Tribunale di SAVONA Ordinanza 8 febbraio 2013
Processo penale – Questione di Legittimità Costituzionale Legge Regione Liguria n. 24 del 2001 (Recupero ai fini abitativi dei sottotetti esistenti)
Violazione del disposto dell’art. 117 comma 2 lett. l) Costituzione nella parte che stabilisce la potestà legislativa esclusiva dello Stato in materia penale – art. 2 comma 1 e art. 4 della Legge Regione Liguria del 6 agosto 2001 n. 24 nella parte in cui prevede che sono consentiti interventi di recupero dei sottotetti in deroga alla disciplina stabilita dalla strumentazione urbanistica comunale vigente od in corso di formazione e in deroga ai Piani Regolatori Generali e ai Piani Urbanistici Comunali vigenti e/o adottati e alle disposizioni dei regolamenti edilizi vigenti – Sospetta violazione della potestà legislativa esclusiva dello Stato in materia penale
Violazione del disposto dell’art. 117 comma 3 Costituzione nella parte che riserva allo Stato la potestà legislativa per la determinazione dei principi fondamentali in materia di governo del territorio – art. 2 comma 3 e comma 8 della Legge Regione Liguria del 6 agosto 2001 n. 24 nella parte in cui prevede che gli interventi diretti al recupero dei sottotetti sono classificati come ristrutturazione edilizia anche qualora avvengano con modificazione delle altezze di colmo e di gronda – Sospetta violazione della potestà legislativa dello Stato per la determinazione dei principi fondamentali in materia di governo del territorio
Con Ordinanza in data 8 febbraio 2013 il Tribunale di Savona ha dichiarato rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale della citata L.R. n. 24 del 2001 (Recupero ai fini abitativi dei sottotetti esistenti) sotto un duplice profilo:
Dell’art. 2 comma 1 e dell’art. 4 della Legge Regione Liguria del 6 agosto 2001 n. 24 nella parte in cui prevede che sono consentiti interventi di recupero dei sottotetti in deroga alla disciplina stabilita dalla strumentazione urbanistica comunale vigente od in corso di formazione e in
deroga ai Piani Regolatori Generali e ai Piani Urbanistici Comunali vigenti e/o adottati e alle disposizioni dei regolamenti edilizi vigenti, in quanto introdurrebbe una speciale causa di non punibilità per la violazione penale prevista dall’art. 44 lett. a) DPR 380/2001, violando la riserva e la potestà legislativa esclusiva dello Stato in materia penale
Dell’art. 2 comma 3 e comma 8 della Legge Regione Liguria del 6 agosto 2001 n. 24 nella parte in cui prevede che gli interventi diretti al recupero dei sottotetti sono classificati come ristrutturazione edilizia anche qualora avvengano con modificazione delle altezze di colmo e di gronda, consentendo modifiche della sagoma e dei prospetti degli edifici nonché significativi aumenti di volumetria, ponendo quale unico limite quello della altezza massima degli edifici posta dallo strumento urbanistico, in quanto in contrasto con la definizione di “ristrutturazione edilizia” dettata degli artt. 3 lett. d) ed e), 10 lett. c) DPR 380/2001, e quindi in violazione della potestà legislativa dello Stato per la determinazione dei principi fondamentali in materia di governo del territorio
L'ordinanza richiama esclusivamente il contenuto degli atti. Per un'analisi della questione pubblichiamo la richiesta del Pubblico Ministero
N. 1187/2012 R.G.N.R.
N. 1223/2012 R. Gip
N. 870/2012 R. Trib.
PROCURA DELLA REPUBBLICA
presso il
Tribunale di SAVONA
ISTANZA DI SOSPENSIONE DEL PROCESSO
E DI REMISSIONE DEGLI ATTI ALLA CORTE COSTITUZIONALE
artt. 23 e segg. legge 23 marzo 1953, n. 87
Al Tribunale di SAVONA in composizione Monocratica
Udienza del 28 gennaio 2013
Giudice: dott. Francesco MELONI
Il Pubblico Ministero Danilo Ceccarelli - sost., visti gli atti del processo penale n. R.G.N.R. nei confronti di
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omissis,
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omissis,
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omissis,
citati a giudizio di fronte a codesto Giudice per l’udienza del 28 gennaio 2013
rilevato che nei confronti degli imputati al capo c) delle imputazione è stata esercitata l’azione penale per il seguente reato:
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della contravvenzione di cui agli artt. 110 - 113 c.p., 44 lett. a) D.P.R. 380/2001 perché, in concorso o cooperazione colposa tra loro, il omissis quale proprietario dei terreni censiti al fg. omissis mapp. omissis, committente dei lavori e titolare del permesso di costruire n. omissis in applicazione della L.R. 24/2001, il omissis quale progettista e direttore dei lavori, realizzavano l’intervento di cui al permesso di costruire in violazione dello strumento urbanistico vigente in quanto veniva assentito e realizzato il recupero abitativo del piano sottotetto con innalzamento del piano sottotetto da cm. 0 a m. 1,30 alla falda e da m. 2.15 a m. 3.50 al colmo (misure interne), con conseguente aumento di volumetria utile dell’intera abitazione da mc. 440 a mc. 505 (poi diventati mc. 587,74 per effetto degli abusi descritti al capo a) e del piano sottotetto, in violazione dell’art. 26 delle NTA di PRG e della relativa scheda in quanto non veniva effettuato l’asservimento delle aree richieste per i nuovi volumi, e in violazione dell’art. 63 delle NTA del PRG in quanto non veniva stipulata la convenzione necessaria per la manutenzione dell’area asservita
In Vado Ligure fino al 29.2.2012.
OSSERVA
Questo Pubblico Ministero dubita della legittimità costituzionale dell’articolo 2 comma 1 nonché dell’art. 4 della Legge Regione Liguria del 6 agosto 2001 n. 24 (Recupero ai fini abitativi dei sottotetti esistenti):
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per violazione del disposto dell’art. 117 comma 2 lett. l) Costituzione nella parte che stabilisce la potestà legislativa esclusiva dello Stato in materia penale
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per violazione del disposto dell’art. 117 comma 3 Costituzione nella parte che riserva allo Stato la potestà legislativa per la determinazione dei principi fondamentali in materia di governo del territorio
In Fatto
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Gli imputati sono stati tratti a processo all’udienza del 28.1.2013 per rispondere di reati in materia urbanistica ed edilizia tra cui quello sopra evidenziato. Agli stessi è contestata al capo c) la violazione dell’art. 44 lett. a) DPR 380/2001 nella parte in cui prevede l’applicazione di una sanzione penale per chiunque operi non osservando le norme previste “dai regolamenti edilizi, dagli strumenti urbanisti e dal permesso di costruire”.
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Nel caso di specie al capo c) delle imputazioni è stata contestata agli imputati la realizzazione di un intervento edilizio, pur se conforme al permesso di costruire rilasciato (le difformità sono contestate al capo a) e non sono rilevanti per la presente questione), in manifesta violazione della disciplina prevista dallo Strumento Urbanistico Vigente nel Comune di Vado Ligure.
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L’intervento assentito infatti consisteva nel recupero a fini abitativi del piano sottotetto, già destinato a ripostiglio non abitabile. Tale recupero comportava anche lo smantellamento delle falde di copertura e l’innalzamento del piano sottotetto da cm. 0 a m. 1,30 alla falda, da m. 2.15 a m. 3.50 al colmo (misure interne). L’unità abitativa ha quindi subito una aumento di volumetria sia in ragione del mero recupero a fini abitativi del preesistente locale sottotetto, sia in ragione dell’aumento di volumetria che la sopraelevazione comportava. Secondo gli accertamenti svolti durante le indagini, l’innalzamento del sottotetto alla falda (da cm. 0 a m. 1,30) e alla gronda (da m. 2.15 a m. 3.50) ha comportato un aumento di volumetria di 65 mc. che, ai fini urbanistici, vanno aggiunti alla cubatura del preesistente locale sottotetto destinato a locale ripostiglio. Come si rileva dalle stesse schede e dalle tavole di progetto (anche in “sanatoria”) presentate dal tecnico omissis, la superficie utile del sottotetto che viene resa “abitabile” con il progetto assentito è pari a mq. 75,64. Il volume preesistente del locale sottotetto era di circa 100 mc., l’incremento volumetrico netto di tale locale è quindi pari a circa il 65%. Il volume complessivo dell’unità immobiliare residenziale era di mc. 440, comprensivo del locale sottotetto. A fini residenziali, l’unità immobiliare aveva un volume pari a mc. 341 circa. Considerati i mc. 100 del volume del preesistente sottotetto recuperato a fini abitativi e l’ulteriore aumento di mc. 65 dovuto all’innalzamento della copertura, l’incremento complessivo del volume dell’unità abitativa è del 48% circa.
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Ai sensi dell’art. 26 delle NTA del PRG vigente del Comune di Vado Ligure, tale intervento di aumento di volume abitabile avrebbe richiesto necessariamente “l'asservimento delle aree necessarie per l'edificazione con atto pubblico, da trascriversi e notificarsi al Comune, di altrettanta superficie quanta occorre per soddisfare la cubatura o la superficie coperta dei fabbricati previsti secondo l'indice di zona”. Come riferito anche dal tecnico comunale arch. omissis il 29.5.2012, tale asservimento non è stato richiesto né ottenuto dagli imputati. Non essendo stata asservita alcuna area, non è stato ovviamente rispettato neppure l’art. 63 delle NTA del nuovo PUC (operante in salvaguardia) che prevede all’art. 63 la stipula di convenzione per la manutenzione dell’area asservita.
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Come risulta anche dal permesso di costruire n. 4 rilasciato il 15.3.2010, l’intervento è stato assoggettato al contributo di costruzione ex art. 38 L.R. 16/2008 in quanto si trattava di intervento che comportava un aumento della superficie agibile dell’edificio nonché un mutamento delle destinazioni d’uso degli immobili laddove la precedente destinazione d’uso non rilevava ai fini della superficie agibile.
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Il Comune di Vado Ligure ha assentito l’intervento in oggetto, pur consapevole del mancato rispetto dello Strumento Urbanistico Vigente, in applicazione della L.R. n. 24/2001. Secondo l’art. 2 co. 1 della normativa regionale, “negli edifici esistenti alla data di entrata in vigore della presente legge (22.8.2001) ed aventi destinazione residenziale ovvero turistico- ricettiva sono consentiti, previo rilascio di diretto titolo edilizio ed in deroga alla disciplina stabilita dalla strumentazione urbanistica comunale vigente od in corso di formazione, gli interventi di recupero dei sottotetti”. L’art. 4 della stessa L.R. ribadisce che “le norme della presente legge sono in deroga ai Piani Regolatori Generali e ai Piani Urbanistici Comunali vigenti e/o adottati e alle disposizioni dei regolamenti edilizi vigenti”. L’art. 2 co. 3 della stessa legge regionale stabilisce che “gli interventi diretti al recupero dei sottotetti sono classificati come ristrutturazione edilizia ai sensi dell'articolo 31, lettera d), della legge 5 agosto 1978, n. 457”. Il comma 8 dello stesso articolo specifica che “gli interventi edilizi per il recupero a fini abitativi possono avvenire anche con modificazione delle altezze di colmo e di gronda, nonché delle linee di pendenza delle falde, purché nei limiti di altezza massima degli edifici posti dallo strumento urbanistico ed unicamente al fine di assicurare i parametri, di cui al comma 6”. Il comma 6 disciplina l’altezza media interna netta dei locali “recuperati” a uso abitativo.
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La Relazione Tecnica Descrittiva dell’intervento, richiamata integralmente nel citato permesso di costruire, cita esplicitamente la L.R. 24/2001 e comprende la dichiarazione, rilasciata da tecnico abilitato, attestante il rispetto delle condizioni di cui all’art. 2 comma 6 della stessa L.R. 24/2001.
In Diritto
la non manifesta infondatezza della questione
la violazione della potestà legislativa esclusiva dello Stato in materia penale
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La Legge della Regione Liguria n. 24/2001, nello stabilire ai citati art. 2 co. 1 e art. 4 che determinati interventi edilizi possono essere eseguiti “in deroga” alla strumentazione urbanistica vigente, introduce di fatto una causa di esenzione dalla responsabilità penale, e specificamente una causa di non punibilità per la violazione dell’art. 44 lett. a) DPR 380/2001. La norma incriminatrice prevede infatti come illecito penale qualsiasi intervento edilizio, anche qualora non sia tra quelli per cui non è necessario il rilascio di permesso di costruire o la presentazione di Dichiarazione di Inizia di Attività (artt. 10 e 22 DPR 380/2001), qualora questo non sia conforme alle norme stabilite dai Regolamenti Edilizi e dagli Strumenti Urbanistici Comunali. La norma regionale esclude l’applicabilità della norma incriminatrice qualora l’intervento sia relativo ai locali “sottotetto” (definizione peraltro che la stessa L.R., all’art. 5, estende anche a “altri volumi o superfici collocati in parti dell'edificio diverse dai sottotetti”).
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Più volte la Corte Costituzionale è intervenuta per dichiarare la illegittimità costituzionale di Leggi Regionali che violavano la riserva e la potestà legislativa esclusiva dello Stato in materia penale, ricordando i principi vigenti prima e dopo la riforma dell’art. 117 Cost. ad opera della legge costituzionale n. 3 del 18.10.2001.
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In particolare nella Sentenza C. Cost. n. 185/2004 si ricordava che “l'art. 117, secondo comma, lettera l), Cost. riserva allo Stato la materia dell'“ordinamento penale”, da intendersi come sistema normativo riguardante il diritto sostanziale. Nella giurisprudenza di questa Corte era infatti ricorrente l'affermazione secondo cui la sola fonte del potere punitivo è la legge statale e le Regioni non dispongono di alcuna competenza che le abiliti a introdurre, rimuovere o variare con proprie leggi le pene previste dalle leggi dello Stato in tale materia; non possono in particolare considerare lecita un'attività penalmente sanzionata nell'ordinamento nazionale (tra le altre, si vedano le sentenze n. 234 del 1995, n. 117 del 1991, n. 309 del 1990, n. 487 del 1989). Dalla riforma costituzionale del 2001, questo orientamento giurisprudenziale ha ricevuto una esplicita conferma, giacché è oggi positivamente previsto che la materia dell'ordinamento penale di cui all'art. 117, secondo comma, lettera l), Cost., è di esclusiva competenza dello Stato. La legge regionale impugnata … introduce una deroga al generale divieto di cui si è detto e nel far ciò invade la materia “ordinamento penale”, dall'art. 117, secondo comma, lettera l), della Costituzione, riservata in via esclusiva allo Stato.”
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Tra i precedenti richiamati particolarmente significative appaiono le sentenze C. Cost n. 234 e n. 235 del 1995. Nella prima pronuncia la Corte evidenziava come la normativa regionale (trattavasi tra l’altro di una legge della Regione Liguria) “avente un inequivoco significato di sanatoria generalizzata, svuota di ogni sostanza la disciplina penale … rendendo in effetti lecite condotte che le norme statali considerano penalmente illecite”. Con la seconda sentenza si affermava, ancora più esplicitamente, che “al legislatore regionale non spetta il potere di comminare o rimuovere sanzioni penali ovvero variare con proprie norme le pene previste dalle leggi statali in una data materia e poiché allo stesso legislatore è, conseguentemente, inibito interferire con proprie disposizioni con il sistema sanzionatorio penale stabilito dal legislatore statale esentando determinate condotte dalla sottoposizione a norme penali o, in generale, modificando, in meglio o in peggio, l'assoggettamento di determinati comportamenti alle pene fissate dalle leggi dello Stato (v. ad esempio sentenze nn. 213 e 117 del 1991, 309 e 43 del 1990, 370 del 1989)”.
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Ancora più recentemente la stessa Corte Costituzionale è stata costretta a ritornare sulla materia, ribadendo nella Sentenza n. 200/2008 come esorbiti “in modo palese dalla sfera di competenze legislative costituzionalmente attribuite alle Regioni la possibilità di introdurre nuove cause di esenzione dalla responsabilità penale, civile o amministrativa, trattandosi di materia riservata alla competenza esclusiva del legislatore statale, ai sensi dell'art. 117, secondo comma, lettera l), Cost.”.
la violazione dei principi fondamentali in materia di governo del territorio
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Deve rilevarsi come la citata Legge Regionale presenti un profilo di non conformità a Costituzione anche sotto diverso profilo, e specificamente in relazione alla previsione di cui al combinato disposto tra il comma 3 e il comma 8 dell’art. 2 della citata L.R. 24/2001.
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L’art. 2 comma 3 stabilisce che “gli interventi diretti al recupero dei sottotetti sono classificati come ristrutturazione edilizia ai sensi dell'articolo 31, lettera d), della legge 5 agosto 1978, n. 457” (ora art. 3 lett. d) DPR 380/2001). Tale norma di per sé non comporterebbe alcun problema interpretativo in quanto il richiamo esplicito alla normativa statale, ai suoi principi e ai suoi confini, rende certamente conforme a costituzione la normativa regionale. Il comma 8 dello stesso articolo aggiunge però che “gli interventi edilizi per il recupero a fini abitativi possono avvenire anche con modificazione delle altezze di colmo e di gronda, nonché delle linee di pendenza delle falde … unicamente al fine di assicurare i parametri, di cui al comma 6”. Tale tipologia di interventi, che pure comportano evidentemente una modifica anche consistente (al fine di conseguire i paramenti del co. 6) della sagoma e dei prospetti degli edifici, nonché significativi aumenti di volumetria, secondo la L.R. ricadono comunque nella tipologia della “ristrutturazione edilizia”. Si tratta di una previsione che, stante la lettera delle legge regionale, non appare suscettibile di una diversa interpretazione “costituzionalmente orientata” e che deve quindi essere sottoposta al vaglio della Corte Costituzionale.
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La legge quadro sulla materia, il DPR 380/2001, ha introdotto uno sdoppiamento della categoria delle ristrutturazioni edilizie. Da un lato vi sono infatti le ristrutturazioni edilizie “di cui all’art. 3 lett. d) DPR 380/2001”, in cui l’immobile oggetto di intervento non può essere in alcun modo oggetto di incrementi di superficie e di volume (l’intervento, come noto, può avvenire anche con demolizione e ricostruzione, nel qual caso deve essere rigorosamente rispettate anche la sagoma e i prospetti) . Dall’altro l’art. 10 lett. c) dello stesso T.U. ha ricondotto alla categoria della ristrutturazione edilizia anche interventi che ammettono incrementi di superficie e di volume. Secondo la costante Giurisprudenza, sia penale che amministrativa, per rimanere nell’alveo della tipologia di intervento della “ristrutturazione edilizia”, l’intervento deve però comportare “diminuzioni o trasformazioni dei volumi preesistenti ovvero incrementi volumetrici modesti, tali da non configurare apprezzabili aumenti di volumetria” (così inter alios Cass. Pen. Sez. 3 Sentenza n. 47046 del 26/10/2007 Rv. 238462 Imp. Soldano, la quale ha precisato che “qualora si ammettesse la possibilità di un sostanziale ampliamento dell'edificio, verrebbe meno la linea di distinzione tra la ristrutturazione edilizia e la nuova costruzione”; nello stesso senso, più recentemente Sez. 3 n. 38088 del 28 settembre 2009 Imp. Ridenti, non massimata). La giurisprudenza amministrativa si è pronunciata in più occasioni sul punto, ribadendo da ultimo che “non rientra nel concetto di ristrutturazione edilizia l’intervento con il quale viene mutata, a seguito di sopraelevazione del tetto, la cubatura e la sagoma dell’edificio” (Consiglio di Stato, Sezione Quarta, Sentenza n. 3112 del 24.5.2011).
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Il contrasto e l’inconciliabilità tra la previsione degli artt. 3 lett. d) ed e), 10 lett. c) DPR 380/2001, così come interpretati uniformemente dalla giurisprudenza penale e amministrativa, e l’art. 2 co. 3 e 8 L.R. 24/2001, è dunque evidente.
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Il rapporto tra normativa statale e normativa regionale nella materia del governo del territorio è stato oggetto di molteplici interventi da parte della Corte Costituzionale. Già C. Cost. n. 362/2003, con riferimento alla materia urbanistica, affermava che “…la norma in esame non può essere ritenuta espressione di una materia oggetto di competenza legislativa residuale della Regione, ai sensi dell’art. 117, quarto comma, della Costituzione: essa infatti incide sulla materia del «governo del territorio», dal comma 3 del medesimo articolo attribuita alla potestà legislativa concorrente dello Stato (per la determinazione dei principi fondamentali) e delle Regioni (per ogni altro aspetto della disciplina). Questa Corte ha recentemente affermato (sentenza n. 303 del 2003, n. 11.1. del “Considerato in diritto”) che di siffatta materia fa parte l’urbanistica, cui storicamente appartiene la disciplina dei titoli abilitativi ad edificare. Secondo tale sentenza, «se si considera che altre materie o funzioni di competenza concorrente, quali porti e aeroporti civili, grandi reti di trasporto e di navigazione, produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell’energia, sono specificamente individuate nello stesso terzo comma dell’art. 117 Cost. e non rientrano quindi nel “governo del territorio”, appare del tutto implausibile che dalla competenza statale di principio su questa materia siano stati estromessi aspetti così rilevanti, quali quelli connessi all’urbanistica, e che il “governo del territorio” sia stato ridotto a poco più di un guscio vuoto». Nella medesima prospettiva, anche l’ambito di materia costituito dall’edilizia va ricondotto al «governo del territorio”. La stessa Corte solo due mesi prima aveva peraltro già ricordato che “…la tutela dell’ambiente, più che una “materia” in senso stretto, rappresenta un compito nell’esercizio del quale lo Stato conserva il potere di dettare standard di protezione uniformi validi in tutte le Regioni e non derogabili da queste; e che ciò non esclude affatto la possibilità che leggi regionali, emanate nell’esercizio della potestà concorrente di cui all’art. 117, terzo comma, della Costituzione, o di quella “residuale” di cui all’art. 117, quarto comma, possano assumere fra i propri scopi anche finalità di tutela ambientale (cfr. sentenze n. 407 del 2002 e n. 222 del 2003).”
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Tali principi sono stati riaffermati in sede di vaglio di una serie di leggi regionali in materia di “sanatoria speciale” (c.d. condono) a seguito della L. 269/2003, leggi che estendevano la possibilità di ottenere il titolo in sanatoria rispetto ai parametri fissati dal legislatore nazionale. Secondo C. Cost. n. 196/2004 “…per ciò che riguarda l’art. 117 Cost., la giurisprudenza di questa Corte ha già chiarito (cfr. le sentenze n. 303 e n. 362 del 2003) che nei settori dell’urbanistica e dell’edilizia i poteri legislativi regionali sono senz’altro ascrivibili alla nuova competenza di tipo concorrente in tema di “governo del territorio”. E se è vero che la normativa sul condono edilizio di cui all’impugnato art. 32 certamente tocca profili tradizionalmente appartenenti all’urbanistica e all’edilizia, è altresì innegabile che essa non si esaurisce in tali ambiti specifici ma coinvolge l’intera e ben più ampia disciplina del “governo del territorio” - che già questa Corte ha ritenuto comprensiva, in linea di principio, di “tutto ciò che attiene all’uso del territorio e alla localizzazione di impianti o attività” (cfr. sentenza n. 307 del 2003) - ossia l’insieme delle norme che consentono di identificare e graduare gli interessi in base ai quali possono essere regolati gli usi ammissibili del territorio.”. Più specificamente C. Cost. 49/2006, nel riepilogare il complessivo quadro normativo cui si è fatto cenno, ricordava che “…la giurisprudenza di questa Corte sul condono edilizio straordinario del 2003 è costante nell’affermare che spetta al legislatore statale determinare non solo tutto ciò che attiene alla dimensione penalistica del condono, ma anche la potestà di individuare, in sede di definizione dei principi fondamentali nell’ambito della materia legislativa «governo del territorio», la portata massima del condono edilizio straordinario, attraverso la definizione sia delle opere abusive non suscettibili di sanatoria, sia del limite temporale massimo di realizzazione delle opere condonabili, sia delle volumetrie massime sanabili. Nell’ambito della speciale normazione relativa al condono edilizio straordinario questa Corte – come si è detto più sopra – ha precisato che le Regioni non possono rimuovere i limiti massimi fissati dal legislatore statale, e che, tra i principi fondamentali cui esse devono attenersi, vi è quello proprio a fini di certezza delle situazioni giuridiche, della previsione del titolo abilitativo in sanatoria al termine dello speciale procedimento disciplinato dalla normativa statale”. Da ultimo la recentissima C. Cost. 225/2012 ha dichiarato la illegittimità costituzionale degli articoli 3, comma 1, 3 e 4 della legge della Regione Liguria 29 marzo 2004 n. 5 ribadendo che “è stata ritenuta di stretta interpretazione, in quanto espressione di principio generale afferente ai limiti della sanatoria, l’individuazione da parte della legge dello Stato delle fattispecie ad essa assoggettabili, di modo che le stesse non possono essere comunque ampliate o interpretate estensivamente dalla legislazione regionale”.
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Più recentemente la Corte Costituzionale si è dovuta occupare di altre leggi regionali che eccedevano i limiti e i principi dettati dalla legge quadro nazionale. Di particolare rilevanza è la sentenza C. Cost. n. 309/2011, che ha dichiarato la illegittimità costituzionale di alcune previsioni di leggi della Regione Lombardia, proprio in materia di ristrutturazione edilizia di sottotetti, e che costituisce in qualche modo una sorta di “actio finium regundorum” dei poteri delle Regioni nella materia (pur trattando il diverso caso della ristrutturazione edilizia con “demolizione e fedele ricostruzione” di cui all’art. 3 lett. d) DPR 380/2001). I principi ribaditi in tale sentenza inducono ulteriormente a ritenere che anche l’art. 2 commi 3 e 8 legge della Regione Liguria n. 24/2001 non sia conforme al dettato costituzionale.
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Ricorda la Corte di avere “già ricondotto nell’ambito della normativa di principio in materia di governo del territorio le disposizioni legislative riguardanti i titoli abilitativi per gli interventi edilizi (sentenza n. 303 del 2003, punto 11.2 del Considerato in diritto): a fortiori sono principi fondamentali della materia le disposizioni che definiscono le categorie di interventi, perché è in conformità a queste ultime che è disciplinato il regime dei titoli abilitativi, con riguardo al procedimento e agli oneri, nonché agli abusi e alle relative sanzioni, anche penali. L’intero corpus normativo statale in ambito edilizio è costruito sulla definizione degli interventi, con particolare riferimento alla distinzione tra le ipotesi di ristrutturazione urbanistica, di nuova costruzione e di ristrutturazione edilizia cosiddetta pesante, da un lato, e le ipotesi di ristrutturazione edilizia cosiddetta leggera e degli altri interventi (restauro e risanamento conservativo, manutenzione straordinaria e manutenzione ordinaria), dall’altro. La definizione delle diverse categorie di interventi edilizi spetta, dunque, allo Stato. … La linea di distinzione tra le ipotesi di nuova costruzione e quelle degli altri interventi edilizi, d’altronde, non può non essere dettata in modo uniforme sull’intero territorio nazionale, la cui «morfologia» identifica il paesaggio, considerato questo come «la rappresentazione materiale e visibile della Patria, coi suoi caratteri fisici particolari, con le sue montagne, le sue foreste, le sue pianure, i suoi fiumi, le sue rive, con gli aspetti molteplici e vari del suo suolo, quali si sono formati e son pervenuti a noi attraverso la lenta successione dei secoli» (Relazione illustrativa della legge 11 giugno 1922, n. 778 «Per la tutela delle bellezze naturali e degli immobili di particolare interesse storico», Atti parlamentari, Legislatura XXV, Senato del Regno, Tornata del 25 settembre 1920). Sul territorio, infatti, «vengono a trovarsi di fronte» – tra gli altri – «due tipi di interessi pubblici diversi: quello alla conservazione del paesaggio, affidato allo Stato, e quello alla fruizione del territorio, affidato anche alle Regioni» (sentenza n. 367 del 2007, punto 7.1 del Considerato in diritto). Fermo restando che la tutela del paesaggio e quella del territorio sono necessariamente distinte, rientra nella competenza legislativa statale stabilire la linea di distinzione tra le ipotesi di nuova costruzione e quelle degli altri interventi edilizi. Se il legislatore regionale potesse definire a propria discrezione tale linea, la conseguente difformità normativa che si avrebbe tra le varie Regioni produrrebbe rilevanti ricadute sul «paesaggio […] della Nazione» (art. 9 Cost.), inteso come «aspetto del territorio, per i contenuti ambientali e culturali che contiene, che è di per sé un valore costituzionale» (sentenza n. 367 del 2007), e sulla sua tutela.”.
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La legge regionale non ha dunque alcuna possibilità di modificare o ampliare le categorie di interventi edilizi, né di fornire definizioni diverse, e più ampie, delle categorie stabilite dal legislatore statale. In particolare la legge della Regione Liguria n. 24/2001, nell’estendere all’art. 2 co. 3 e 8 la categoria della “ristrutturazione edilizia” anche a interventi che comportano “modificazione delle altezze di colmo e di gronda, nonché delle linee di pendenza delle falde”, ponendo quale unico limite quello della altezza massima degli edifici posta dallo strumento urbanistico, viola i principi posti dal citato art. 10 lett. c) DPR 380/2001, e si pone in contrasto con il disposto dell’art. 117 co. 3 della Costituzione.
La Rilevanza
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Di immediata percezione la rilevanza della questione nel caso di specie. Con riferimento all’art. 2 co. 1 e all’art. 4 L.R. 24/2001, dalla valutazione della legittimità costituzionale della normativa regionale richiamata, e specificamente delle disposizioni derogatorie di cui all’art. 2 co. 1 e art. 4 della L.R. 24/2001, dipende la sua applicabilità al caso di specie con riferimento all’elemento oggettivo del reato contestato al capo c).
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Con riferimento alla qualificazione dell’intervento come ristrutturazione edilizia (art. 2 co. 3 e co. 8 L.R. 24/2001), la questione appare rilevante in quanto l’intervento edilizio oggetto di accertamento nel presente processo penale, qualificato come “ristrutturazione edilizia”, non rientra in realtà in tale tipologia della bensì in quella della “nuova costruzione”.
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L’intervento oggetto di imputazione eccede infatti quello di “ristrutturazione edilizia” prevista dall’art. 10 lett. c) DPR 380/2001 ed è stato assentito come tale solo ed esclusivamente sulla base della disciplina derogatoria prevista dall’art. 2 co. 3 e co. 8 L.R. 24/2001. Le caratteristiche dell’intervento (sopra descritte sub. 3) sono infatti tali da non rientrare nell’alveo dei limitati e modesti interventi che consentono di qualificare comunque l’intervento come “ristrutturazione edilizia”. L’aumento percentuale del volume abitabile è di assoluta consistenza ed è stato realizzato proprio per assicurare al nuovo volume i parametri di abitabilità di cui al comma 6 dell’art. 2 della L.R. 24/2001. Ciò ha, tra l’altro, comportato l’applicazione di una disciplina più favorevole con riferimento al contributo di costruzione in quanto il comma 5 dell’art. 2, proprio in relazione alla “presunzione” assoluta di riconducibilità dell’intervento all’interno della categoria della “ristrutturazione edilizia”, prevede che il contributo di concessione edilizia sia quello “relativo agli interventi di ristrutturazione edilizia previsto ai sensi della legge regionale 7 aprile 1995, n. 25 (disposizioni in materia di determinazione del contributo di concessione edilizia)”, peraltro ridotto di un ulteriore 50% qualora, come nel caso di specie, “l'intervento non determini la creazione di una nuova unità abitativa”.
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Secondo la costante e conforme giurisprudenza della Corte di Cassazione, vero e proprio “diritto vivente” quantomeno fin da Sezioni Unite n. 11635 del 12.11.1993, in materia urbanistica in caso di rilascio di titolo (e di realizzazione di costruzione) non conforme alla norme ed agli strumenti urbanistici, deve essere comunque ritenuta la sussistenza del reato di cui all’art. 44 DPR 380/2001 (pur senza procedere alla disapplicazione del titolo rilasciato contra legem) “atteso che la conformità della costruzione e della concessione alla norme ed agli strumenti urbanistici è elemento costitutivo o normativo dei reato ex DPR 380/2001 stante la individuazione del parametro di legalità urbanistica ed edilizia quale interesse protetto dalle disposizioni in questione”. Tale principio è stato poi ribadito e specificato da plurime sentenze, tra cui si segnala, da ultimo, Cass. Sez. 3 n. 41318 del 23 ottobre 2012 (Cc 19 set. 2012) Imp. Arena: “Il giudice penale, nel valutare la sussistenza o meno della liceità di un intervento edilizio, deve verificarne la conformità a tutti i parametri di legalità fissati dalla legge, dei regolamenti edilizi, dagli strumenti urbanistici e dalla concessione edificatoria. Il giudice, quindi, non deve limitarsi a verificare l'esistenza ontologica del provvedimento amministrativo autorizzatorio, ma deve verificare l’integrazione o meno della fattispecie penale in vista dell’interesse sostanziale che tale fattispecie assume a tutela (nella specie tutela del territorio). E’ la stessa descrizione normativa del reato che impone al giudice un riscontro diretto di tutti gli elementi che concorrono a determinare la condotta criminosa, ivi compreso l'atto amministrativo. Non sarebbe infatti soggetto soltanto alla legge (art. 101 Cost.) un giudice penale che arrestasse il proprio esame all’aspetto esistenziale e formale di un atto sostanzialmente contrastante con i presupposti legali. Il giudice deve quindi accertare la conformità dell'intervento ai parametri di legalità. Il reato di esecuzione di lavori edilizi in assenza di concessione può, quindi, ravvisarsi anche in presenza di una concessione illegittima senza che occorra fare ricorso alla procedura di disapplicazione dell'atto amministrativo, essendo sufficiente la sola valutazione della sussistenza dell'elemento normativo della fattispecie, atteso che la conformità della costruzione e della concessione alla normazione urbanistica è elemento costitutivo o normativo dei reati contemplati dalla normativa urbanistica, stante l'individuazione del parametro di legalità urbanistica e edilizia quale ulteriore interesse protetto dalle disposizioni in questione.”
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Ove dunque la disciplina dell’art. 2 co. 3 e 8 della L.R. 24/2001 fosse dichiarata non conforme a Costituzione, anche sotto questo profilo il permesso di costruire n. 4/2010 non avrebbe potuto essere legittimamente rilasciato alle condizioni date. La questione investe dunque anche sotto questo profilo l’elemento oggettivo del reato.
Per tali motivi questo Pubblico Ministero, visti gli artt. 134 della Costituzione, e 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87.
Chiede
che codesto Giudice voglia:
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DICHIARARE rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale, nei termini di cui in motivazione:
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dell’articolo 2 comma 1 e dell’art. 4 della Legge Regione Liguria del 6 agosto 2001 n. 24 (Recupero ai fini abitativi dei sottotetti esistenti) nella parte in cui prevede che sono consentiti interventi di recupero dei sottotetti in deroga alla disciplina stabilita dalla strumentazione urbanistica comunale vigente od in corso di formazione e in deroga ai Piani Regolatori Generali e ai Piani Urbanistici Comunali vigenti e/o adottati e alle disposizioni dei regolamenti edilizi vigenti, per violazione del disposto dell’art. 117 comma 2 lett. l) Costituzione nella parte che stabilisce la potestà legislativa esclusiva dello Stato in materia penale
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dell’articolo 2 comma 3 e comma 8 della Legge Regione Liguria del 6 agosto 2001 n. 24 (Recupero ai fini abitativi dei sottotetti esistenti) nella parte in cui prevede che gli interventi diretti al recupero dei sottotetti sono classificati come ristrutturazione edilizia anche qualora avvengano con modificazione delle altezze di colmo e di gronda, nonché delle linee di pendenza delle falde, per violazione del disposto dell’art. 117 comma 3 Costituzione nella parte che riserva allo Stato la potestà legislativa per la determinazione dei principi fondamentali in materia di governo del territorio
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SOSPENDERE il processo
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DISPORRE l'immediata trasmissione degli atti alla Corte costituzionale per l’esame della questione di legittimità costituzionale qui proposta, segnalando che il bene immobile oggetto di processo è attualmente gravato da sequestro preventivo per i fatti per cui si procede
Savona, il
Il Sost. Procuratore della Repubblica
Danilo Ceccarelli