TAR Abruzzo Sez. I n. 145 del 6 maggio 2024
Urbanistica.Disciplina premiante in deroga e finalità di riqualificazione e razionalizzazione del patrimonio edilizio esistente.

I benefici previsti dall'art. 5 del d.l. n. 70 del 2011 hanno carattere eccezionale e sono ammessi solo se rivolti a promuovere ed agevolare la riqualificazione di aree urbane degradate nonché alla razionalizzazione del patrimonio edilizio esistente, che deve, come tale, tenere conto del grado di saturazione delle singole zone. I Comuni possono determinarsi in modo complessivo con una delibera di carattere generale, che riconosca nelle singole aree o per i singoli edifici la sussistenza delle condizioni per applicare la disciplina premiante in deroga alla disciplina urbanistica ordinaria (volumetria aggiuntiva, possibilità di delocalizzare la volumetria in area diversa, cambio di destinazione d'uso, modifiche alla sagoma degli edifici). Nelle relative delibere, di competenza del consiglio comunale, tali deroghe devono essere ben puntualizzate, motivate e specificate, da un lato perché non residua alcun potere valutativo e ricognitivo in capo ai dirigenti, dall’altro perché individuare genericamente tutto il territorio comunale corrisponderebbe di fatto a omettere qualsivoglia effettiva valutazione in ordine alla sussistenza dei succitati eccezionali presupposti di legge. Il legislatore, del resto, sia pure in vista di un rilancio delle attività economiche inerenti all'edilizia, non ha affatto inteso liberalizzare e
generalizzare ogni intervento edilizio incrementativo degli edifici esistenti, ma ha collegato l'obiettivo di rilancio dell'attività edilizia a specifiche e ineludibili finalità relative all'interesse ad un miglioramento del tessuto urbanistico


Pubblicato il 06/05/2024

N. 00145/2024 REG.PROV.COLL.

N. 00121/2024 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per l' Abruzzo

sezione staccata di Pescara (Sezione Prima)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

ex art. 60 cod. proc. amm.;
sul ricorso numero di registro generale 121 del 2024, proposto da
Filippa Straccialini, Andrea Cornacchia, rappresentati e difesi dall'avvocato Lorenzo Passeri Mencucci, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;

contro

Comune di Pescara, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati Paola Di Marco, Fabrizio Paolini, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio Paola Di Marco in Pescara, piazza Italia, 1;

nei confronti

Fad S.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati Giulio Cerceo, Pietro Cerceo, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio Giulio Cerceo in Pescara, v.le G. D'Annunzio n. 142;

per l'annullamento

previa sospensiva del permesso di costruire prot. n. 70719/2023 rilasciato dal Comune di Pescara ed avente ad oggetto “ristrutturazione edilizia previa demo-ricostruzione del fabbricato residenziale sito in via Oberdan n. 65-69 con ampliamento” nonché di ogni altro atto, prodromico, conseguenziale e comunque connesso


Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio di Comune di Pescara e di Fad S.r.l.;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nella camera di consiglio del giorno 19 aprile 2024 il dott. Massimiliano Balloriani e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Sentite le stesse parti ai sensi dell'art. 60 cod. proc. amm.;


Considerato che:

-i ricorrenti hanno impugnato il permesso di costruire prot. n. 70719/2023, con il quale il Comune di Pescara ha autorizzato la società FAD s.r.l. alla realizzazione di un intervento di ristrutturazione, previa demolizione e ricostruzione con ampliamento, di un fabbricato di un solo piano ubicato in Pescara alla Via Oberdan;

- sussiste la loro legittimazione a ricorrere secondo il criterio della vicinitas, facendo i medesimi valere tra l’altro la violazione della normativa sulle distanze e sul carico urbanistico (Tar Genova, sentenza 1406 del 2013) (cfr. nel ricorso “L’interesse alla coltivazione del ricorso risiede nell’esigenza di tutelare il diritto di veduta preesistente nonché il rispetto delle distanze legali che risulterebbero irrimediabilmente pregiudicate dalla sopraelevazione del nuovo fabbricato senza alcun rispetto delle pur prescritte distanze legali, nonché nell’esigenza di preservare il valore commerciale dei fabbricati di proprietà che rischia di essere svilito per intero a causa della nuova costruzione”);

- in ogni caso, contrariamente a quanto sostenuto dalle controparti, l’interesse legittimo, per ottenere tutela deve essere differenziato, ma non è una mera posizione processuale a tutela di altra posizione giuridica sostanziale di diritto soggettivo che deve necessariamente preesistere (le controparti ritengono in proposito che non esista alcun diritto di veduta pur non contestando in modo specifico che non esista il pregiudizio allegato dai ricorrenti); difatti lo stesso interesse legittimo è una posizione sostanziale, che si compone strutturalmente della violazione di una norma di azione della pubblica amministrazione e della correlata lesione a un bene-interesse differenziato di un soggetto; ne consegue che, nel caso di violazioni edilizie, sono legittimati i vicini che hanno un oggettivo interesse a mantenere il precedente assetto urbanistico ed edilizio di cui godevano anche in via di mero fatto e non necessariamente sulla base di un diritto reale o personale (come a esempio nel caso di migliore veduta, o maggiore luminosità, cfr. Consiglio di Stato sentenza 3744 del 2010; Tar Catania sentenza 482 del 2012);

- peraltro, secondo la consolidata giurisprudenza amministrativa, il rapporto di vicinitas, ossia di stabile collegamento con l'area interessata dall'intervento contestato, è idoneo e sufficiente a fondare sia la legittimazione (ossia la titolarità di una posizione giuridica qualificata e differenziata) quanto l'interesse a ricorrere (ossia la sussistenza di una lesione concreta e attuale alla detta situazione giuridica per effetto del provvedimento amministrativo impugnato) (cfr. Consiglio di Stato sentenza 6761 del 2021); opera dunque senz’altro quantomeno come presunzione;

- secondo la giurisprudenza che il Collegio condivide, il termine per impugnare il permesso di costruire decorre dall'effettiva conoscenza dell'atto, senza che rilevino forme di pubblicità quale l'apposizione nel cantiere di un cartello indicante gli estremi del titolo o l'affissione dell'atto all'albo pretorio (così, tra le tante, T.A.R. Campania Napoli Sez. VIII, 24/11/2016, n. 5466); dunque chi intende eccepire la tardività del ricorso ha l'onere di provare che la parte ricorrente aveva già una piena ed effettiva conoscenza dell'atto impugnato (così Cons. Stato Sez. V, 16-04-2013, n. 2107); conoscenza che, per il terzo controinteressato, di regola coincide col momento in cui le opere rivelino, in modo certo ed univoco, le loro caratteristiche e, quindi, l'entità delle violazioni urbanistiche (così, tra le tante, T.A.R. Campania Napoli Sez. VIII, 23-08-2016, n. 4049); alla luce di tali principi ermeneutici l’odierno ricorso non può ritenersi tardivo facendo decorrere il dies a quo dal giorno di mera affissione del cartello di cantiere (Tar Napoli sentenza 2965 del 2018); nel caso in esame, peraltro, il cd. rendering, cioè la generazione grafica della immagine dell’opera finita, apposto sul cantiere, non appare univocamente idoneo a manifestare con piena evidenza la portata lesiva del titolo edilizio impugnato, atteso che esso ha carattere bidimensionale, mostrando solo la facciata dello stabile (come si nota nell’allegato prodotto dalla controinteressata), sicché non è percepibile quantomeno la restante volumetria posteriore del fabbricato e dunque il suo impatto reale; fermo restando che anche gli edifici laterali non appaiono realizzati in modo realistico al punto di creare affidamento su una corrispondenza in scala delle distanze e dell’effettivo inserimento rispetto all’esistente (Tar Lecce, sentenza 1929 del 2013);

-nel permesso di costruire impugnato sono richiamate la Legge Regionale n. 49/2012 e successive modifiche ed integrazioni e la delibera di Consiglio Comunale n. 163 del 31 ottobre 2017 di recepimento della medesima;

- la parte ricorrente afferma che, nel caso di specie: - l’intervento non è inquadrabile come ristrutturazione edilizia ai sensi dell’art. 3 comma 1ter lett d) DPR 380/2001 in combinazione con l’articolo 2bis comma 1 ter del medesimo dpr, nel senso che non potrebbe essere previsto un incremento volumetrico in deroga (che le citate norme riservano solo ai “casi espressamente previsti dalla legislazione vigente o dagli strumenti urbanistici comunali”), perché tale intervento non sarebbe finalizzato alla realizzazione di obiettivi di rigenerazione urbana pur prescritti dal quadro normativo di riferimento; - da ciò conseguirebbe quantomeno che la parte del fabbricato da realizzare in sopraelevazione dovrebbe porsi a distanza legale (ex DM 1444/1968) dalle pareti finestrate dei fabbricati fronteggianti; - anche la Legge regionale n. 49/2012 all’art. 1 comma 1 delimita il perimetro di applicazione delle “misure premiali” a precisi scopi di interesse pubblico (che nella fattispecie in esame non ricorrerebbero); - pure la delibera di Consiglio Comunale del 09/03/2023 n. 20, che ha recentemente confermato la precedente n. 163 del 31 ottobre 2017 (appunto di recepimento delle misure incentivanti di alla LR 49/12, articolo 2), richiamerebbe i limiti imposti dalla normativa statale e regionale; - in via subordinata, la stessa delibera di Consiglio Comunale del 2023 sarebbe illegittima, laddove proroga in modo indiscriminato, generalizzato e su tutto il territorio comunale, incentivi volumetrici in deroga, non eccezionale e contingente, alla necessaria pianificazione, che dovrebbe assicurare invece uno sviluppo ordinato e coerente del tessuto urbanistico ed edilizio (mentre l’articolo 5 della legge regionale 49/12 ha funzionalizzato tale potere dei Comuni, prevedendo che esso si possa esplicare: “solamente “sulla base di specifiche valutazioni o ragioni di carattere urbanistico, edilizio, paesaggistico, ambientale, in relazione alle caratteristiche proprie delle singole zone ed al loro diverso grado di saturazione edilizia e della previsione negli strumenti urbanistici dei piani attuativi”, precisando che la relativa delibera consiliare “non riveste carattere di pianificazione o programmazione urbanistica comunque denominati”); - la nuova delibera del 2023, inoltre, rispetto a quella del 2017, ne avrebbe prorogato ma anche ampliato gli effetti, in difetto di una necessaria istruttoria in ordine alla sussistenza delle finalità perseguite e alla loro compatibilità con gli interessi pubblici concorrenti e richiamati dalla norma statale e regionale (senza cioè alcun adeguatamente motivato riferimento “alle esigenze di “riqualificazione di aree urbane degradate” e di “razionalizzazione del patrimonio edilizio esistente” né alle “caratteristiche delle singole zone ed al loro diverso grado di saturazione edilizia””); - proprio perché la delibera comunale non deve rivestire carattere di pianificazione, essa non può finire per essere una deroga indiscriminata alla pianificazione comunale spalmata su tutto il territorio, atteso che in tale evenienza finirebbe per diventare anche una deroga generalizzata all’articolo 14 del dpr 380 del 2001; - l’articolo 1 comma 271 della Legge 23/12/2014, n. 190 ha disposto che: “Le previsioni e le agevolazioni previste dall'articolo 5, commi 9 e 14, del decreto-legge 13 maggio 2011, n. 70, convertito, con modificazioni, dalla legge 12 luglio 2011, n. 106, si interpretano nel senso che le agevolazioni incentivanti previste in detta norma prevalgono sulle normative di piano regolatore generale, anche relative a piani particolareggiati o attuativi, fermi i limiti di cui all'articolo 5, comma 11, secondo periodo, del citato decreto-legge n. 70 del 2011.”, e anche l’art. 2 comma 5 della L.r. n. 49/2012 prevede il rispetto della densità edilizia e dei parametri di altezza e distanza stabiliti dagli artt. 7, 8 e 9 del DM 1444/1968 per le singole zone territoriali omogenee; tuttavia nella delibera n. 20/2023 si richiamano i limiti di densità edilizia e distacchi di cui al DM 1444/1968 ma non anche gli ulteriori limiti in materia di tutela dell’ambiente e dell’ecosistema, mentre apparirebbe evidente che l’applicazione indiscriminata di tali benefici volumetrici potrebbe comportare il superamento dei limiti di densità edilizia previsti dal PRG; tanto più alla luce della possibilità di “monetizzare” gli standard urbanistici in luogo della loro realizzazione, senza il richiamo dei parametri, previsti invece nella legislazione regionale, tali da garantire che tali standard siano poi effettivamente realizzati in zone comparabili per ubicazione e destinazione;

- il Comune resistente non nega che l’intervento in questione sia stato autorizzato con le deroghe e i benefici volumetrici previsti dalla normativa citata da parte ricorrente (la quale ne lamenta un’applicazione estensiva che lede in concreto i propri interessi) né che esso abbia beneficiato dell’incremento di volumetria ai sensi della delibera comunale del 2017 (anzi nella memoria della controinteressata ciò trova espressa conferma laddove si afferma che: “l’intervento in questione consiste nella totale demolizione del fabbricato esistente e ricostruzione, con l’aggiunta delle premialità previste dalla Legge n. 106/2011, Legge Regionale n. 49/2012 e successive modifiche ed integrazioni così come recepita dalla citata delibera di Consiglio Comunale n. 163 del 31.10.2017 (successivamente modificata dalla delibera di Consiglio Comunale n. 20 del 09.03.2023)”);

- dal permesso di costruire risulta anche che il controinteressato ha ottenuto la monetizzazione degli standards prevista dall’articolo 2 comma 7 della LR 49 del 2012 per gli interventi di riqualificazione urbana per i quali è previsto il premio di cubatura in virtù del medesimo articolo, oltre alla circostanza che ha usufruito delle premialità di cui al dl 70 del 2011, convertito in L 106 del 2011, e di cui alla legge regionale 49 del 2012 e delibera di consiglio comunale 163/17);

- il Comune dal suo canto evidenzia in particolare che:- l’art. 2, comma 1, L.R. n. 49/2012 consente gli interventi di ristrutturazioni mediante demolizione e ricostruzione con realizzazione quale misura premiale di un aumento di volumetria rispetto a quella legittimamente preesistente per favorire azioni di riqualificazione urbana “o” al fine di migliorare la qualità del patrimonio edilizio esistente; quindi le due finalità sarebbero alternative e non concorrenti; - tali finalità peraltro sarebbero ormai coincidenti, ciò in quanto il D.L. n. 76/2020 ha modificato le norma edilizie di cui al D.P.R. n. 380/2001, consentendo di qualificare come interventi di ristrutturazione edilizia anche quelli di demolizione e ricostruzione su singoli edifici prevedendo incrementi volumetrici, deroghe ai limiti di altezza e distanza per gli interventi che conducano ad edifici diversi per sagoma, prospetti, sedime e caratteristiche planivolumetriche e tipologiche, perseguendo il fine del cd. risparmio del suolo declinato non sono in ottica di rigenerazione urbana ma anche a favore di interventi su singoli edifici; anche secondo la recente L.R.A. 20 dicembre 2023 n. 58 la rigenerazione urbana potrebbe riguardare sia aree che singoli edifici; - vi sarebbe carenza di interesse alla impugnazione della delibera di Consiglio comunale 20/23, perché l’intervento sarebbe stato assentito direttamente in virtù dell’articolo 2bis comma 1ter del dpr 380 del 2001, e dunque la delibera non avrebbe inciso sull’intervento edilizio qui contestato; - in ogni caso l’intervento in esame sarebbe stato assentibile già con la precedente delibera di Consiglio comunale 163/17, nel senso che le modifiche a quest’ultima apportate dalla 20/23 non avrebbero influito affatto sulla realizzabilità dello stesso; di qui la dedotta carenza di interesse alla impugnazione della delibera 20/23 e la tardività della impugnazione della 163/17;

- anche la parte controinteressata ha dedotto ragioni di inammissibilità del ricorso (in parte sopra già esaminate), e ha contestato in modo articolato nel merito le censure proposte;

- tutto ciò premesso, e introducendo l’esame del merito, il Collegio rileva che il primo motivo di censura è infondato, laddove mira a sostenere che, sebbene l’area di intervento sia inserita, dalle delibere comunali, tra quelle ammesse a fruire dei benefici del cd. decreto sviluppo, quindi delle deroghe previste dal d.l. 70 del 2011 e dalla legge regionale 49 del 2012, nel caso di specie le finalità contemplate da tali norme non sarebbero sussistenti e quindi sarebbe illegittimo il solo permesso di costruire;

- tale censura, infatti, parte da una errata ricostruzione del paradigma di cui alle citate normative, postulando che, in concreto, nonostante l’adozione della delibera comunale di attuazione dei benefici sul territorio, residui in capo al dirigente una discrezionalità in ordine alla concessione o meno degli stessi; viceversa, come si esporrà più approfonditamente nel prosieguo, la valutazione di derogare alle previsioni di piano, e dunque di attuare le previsioni del d.l. 70 del 2011 e della L.R. 49 del 2012, spetta unicamente al Consiglio comunale, non restando in capo ai dirigenti alcuna discrezionalità in materia;

- l’ulteriore censura - che postula che l’intervento di ristrutturazione, in deroga ai sensi dell’articolo 2 bis comma 1 ter del dpr 380 del 2001, richieda comunque la previsione di incentivi da parte di altre disposizioni normative esterne a essa - appare viceversa fondata, ma, ai fini della sussistenza dell’interesse a ricorrere, deve essere esaminata congiuntamente con la domanda subordinata, con la quale si impugna anche la delibera 20 del 2023; ciò perché, come pure sarà meglio analizzato nel prosieguo, nel caso di specie l’intervento rientra tra quelli ammessi a premio di volumetria sulla base della delibera comunale di attuazione della legge regionale 49/12, e dunque sussiste la normativa esterna, attuata da ultimo proprio con la delibera del 2023, quale presupposto per l’applicazione dell’articolo 2bis comma 1 ter cit.;

- appaiono infine fondati i motivi di censura proposti in via subordinata avverso tale delibera comunale del 2023 di recepimento dei benefici del cd. decreto sviluppo;

- ai sensi dell’articolo 5 comma 9 del dl 70 del 2011, alle Regioni viene demandata la disciplina di misure incentivanti in materia edilizia “Al fine di incentivare la razionalizzazione del patrimonio edilizio esistente nonche' di promuovere e agevolare la riqualificazione di aree urbane degradate con presenza di funzioni eterogenee e tessuti edilizi disorganici o incompiuti nonche' di edifici a destinazione non residenziale dismessi o in via di dismissione ovvero da rilocalizzare, tenuto conto anche della necessita' di favorire lo sviluppo dell'efficienza energetica e delle fonti rinnovabili”, e il comma 14 prevede un potere sostitutivo preventivo in caso di inerzia delle Regioni stesse (atteso che il governo del territorio è oggetto di competenza concorrente ai sensi dell'articolo 117, terzo comma, della Costituzione), rinviando, per la procedura di accesso ai benefici, nelle more dell’attuazione regionale, all’articolo 14 del dpr 380 del 2001, così disvelando pure che si tratta di misure tese sostanzialmente a realizzare, anche poi a regime su base normativa regionale e previa attuazione da parte dei Comuni, una ipotesi generale del permesso di costruire in deroga (siamo cioè pur sempre nell’ambito delle deroghe generali/speciali al principio della pianificazione del territorio, disposte per ragioni di interesse pubblico);

- già dalla disposizione dell’articolo 5 comma 9 del d.l. 70 del 2011, appena richiamata, e da quanto sinora esposto, emerge che i singoli Comuni, anche se con legge regionale gli viene conferita la possibilità di determinarsi in modo unitario con riferimento a tutto il territorio di competenza (e cosi in Abruzzo, “su tutto il territorio o parti di esso”, e tra l’altro i Comuni “possono” non devono, cfr. art. 1 comma 2 LR 49 del 2012), sono comunque obbligati a conservare il carattere speciale ed eccezionale delle deroghe e dunque, tra l’altro, specificare in modo puntuale quali solo le aree o i singoli edifici che, per attuare gli interessi previsti dalla legislazione statale e regionale, possono accedere a tali benefici perché si trovano nelle previste condizioni (e ciò trova conforto anche nella legislazione abruzzese, che dunque, cosi interpretata, non presenta inconciliabili profili di contrasto con i principi fondamentali dettati dalla normativa statale concorrente: “sulla base di specifiche valutazioni o ragioni di carattere urbanistico, edilizio, paesaggistico, ambientale, in relazione alle caratteristiche proprie delle singole zone ed al loro diverso grado di saturazione edilizia”, art. 2 comma 2 L.R. 49 del 2012): la natura derogatoria è analoga a quella speciale di cui all’articolo 14 del dpr 380 del 2001, benché su scala comunale e dunque complessivamente valutata (e per quello nella medesima legge regionale viene opportunamente specificato che non si tratta di norme di pianificazione, dovendo conservare il carattere derogatorio e dunque eccezionale);

- in altri termini, invece di richiedere volta per volta la delibera autorizzatoria in deroga da parte del Consiglio comunale (come invece accadeva nella fase transitoria prevista dal d.l. 70 del 2011 prima dell’intervento della disciplina normativa regionale, cfr. Tar Pescara sentenza 351 del 2017; Consiglio di Stato sentenza 1828 del 2017), a regime è stata prevista la possibilità dei Comuni di determinarsi in modo complessivo con una delibera di carattere generale, che riconosca nelle singole aree o per i singoli edifici la sussistenza delle condizioni per applicare la disciplina premiante in deroga alla disciplina urbanistica ordinaria (volumetria aggiuntiva, possibilità di delocalizzare la volumetria in area diversa, cambio di destinazione d'uso, modifiche alla sagome degli edifici) (cfr. Tar Torino, sentenza 91 del 2016: “al pari del permesso di costruire in deroga disciplinato dall'art. 14 del d.p.r. n. 380/2001, il permesso di costruire rilasciato ai sensi dell'art. 5, comma 9 e seguenti, del D.L. n. 70 del 2011 determina una deroga alla disciplina ordinaria e alle previsioni degli strumenti urbanistici ed è pertanto un istituto di carattere eccezionale giustificato dalla necessità di soddisfare esigenze straordinarie rispetto agli interessi primari garantiti dalla disciplina urbanistica generale; in quanto tale, esso è applicabile esclusivamente entro i confini tassativamente previsti dal legislatore statale”);

- siccome la individuazione dei casi di deroga deve essere necessariamente rimessa al Consiglio comunale (come riconosciuto dalla giurisprudenza anche prima degli interventi attuativi regionali nel succitato periodo transitorio), nelle relative delibere tali deroghe devono essere ben puntualizzate, motivate e specificate, da un lato perché non residua alcun potere valutativo e ricognitivo in capo ai dirigenti, dall’altro perché individuare genericamente tutto il territorio comunale corrisponderebbe di fatto a omettere qualsivoglia effettiva valutazione in ordine alla sussistenza dei succitati eccezionali presupposti di legge;

- i benefici previsti dall'art. 5 hanno carattere eccezionale e sono ammessi solo se rivolti alla razionalizzazione del patrimonio edilizio esistente o a promuovere o agevolare la riqualificazione di aree urbane degradate e tali condizioni devono sussistere per tutti gli interventi edilizi, di natura sia residenziale sia non residenziale; il legislatore, infatti, sia pure in vista di un rilancio delle attività economiche inerenti all'edilizia, non ha affatto inteso liberalizzare e generalizzare ogni intervento edilizio incrementativo degli edifici esistenti, ma ha collegato l'obiettivo di rilancio dell'attività edilizia a specifiche e ineludibili finalità relative all'interesse ad un miglioramento del tessuto urbanistico, cui sono chiaramente correlate le due alternative finalità/condizioni di ammissibilità dell'intervento: "razionalizzazione del patrimonio edilizio" e "riqualificazione dell'area urbana degradata" (Consiglio di Stato sentenza 6761 del 2021; Cass. pen. Sez. III, 23 gennaio 2020, n. 2695);

- in altre parole, “non la semplice volontà di riqualificare un edificio a destinazione non residenziale dismesso o in via di dismissione può sorreggere un intervento incrementativo edilizio da realizzare con ampliamento di volumetria e superficie utile, essendo imprescindibile, al fine di conseguire la premialità richiesta, il perseguimento del duplice fine alternativamente richiesto dalla norma, ossia la razionalizzazione del patrimonio edilizio esistente o la riqualificazione di un'area urbana degradata. E tanto in ragione del carattere eccezionale e derogatorio della disposizione in parola la quale, integrando una norma di favore, va definita come norma 'eccezionale', in quanto diretta a regolare in termini diversi un minor numero di ipotesi rispetto a quelle 'ordinarie', di talché la medesima non è suscettibile di interpretazione in senso estensivo” (Tar Lazio sentenza 17543 del 2022);

- “solo nell'ambito di tale cornice, e in presenza di tali presupposti, può assumere rilievo … la circostanza che il progettato intervento edilizio consegua anche ulteriori apprezzabili risultati sul piano della razionalizzazione dei consumi energetici, posto che, inequivocamente, essa configura un'eventualità apprezzabile dalla legislazione regionale attuativa ("...tenuto conto anche della necessità di favorire lo sviluppo dell'efficienza energetica e delle fonti rinnovabili...")” (Consiglio di Stato sentenza 4088 del 2015);

-  occorre ribadire che, nella interpretazione della normativa regionale, devono esportarsi le conclusioni riguardanti i principi fondamentali dettati dalla normativa nazionale, tenendo conto che di quest’ultima quella regionale costituisce attuazione (Tar Lazio sentenza 17543 del 2022);

- trattandosi di legislazione concorrente, i principi enuncleabili dal d.l. 70 del 2012, come interpretati dalla giurisprudenza, hanno senz’altro carattere di principi fondamentali (Tar Bari sentenza 1396 del 2022), e dunque vincolano anche la interpretazione della normativa regionale, che deve essere costituzionalmente orientata;

- pertanto, innanzitutto, sono due le ipotesi che devono ricorrere e conservare il carattere di eccezionalità: “a) va esclusa ogni interpretazione estensiva della stessa che renda ammissibili interventi edilizi del tipo di quelli consentiti dalla legge rivolti ad edifici privi di quei caratteri di degrado, abbandono, dismissione, inutilizzo o in via di dismissione o rilocalizzazione che la norma pretende per legittimare il compimento di siffatti interventi incentivanti; b) gli interventi in questione, intanto possono beneficiare di detta legislazione di favore in quanto, comunque, abbiano ad oggetto edifici insistenti in aree urbane degradate e, in assenza di detto presupposto, l'intervento non può essere consentito” (Tar Lazio sentenza 17543 del 2022);

- seppure non si voglia ritenere che i due concetti di razionalizzazione del patrimonio edilizio esistente e di riqualificazione di aree degradate siano coincidenti o subordinati (nel senso che, come ritenuto da parte della giurisprudenza, il beneficio possa essere concesso anche in aree non degradate, Tar Milano sentenza 194 del 2013), ciò nondimeno appare evidente che il concetto di razionalizzazione del “patrimonio” edilizio mira al risparmio del suolo, secondo il concetto di stampo eurounitario di economica circolare, e dunque a favorire il riuso di immobili dismessi, ma anche ad evitare eccessive concentrazioni e saturazioni abitative solo in determinate aree, in ipotesi maggiormente richieste; altrimenti sarebbe evidente, tra l’altro, il contrasto con l’altro fine, che è quello della riqualificazione urbanistica, che mira alla valorizzazione e al recupero di aree degradate e generalmente periferiche; dunque appare chiaro che le due finalità sono comunque interconnesse tra loro, come si desume dalle numerose pronunce citate (cfr. anche la rubrica dell’articolo 2 della legge regionale 49 del 2012: “Disposizioni comuni agli interventi di riqualificazione urbana realizzati attraverso la ristrutturazione, l'ampliamento e la demolizione e ricostruzione”);

- in altri termini, anche se le finalità possono essere concorrenti, di certo non possono essere perseguite in modo conflittuale tra loro, ed ecco che la valutazione deve essere sempre complessiva e tenere conto della realizzazione di entrambi gli interessi perseguiti (pure la recente L.R. 58 del 2023, richiamata dalla difesa comunale, all’articolo 1 prevede lo scopo del risparmio del suolo, ma anche il miglioramento della qualità urbana, quindi nell’attuare l’uno deve tenersi conto anche dell’altro);

- l’articolo 2 della LR 49/12, coerentemente con quanto sinora illustrato, cosi si esprime “…in relazione alle caratteristiche proprie delle singole zone ed al loro diverso grado di saturazione edilizia e della previsione negli strumenti urbanistici dei piani attuativi, di avvalersi, su tutto il territorio comunale o parti di esso, delle misure incentivanti previste dall'articolo 3, commi 2 e 4 e dall'articolo 4, commi 2, 4 e 5 della presente legge. Il provvedimento comunale, di cui al presente comma, non riveste carattere di pianificazione o programmazione urbanistica comunque denominata”;

- già da tali espressioni si desume che la razionalizzazione del patrimonio edilizio deve tenere conto del grado di saturazione delle singole zone, sempre nella ricordata finalità di perseguire razionalizzazione e riqualificazione, e non speculazione e sovraffollamento delle zone più di pregio, peraltro in deroga anche agli standard urbanistici, resi monetizzabili; il risparmio del suolo non può essere strumentalmente decontestualizzato, come se fosse un obiettivo avulso dagli altri, al solo fine di generalizzare premi di volumetria in deroga e a pioggia;

- si consideri a tal proposito che, essendo gli interventi pur sempre rimessi a esclusiva iniziativa di privati (specie ove direttamente ammessi senza la mediazione di un piano), appare evidente che, se generalizzati, possono tendere a concentrarsi naturalmente in zone più redditizie proprio a scapito di quelle da riqualificare, contraddicendo lo scopo della legge;

- in tale ottica, e alla luce dei principi desumibili dalla normativa statale di cui quella regionale costituisce attuazione, devono essere interpretate le finalità enucleate all’articolo 2 comma 1 della medesima legge regionale (“per favorire azioni di riqualificazione urbana o al fine di migliorare la qualità del patrimonio edilizio esistente, sono ammessi interventi di ristrutturazione, ampliamento e di demolizione e/o ricostruzione con realizzazione, quale misura premiale, di un aumento di volumetria rispetto a quella legittimamente esistente”): miglioramento della qualità del patrimonio edilizio esistente non vuol dire che ogni intervento di ristrutturazione edilizia può beneficiare di un premio di cubatura, altrimenti si cadrebbe nella interpretazione, che la giurisprudenza amministrativa, come sopra esposto, non condivide affatto: vi si darebbe una interpretazione estensiva che prescinde dalla finalità pubblicistica di razionalizzazione (non del singolo edificio ma del patrimonio edilizio) e riqualificazione urbana (“il legislatore, infatti, sia pure in vista di un rilancio delle attività economiche inerenti all'edilizia, non ha in sostanza inteso liberalizzare e generalizzare ogni intervento edilizio incrementativo degli edifici esistenti, collegando l'obiettivo di rilancio dell'attività edilizia a specifiche e ineludibili finalità relative all'interesse… ad un miglioramento del tessuto urbanistico, cui sono chiaramente correlate le due alternative finalità/condizioni di ammissibilità dell'intervento, "razionalizzazione del patrimonio edilizio", "riqualificazione dell'area urbana degradata", cfr. Consiglio di Stato sentenza 6761 del 2021; Cass. pen. Sez. III, 23 gennaio 2020, n. 2695);

- il Comune sostiene che non avrebbe operato alcuna “inammissibile generalizzazione” della deroga alla pianificazione consentita dal decreto sviluppo, e a tal fine rinvia alle campiture gialle (che indicano le aree dove è consentita la deroga) allegate alle delibere del 2017 e del 2023, nulla specificando invece in ordine a concrete motivazioni sui fini imposti dal legislatore nazionale e regionale di cui si è detto, con riferimento alle singole aree o edifici;

- da tali planimetrie segnate in giallo si desume viceversa che l’Ente locale ha esteso il beneficio praticamente quasi a tutto il suo territorio, escludendo pressoché solo i casi espressamente contemplati dalla legge regionale al comma 8 dell’articolo 2; e ciò soprattutto con la delibera del 2023 che appare aver ulteriormente ampliato tale inclusione, tranne limitate eccezioni, fino a ricomprendervi anche la parte dell’edificato costiero (cfr. campitura gialla, allegato 6bis, con riguardo alla delibera CC 20/23; medesima campitura di cui agli allegati 0 e 1, contenuti nell’allegato n.8, con riguardo alla delibera del 2023);

- tra le modifiche introdotte con la delibera del 2023, infatti: “sono state eliminate dalla cartografia le limitazioni di PRG relativamente al rispetto dei parametri di altezza e distanza nella fascia litoranea di 50 m, semplificando l'applicazione della norma e ampliandone l'applicabilità” (cfr. punto 3 della relazione tecnica alla delibera del 2023), e inoltre in essa si legge pure che sarebbero state eliminate le previsioni che imponevano il Piano di recupero per accedere alle misure premiali, e aumentate le ipotesi di complementarietà ai fini del cambio di destinazione d’uso (cfr. i punti 2 e 5 della delibera 2023);

- una tale decisione si manifesta del tutto incoerente con quanto sinora illustrato, postulando o che il fine della legge sia invece solo quello di aumentare le volumetrie degli edifici esistenti, demolendoli per realizzarne di più alti (peraltro monetizzando gli standard e dunque peggiorando la qualità urbana) o che tutto il patrimonio edilizio del Comune sia indiscriminatamente irrazionale e da riqualificare in deroga alla pianificazione urbanistica;

- si legge, a esempio, nella relazione alla delibera del 2017, che l’inclusione di quasi tutto l’edificato centrale viene motivato sulla base del generico e generalizzato mero periodo di edificazione presuntivamente risalente al primo trentennio del dopoguerra, dunque fino a circa il 1980, e quindi con l’esigenza del suo “ammodernamento”, efficientamento energetico e antisimico; ma ciò non tiene conto del fatto che: 1) il fine del mero “ammodernamento” (peraltro già agevolato sul piano fiscale) porterebbe a far indebitamente coincidere ogni demo-ricostruzione con gli incentivi in deroga agli strumenti urbanistici, che invece postulano altri specifici fini d’interesse pubblico che devono essere e sono previsti ad hoc dalla legge (cfr. il combinato disposto degli articoli 3 lett. d) e 2bis comma 1 ter del dpr 380 del 2001), come meglio si illustrerà a breve; 2) l’adeguamento antisismico è perseguito con altri e diversi incentivi, ma non direttamente con quelli in esame; 3) il fine dell’efficientamento energetico è subordinato alla sussistenza degli scopi tipizzati di razionalizzazione e riqualificazione urbanistica, e difatti per esso è prevista solo una percentuale di volumetria aggiunta, ma sempre nell’ambito dell’intervento principale (cfr. Consiglio di Stato sentenza 4088 del 2015);

- a tal proposito, non appare comunque risolutivo quanto riferito dal Comune a difesa della propria delibera del 2023, contestata da parte ricorrente sul piano della insufficiente motivazione, ossia che ““tutte le necessarie indagini preliminari dirette a verificare la significatività dell’impatto (anche ambientale) delle misure adottate sul territorio” sono state già svolte in occasione del primo recepimento del c.d. Decreto Sviluppo del 2017”; ciò in quanto, a prescindere dalla genericità della deduzione, è del tutto evidente che il notevole ampliamento della possibilità di deroga operato nel 2023 rispetto al 2017 avrebbe richiesto quantomeno una rivalutazione complessiva dell’intero impatto sui più volte analizzati interessi tipizzati e da perseguire;

- peraltro, il Collegio rileva che il rinvio motivazionale genericamente postulato dalla difesa comunale non risulta in concreto agevole perché appare produrre risultati non coerenti;

- a esempio, leggendo la relazione alla delibera 163 del 2017, si evince che esiste un contrasto tra le valutazioni operate con quest’ultima e l’ampliamento operato poi con quella del 2023: nella relazione alla delibera del 2017 infatti si afferma che si è deciso di escludere, tra le aree ammesse ai benefici in deroga, quella della fascia costiera, perché altrimenti “si snaturerebbe l’assetto consolidato e caratterizzante l’ambito rivierasco, nonché il tipico andamento del tessuto urbano caratterizzato da edifici di altezza limitata nelle vicinanze del mare, che via via aumenta muovendo verso l’interno. In altre parole si è voluto evitare di creare una sorta di “cortina” di edifici a ridosso della riviera”; viceversa, come già rilevato, dalla campitura gialla allegata alla delibera del 2023, emerge che in essa sono state ricomprese anche queste aree rivierasche, e nella sua relazione al punto 3 si legge infatti che: “sono state eliminate dalla cartografia le limitazioni di PRG relativamente al rispetto dei parametri di altezza e distanza nella fascia litoranea di 50 m, semplificando l'applicazione della norma e ampliandone l'applicabilità”);

- il Comune, nella propria memoria, rinvia inoltre molto genericamente, sempre al fine di giustificare una adeguata ponderazione dei fini tipizzati, alla delibera n. 26 del 2017, dei cui indirizzi quantomeno la delibera 163 del 2017 avrebbe tenuto conto, e dunque, per assorbimento, anche la successiva delibera del 2023;

- a parte la riferita genericità della deduzione difensiva (non solo il ricorso ma anche le memorie difensive devono essere specifiche e dunque sufficientemente autonome, non potendosi imporre al giudice un’attività di ricerca, tra i documenti allegati, delle ragioni a sostegno della parte resistente), dall’esame di tale delibera 26 del 2017, e della sua relazione, si evince che essa riguarda l’approvazione di uno studio (“Pescara città della conoscenza e del benessere. Indirizzi strategici per il governo del territorio”) elaborato a seguito di un protocollo d’intesa con il dipartimento di Architettura della Università d’Annunzio, e che contiene le linee guida per le trasformazioni urbane “anche al fine di raccordare e facilitare le progettualità latenti e presenti sul territorio”;

- a pag. 21 di tale studio (par. II.1.5. “razionalizzazione del patrimonio edilizio esistente, cd. “decreto sviluppo””) è dato tuttavia leggere, sul pertinente piano delle valutazioni urbanistiche e non giuridiche, considerazioni che avrebbero dovuto indurre, viceversa, a evitare una indiscriminata generalizzazione delle deroghe sul territorio comunale (pur nel dubbio, con la presente sentenza risolto in senso negativo, che la normativa regionale, interpretata in contrasto con quella statale, potesse consentirlo in quei termini, ma certamente non imporlo), “elargendo dall’alto premi di cubatura a pioggia indistintamente su tutto il territorio comunale, senza tenere conto della sostenibilità urbanistica e della possibilità di realizzare i necessari spazi e servizi pubblici e di uso collettivo”;

- il richiamo all’articolo 9 della recente legge regionale 58 del 2023, operato sempre da parte della difesa del Comune, poi, non è pertinente al caso di specie, perché riguarda gli scopi da attuare in via ordinaria attraverso la pianificazione urbanistica, e comunque non disciplina la concessione delle premialità in esame (“…gli strumenti di pianificazione territoriale ed urbanistica privilegiano il riuso dei suoli urbani, il riuso edilizio e la sostituzione e la ristrutturazione urbanistica…”), senza contare che il comma 4 collega pur sempre il “riuso edilizio” di cui al comma 3 anche al contrasto della desertificazione urbana, e a specifici obiettivi di coesione sociale, quindi pure sempre a specifici obiettivi di razionalizzazione e riqualificazione, e non al mero ampliamento edilizio fine a sé stesso;

- i rilievi sin qui esposti appaiono deporre in modo univoco nel senso che il Comune, contrariamente a quanto sostenuto dalla sua difesa, non ha affatto proceduto “sulla base di specifiche valutazioni o ragioni di carattere urbanistico, edilizio, paesaggistico, ambientale, in relazione alle caratteristiche proprie delle singole zone ed al loro diverso grado di saturazione edilizia e della previsione negli strumenti urbanistici dei piani attuativi”, come invece impone l’articolo 1 comma 2 della legge regionale 49 del 2012 (cfr. pagina 9 della memoria del 16.4.24 del Comune di Pescara);

- tali valutazioni, si ripete, ovviamente non possono condurre al risultato di estendere il beneficio a tutto il territorio, o alla quasi totalità dello stesso, facendogli perdere il necessario requisito della eccezionalità (che ovviamente si perde ove le ipotesi di deroga, che in quanto tali devono restare circoscritte, superano quelle ordinarie, cfr. Tar Lazio sentenza 17543 del 2022: “E tanto in ragione del carattere eccezionale e derogatorio della disposizione in parola la quale, integrando una norma di favore, va definita come norma 'eccezionale', in quanto diretta a regolare in termini diversi un minor numero di ipotesi rispetto a quelle 'ordinarie', di talché la medesima non è suscettibile di interpretazione in senso estensivo”);

- ciò vale tanto più se, come ben evidenziato dalla difesa di parte ricorrente, tale estensione della deroga avviene senza alcuna adeguata valutazione, non solo degli illustrati interessi tipici da perseguire e del loro necessario coordinamento, ma anche in ordine alla compatibilità di tali benefici con le caratteristiche delle singole zone e il loro grado di saturazione (circostanza che appare ancor più rilevante se si tiene conto del fatto che con la delibera del 2023 si è ampliata anche la possibilità di monetizzare gli standards, ex articolo 2 comma 7 della legge regionale 49 del 2012);

- peraltro, come appare evincersi dalle planimetrie allegate dal Comune, le aree in cui tali benefici non sono concessi direttamente, ma solo previa adozione di un piano di recupero, appaiono già piuttosto limitate nella delibera del 2017, e a fronte di ciò, con quella del 2023, si è deciso di eliminare “le previsioni che condizionavano l'applicazione delle premialità di legge a una proposta di Piano di Recupero, in variante al PRG, poiché l'individuazione di tali ambiti risulta non in linea con il censimento delle zone di degrado censite nella tav. B8 - Zone di degrado e Recupero del vigente PRG”;

- in sostanza, le allegazioni del Comune, invece di apparire idonee a contrastare le censure di parte ricorrente, risultano rafforzarne la forza persuasiva;

- giova ulteriormente sottolineare, sotto altro profilo, che il comma 2 dell’articolo 1, della legge regionale 49 del 2012, deve essere interpretato nel senso che è la delibera comunale che può essere adottata con riferimento o meno a tutto il territorio, ma le misure vanno adattate alle singole zone e alle singole loro esigenze (“caratteristiche proprie delle singole zone”), in relazione ai fini individuati dal legislatore nazionale e ripresi da quello regionale;

- una diversa interpretazione, infatti, porrebbe la legge regionale in irrimediabile contrasto non solo con i principi fondamentali tracciati dal d.l. 70 del 2012 e dunque con l’articolo 117 della Costituzione sotto tale profilo; ma anche con i principi fondamentali della materia del governo del territorio stabiliti dall’articolo 41-quinquies della legge n. 1150 del 1942, in base al quale le deroghe generali alla pianificazione del territorio sono ammissibili solo in quanto conservino quantomeno il carattere della eccezionalità e della funzionalizzazione a specifici obiettivi, senza che possano comportare una stabile deroga indiscriminata alla pianificazione (Corte Costituzionale, sentenza 17 del 2023);

- derogando alla regola generale della pianificazione si deroga anche alla possibilità dei cittadini di parteciparvi con proprie osservazioni, dunque la eccezionalità rileva anche sul piano procedimentale, nel senso che, proprio perché le delibere attuative dei primialità statali e regionali non seguono le regole della pianificazione, devono essere a maggior ragione di carattere eccezionale e di circoscritta applicazione;

- seguendo la diversa interpretazione, pure prospettata dal Comune, viceversa, come illustrato, tenuto conto del disposto di cui all’articolo 2 bis comma 1ter del dpr 380 del 2001, nella gran parte del territorio comunale a ogni demo-ricostruzione potrebbe potenzialmente accedere il beneficio in deroga (con stravolgimento generalizzato della pianificazione); viceversa proprio il rinvio esterno operato dagli articoli 3 lett. d) e 2bis comma 1 ter a diverse norme incentivanti, postula che il fine del legislatore non sia stato solo quello di ottenere una mera ristrutturazione e un mero ammodernamento degli immobili esistenti;

- qui sovviene l’ulteriore aspetto, già accennato: il comma 1 ter dell’articolo 2bis del dpr 380 del 2001 (“Gli incentivi volumetrici eventualmente riconosciuti per l'intervento possono essere realizzati anche con ampliamenti fuori sagoma e con il superamento dell'altezza massima dell'edificio demolito, sempre nei limiti delle distanze legittimamente preesistenti”) prevede le deroghe sul presupposto che ci siano degli incentivi, e questi nel caso di specie sono previsti dalla legge regionale e attuati dal Comune sul territorio (cfr. l’art. 3 lett. d) del medesimo dpr: “L'intervento puo' prevedere altresi', nei soli casi espressamente previsti dalla legislazione vigente o dagli strumenti urbanistici comunali, incrementi di volumetria anche per promuovere interventi di rigenerazione urbana”);

- dunque, contrariamente a quanto sostenuto dalla difesa del Comune per contestare l’interesse alla relativa impugnazione, le delibere comunali incidono senz’altro sulla possibilità o meno di realizzare gli interventi, quali quello in esame, ai sensi del comma 1 dell’articolo 2 bis del dpr 380 del 2001;

- quanto alla questione circa la presunta tardività della impugnazione o la carenza di interesse sotto altro profilo, il Collegio osserva che la delibera del 2023, nel rivedere e confermare quella del 2017 nei modi e termini illustrati, si manifesta come atto confermativo e non meramente confermativo e pertanto è idonea a far ridecorrere i termini per la impugnazione, contenendo una nuova istruttoria, sia pure insufficiente, e una nuova valutazione degli interessi in gioco (Consiglio di Stato sentenza 3301 del 2020) (cfr. pag. 10 della memoria del Comune: “sono state condivise le risultanze istruttorie di quest’ultima delibera rendendole oggetto solo di opportune revisioni, attenendosi scrupolosamente alle prescrizioni della normativa regionale e nazionale senza introdurre alcuna variante urbanistica e senza compromettere in alcun modo l’assetto territoriale”);

- nel caso di specie, tutti questi rilievi assumono carattere assorbente, poiché dalla delibera di C.C. del 2023, che assorbe quella del 2017, non è dato desumere legittime ragioni, tra quelle tipizzate, per cui l’edificio in esame sia stato posto nelle condizioni per poter beneficiare degli incentivi in questione, la cui attuazione lede l’interesse di parte ricorrente;

- con riferimento allo specifico edificio, peraltro, le controparti si limitano a riferire che “a fronte di un manufatto in precarie condizioni manutentive ed igieniche (tali da generare un complessivo stato di degrado riferibile anche all’area circostante) è stata prevista la realizzazione di un nuovo fabbricato perfettamente in aderenza con le vigenti normative in materia sismica e di efficientamento energetico”, ma, da un lato di ciò non viene fornita alcuna specifica dimostrazione, dall’altro ciò dovrebbe essere comunque previsto e specificato nelle delibere del 2017 e 2023, con le modalità e secondo i parametri sinora esposti;

- poiché il permesso di costruire, per le ragioni illustrate, attua la deroga generalizzata, come ampliata e confermata con la delibera del 2023, la caducazione di quest’ultima vizia il primo per collegamento funzionale e ne impone dunque l’annullamento (cfr. nel permesso di costruire: “con l’aggiunta delle premialità previste dalla Legge n. 106/2011, Legge Regionale n. 49/2012 e successive modifiche ed integrazioni così come recepita dalla delibera di Consiglio Comunale n. 163 del 31 ottobre 2017”); e ciò è determinate per l’interesse di parte ricorrente, atteso che dalle risultanze esposte appare che, in difetto del premio volumetrico, la sopraelevazione in questione non sarebbe consentita o comunque non con le dimensioni attuali che i medesimi ritengono pregiudizievoli rispetto alla preesistenza;

- dovendo il Consiglio comunale, di conseguenza, rivalutare con nuova delibera l’attuazione della disciplina regionale di cui alla legge 49 del 2012, alla luce dei principi illustrati nella presente sentenza, e non essendo pertanto certo se l’immobile in esame possa nuovamente esservi ricompreso, appare evidente l’assorbimento, allo stato, delle ulteriori censure;

- le spese possono essere compensate con la parte controinteressata, in ragione del principio di causalità della lite, mentre sono interamente poste a carico del Comune nei confronti dei ricorrenti, e liquidate in dispositivo;

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per l'Abruzzo sezione staccata di Pescara (Sezione Prima), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto,

lo accoglie, nei sensi e termini di cui in motivazione.

Condanna il Comune di Pescara al pagamento delle spese del giudizio che liquida in complessivi euro 3.000, oltre contributo unificato e accessori come per legge.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Così deciso in Pescara nella camera di consiglio del giorno 19 aprile 2024 con l'intervento dei magistrati:

Paolo Passoni, Presidente

Massimiliano Balloriani, Consigliere, Estensore

Giovanni Giardino, Referendario