Trib. Brindisi Sezione Riesame ord. 6 giugno 2013
Pres. Aliffi Est. Nestore
Urbanistica. Centro Raccolta Materiali in aree destinate a standard in zona P.I.P.

Il Centro di Raccolta Materiali asservito all’attività di gestione dei rifiuti urbani, qualificabile come servizio pubblico anche quando le prestazioni siano effettuate dal gestore privato, rientra nel novero delle “attività collettive” ex art. 5 D.M. n. 1444/68; pertanto, la sua realizzazione è compatibile con la destinazione dell’area a standard (“verde pubblico” e/o “parcheggi”) nell’ambito del P.I.P. comunale. Ciò tanto più alla luce dell’attuale tendenza dell’ordinamento al superamento della rigida zonizzazione del territorio e del principio di fungibilità delle opere pubbliche, già positivizzato dall’art. 1, co. 4, della legge n. 1/78, quale poi ribadito dalla successiva legislazione regionale.

TRIBUNALE DI BRINDISI

Sezione penale

Il Tribunale, riunito in camera di consiglio nelle persone dei magistrati: Dott. Francesco ALIFFI Presidente

Dott. Francesco CACUCCI Giudice

Dott.ssa Barbara NESTORE Giudice est.

 

decidendo sull'istanza di riesame ex art 322 c.p.p. depositata in data 29.04.2013 nell’interesse del Comune di Ceglie Messapica in persona del Sindaco pro tempore, avverso il decreto emesso dal GIP del Tribunale di Brindisi in data 04.04.2013 con cui è stato disposto il sequestro preventivo dell’area ubicata nella zona industriale del Comune di Ceglie Messapica, in catasto foglio 98 p.lla 239;

esaminati gli atti del procedimento pervenuti alla Cancelleria di questo Ufficio in data 03.05.2013;

sentite le parti alla udienza del 10.05 2013;

OSSERVA

Con decreto del 04.04.2013 il Giudice per le Indagini Preliminari presso il Tribunale di Brindisi, accogliendo la richiesta del P.M. in sede, ritenendo sussistenti in ordine al reato di cui all’art. 44 comma 1 lett. a) e b) D.P.R. 380/01 i requisiti del fumus commissi delicti e del periculum in mora, disponeva procedersi al sequestro preventivo del bene immobile sopra descritto.

In particolare, il GIP ipotizzava in capo a ATTOLINI Sergio, FRANCAVILLA Vincenzo e CAVALLO Claudio il seguente reato:

artt. 81, 110 c.p., 44 comma 1 lett. a) e b) D.P.R. 380/01, poiché, ATTOLINI Sergio, in qualità di responsabile pro tempere del settore “Assetto del territorio urbanistica” del Comune di Ceglie Messapica e firmatario del permesso di costruire n. 6673/2010 del 21.12.2010, CAVALLO Claudio, in qualità di responsabile pro tempere dell’Ufficio Tecnico Comunale del citato comune, subentrato all’ATTOLINI, e firmatario della variante in corso d’opera finalizzata alla posa di un impianto di trattamento di acque di dilavamento del piazzale n. 6673/A del 15.06.2011, della comunicazione del 04.07.2011 di avvio del Centro di Raccolta Materiali, del certificato di agibilità del 13.07.2011, FRANCAVILLA Vincenzo in qualità di amministratore unico della COGEIR Costruzioni e Gestioni s.r.1., società capofila dell’ATI concessionaria per la gestione dei rifiuti con ciclo integrato per conto dell’ATO- BR 2 ed esecutore materiale degli interventi edilizi, con condotte indipendenti e in cooperazione e concorso tra loro, con più azioni esecutive di un medesimo disegno criminoso, eseguivano su terreno di proprietà del Comune di Ceglie Messapica, censito al fg. Mappa n. 98, p.lla 239 (N.C.T. Comune di Ceglie Messapica), interventi edilizi consistiti nella realizzazione di un Centro di Raccolta Materiali, da collocarsi necessariamente all’interno di un’area qualificabile quale servizio tecnologico a carattere territoriale, determinando la trasformazione urbanistica dell’area, così modificando la originaria destinazione impressa in forza di previsione contenuta nel piano particolareggiato approvato con delibera di Giunta Regionale n. 5474 del 30.06.1980 e modificata dalla “Variante al piano attuativo”, adottata in sede comunale con delibera di Consiglio Comunale n. 8 del 16.02.2009, a “verde pubblico” e/o “parcheggi”, struttura edilizia realizzata in assenza di legittimo permesso di costruire e comunque in difformità rispetto agli strumenti urbanistici generali e particolareggiati. Acc. in Ceglie Messapica fino alla data odierna

Avverso il decreto del GIP, il ricorrente formulava richiesta di riesame deducendo l’illegittimità del provvedimento cautelare per carenza dei presupposti di legge. Le motivazioni addotte dall’istante a sostegno della propria richiesta di annullamento del decreto di sequestro venivano poi integrate con il deposito di una memoria.

Le doglianze del ricorrente in ordine al provvedimento impositivo del vincolo si incentravano essenzialmente sulla dedotta assenza di fumus A tale riguardo, la difesa rilevava come la attività di stoccaggio dei rifiuti, oltre che rientrante tra gli obblighi contrattuali assunti dall’amministrazione comunale nei confronti della concessionaria del servizio di gestione rifiuti, costituisse attività di pubblico interesse, come tale rientrante nel novero delle attività collettive disciplinate dall’art 5 D.M. 1444/68. La norma in oggetto non poteva dunque ritenersi violata alla luce di una sua necessaria lettura adeguatrice e pur tuttavia rispettosa delle prescrizioni in essa contenute. Da un lato l'attività di gestione rifiuti doveva infatti ritenersi attività di pubblico interesse, essendo l'opera a servizio dell’intera collettività, dall’altro la realizzazione di impianti destinati allo smaltimento ed allo stoccaggio dei rifiuti costituiva senz’altro opera di urbanizzazione secondaria. In quest’ottica alcuna violazione dello strumento urbanistico sarebbe stata realizzata con la condotta posta in essere dagli indagati.

Ancora, si contestava, con riferimento all’ipotizzato reato di lottizzazione abusiva, la ricorrenza di una trasformazione urbanistica conseguente alla realizzazione dell’opera, dal momento che l’opera non aveva comportato un rilevabile aggravio del carico urbanistico.

Infine, la difesa evidenziava come la vicenda inerente la realizzazione del CRM dovesse leggersi sulla scorta del principio di fungibilità delle opere pubbliche sancito dall’art. 1 della legge n. 1/78 e positivizzato dall’art 16 Legge Regionale n. 13/01. In quest’ottica andava valutata, all’interno del complesso iter procedimentale che aveva portato alla realizzazione dell’impianto contestato, la successiva approvazione della delibera n. 43 adottata dal Consiglio Comunale in data 29 11.2011. Tale provvedimento, ingiustamente pretermesso dal consulente del P.M.nella sua valutazione inerente la legittimità della procedura amministrativa relativa al CRM, costituiva l’atto finale con il quale il Consiglio Comunale aveva ratificato l’operato della Giunta, condividendo, evidentemente, le scelte operate dall’organo di governo e sanandone eventuali vizi procedurali.

Ebbene i rilievi formulati dalla difesa appaiono fondati.

L’area interessata dall’intervento oggetto di contestazione - di proprietà comunale - ricade in zona PIP. Per zone di tale tipologia, gli standards minimi urbanistici previsti dal D.M. n. 1444/1968 stabiliscono un rapporto tra spazi destinati ad insediamenti industriali e spazi pubblici (tali dovendo intendersi, secondo la nozione fissata dalla norma in oggetto, quelli “destinati ad attività collettive, verde pubblico e parcheggi”) pari al 10%

È allora questione centrale stabilire se la realizzazione di un centro di raccolta di rifiuti - evidentemente asservito al servizio di gestione dei rifiuti urbani che costituisce servizio pubblico locale (in proposito, da ultimo Tar Lombardia n. 1689/08) - possa essere fatto rientrare nel novero delle “attività collettive”.

Secondo questo Collegio la risposta al quesito deve essere positiva.

La disciplina imposta dal D.M. 1444/1968 è il portato di una impostazione (sviluppatasi negli anni Sessanta e di scuola americana) di rigida zonizzazione volta alla attribuzione di una funzione specializzata ad ogni porzione del territorio comunale. Tale concezione del territorio appare recentemente oggetto di erosione, sicché l’attuale tendenza pare piuttosto orientata ad un superamento della zonizzazione rigida in favore di un uso più flessibile del tenitorio, prevedendo la compresenza, nell’ambito della stessa zona, di usi promiscui.

La violazione dell’art 5 D.M. 1444/1968 a seguito della realizzazione della piazzola ecologica sembra debba essere esclusa dunque per tre ordini di motivi.

Da un lato, la rigida divisione del territorio con la previsione per ogni zona, in base ai rapporti percentuali stabiliti in base alla funzionalità riconosciuta per la singola area, di spazi pubblici - secondo la nozione sopra richiamata - assoggettati al servizio di quella determinata porzione di territorio (che merita un rapporto percentuale tra spazi destinati a insediamenti e spazi destinati ad attività collettive, verde e parcheggi più alto nel caso di zone di pregio storico, artistico, ambientale ovvero di zone edificate, minore nel caso di zone industriali o agricole) appare non più rispondente alle esigenze dell’amministrazione pur vincolata alla legge nell’esercizio della sua attività di scelta tecnico-discrezionale.

Dall’altro, se è attività collettiva quella a servizio di una limitata porzione del territorio (si pensi al parcheggio realizzato in zona PIP e destinato al traffico veicolare presente nell’area), tanto più è attività collettiva l’attività di raccolta, trasporto e smaltimento di rifiuti solidi urbani, qualificabile come servizio pubblico, anche quando le prestazioni siano effettuate dal privato gestore essendo esse destinate palesemente in modo generalizzato a favore della collettività locale (sul punto Consiglio di stato, sez. V - 30/4/2002 n. 2294). Il servizio in esame, che richiede la predisposizione di un’organizzazione imprenditoriale, è erogato ad una collettività indeterminata di utenti secondo caratteri di universalità, continuità ed uniformità: in. questo senso il Centro Raccolta Materiali si connota per la sua destinazione a servizio non della sola area PIP ma dell’intero territorio (e dell’intera collettività) comunale.

Ancora, non può non assumere rilievo quanto evidenziato dall’amministrazione con la deliberazione del Consiglio Comunale del 29.11.2011, ovvero che anche scomputando l’area su cui insiste il CRM da quella destinata agli spazi pubblici permane rispettato lo standard di comparto minimo previsto dal D.M. 1968 (circostanza, questa, considerata decisiva da parte del consulente tecnico del P.M., ma evidentemente dallo stesso negata in fatto in base a considerazioni che non risultano essere state sviluppate).

Quand’anche poi non si ritenesse di condividere l’esposto ragionamento con riguardo alla disciplina dettata dall’art.5 D.M. 1444/1968, pertinente appare il richiamo al principio di fungibilità delle opere pubbliche statuito con la norma statale di cui all’art 1 della Legge 1/78 e ribadito dalla normativa regionale con l’art. 16 della Legge Regionale n. 13 del 2001.

Con tale disciplina si sancisce che l’approvazione di progetti di opere pubbliche, anche se non conformi alle specifiche destinazioni di piano e purché lo strumento urbanistico vigente contenga destinazioni specifiche di aree per la realizzazione di servizi pubblici, non necessita l’adozione di varianti allo strumento urbanistico.

Cade pertanto anche l’osservazione formulata dal consulente tecnico del P.M. nella relazione integrativa al suo elaborato, nella quale il prof. Stella ha evidenziato come in alcun modo la deliberazione del Consiglio Comunale del 29.11.2011 può qualificarsi come variante al PRG adottata al fine di infondere diversa destinazione urbanistica al sito interessato dall'intervento. L’atto non costituisce variante perché, nell’interpretazione data dalla Giunta prima e dal Consiglio poi (e recepita da questo Collegio), di variante non v’è bisogno laddove venga in rilievo la realizzazione di un’opera pubblica

La deliberazione del Consiglio Comunale dunque a null’altro vale, in questa sede, se non a dimostrare l’adesione dell’organo di indirizzo e controllo politico­amministrativo dell’ente all’indirizzo interpretativo espresso dall’organo di governo e dagli odierni indagati.

Con l’ulteriore considerazione che, quand’anche si ritenesse non conforme a legge l’operato degli indagati prima e del Consiglio Comunale poi e si ritenesse illegittima la trasformazione urbanistica dell’area realizzata con l’opera in oggetto, non potrebbe profilarsi, in capo agli indagati, l’elemento soggettivo della dolosa preordinazione della condotta alla violazione del programmato assetto urbanistico del territorio

P Q.M.

Visto l’art. 322 c.p.p., in accoglimento del ricorso proposto dal Comune di Ceglie Messapica in persona del Sindaco pro-tempore, annulla il decreto di sequestro preventivo emesso dal Gip del Tribunale di Brindisi in data 04.04.2013 ed ordina la immediata restituzione dell’area in sequestro.

Manda al P.M. per l’esecuzione.

Brindisi, 10.05.2013

Il Giudice Estensore Il Presidente

Barbara Nestore Francesco Aliffi