Consiglio di Stato Sez. VI n. 536 del 24 gennaio 2025
Urbanistica.Ordinanza di demolizione e motivazione
Effettivamente, in linea di principio, deve ritenersi necessaria una precisa descrizione dei presupposti in fatto e in diritto ad una ordinanza di demolizione, e talvolta la ricostruzione di tali elementi può essere così complessa da rendere opportuna l’instaurazione di un contraddittorio. Per tale ragione non è corretto affermare, in via generale, che le garanzie procedimentali possono essere sempre omesse nei procedimenti finalizzati alla adozione di una ordinanza di demolizione di opere abusive. E’ vero, invece, che nella maggioranza dei casi dedotti in giudizio la situazione di fatto e di diritto è così chiara da consentire al giudice di affermare che l’amministrazione non avrebbe potuto pervenire a una diversa motivazione, ragione per cui l’annullamento dell’ordinanza di demolizione impugnata non può essere annullata, ai sensi dell’art. 21 octies della L. n. 241/90, per vizi connessi alla violazione di garanzie procedimentali.
Pubblicato il 24/01/2025
N. 00536/2025REG.PROV.COLL.
N. 03258/2021 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 3258 del 2021, proposto da
Bruno Acampora, rappresentato e difeso dall'avvocato Luisa Acampora, con domicilio eletto presso lo studio legale Lucente Corrias in Roma, via Sistina 121;
contro
Comune di S. Agnello, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato Ferdinando Pinto, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio dell’avv. Bruno Sassani in Roma, via XX Settembre 3;
per la riforma
della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Campania (Sezione Sesta) n. 03874/2020, resa tra le parti;
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio di Comune di S. Agnello;
Visti tutti gli atti della causa;
Visto l'art. 87, comma 4-bis, cod.proc.amm.;
Relatore all'udienza straordinaria di smaltimento dell'arretrato del giorno 6 novembre 2024 il Cons. Roberta Ravasio, in collegamento da remoto attraverso videoconferenza, con l'utilizzo della piattaforma "Microsoft Teams;
Udita per le parti l’avv. Luisa Acampora;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
1. Con ordinanza prot. 1414/11/ab reg. ord. 6/2010 del 10/01/2012 il Comune di Sant'Agnello ha ingiunto al ricorrente la demolizione, con esecuzione in danno decorsi 90 giorni, di opere abusive consistenti in “di un impalcato con struttura portante costituita dal telaio metallico e sovrastante tavolato in legno lamellare con inserita, al centro, una piscina costituita da elementi prefabbricati metallici bullonati tra loro e fissati al suolo con getto conglomerato cementizio. La dimensione complessiva dell’opera realizzata è di circa mq 142.80 (ml.21.00xm.6.80) con un’altezza dal calpestio di m. 1.90 circa”.
2. Con il ricorso introduttivo di primo grado il sig. Bruno Acampora ha impugnato l’indicata ordinanza, deducendo l’illegittimità dell’ordinanza (i) per difetto di motivazione, in relazione alla mancata violazione delle norme violate e alla mancata descrizione degli interventi contestati, (ii) perché le opere in contestazione non sarebbero soggette alla sanzione demolitoria, consistendo in interventi di manutenzione straordinaria, (iii) perché si tratterebbe di opere soggette a SCIA, e come tali passibili solo di sanzione pecuniaria, (iv) erroneità dei presupposti in fatto e in diritto, eccesso di potere per violazione, violazione del giusto procedimento, omessa istruttoria, difetto assoluto di motivazione e mancato contemperamento tra pubblico interesse spesa pubblica e interessi privati, in relazione al fatto che la piscina interrata sarebbe inidonea ad alterare i valori paesaggistici.
3. Con la sentenza indicata in epigrafe il Tribunale Amministrativo Regionale per la Campania ha respinto il ricorso, dopo aver precisato che la presentazione della domanda di sanatoria di conformità, presentata dal signor Acampora in pendenza del giudizio, non determinava l’improcedibilità del ricorso.
4. Il sig. Acampora ha proposto appello.
5. Il Comune di S. Agnello si è costituito in giudizio per resistere al gravame.
6. La causa è stata chiamata all’udienza straordinaria del 6 novembre 2024, in occasione della quale è stata trattenuta in decisione.
DIRITTO
7. Con il primo motivo d’appello si deduce l’erroneità dell’appellata sentenza per aver dichiarato che la presentazione della istanza di sanatoria di conformità non ha determinato l’improcedibilità del ricorso.
7.1. Sul punto l’appellata sentenza ha richiamato l’orientamento della giurisprudenza secondo cui la
presentazione di una istanza di sanatoria dopo che l’amministrazione abbia ingiunto la demolizione di opere abusive non rende inefficace l’ordine di demolizione ma produce un mero effetto sospensivo della possibilità della sua esecuzione in pendenza di procedura di sanatoria; ne consegue che la domanda di accertamento non è idonea di per sé stessa ad incidere sugli effetti del provvedimento demolitorio.
7.2. Deduce l’appellante che nel caso di specie il Comune, dopo aver esaminato e respinto l’istanza di sanatoria, ha reiterato l’ordine di demolizione con ordinanza n. 78 del 25 agosto 2015, segno inequivocabile del fatto che la precedente ordinanza aveva perso efficacia.
7.3. Il Collegio ritiene corretta la statuizione del TAR, essendosi ulteriormente consolidato nella giurisprudenza di questo Consiglio di Stato il principio secondo cui la presentazione della domanda di sanatoria determina una mera sospensione dell'efficacia dell'ordine di demolizione con la conseguenza che, in caso di rigetto dell'istanza di sanatoria, l'ordine di demolizione riacquista la sua efficacia (tra le più recenti: Cons. Stato, Sez. VI, n. 9110 del 13 novembre 2024; Cons. Stato Sez. VII, n. 4309 del 28 aprile 2023). Ne consegue che l’ordinanza di demolizione n. 105 del 25 novembre 2015 deve considerarsi meramente reiterativa e come tale non idonea, in sé considerata, a provocare una nuova lesione rispetto a quella già determinata dall’ordinanza di demolizione del 10 gennaio 2012.
7.4. Quanto sopra si riflette sull’interesse al ricorso introduttivo del presente giudizio, che non viene meno per effetto della mera presentazione della domanda di sanatoria.
8. Con il secondo motivo d’appello si deduce l’illegittimità della impugnata decisione laddove ha ritenuto adeguata la motivazione dell’ordinanza impugnata facendo riferimento alla natura vincolata di tale provvedimento e alle statuizioni di cui alla sentenza dell’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato n. 9 del 2017.
8.1. Sottolinea l’appellante che con le censure proposte in primo grado non era stata dedotta l’inadeguatezza della motivazione per mancata indicazione delle ragioni di interesse pubblico che giustificavano la sanzione, ma era invece evidenziata la insufficiente descrizione delle norme giuridiche violate e dei presupposti di fatto.
8.2. Il Collegio osserva che effettivamente, in linea di principio, deve ritenersi necessaria una precisa descrizione dei presupposti in fatto e in diritto ad una ordinanza di demolizione, e talvolta la ricostruzione di tali elementi può essere così complessa da rendere opportuna l’instaurazione di un contraddittorio. Per tale ragione non è corretto affermare, in via generale, che le garanzie procedimentali possono essere sempre omesse nei procedimenti finalizzati alla adozione di una ordinanza di demolizione di opere abusive. E’ vero, invece, che nella maggioranza dei casi dedotti in giudizio la situazione di fatto e di diritto è così chiara da consentire al giudice di affermare che l’amministrazione non avrebbe potuto pervenire a una diversa motivazione, ragione per cui l’annullamento dell’ordinanza di demolizione impugnata non può essere annullata, ai sensi dell’art. 21 octies della L. n. 241/90, per vizi connessi alla violazione di garanzie procedimentali.
8.3. Nel caso di specie, tuttavia, la ricostruzione dei presupposti in fatto e diritto alla ordinanza impugnata è chiara. L’ordinanza impugnata, infatti, indica come abusiva la realizzazione, all’interno della proprietà dell’appellante, sita in Comune d’ Sant’Agnello alla via Belvedere n. 17, di una piscina, realizzata in prefabbricato stabilmente ancorato al suolo, circondato da un impalcato rivestito in legno, della superficie complessiva totale di 142,80 mq. e “altezza dal calpestio di mt. 1,90”. Si riferisce, inoltre, che l’opera è stata realizzata in assenza di titolo edilizio. Si citano gli artt. 27, 29 e 33 del D.P.R. n. 380/2001 oltre al D. L.vo n. 42/2004, e si dispone la rimozione delle opere entro i successivi 90 giorni, avvisando che in difetto il Comune avrebbe proceduto alla rimozione in danno. E’ dunque evidente che il Comune ha qualificato le opere realizzate come opere di ristrutturazione realizzate, in assenza di titolo edilizio, in zona vincolata; coerentemente ne è stata disposta la rimozione, preavvisando che in difetto il Comune avrebbe proceduto alla esecuzione in danno, ma non anche alla acquisizione delle opere e del relativo sedime al patrimonio comunale: tale ultima misura sanzionatoria, infatti, non è prevista dall’art. 33 del D.P.R. n. 380/2001.
8.4. L’ordinanza, dunque, aveva un contenuto chiaro: l’eventuale non rispondenza al vero di tale contenuto doveva essere, semmai, fatto oggetto di precisa censura da parte dell’appellante, ma non si può affermare che i presupposti di fatto e diritto non emergano chiaramente dall’ordinanza.
8.5. L’appellante non ha dimostrato l’esistenza di un titolo edilizio per le opere in contestazione. Nel ricorso di primo grado ha affermato che “La morfologia dei luoghi ha consentito di inserire senza alterare lo stato preesistente un tavolato in cui è inserita una vasca bullonata da utilizzare come piscina. Tale opera non ha comportato alcuna alterazione dello stato dei luoghi né ampliamento delle superficie calpestabili, né volumi utilizzabili o abitabili in quanto la vasca bullonata è stata calata all’interno del tavolato in legno, come raffigurato nelle foto allegate”, e nell’atto d’appello ha ribadito che non sarebbe stato necessario alcuno scavo per posare la piscina prefabbricata. Di fatto, tuttavia, non ha dimostrato né lo stato preesistente dei luoghi, né la legittimità di esso stato preesistente.
8.5. L’appellante deduce ancora che nell’ordinanza impugnata non si precisa quale sia il vincolo esistente in loco, ma non deduce e non dimostra l’inesistenza di vincoli rilevanti ai sensi del D. L.vo 42/2004.
8.6. Le censure mosse dall’appellante, in definitiva, hanno una rilevanza meramente formale, e questo nonostante che il chiaro contenuto dell’ordinanze di demolizione mettesse l’appellante in condizione di dimostrare l’eventuale esistenza di un titolo edilizio, l’inesistenza di vincoli ambientali, la conformità delle opere in contestazione allo stato legittimo preesistente (e non a qualsiasi stato preesistente).
8.7. La censura va, in conclusione, respinta.
9. Con il terzo motivo d’appello si deduce l’erroneità della appellata sentenza per non aver riconosciuto la natura pertinenziale della “piscina/vasca” oggetto dell’ordinanza di demolizione.
9.1. Sul punto il TAR ha ritenuto che la piscina “non è necessariamente complementare all’uso delle abitazioni e non è solo una attrezzatura per lo svago, ma integra gli estremi della nuova costruzione”.
9.2. L’appellante richiama invece alcuni precedenti di questo Consiglio di Stato per sostenere la natura pertinenziale di una piscina.
9.3. La censura va respinta.
9.3.1. La giurisprudenza di questo Consiglio, infatti, ha in più occasioni affermato che il concetto di pertinenza urbanistica è più ristretto rispetto a quello civilistico ed è applicabile solo ad opere di modesta entità, che risultino accessorie rispetto ad un’opera principale e non a quelle che, da un punto di vista delle dimensioni e della funzione, si connotino per una propria autonomia rispetto all’opera principale e non siano coessenziali alla stessa (ex multis: Cons. Stato, Sez. VI, 29 luglio 2022, n. 6685). Pertanto, non occorre considerare solo il rapporto funzionale di accessorietà con la cosa principale, ma anche le caratteristiche dell’opera in sé sotto il profilo dell’autonomo impatto urbanistico sul territorio, l’assenza di autonoma destinazione del manufatto pertinenziale, l’incidenza sul carico urbanistico e la modifica all’assetto del territorio (Consiglio di Stato, sez. II, 20 luglio 2022, n. 6371).
9.3.2. La pertinenza urbanistica deve quindi essere intesa in un’accezione restrittiva, in quanto riferita solo ad opere di modesta entità e accessorie rispetto ad un’opera principale, quali ad esempio i piccoli manufatti per il contenimento di impianti tecnologici et similia, ma non anche opere che, dal punto di vista delle dimensioni e della funzione, si connotino per una propria autonomia rispetto all’opera cosiddetta principale e suscettibili di diversa utilizzazione economica, in quanto dotati di un autonomo valore di mercato (cfr. Cons. Stato, sez. VI del 19 maggio 2023 n. 5004 e precedenti ivi citati).
9.3.3. In coerenza con la nozione restrittiva sopra richiamata, la natura di pertinenza urbanistica di una piscina è stata riconosciuta solo allorché la stessa non abbia dimensioni rilevanti e sia stata realizzata in una proprietà privata a corredo esclusivo della stessa (Cons. Stato sez. VI, 03/10/2019, n.6644). E’ stata qualificata, in particolare, come pertinenza urbanistica una piscina prefabbricata di dimensioni relativamente modeste in rapporto all’edificio a destinazione residenziale, sito in zona agricola (Cons. Stato, sez. V, 16/04/2014, n.1951; in argomento si veda anche Cons. Stato, Sez. IV, n. 5807 del 13 giugno 2023, che ha qualificato quale nuovo volume una piscina di 4,20 x 8,70, fuori terra; e Cons. Stato, Sez. VI, n. 9646 del 3 novembre 2022, che ha qualificato in termini di costruzione una piscina in vetroresina 6,30 x 3,30, richiamando l’orientamento secondo cui “«in ogni località sottoposta a vincolo paesaggistico la realizzazione di una piscina vada qualificata come nuova costruzione che modifica irreversibilmente lo stato dei luoghi, sicché ‒ ferma restando la valutazione discrezionale dell'autorità paesaggistica sulla sua fattibilità, qualora vi sia soltanto un vincolo relativo – la relativa abusiva edificazione comporta la sanzione ordinaria, cioè ripristinatoria (cfr. ad es. Consiglio di Stato , sez. VI , 05/03/2013 , n. 1316 e 07/01/2014 , n. 18)» (Cons Stato, Sez. VI, 3 giugno 2022, n. 4570).”.).
9.3.4. Peraltro, giova anche rammentare che la qualificazione di un’opera quale pertinenza urbanistica non esclude, automaticamente, che essa debba qualificarsi quale “nuova costruzione”: infatti l’art.3, comma 1, lett. e.6 del D.P.R. n. 380/2001 stabilisce che sono considerati nuova costruzione “gli interventi pertinenziali che le norme tecniche degli strumenti urbanistici, in relazione alla zonizzazione e al pregio ambientale e paesaggistico delle aree, qualifichino come interventi di nuova costruzione, ovvero che comportino la realizzazione di un volume superiore al 20% del volume dell'edificio principale”.
9.3.5. Nel caso di specie il ricorrente non si è posto il problema di verificare se nel Comune di Sant’Agnello le piscine non siano considerate, dagli strumenti urbanistici, quale nuova costruzione. Inoltre l’appellante nulla ha dedotto e dimostrato circa le concrete dimensioni della piscina/vasca, sebbene nell’ordinanza di demolizione si indichi in oltre 142 mq. la superficie complessiva occupata dalla piscina e dal circostante tavolato in legno.
9.3.6. Non sussistono, infine, le condizioni per ritenere l’opera in contestazione quale opera di edilizia libera, ai sensi dell’art. 6, comma 2, lett. c) del D.P.R. n. 380/2001: il complesso delle opere in considerazione, infatti, non può qualificarsi come di mera pavimentazione o mero arredo di spazio esterno, avendo nel complesso lo scopo di rendere un (presunto preesistente) avvallamento del terreno fruibile come piscina.
9.4. Il motivo deve pertanto essere respinto.
10. Al quarto motivo d’appello si contesta la statuizione del TAR secondo cui le opere oggetto dell’ordinanza di demolizione dovevano qualificarsi quali opere soggette a permesso di costruire e non a semplice segnalazione certificata.
10.1. A dire dell’appellante, l’assoggettamento delle opere di che trattasi al regime della S.C.I.A. imponeva l’irrogazione di una mera sanzione pecuniaria, e non anche la sanzione demolitoria.
10.2. Il Collegio osserva che il richiamo dell’art. 33 del D.P.R. n. 380/2001, effettuato dall’ordinanza impugnata, dimostra che il Comune ha qualificato le opere come di ristrutturazione edilizia. Le opere di ristrutturazione edilizia sono soggette al regime della SCIA solo quando siano diverse da quelle indicate all’art. 10, comma 1, lett. c), del D.P.R. n. 380/2001, tra i quali ultimi si annoverano anche gli interventi che implicano modificazione “dei prospetti di immobili sottoposti a tutela ai sensi del Codice dei beni culturali e del paesaggio di cui al decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42”: poiché per “immobili” non si intendono solo gli “edifici” ma anche i fondi, la modificazione della morfologia di terreni sottoposti a tutela paesaggistica non può considerarsi soggetta a semplice S.C.I.A., restando soggetta a permesso di costruire.
10.3. Merita peraltro ricordare che le opere realizzate in difformità o in assenza di S.C.I.A. non sono sempre soggette alla mera sanzione pecuniaria. La Sezione, infatti, ha già avuto occasione di precisare che anche le opere soggette al regime della SCIA sono soggette alla sanzione ripristinatoria tutte le volte in cui essere risultino contrastanti con la normativa urbanistica ed edilizia (cfr. Cons. Stato, Sez. VI, n. 7326/2024, secondo cui “….ai sensi dell’art. 37, ult. comma, del d.P.R. n. 380/2001, la mancata denuncia di inizio dell'attività non comporta l'applicazione delle sanzioni previste dall'articolo 44. Resta comunque salva, ove ne ricorrano i presupposti in relazione all'intervento realizzato, l'applicazione delle sanzioni di cui agli articoli 31, 33, 34, 35 e 44 e dell'accertamento di conformità di cui all'articolo 36”); ne consegue, secondo la costante giurisprudenza, che “in presenza di abusivismo edilizio, ai sensi degli artt. 22 e 37, comma 1, d.p.r. n. 380/2001 (T.U. Edilizia), l'applicabilità della sanzione pecuniaria è limitata ai soli interventi astrattamente realizzabili previa denuncia d'inizio attività che siano, altresì, conformi agli strumenti urbanistici vigenti” (Cons. Stato Sez. VI, 24-05-2013, n. 2873). Pertanto, “laddove manchino i presupposti per l’intervento, come, per l’appunto, nel caso in cui l’opera sia stata posta in essere in violazione del regolamento edilizio, è ammessa l’adozione dell’ordinanza di demolizione”. (Cons. Stato, Sez. VI, n. 193 del 15 gennaio 2018).”).
10.3.1. Nel caso di specie, tuttavia, l’appellante nulla ha dedotto in ordine alla conformità delle opere alla normativa vigente. Risulta, peraltro - dalla perizia tecnica prodotta dall’appellante, a firma geom. Maresca -, che la zona di interesse risulta tipizzata quale zona E1 e E2, cioè quale zona agricola, oltre che quale zona soggetta a vincolo previsto dal Piano Territoriale Paesistico. La compatibilità con la zona agricola di una piscina accessoria ad una struttura ricettiva è del tutto opinabile e in linea di principio da escludere: pertanto, anche sotto questo profilo la censura risulta destituita di fondamento.
10.3.2. Come già precisato, inoltre, è da escludere la riconducibilità del complesso di opere in esame tra quelle di edilizia libera ai sensi dell’art. 6, comma 2, lett. c) del D.P.R. n. 380/2001.
11. Al quinto e ultimo motivo d’appello si deduce l’erroneità della appellata sentenza nella parte in cui ha ritenuto che “la realizzazione di una piscina e la sostituzione del suolo agricolo con pavimentazione non immuti lo stato dei luoghi e non abbia impatto paesaggistico, tenuto conto che
si tratta di modifiche sostanziali alla configurazione del territorio sul quale tali opere insistono; sotto questo profilo la circostanza che la piscina interrata e la pavimentazione non si sviluppino in verticale, non esclude che esse alterino la consistenza dei suoli e costituiscano interventi edilizi sostanzialmente innovativi e modificativi dell’assetto edilizio del territorio, senza che, come detto, residui alcun margine di ponderazione tra interessi pubblici e privati, come, invece, preteso da
parte attrice”.
11.1. A detta dell’appellante il TAR avrebbe automaticamente concluso per l’incompatibilità paesaggistica delle opere desumendola tout court dall’asserita abusività degli stessi. L’appellante si diffonde, quindi, nella disamina del D.P.R. n. 31/2017 per affermare che le opere in oggetto non necessiterebbero di autorizzazione paesaggistica.
11.2. La censura è manifestamente destituita di fondamento: infatti il TAR non si è in alcun modo pronunciato sulla compatibilità delle opere con il vincolo paesaggistico, anche perché oggetto dell’impugnazione è solo una ordinanza di demolizione. Con la statuizione sopra riportata il TAR ha semplicemente inteso affermare che le opere in oggetto hanno impatto sul territorio e quindi non sono irrilevanti dal punto di vista edilizio.
12. In conclusione l’appello va respinto.
13. Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta), definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo respinge.
Condanna l’appellante al pagamento, in favore del Comune di Sant’Agnello, delle spese relative al presente grado di giudizio, spese che si liquidano in €. 3.000,00 (tremila), oltre accessori, se per legge dovuti.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 6 novembre 2024, celebrata in videoconferenza ai sensi del combinato disposto degli artt. 87, comma 4 bis, c.p.a. e 13 quater disp. att. c.p.a., aggiunti dall’art. 17, comma 7, d.l. 9 giugno 2021, n. 80, recante “Misure urgenti per il rafforzamento della capacità amministrativa delle pubbliche amministrazioni funzionale all'attuazione del Piano nazionale di ripresa e resilienza (PNRR) e per l'efficienza della giustizia”, convertito, con modificazioni, dalla l. 6 agosto 2021, n. 113, con l'intervento dei magistrati:
Oreste Mario Caputo, Presidente FF
Giovanni Sabbato, Consigliere
Sergio Zeuli, Consigliere
Giovanni Tulumello, Consigliere
Roberta Ravasio, Consigliere, Estensore