TAR Campania (NA ) Sez. VI n.1436 del 16 marzo 2016
Urbanistica.Mancato esercizio dei poteri repressivi degli abusi edilizi e diritti del confinante
Il proprietario confinante, nella cui sfera giuridica incida dannosamente il mancato esercizio dei poteri repressivi degli abusi edilizi da parte dell'organo preposto, è titolare di un interesse legittimo all'esercizio di detti poteri e può quindi ricorrere avverso l'inerzia dell'organo preposto alla repressione di tali abusi edilizi. Quindi, a fronte della persistenza in capo all'ente preposto alla vigilanza sul territorio del generale potere repressivo degli abusi edilizi, il vicino che - in ragione dello stabile collegamento con il territorio oggetto dell'intervento - gode di una posizione differenziata, ben può chiedere al Comune di porre in essere i provvedimenti sanzionatori previsti dall'ordinamento, facendo ricorso, in caso di inerzia, alla procedura del silenzio - inadempimento. Da ciò deriva che il Comune è tenuto, in ogni caso, a rispondere alla domanda con la quale i proprietari di terreni limitrofi a quello interessato da un abuso edilizio chiedono ad esso di adottare atti di accertamento delle violazioni ed i conseguenti provvedimenti repressivi e, ove sussistano le condizioni, anche ad adottare gli stessi.
N. 01436/2016 REG.PROV.COLL.
N. 06530/2015 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale della Campania
(Sezione Sesta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 6530 del 2015, proposto da:
Maria Gabriella Gualtieri, rappresentata e difesa dagli avvocati Giovanni Pollio e Anna Iaccarino con i quali domicilia ai sensi dell’art. 25 c.p.a. in Napoli presso la segreteria del T.A.R.;
contro
Comune di Pozzuoli, in persona del rappresentante legale p.t., rappresentato e difeso dall’avvocato Giuseppe Casalino con il quale elettivamente domicilia in Napoli, presso l’avvocato Fabrizio Cavaliere alla via S. Giacomo dei Capri, n. 23;
nei confronti di
Vera Bolognini, Maria Teresa Bruno e Aniello Bruno, rappresentati e difesi dagli avvocati Giovanni Basile e Carmine Farina, con i quali elettivamente domiciliano in Napoli al Largo Francesco Torraca, n. 71;
per l'annullamento
del silenzio rifiuto formatosi sulla diffida inoltrata al Comune di Pozzuoli in data 22 settembre 2015 a mezzo PEC (prot. n. 48481/2015 e 48485/2015);
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio del Comune di Pozzuoli e di Maria Teresa Bruno, Vera Bolognini e Aniello Bruno;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nella camera di consiglio del giorno 2 marzo 2016 la dott.ssa Paola Palmarini e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
Espone la ricorrente, comproprietaria di un’unità immobiliare sita in Pozzuoli al viale Capomazza n. 5 confinante con una palazzina sita alla via Gabella Portese n. 22 di proprietà dei controinteressati, di aver inoltrato al Comune di Pozzuoli, in data 22 settembre 2015, un atto di diffida teso ad ottenere l’emissione “nei confronti degli aventi diritto sull’immobile di via G. Portese n. 22..di tutti i provvedimenti sanzionatori discendenti dalle norme violate”.
Premette in fatto la ricorrente, che:
- il sig. Gennaro Percuoco (all’epoca rappresentante del condominio di via G. Portese, n. 22) otteneva dal Comune di Pozzuoli l’autorizzazione n. 7/2000 per effettuare dei lavori di risanamento conservativo e manutenzione straordinaria dell’immobile;
- con provvedimento n. 9214 dell’11 marzo 2002 il Comune ordinava il ripristino dello stato dei luoghi avendo constatato l’esecuzione di lavori in difformità dalla suddetta autorizzazione consistenti nella demolizione e ricostruzione del preesistente fabbricato in tufo con una struttura di cemento armato;
- il sig. Percuoco impugnava detta ordinanza di demolizione avanti al T.A.R. il quale dichiarava il ricorso inammissibile stante la presentazione, nelle more, di un’istanza di sanatoria ai sensi dell’art. 7 della legge n. 47/1985;
- in data 25 febbraio 2003 l’UT del Comune in un sopralluogo rilevava che il solaio di copertura del manufatto era stato realizzato ad una quota superiore a quella preesistente (circa 1 metro);
- in data 7 marzo 2005 sempre il Comune in un ulteriore sopralluogo riscontrava “segni di cedimento sull’intera parete tufacea” del fabbricato;
- in data 12 dicembre 2008 il sig. Percuoco presentava una nuova domanda di accertamento di conformità urbanistica e paesaggistica per i lavori realizzati in difformità dall’autorizzazione; su tale richiesta si esprimeva favorevolmente in data 23 dicembre 2008 la Commissione comunale per il paesaggio;
- tuttavia, nella documentazione allegata alla richiesta, l’altezza del fabbricato veniva individuata in mt. 12,80 (ossia la stessa altezza indicata nell’originaria autorizzazione del 2007), misura, questa, non coincidente con quella accertata nel 2003 dai tecnici comunali (superiore di circa 1 metro) e con quella verificata dai tecnici di parte (mt. 14,91);
- pertanto, chiedeva all’amministrazione con l’atto di diffida di cui è causa di adottare eventuali provvedimenti sanzionatori nei confronti dei controinteressati.
Non avendo ottenuto riscontro dall’ente locale, la ricorrente ha adito il T.A.R. per sentir dichiarare l’illegittimità della condotta omissiva tenuta dall’amministrazione.
A sostegno della sua pretesa ha articolato diverse censure di violazione di legge ed eccesso di potere.
Si sono costituti per resistere il Comune e i controinteressati i quali hanno eccepito in rito l’inammissibilità del gravame.
Entrambe le resistenti hanno rappresentato la circostanza che la domanda di accertamento di compatibilità paesaggistica presentata dal sig. Percuoco, dopo aver ottenuto il parere favorevole della Commissione comunale per il paesaggio, è stata inviata alla Soprintendenza per il prescritto parere vincolante. Nonostante la Soprintendenza abbia ricevuto la documentazione in data 11 marzo 2009 il parere, ad oggi, “non risulta ancora essere stato reso”.
Alla camera di consiglio del 2 marzo 2016 il ricorso è stato trattenuto in decisione.
Il ricorso è fondato e va accolto.
Secondo una consolidata giurisprudenza il proprietario confinante, nella cui sfera giuridica incida dannosamente il mancato esercizio dei poteri repressivi degli abusi edilizi da parte dell'organo preposto, è titolare di un interesse legittimo all'esercizio di detti poteri e può quindi ricorrere avverso l'inerzia dell'organo preposto alla repressione di tali abusi edilizi (ex multis T.A.R. Brescia, sez. I, n. 1205 del 27 luglio 2011; Cons. St., Sez. IV, 5.1.2011, n. 18; T.A.R. Lazio, Roma, sez. II, n. 6260 del 26 giugno 2009; Cons. St. Sez. IV, 19 ottobre 2007 n. 5466). Quindi, a fronte della persistenza in capo all'ente preposto alla vigilanza sul territorio del generale potere repressivo degli abusi edilizi, il vicino che - in ragione dello stabile collegamento con il territorio oggetto dell'intervento - gode di una posizione differenziata, ben può chiedere al Comune di porre in essere i provvedimenti sanzionatori previsti dall'ordinamento, facendo ricorso, in caso di inerzia, alla procedura del silenzio - inadempimento. Da ciò deriva che il Comune è tenuto, in ogni caso, a rispondere alla domanda con la quale i proprietari di terreni limitrofi a quello interessato da un abuso edilizio chiedono ad esso di adottare atti di accertamento delle violazioni ed i conseguenti provvedimenti repressivi e, ove sussistano le condizioni, anche ad adottare gli stessi (T.A.R. Lazio Latina, 24 ottobre 2003, n. 876).
Nella fattispecie, la ricorrente ha chiesto al Comune di esprimersi sulla legittimità del manufatto confinante con il suo evidenziando nell’istanza sia l’esistenza di un’ordinanza di demolizione adottata nel 2002 sia la pendenza di una domanda di accertamento di conformità urbanistica e paesaggistica. Quest’ultima, in particolare, nonostante sia stata presentata nel lontano 12 dicembre 2008, non risulta essere stata ancora definita dall’amministrazione.
Alla luce della giurisprudenza sopra citata risulta evidente la sussistenza dell’interesse ad ottenere dal Comune una risposta definitiva in merito alla abusività o meno dell’immobile.
Devono in proposito essere respinte le eccezioni di inammissibilità sollevate dalle resistenti.
In primo luogo, risulta priva di fondamento l’eccezione di difetto di giurisdizione formulata dalla difesa comunale in quanto nella fattispecie si sollecita, nell’ambito dei poteri di vigilanza sull’attività edilizia attribuiti dalla legge al Comune, l’adozione di provvedimenti amministrativi e non la risoluzione di una controversia tra privati.
In secondo luogo, entrambe le resistenti hanno evidenziato che l’ordinanza di demolizione n. 9214 dell’11 marzo 2002 non sarebbe eseguibile, per un verso, perché con il rimedio del silenzio non sarebbe possibile chiedere all’amministrazione di compiere attività materiali e, per altro verso, in quanto il provvedimento ripristinatorio non potrebbe comunque essere portato ad esecuzione stante la pendenza del procedimento di sanatoria. Da quanto precede discenderebbe, secondo la prospettazione delle resistenti, l’inammissibilità del ricorso.
Lasciando da parte la prima questione (esperibilità dell’azione del silenzio con riguardo agli atti conseguenti all’emissione di un’ordinanza di demolizione, aventi natura non solo materiale– contrariamente a quanto dedotto – ma anche provvedimentale, come nel caso dell’ordinanza di acquisizione cui fa seguito la trascrizione nei registri immobiliari ) deve osservarsi che con la sentenza n. 6345 del 15 ottobre 2002 questo Tribunale ha ritenuto che la presentazione da parte del sig. Percuoco della domanda di sanatoria ai sensi dell’art. 13 della legge n. 47/1985 implicasse l’inefficacia dell’ordine di demolizione n. 9214/2002 dovendo l’amministrazione rideterminarsi con un nuovo provvedimento dopo aver verificato la sanabilità dell’opera (id est definito la domanda di accertamento di conformità).
Inoltre, dopo tale pronuncia il sig. Percuoco ha presentato in data 12 dicembre 2008 una nuova domanda di accertamento di compatibilità urbanistica e paesaggistica. Tale procedimento, come sopra esposto, è tuttora pendente.
Ciò nondimeno, contrariamente a quanto sostenuto dalle resistenti, l’ineseguibilità dell’ordinanza di demolizione del 2002 non implica l’inammissibilità del ricorso in quanto il Comune avrebbe comunque dovuto dare riscontro alla diffida presentata dalla ricorrente. In quella sede, infatti, la ricorrente ha sollecitato il Comune ad accertare in via definitiva la legittimità, sotto il profilo edilizio, urbanistico e paesaggistico, del fabbricato confinante al suo mediante l’adozione degli atti conseguenti, ossia, se del caso, (anche) il rilascio dell’autorizzazione in sanatoria ovvero l’emissione di un nuovo provvedimento sanzionatorio.
Non è, infatti, tollerabile che la domanda di sanatoria presentata nel dicembre del 2008 sia tuttora pendente, né accettabile la posizione della difesa comunale che sul punto si è limitata ad evidenziare che la Soprintendenza, la quale ha ricevuto tutta la documentazione in data 11 marzo 2009, ancora non si sarebbe espressa (circostanza dalla quale conseguirebbe, secondo la difesa dell’amministrazione, l’impossibilità per il Comune di emettere qualsivoglia provvedimento “nella doverosa attesa che si completi il sub-procedimento in parola”).
In altri termini, il Comune, stante il lungo lasso di tempo trascorso dall’avvio del procedimento di sanatoria, avrebbe dovuto verificare lo stato della pratica presso la Soprintendenza accertando, altresì, l’eventuale intervenuta decadenza dell’autorità statale dal potere di adottare le sue determinazioni ovvero, comunque, nell’ipotesi di perdurante sussistenza del suddetto potere, sollecitarne l’esercizio.
Alla luce delle argomentazioni che precedono deve, dunque, essere riconosciuta l'illegittimità del silenzio serbato dal Comune di Pozzuoli sulla diffida inoltrata dalla ricorrente, atteso l’obbligo dell’ente locale di concludere il procedimento, in considerazione delle numerose pronunce giurisprudenziali che attribuiscono al proprietario confinante la legittimazione a sollecitare l’adozione di provvedimenti sanzionatori previa eventuale definizione delle istanze di sanatoria pendenti in relazione alle opere abusive realizzate nella vicinanza della sua proprietà (ex multis T.A.R. Campania, sez. VIII, 24 aprile 2009, n. 2166).
Il Collegio ritiene di non dover esercitare la facoltà di pronunciarsi sulla fondatezza nel merito dell'istanza la quale richiede l’effettuazione di accertamenti tecnici da parte del Comune.
L’amministrazione comunale dovrà pertanto concludere il procedimento con l’adozione di un provvedimento espresso nel termine di sessanta giorni dalla notifica o dalla comunicazione in via amministrativa della presente sentenza.
Nel caso di inadempienza si nomina sin da ora, quale commissario ad acta, il Prefetto di Napoli od un funzionario all’uopo da lui delegato, che provvederà, su specifica richiesta della ricorrente, nell’ulteriore termine di 90 gg.
Il commissario, prima del suo insediamento, accerterà se nelle more è stato adottato il provvedimento finale e, in caso di perdurante inadempimento, lo adotterà in sostituzione.
Vanno posti a carico del Comune gli oneri per l’eventuale attivazione del commissario con la precisazione che, alla relativa liquidazione, si provvederà con separata ordinanza sulla scorta di una dettagliata relazione con cui il commissario dovrà chiarire anche se l’attività è stata svolta in orario d’ufficio.
Le spese processuali seguono la soccombenza e trovano liquidazione in dispositivo.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale della Campania (Sezione Sesta) definitivamente pronunciando sul ricorso come in epigrafe proposto, lo accoglie e, per l’effetto ordina al Comune di Pozzuoli di provvedere in ordine all’istanza indicata in epigrafe, nel termine di sessanta giorni dalla notifica o dalla comunicazione in via amministrativa della presente sentenza.
In caso di inesecuzione nomina sin d’ora quale commissario ad acta il Prefetto di Napoli o un funzionario all’uopo designato, dietro presentazione di specifica istanza dell’interessata nell’ulteriore termine di 90 gg.
Pone a carico del Comune gli oneri per l’eventuale attivazione del commissario con la precisazione che, alla relativa liquidazione, si provvederà con separata ordinanza sulla scorta di una dettagliata relazione con cui il commissario dovrà chiarire anche se l’attività è stata svolta in orario d’ufficio.
Condanna l’amministrazione e i controinteressati resistenti a rifondere alla ricorrente le spese del giudizio che si liquidano in complessivi euro 1.500,00 (millecinquecento/00), da dividersi in parti uguali, oltre maggiorazioni, I.V.A. e c.a.p., come per legge, nonché al rimborso del contributo unificato versato.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Napoli nella camera di consiglio del giorno 2 marzo 2016 con l'intervento dei magistrati:
Umberto Maiello, Presidente FF
Renata Emma Ianigro, Consigliere
Paola Palmarini, Primo Referendario, Estensore
L'ESTENSORE | IL PRESIDENTE | |
DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 16/03/2016
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)