in un programma di fabbricazione approvato nel 1968 e quindi in epoca anteriore all’abuso; senonchè nel nulla-osta paesaggistico, dopo la menzione del programma di fabbricazione recante quella disciplina del centro storico, si menziona un “vigente” piano regolatore generale in vigore alla data del 1° gennaio 1986 e il piano paesistico regionale che, nel classificare l’area come area a “tutela limitata L/b”, ha confermato la disciplina del p.r.g.; tuttavia non viene affermato che la disciplina del p.r.g. corrisponda esattamente a quella del programma di fabbricazione. Lo stesso nulla-osta, dopo aver menzionato in premessa l’articolo 33 della legge n. 47 (che introduce una ipotesi di esclusione del condono che rende evidentemente superflua – o meglio impedisce – ogni valutazione in punto di compatibilità delle opere abusive con il contesto vincolato) reca poi un parere che nega la compatibilità.
Come si vede quindi i due atti sono mal coordinati tra loro e recano una motivazione effettivamente non intellegibile. Al riguardo deve essere puntualizzato che la decisione sul condono va presa considerando (anche) la situazione dei vincoli al momento della decisione; in altri termini per negare il condono ex articolo 33 non è sufficiente che sull’area gravasse un vincolo di inedificabilità assoluta imposto anteriormente alla realizzazione dei lavori ma è anche necessario che tale vincolo esista (o meglio persista) al momento in cui avviene la decisione sulla domanda, cioè non sia venuto meno. Nella fattispecie il diniego dà atto di un vincolo imposto anteriormente all’abuso edilizio ma ricollega il vincolo a un programma di fabbricazione che, secondo quanto si legge nel nulla-osta, è stato successivamente sostituito da un piano regolatore generale e nessuno dei due atti spiega se il piano regolatore abbia confermato il vincolo per il centro storico. In questa prospettiva, quindi, le censure di difetto di istruttoria e motivazione della ricorrente – benché nulla abbia argomentato in ordine alla natura del vincolo e all’applicabilità dell’articolo 33 – sono fondate.
5. Con il quarto motivo la ricorrente denuncia che il provvedimento di diniego fa riferimento alla disciplina della legge 23 dicembre 1994, n. 724 e non a quella della legge n. 47 del 1985 sulla cui base è stata presentata l’istanza di condono.
La censura è infondata; il vizio denunciato infatti è del tutto ininfluente perché la disciplina della legge 28 febbraio 1985, n. 47 e quella della legge 23 dicembre 1994, n. 724 per l’aspetto che interessa è identica (la legge del 1994 richiama infatti quella del 1986).
6. Con il successivo motivo si deduce l’incompetenza del responsabile del servizio sostenendosi che la disciplina in materia di edilizia individua nel Sindaco l’organo competente al rilascio dei titoli edilizi e all’esercizio dei poteri di vigilanza e di repressione.
Anche questo motivo è infondato dato che al tempo dell’emanazione degli atti impugnati erano in vigore le disposizioni (introdotte a far tempo dalla cd. legge Bassanini, legge 15 maggio 1997, n. 127, peraltro richiamata dal diniego impugnato) che avevano trasferito i compiti di amministrazione attiva dagli organi di governo al personale burocratico degli enti locali.
7. Con il sesto motivo la ricorrente contesta la carenza di presupposto sostenendo che le opere in questione sono state realizzate prima del 1968 e che l’indicazione come data di ultimazione del 1970 nell’atto notorio allegato all’istanza di condono fosse il frutto di un semplice errore.
La censura è infondata. Il comune ha infatti basato le sue determinazioni su una dichiarazione proveniente dallo stesso istante che, sottoscrivendo tale dichiarazione, se ne è assunta la responsabilità; con ciò non si vuole sostenere che l’atto notorio crei una certezza assoluta e insuperabile in ordine al contenuto della dichiarazione ma piuttosto che l’amministrazione può fare affidamento sulla dichiarazione e basare sulla stessa le sue determinazioni quando non abbia ragione di ritenere che essa sia falsa o frutto di errore.
8. Con il settimo motivo la ricorrente deduce che illegittimamente il comune ha respinto l’istanza di condono senza considerare che almeno una parte delle opere erano state realizzate in epoca anteriore al programma di fabbricazione (in pratica l’apertura della finestra nella camera d’angolo e l’allargamento della finestra del soggiorno per le quali si indicava come epoca di commissione dell’abuso quella anteriore all’acquisto dell’immobile avvenuto nel marzo del 1968).
Anche questa censura è fondata; la giurisprudenza ha infatti riconosciuto che – allorchè il progetto sia scindibile nel senso che sia costituito da opere che potrebbero formare oggetto di progetti distinti – è possibile l’annullamento parziale di una concessione edilizia oppure il diniego parziale di sanatoria (cfr. T.A.R. Liguria, 23 marzo 2012, n. 423); nella fattispecie la parte di opere realizzata anteriormente all’acquisto non forma un tutto inscindibile con quelle realizzate successivamente (come del resto dimostra proprio la circostanza che sono state eseguite in tempi diversi e anche da soggetti diversi) per cui il comune avrebbe potuto (e dovuto) considerarle distintamente valutando la possibilità di una sanatoria parziale.
9. Con l’ultimo motivo, infine, si deduce che sulla domanda di condono, si sarebbe formato il silenzio assenso – ex articolo 39 della legge n. 47 - per effetto del decorso del termine di 24 mesi dalla sua presentazione senza provvedimento espresso di diniego.
Il motivo è infondato dato che costituisce giurisprudenza consolidata, anche di questa sezione, che, allorchè vengano in rilievo immobili soggetti a vincolo (come nella fattispecie in cui lo stesso istante aveva chiesto alla regione Lazio – che aveva poi rimesso la pratica al comune, ente delegato ex lege regionale 19 dicembre 1995, n. 59 - il rilascio del nulla osta venendo in rilievo un immobile realizzato in area soggetta a vincolo paesaggistico), il termine di 24 mesi indicato nella norma citata non può decorrere se non dopo che sia stato formulato il parere del soggetto preposto alla gestione del vincolo.
10. Conclusivamente, il ricorso va accolto con annullamento dell’atto impugnato e salve le ulteriori determinazioni dell’amministrazione. Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate in dispositivo.
P.Q.M.
Il Tribunale amministrativo regionale del Lazio, sezione staccata di Latina, definitivamente pronunciandosi sul ricorso in epigrafe, lo accoglie e per l’effetto annulla l’atto impugnato.
Condanna il comune di San Felice Circeo al pagamento delle spese di giudizio che liquida in euro duemila, oltre accessori di legge.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Latina nella camera di consiglio del giorno 11 luglio 2013 con l'intervento dei magistrati:
Francesco Corsaro, Presidente
Santino Scudeller, Consigliere
Davide Soricelli, Consigliere, Estensore
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L'ESTENSORE |
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IL PRESIDENTE |
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DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 26/08/2013
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)