TAR Emilia Romagna (BO) Sez. II n. 563 del 8 agosto 2024
Urbanistica.Contributo di costruzione
Gli atti con i quali la pubblica amministrazione determina e liquida il contributo di costruzione, previsto dall’art. 16 del d.P.R. n. 380 del 2001, non hanno natura autoritativa, non essendo espressione di una potestà pubblicistica, ma costituiscono l'esercizio di una facoltà connessa alla pretesa creditoria riconosciuta dalla legge al Comune per il rilascio del permesso di costruire, stante la sua onerosità, nell'ambito di un rapporto obbligatorio a carattere paritetico e soggetta, in quanto tale, al termine di prescrizione decennale; la natura non autoritativa degli atti con cui si provvede alla determinazione del contributo, atti non riconducibili all'espressione di una potestà pubblicistica, comporta che nell'ordinario termine decennale di prescrizione, decorrente dal rilascio del titolo edilizio, sia sempre possibile, e anzi doverosa, da parte dell’Amministrazione, nell'esercizio delle facoltà connesse alla propria posizione creditoria, la rideterminazione del contributo, quante volte la medesima si accorga che l'originaria liquidazione di questo sia dipesa dall'applicazione inesatta o incoerente di parametri e coefficienti determinativi, vigenti al momento in cui il titolo fu rilasciato, o da un semplice errore di calcolo, con l'ovvia esclusione della possibilità di applicare retroattivamente coefficienti successivamente introdotti, non vigenti al momento in cui il titolo fu rilasciato; la complessità delle operazioni di calcolo o l'eventuale incertezza nell'applicazione di alcune tabelle o coefficienti determinativi, dovuti a ragioni di ordine tecnico, non sono eventi estranei o ignoti alla sfera del debitore, che invece con l'ordinaria diligenza, richiesta dagli artt. 1175 c.c. e 1375 c.c., può e deve controllarne l'esattezza sin dal primo atto di loro determinazione
Pubblicato il 08/08/2024
N. 00563/2024 REG.PROV.COLL.
N. 00501/2023 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Emilia Romagna
(Sezione Seconda)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 501 del 2023, proposto da
Valle Fiorita S.r.l., Emm3 S.r.l., in persona di rispettivi legali rappresentanti pro tempore, rappresentate e difese dall'avvocato Milena Pescerelli, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
contro
Comune di Savignano Sul Panaro, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati Annamaria Grasso, Alessia Trenti, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
per l'annullamento
- del provvedimento del Comune di Savignano sul Panaro, Area Urbanistica – Edilizia Privata e attività produttive del 18 maggio 2023, prot. 6274-2023/PGU, avente ad oggetto la chiusura del procedimento e la richiesta di pagamento del contributo di costruzione relativo alla “CILA 68/2021 per “Manutenzione straordinaria per trasformazione di locali per attività artigianali e industriali (U.15) in locali per attrezzature sportive (U.21) nella porzione di fabbricato sito in Savignano sul Panaro, via Panaro n. 169, catastalmente identificato al foglio 24, mappale 5 e sub 8-9”, ora 13”;
- di ogni altro atto a questo connesso, conseguente o presupposto ivi incluso l'avvio del procedimento del 14/3/23, la successiva nota del 4/4/23.
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio di Comune di Savignano Sul Panaro;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 7 maggio 2024 il dott. Alessio Falferi e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
Con ricorso depositato in data 19.7.2023, munito di istanza cautelare, le società Valle Fiorita srl ed Emm3 srl hanno impugnato il provvedimento, meglio descritto in epigrafe, con cui il Comune di Savignano sul Panaro, in relazione alla Cila per “Manutenzione straordinaria per trasformazione di locali per attività artigianali e industriali (U.15) in locali per attrezzature sportive (U.21) nella porzione di fabbricato sito in Savignano sul Panaro, via Panaro n. 169”, ha determinato il contributo di costruzione (con conseguente ingiunzione di pagamento) in euro 49.776,22 (di cui euro 11,201,65 per costo di costruzione ed euro 38.574,58 per oneri di urbanizzazione primaria e secondaria).
Il provvedimento trova fondamento, a seguito di approfondimenti istruttori, sulla circostanza che l’intervento –che il tecnico dei richiedenti aveva indicato come “gratuito”- doveva essere assoggettato al contributo di costruzione “in quanto la disciplina regionale di cui alla DAL n. 186/2018 (recepita con DCC n. 44 del 18/09/2019), successiva all’art. 23-ter del DPR 380/2001, come modificato dal D.L. 12/09/2014 n. 133, ha confermato la distinzione tra le categorie funzionali produttiva e direzionale, facendo rientrare in questa seconda categoria le attrezzature e strutture per lo sport, quali palestre e campi sportivi, e stabilendo che vi è aumento di carico urbanistico nel passaggio dalla prima alla seconda, che comporta il pagamento del contributo di costruzione”, con la conseguenza, dunque, che “l’intervento in oggetto era pertanto soggetto al pagamento del contributo di costruzione per il cambio d’uso con aumento di carico urbanistico, in misura pari alla ristrutturazione edilizia con aumento di carico urbanistico”.
Le ricorrenti, precisato che Valle Fiorita srl è la proprietaria/locatrice dell’immobile in questione ed Emm3 srl è la conduttrice, hanno premesso, in punto di fatto, quanto segue:
-prima della sottoscrizione del contratto di locazione, Emm3 srl aveva contattato l’Ufficio tecnico comunale per accertarsi, in via preventiva, della fattibilità, nel fabbricato in questione, del progetto diretto alla realizzazione di campi da “paddle” e della convenienza economica dell’operazione (come confermato dalle comunicazioni e-mail con il responsabile dell’Area urbanistica - edilizia privata e attività produttive);
-era, quindi, incaricato un tecnico il quale, per la realizzazione del progettato intervento, individuava la soluzione della presentazione di una Cila non onerosa, classificando i lavori, per la loro esiguità, come “Manutenzione Straordinaria”, soluzione concordata con l’Ufficio tecnico comunale;
-la gratuità dell’intervento sotto il profilo dei contributi di costruzione era stato un elemento decisivo per la conduttrice, atteso che ove fossero stati prospettati 50.000 euro di oneri, la Emm3 srl non avrebbe realizzato l’intervento medesimo;
-sulla base di tali presupposti, in data 9.7.2021 Emm3 srl sottoscriveva il contratto di locazione e in data 30.7.2021 era depositata la Cila;
-in data 11.10.2021 l’Ufficio tecnico comunale comunicava che la Cila era “efficace”;
-in data 17.12.2021, il nuovo tecnico (subentrato al precedente che aveva presentato la pratica) depositava la fine lavori contenente una variante accolta e recepita dal Comune senza osservazioni;
-solo in data 14.3.2023 il Comune trasmetteva comunicazione di avvio del procedimento per la corretta determinazione del contributo di costruzione e la conseguente ingiunzione di pagamento, precisando che “l’intervento oggetto della suddetta CILA non è ascrivibile alla manutenzione straordinaria (MS), bensì al cambio d’uso urbanisticamente rilevante (art. 28 comma l.r. 15/2013) che comporta aumento di carico urbanistico dato dal passaggio dalla categoria funzionale <produttiva> a quella <direzionale>, per la quale sono previsti più elevati valori unitari degli oneri di urbanizzazione; la manutenzione straordinaria (MS), infatti, non può comportare mutamento della destinazione d’uso urbanisticamente rilevante, in quanto ciò non è ammesso dalla definizione di questa categoria di intervento (vedi lettera c), dell’allegato alla l.r. 15/2013, in recepimento dell’art. 3, comma 1, lett. b), del dpr 380/2001”;
-nonostante plurime osservazioni della parte ricorrente e anche un incontro con l’Amministrazione comunale, era comunque adottato l’atto in questa sede gravato.
Tanto premesso parte ricorrente ha denunciato i seguenti vizi: “1) Violazione di legge per violazione degli artt. 16 e 22 DPR 380/01 e smi. Eccesso di potere per errata e falsa interpretazione ed applicazione degli artt. 16 e 22 DPR 380/01 e smi. Violazione di legge per violazione degli artt. 21 octies e nonies l.n. 241/90 e smi. Violazione del giusto procedimento. Violazione principi costituzionali di buon andamento e imparzialità di cui all’art. 97 Cost. Violazione del principio di certezza del diritto; 2) Eccesso di potere per contraddittorietà, illogicità e irrazionalità manifeste. Eccesso di potere per travisamento dei presupposti di fatto e di diritto. Eccesso di potere per difetto di istruttoria. Violazione del legittimo affidamento e del principio di buona fede. Violazione dell’art. 1 commi 1 e 2 bis l.n. 241/90 e smi. Violazione principi costituzionali di buon andamento e imparzialità di cui all’art. 97 Cost. Violazione del principio di certezza del diritto. Violazione del giusto procedimento. Violazione dell’art. 3 l.n. 241/90 e smi. Eccesso di potere per difetto di istruttoria; 3) Violazione di legge per violazione dell’art. 7 comma 5 l.r. Emilia Romagna n. 15/13 e smi. Eccesso di potere per errata e falsa interpretazione ed applicazione dell’art. 7 comma 5 l.r. Emilia Romagna n. 15/13 e smi. Difetto di istruttoria. Violazione di legge per violazione dell’art. 23 ter DPR 380/01 e smi. Eccesso di potere per errata e falsa interpretazione ed applicazione dell’art. 23 ter DPR 380/01 e smi; 4) Eccesso di potere per difetto di istruttoria ed errata applicazione dei criteri di calcolo di cui al DAL 186/18”.
Parte ricorrente ha formulato, altresì, domanda di risarcimento del danno.
Si è costituito in giudizio il Comune di Savignano sul Panaro contestando le censure avversarie e chiedendone il rigetto.
Con ordinanza n. 300, assunta alla Camera di Consiglio del 7 settembre 2023, è stata accolta l’istanza di sospensione cautelare del provvedimento impugnato.
In vista dell’udienza di discussione entrambe le parti hanno depositato in giudizio memorie difensive e di replica con cui hanno sostanzialmente ribadito le rispettive argomentazioni e replicato a quelle avversarie.
Alla Pubblica Udienza del 7 maggio 2024, il ricorso è passato in decisione, come da verbale di causa.
Il Collegio, parzialmente discantandosi da quanto sommariamente delibato in sede cautelare, ritiene che il ricorso non possa trovare accoglimento.
Preliminarmente, pare opportuno delineare i principi generali regolatori della materia in questione, come elaborati dalla giurisprudenza e messi a fuoco, in particolare, dalla A.P. del Consiglio di Stato n. 12/2018 (richiamata anche dalla stessa parte ricorrente):
-quanto alla natura, privatistica o pubblicistica, degli atti con i quali l’Amministrazione comunale determina o ridetermina il contributo di costruzione di cui all’art. 16 del d.P.R. n. 380 del 20001, va ribadita la loro natura privatistica;
-l'obbligazione di corrispondere il contributo nasce nel momento in cui viene rilasciato il titolo ed è a tale momento che occorre aver riguardo per la determinazione dell'entità del contributo;
-l'atto di imposizione e di liquidazione del contributo, quale corrispettivo di diritto pubblico richiesto per la compartecipazione ai costi delle opere di urbanizzazione, non ha natura autoritativa né costituisce esplicazione di una potestà pubblicistica, ma si risolve in un mero atto ricognitivo e contabile, in applicazione di rigidi e prestabiliti parametri regolamentari e tabellari;
-la determinazione degli oneri di urbanizzazione si correla ad una precisa disciplina regolamentare, con la conseguenza che, per costante orientamento, i provvedimenti applicativi della stessa non richiedono alcuna puntuale motivazione allorché le scelte operate dalla pubblica amministrazione si conformino ai criteri stessi di cui alle tabelle parametriche;
-la natura paritetica dell'atto di determinazione consente che la pubblica amministrazione possa apportarvi modifiche, sia in favore del privato che in senso contrario, purché ciò avvenga nei limiti della prescrizione decennale del relativo diritto di credito, trattandosi, infatti, di una determinazione che obbedisce a prescrizioni desumibili da tabelle, in ordine alla quale l'amministrazione comunale si limita ad applicare dei parametri, aventi per la stessa natura cogente, laddove è esclusa qualsivoglia discrezionalità applicativa;
-la controversia in ordine alla spettanza e alla liquidazione del contributo per gli oneri di urbanizzazione ha ad oggetto l'accertamento di un rapporto di credito a prescindere dall'esistenza di atti della pubblica amministrazione e non è soggetta alle regole delle azioni impugnatorie-annullatorie degli atti amministrativi e ai rispettivi termini di decadenza;
-la natura non autoritativa dei relativi atti e l'assenza di discrezionalità, nell'ambito di un rapporto paritetico tra la pubblica amministrazione e il privato, rendono perciò concettualmente inconfigurabile l'esercizio dell'autotutela pubblicistica, quale potere di secondo grado che viene incidere, secondo determinati presupposti e limiti, su un primigenio episodio di esercizio del potere autoritativo, che qui non sussiste ab origine;
-il contributo di costruzione è un corrispettivo di diritto pubblico, proprio per il fondamentale principio dell'onerosità del titolo edilizio introdotto dall’art. 1 della legge n. 10/1977, e come tale, benché esso non sia legato da un rigido vincolo di sinallagmaticità rispetto del rilascio del permesso di costruire, rientra anche, e coerentemente, nel novero delle prestazioni patrimoniali imposte di cui all’art. 23 Cost.;
-il pagamento del contributo di costruzione –corrispettivo di diritto pubblico - non può che costituire l'oggetto di un ordinario rapporto obbligatorio, disciplinato dalle norme di diritto privato;
-deve quindi escludersi che a tali rapporti di natura meramente obbligatoria e agli atti iure gestionis, di carattere contabile e aventi finalità liquidatoria, adottati dal Comune, si applichi la disciplina dell'autotutela di cui all’art. 21 nonies della legge n. 241 del 1990 o, più in generale, la disciplina dettata dalla stessa legge n. 241/1990 per gli atti provvedimentali espressivi di potestà pubblicistica;
-il carattere paritetico del rapporto non esclude la doverosità della rideterminazione quante volte la pubblica amministrazione si accorga che l'iniziale determinazione degli oneri di urbanizzazione sia dipesa da un'inesatta applicazione delle tabelle o anche da un semplice errore di calcolo;
-il Comune è pur sempre, infatti, titolare del potere-dovere di richiedere il contributo di costruzione secondo i parametri e nei limiti fissati dalla legge e dalle disposizioni regolamentari integrative fissate dalle Regioni, facendone una applicazione vincolata alla predeterminazione di coefficienti, che il privato deve conoscere e ben può verificare.
-consegue a quanto sopra che gli atti con i quali la pubblica amministrazione determina e liquida il contributo di costruzione, previsto dall’art. 16 del d.P.R. n. 380 del 2001, non hanno natura autoritativa, non essendo espressione di una potestà pubblicistica, ma costituiscono l'esercizio di una facoltà connessa alla pretesa creditoria riconosciuta dalla legge al Comune per il rilascio del permesso di costruire, stante la sua onerosità, nell'ambito di un rapporto obbligatorio a carattere paritetico e soggetta, in quanto tale, al termine di prescrizione decennale;
-la natura non autoritativa degli atti con cui si provvede alla determinazione del contributo, atti non riconducibili all'espressione di una potestà pubblicistica, comporta che nell'ordinario termine decennale di prescrizione, decorrente dal rilascio del titolo edilizio, sia sempre possibile, e anzi doverosa, da parte dell’Amministrazione, nell'esercizio delle facoltà connesse alla propria posizione creditoria, la rideterminazione del contributo, quante volte la medesima si accorga che l'originaria liquidazione di questo sia dipesa dall'applicazione inesatta o incoerente di parametri e coefficienti determinativi, vigenti al momento in cui il titolo fu rilasciato, o da un semplice errore di calcolo, con l'ovvia esclusione della possibilità di applicare retroattivamente coefficienti successivamente introdotti, non vigenti al momento in cui il titolo fu rilasciato;
-la complessità delle operazioni di calcolo o l'eventuale incertezza nell'applicazione di alcune tabelle o coefficienti determinativi, dovuti a ragioni di ordine tecnico, non sono eventi estranei o ignoti alla sfera del debitore, che invece con l'ordinaria diligenza, richiesta dagli artt. 1175 c.c. e 1375 c.c., può e deve controllarne l'esattezza sin dal primo atto di loro determinazione;
-l'amministrazione comunale, nel richiedere i detti importi con atti non aventi natura autoritativa, agisce quindi secondo le norme di diritto privato, ma si deve escludere l'applicabilità dell’art. 1431 c.c. a questa fattispecie, in quanto l'errore nella liquidazione del contributo, compiuto dalla pubblica amministrazione, non attiene ad elementi estranei o ignoti alla sfera del debitore ed è quindi per lui in linea di principio riconoscibile, in quanto o riguarda l'applicazione delle tabelle parametriche, che al privato sono o devono essere ben note, o è determinato da un mero errore di calcolo, ben percepibile dal privato, errore che dà luogo alla semplice rettifica;
-la tutela dell'affidamento e il principio della buona fede, che in via generale devono essere osservati anche dalla pubblica amministrazione dell'attuazione del rapporto obbligatorio, possono trovare applicazione ad una fattispecie come quella in esame nella quale, ordinariamente, la predeterminazione e l'oggettività dei parametri da applicare al contributo di costruzione rendono vincolato il conteggio da parte della pubblica amministrazione, consentendone a priori la conoscibilità e la verificabilità da parte dell'interessato con l'ordinaria diligenza, solo nella eccezionale ipotesi in cui tali conoscibilità e verificabilità non siano possibili con l'ordinaria diligenza richiesta al debitore, secondo buona fede, nell'ottica di una leale collaborazione volta all'attuazione del rapporto obbligatorio e al soddisfacimento dell'interesse creditorio vantato dal Comune (oltre alla già citata AP n. 12/2018, di recente ha ribadito gli stessi principi anche Consiglio di Stato, sez. IV, 15 gennaio 2024, n. 473).
Tanto premesso in linea generale, con il primo motivo di ricorso parte ricorrente lamenta, in sintesi, che l’atto impugnato sarebbe illegittimo in quanto il contributo di costruzione, ex art. 16 d.P.R. n. 380/2011, dovrebbe essere quantificato e richiesto al momento del rilascio del titolo e al momento del rilascio della Cila gratuita –dichiarata efficace dal Comune e tuttora valida ed efficace - nessuno contributo era stato quantificato e richiesto dal Comune; inoltre, l’art. 22 del medesimo decreto esclude il contributo di costruzione per gli interventi di manutenzione straordinaria come quello in oggetto; le ricorrenti avrebbero rinunciato al titolo edilizio se avessero saputo dell’importo contributo richiesto; il Comune non ha adottato alcun atto di annullamento d’ufficio della Cila, che sarebbe stato necessario per poter chiedere il contributo di costruzione; il Comune non potrebbe chiedere il contributo di costruzione quando il titolo edilizio è esistente ed è gratuito; l’atto impugnato non sarebbe obbligato e vincolato, come stabilito dall’AP del Consiglio di Stato n. 12/2018, riferita solo al caso di “rideterminazione del contributo” già quantificato, ipotesi diversa da quella in contestazione nella quale mai era stato determinato il contributo.
Le doglianze non sono condivisibili.
Come chiarito dalla giurisprudenza richiamata, il contributo di costruzione deve necessariamente essere rideterminato ogni qualvolta l’Amministrazione si accorga che l’iniziale determinazione (eventualmente, anche pari a zero) era stata erronea, in quanto conseguenza di una errata applicazione delle relative tabelle ovvero anche di un semplice errore di calcolo.
L’Amministrazione comunale, infatti, è sempre titolare del potere-dovere di richiedere il (corretto) contributo di costruzione secondo i parametri e nei limiti fissati dalla legge e dalle relative disposizioni regolamentari, richiesta che risulta vincolata per l’Amministrazione medesima.
La suddetta richiesta non necessita di alcuna specifica motivazione, in quanto costituisce il mero esercizio di una facoltà connessa alla pretesa creditoria riconosciuta dalla legge all’Amministrazione comunale per il rilascio del titolo edilizio ed è soggetta, in quanto tale, al solo termine di prescrizione decennale.
Dunque, se è pur vero che il contributo di costruzione va determinato in sede di rilascio del titolo edilizio –come lamentato in ricorso -, un tanto non preclude la possibilità (anzi il dovere) per l’Amministrazione di rideterminare il contributo medesimo, ove ci si avveda della sua errata determinazione. Proprio la natura paritetica dell’atto di determinazione del contributo consente che l’Amministrazione possa apportarvi modifiche, sia in senso favorevole al privato che in senso contrario ad esso, purché ciò avvenga nei limiti della prescrizione decennale del relativo diritto di credito.
Dunque, per quanto il tecnico della parte ricorrente avesse indicato come gratuito l’intervento, l’Amministrazione comunale aveva il dovere di procedere alla corretta determinazione del contributo di costruzione dovuto per l’intervento in questione.
Ovviamente, la rideterminazione del contributo, nei termini sopra precisati, può riguardare sia il caso in cui vi sia stata una precedente determinazione errata, sia il caso in cui la determinazione non vi sia stata, ritendo, erroneamente, non dovuto il contributo.
Non assume rilievo la circostanza che la Cila fosse stata dichiarata efficace dal Comune (profilo che attiene al rispetto dei parametri urbanistico-edilizi), atteso che, giusta i principi sopra esposti, il contributo di costruzione non integra la validità o l’efficacia del titolo edilizio né ne condiziona il suo rilascio, considerato che esso, quale corrispettivo di diritto pubblico richiesto per la compartecipazione ai costi delle opere di urbanizzazione, costituisce un mero atto ricognitivo e contabile, in applicazione di rigidi e prestabiliti parametri regolamentari e tabellari.
Sotto diverso profilo, da un lato, non coglie nel segno la denunciata violazione dell’art. 22 del d.P.R. n. 380/2001 -che secondo parte ricorrente escluderebbe il contributo di costruzione per interventi di manutenzione straordinaria-, atteso che tale disposizione disciplina gli interventi subordinati a segnalazione certifica di inizio attività, che non rilevano nel caso in esame e che, comunque, gli interventi in oggetto (come meglio si dirà in seguito) non potevano essere qualificati come manutenzione straordinaria; dall’altro, nemmeno condivisibile è la doglianza con cui si lamenta che il Comune avrebbe dovuto annullare la Cila per poter richiedere il contributo di costruzione, atteso che, come sopra visto, la perfezione del titolo edilizio prescinde dal versamento del contributo di costruzione e, in ogni caso, la conformità dell’intervento allo strumento urbanistico era stata accertata.
L’intervento edilizio di cui si tratta è stato correttamente qualificato dal Comune come cambio di destinazione d’uso rilevate sotto il profilo urbanistico e non –come, invece, inizialmente ritenuto sulla base delle dichiarazioni del tecnico di parte –quale intervento di manutenzione straordinaria, assentibile con Cila gratuita.
L’art. 28 della L.R. n. 15/2013 prevede, al comma 1, che “Costituisce mutamento d'uso rilevante sotto il profilo urbanistico ed edilizio la sostituzione dell'uso in atto nell'immobile con altra destinazione d'uso definita ammissibile dagli strumenti urbanistici ai sensi del comma 2”; il successivo comma 3 dispone che “Fatto salvo quanto previsto dal comma 4, il mutamento di destinazione d'uso comporta una modifica del carico urbanistico qualora preveda l'assegnazione dell'immobile o dell'unità immobiliare ad una diversa categoria funzionale tra quelle sotto elencate: a) residenziale; b) turistico ricettiva; c) produttiva; d) direzionale; e) commerciale; f) rurale”.
Ebbene, nel caso in esame l’intervento in questione- “trasformazione di locali per attività artigianali e industriali (U.15) in locali per attrezzature sportive (U.21)” (cfr. relazione tecnica allegata alla Cila) - ha comportato il passaggio dalla categoria funzionale “produttiva” a quella “direzionale”, in cui rientrano le attrezzature e le strutture per lo sport, quali sicuramente sono i campi da “padel”.
Del resto, gli interventi di manutenzione straordinaria non consentono il mutamento della destinazione d’uso urbanisticamente rilevante, come stabilito della L.R. n. 15/2013 “allegato (articolo 9, comma 1) –definizione degli interventi edilizi”, che definisce la manutenzione straordinaria come “le opere e le modifiche necessarie per rinnovare e sostituire parti anche strutturali degli edifici, nonché per realizzare ed integrare i servizi igienico-sanitari e tecnologici, sempre che non alterino la volumetria complessiva degli edifici e non comportino mutamenti urbanisticamente rilevanti delle destinazioni d'uso implicanti incremento del carico urbanistico. Nell'ambito degli interventi di manutenzione straordinaria sono ricompresi anche quelli consistenti nel frazionamento o accorpamento delle unità immobiliari con esecuzione di opere anche se comportanti la variazione delle superfici delle unità immobiliari nonché del carico urbanistico purché non sia modificata la volumetria complessiva degli edifici e si mantenga l'originaria destinazione d'uso. (…)”.
In definitiva, il Comune, accertato che l’intervento in questione era soggetto al pagamento del contributo di costruzione per il cambio d’uso con aumento di carico urbanistico, in misura pari alla ristrutturazione edilizia con aumento di carico urbanistico, in quanto comportante il passaggio dalla categoria funzionale produttiva a quella direzionale, ha correttamente determinato, con atto vincolato, il contributo di costruzione dovuto.
Con il secondo motivo, parte ricorrente lamenta che vi sarebbe contraddittorietà manifesta rispetto ai comportamenti assunti dal Comune in precedenza (valutazione preventiva, presentazione Cila e inquadramento come manutenzione straordinaria, accoglimento istanza e comunicazione finale di efficacia della stessa, decorso lasso temporale); sarebbe sorto nelle ricorrenti il legittimo e ragionevole affidamento sulla legittimità dei provvedimenti e sulla gratuità dell’operazione; non vi sarebbe motivazione a base dell’asserito approfondimento istruttorio citato nel provvedimento gravato; non essendo mai stato chiesto e calcolato alcun importo al momento di presentazione della CILA, in realtà si sarebbe trattato di un errore del Comune in ordine alla valutazione della legittimità del titolo edilizio richiesto.
Le doglianze non sono condivisibili.
Sotto un primo profilo, si rileva che non sono stati allegati concreti elementi probatori da cui poter dedurre che l’Amministrazione comunale avrebbe formalmente confermato –in tal modo favorendo l’affidamento della società richiedente - la gratuità dell’intervento, in realtà solo dichiarata dal tecnico della parte richiedente in sede di presentazione della Cila.
Dunque, diversamente da quanto lamentato in ricorso, non emerge alcuna contraddittorietà nella condotta mantenuta dall’Amministrazione comunale, la quale, avvedutasi che l’intervento in questione era in realtà soggetto a contributo di costruzione, ha (doverosamente) provveduto a richiederne il pagamento, trattandosi di atto dovuto e vincolato, come sopra ampiamente illustrato.
Quanto al lungo lasso di tempo intercorso tra la presentazione della Cila e la rideterminazione del contributo con conseguente richiesta di pagamento, non può che richiamarsi quanto sopra già esposto in ordine al termine di prescrizione decennale applicabile alla richiesta del pagamento del contributo di costruzione (sia in relazione agli oneri di urbanizzazione che al costo di costruzione).
Nemmeno è condivisibile la censura con cui si lamenta che sarebbe sorto il legittimo affidamento sulla gratuità dell’intervento: oltre a quanto sopra già esposto, si osserva che la tipologia di intervento di cui si discute (su cui si tornerà di seguito, scrutinando il terzo motivo di ricorso), implicante una radicale trasformazione del bene, risulta all’evidenza non inquadrabile in una mera manutenzione straordinaria non onerosa, per cui non appare verosimile il formarsi di un legittimo e ragionevole affidamento su tale circostanza.
Peraltro, va osservato che la stessa A.P. Consiglio di Stato in precedenza richiamata ha evidenziato che “La complessità delle operazioni di calcolo o l’eventuale incertezza nell’applicazione di alcune tabelle o coefficienti determinativi, dovuti a ragioni di ordine tecnico, non sono eventi estranei o ignoti alla sfera del debitore, che invece con l’ordinaria diligenza, richiesta dagli artt. 1175 e 1375 c.c., può e deve controllarne l’esattezza sin dal primo atto di loro determinazione” (Consiglio di Stato, A.P. n. 12/2018 cit.).
Quanto all’asserito difetto di motivazione, si ribadisce che la determinazione degli oneri di urbanizzazione, correlandosi ad una precisa disciplina regolamentare, non richiede alcuna puntuale motivazione allorquando le scelte operate dall’Amministrazione si conformino ai criteri di cui alle tabelle parametriche.
Infine, con riferimento al mancato calcolo del costo di costruzione al momento della presentazione della Cila e all’asserito errore del Comune in ordine al titolo edilizio richiesto, si ribadisce che il pagamento del costo di costruzione –che, come detto, può essere rideterminato anche successivamente in caso di errata originaria determinazione – non influisce sulla validità ed efficacia del titolo edilizio rilasciato e che il Comune aveva accertato la conformità dell’intervento rispetto allo strumento urbanistico.
Con il terzo motivo di ricorso parte ricorrente lamenta che le opere indicate nella Cila rientrerebbero nella manutenzione straordinaria ai sensi dell’art. 7, comma 5, della L.R. n. 15/2013; non vi sarebbe stato alcun cambio di destinazione d‘uso urbanisticamente rilevante, in considerazione delle categorie indicate dall’art. 23 ter del d.P.R. n. 380/2001 –che prevede la categoria “produttiva-direzionale”-, categorie vincolanti per le Regioni; il cambio d’uso, inoltre, non implicherebbe aumento di carico urbanistico o variazione degli standard previsti dal DM 2 aprile 1968.
Le censure non sono condivisibili.
Come emerge dalla relazione tecnico-descrittiva prodotta dal tecnico della parte richiedente l’intervento proposto consisteva nelle seguenti opere:
“L’intervento prevede la trasformazione degli attuali locali con destinazione d’uso artigianale e industriale (U.15) in locali per attrezzature sportive (U.21), mediante la realizzazione delle seguenti opere:
-demolizione della parete non portante di tipo sandwich dividente le due unità immobiliari al fine di realizzare un unico spazio;
-eliminazione delle due strutture prefabbricate ad uso servizi igienici;
-realizzazione di n.3 campi da padel;
-realizzazione mediante pareti in cartongesso, dei nuovi locali pertinenziali allo svolgimento dell’attività sportiva prevista, atti a soddisfare le esigenze igieniche - sanitarie richieste, quali: - spogliatoio maschili per 14 atleti → 17,08 [m2 ] : 1,2 [m2 ] ≈ 14; - spogliatoio femminile per 8 atleti → 10,00 [m2 ] : 1,2 [m2 ] ≈ 8; - docce fruibili direttamente dagli spogliatoi; - servizi igienici divisi per sesso; - spogliatoio privato, con annesso bagno, per l’istruttore; - locale di deposito per le attrezzature sportive; - vano tecnico per gli impianti”.
Ebbene, tali opere non possono essere qualificati come “manutenzione straordinaria” ai sensi dell’art. 7, comma 5, della L.R. n. 15/2013, in quanto –in disparte ogni considerazione in merito alle caratteristiche specifiche dei singoli interventi e lavorazioni - implicano un cambiamento della destinazione d’uso rilevante, comportando il passaggio dalla categoria funzionale “produttiva” a quella “direzionale”, come previsto dall’art. 28, comma 3, della L.R. n. 15 /2013 e per la quale, in applicazione delle tabelle parametriche regionali, sono previsti valori unitari degli oneri di urbanizzazione più elevati.
Nemmeno è condivisibile la lamentata violazione dell’art. 23 ter del d.P.R. n. 380/2001, il quale prevede cinque categorie tra cui anche la categoria “produttiva-direzionale” (per cui non vi sarebbe alcun cambio di destinazione d’uso urbanisticamente rilevante), categorie che, secondo parte ricorrente, sarebbero vincolanti per le Regioni.
Il comma 1 dell’art. 23 ter, infatti, dispone che “Ai fini del presente articolo, il mutamento della destinazione d'uso di un immobile o di una singola unità immobiliare si considera senza opere se non comporta l'esecuzione di opere edilizie ovvero se le opere da eseguire sono riconducibili agli interventi di cui all'articolo 6. Salva diversa previsione da parte delle leggi regionali, costituisce mutamento rilevante della destinazione d'uso ogni forma di utilizzo dell'immobile o della singola unità immobiliare diversa, da quella originaria, ancorché non accompagnata dall'esecuzione di opere edilizie, purché tale da comportare l'assegnazione dell'immobile o dell'unità immobiliare considerati ad una diversa categoria funzionale tra quelle sotto elencate:
a) residenziale;
a-bis) turistico-ricettiva;
b) produttiva e direzionale;
c) commerciale;
d) rurale”.
Dunque, la disposizione normativa in esame fa espressamente salva una diversa previsione da parte delle leggi regionali, diversa previsione che, come sopra già evidenziato, è stata effettivamente stabilita dalla legge regionale n. 15/2013.
Quanto, infine, al rilievo secondo cui il cambio di destinazione non avrebbe determinato un aumento del carico urbanistico e una variazione degli standard previsti, si osserva quanto segue.
Se è pur vero che il paragrafo “carico urbanistico” della comunicazione di avvio del procedimento precisa che “Ai sensi dell’art. 89 delle NTA di PRG, l’uso U.21 (di progetto) richiede minori dotazioni territoriali dell’uso U.15 (in atto).” –inciso richiamato e valorizzato dalla parte ricorrente a sostengo della propria tesi -, è altrettanto vero che tale paragrafo prosegue chiarendo che “Tuttavia poiché i due usi appartengono a due categorie funzionali diverse, si configura un cambio d’uso urbanisticamente rilevante (art. 28 comma l.r. 15/2013) oneroso, poiché comporta il passaggio dalla categoria funzionale “produttiva” a quella “DIREZIONALE” per la quale sono previsti più elevati valori unitari degli oneri di urbanizzazione (vedi recepimento DAL 186/2018 con DCC 44 del 18/09/2019)”.
L’Amministrazione ha, dunque, evidenziato i presupposti e le ragioni poste a fondamento della richiesta di pagamento del contributo di costruzione, trattandosi di cambio d’uso urbanisticamente rilevante, comportando il passaggio dalla categoria funzionale “produttiva” a quella “direzionale”, per la quale sono previsti più elevati valori unitari degli oneri di urbanizzazione, rilievo, quest’ultimo, non adeguatamente smentito dalla parte ricorrente.
Anche il terzo motivo di ricorso, dunque, non può trovare accoglimento.
Infine, con il quarto motivo, parte ricorrente deduce che il calcolo effettuato per determinare l’importo sarebbe, comunque, errato, in quanto al caso in esame, eventualmente, si dovrebbe applicare il parametro della ristrutturazione edilizia senza aumento di carico e non quello per ristrutturazione edilizia con aumento di carico.
Anche tale doglianza non è condivisibile, giusta quanto sopra già esposto.
Nel provvedimento impugnato è precisato che l’intervento in questione, pur concretandosi in opere interne, deve essere qualificato “come intervento di ristrutturazione edilizia (RE) e si dovranno applicare le tariffe della RE con aumento di carico urbanistico”.
Tale conclusione appare, invero, coerente con le ragioni –sopra ricordate –poste a base del provvedimento stesso, relativamente al cambio di destinazione con aumento di carico urbanistico.
L’Amministrazione comunale, infatti, nel provvedimento impugnato, dopo aver richiamato la disciplina del contributo di costruzione di cui alla DAL 186/2018, recepita con D.C.C. n 44 del 18/09/2019, precisa che “per il calcolo degli oneri di urbanizzazione, nel caso di cambio d’uso con opere, si applica l’art. 1.3.5. lettera c) interventi di ristrutturazione edilizia (RE) con aumento di carico urbanistico (CU) in cui l’aumento di CU derivi da un mutamento della destinazione d’uso”.
In termini analoghi è avvenuta anche la quantificazione del costo di costruzione.
In definitiva, anche il quarto motivo di ricorso va respinto.
In conclusione, per tutte le ragioni esposte il ricorso va respinto, unitamente alla domanda di risarcimento del danno in esso formulata.
Le spese di causa, stante la indubbia particolarità della vicenda, possono essere interamente compensate tra le parti.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per l'Emilia Romagna (Sezione Seconda), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo rigetta.
Spese compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Bologna nella camera di consiglio del giorno 7 maggio 2024 con l'intervento dei magistrati:
Ugo Di Benedetto, Presidente
Alessio Falferi, Consigliere, Estensore
Alessandra Tagliasacchi, Consigliere