L'obbligo di munirsi della licenza edilizia su tutto il territorio comunale esiste dal 1935
(commento critico a TAR Toscana, Sez. III, n. 899/2014)
di Massimo GRISANTI
Il TAR Toscana, con la sentenza in commento, è dell’avviso che l’obbligo di licenza edilizia su tutto il territorio comunale è vigente dal 1/9/1967.
L’affermazione NON è assolutamente condivisibile per una pluralità di ragioni, già attentamente vagliate dal Consiglio di Stato che in più occasioni è arrivato a decisioni totalmente contrarie rispetto a quelle del Giudice toscano di prime cure.
Vediamo cosa ha stabilito il TAR Toscana (Collegio composto da: Maurizio Nicolosi, presidente; Raffaello Gisondi, primo referendario estensore; Riccardo Giani, consigliere) sul ricorso presentato nell’interesse dell’Avv. Pietro Miniati Paoli e relativo ad un immobile di sua proprietà:
“… In particolare, merita favorevole ed assorbente considerazione il quarto motivo di ricorso con il quale il Sig. Miniati afferma che le opere di cui è stata ordinata la demolizione, all'epoca in cui furono eseguiti i lavori, (inizio degli anni '60 del 1900), potevano essere legittimamente realizzate senza necessità di alcun titolo edilizio in quanto l'art. 31 della L. 1150 del 1942, nel testo allora vigente, non prescriveva il rilascio della licenza edilizia per le costruzioni realizzate su terreni ricadenti al di fuori del centro abitato.
In linea di fatto l'affermazione contenuta nel motivo risulta suffragata dal verbale degli agenti di P.M. che hanno redatto il verbale di accertamento e non puntualmente contestata dal Comune di Firenze durante il corso del procedimento e nelle memorie depositate in giudizio.
Il Comune di Firenze contesta, invece, la tesi del ricorrente in linea di diritto, affermando che nel suo territorio l'obbligo di ottenere un permesso edilizio anche per le costruzioni realizzate al di fuori del centro abitato vigeva ancor prima della entrata in vigore della L. 765 del 1967 (che, modificando le originarie previsioni dell'art. 31 della l.u., ha esteso a tutto il territorio comunale il sistema di controllo preventivo delle nuove costruzioni), in quanto previsto da un regolamento edilizio risalente al 1931.
Si tratta di una tesi che il Collegio non condivide.
Come questo Tribunale ha in altre occasioni affermato, ai fini dell'accertamento della regolarità edilizia di manufatti realizzati al di fuori dei centri abitati in epoca anteriore alla entrata in vigore della L. 765 del 1967, assume rilevanza esclusiva la norma primaria sopravvenuta di cui all'art. 31 della L. 1150 del 1942 che ha disciplinato la materia con efficacia cogente su tutto il territorio nazionale introducendo l'obbligo di preventivo titolo abilitativo limitatamente agli immobili ricadenti nei centri abitati (Cons. Stato, V, 21/10/1998 n. 1514; TAR Toscana, III, 29/01/2009 n. 52, id. 4/02/2011 n. 197).
Detta norma deve considerarsi prevalente rispetto alla disciplina regolamentare preesistente atteso che, come ha sancito la Corte Costituzionale nella sentenza 303 del 2003, la disciplina dei titoli abilitativi rientra nell’ambito dei principi fondamentali della materia edilizia che la Costituzione (anche prima della riforma del Titolo V) riservava e ancora oggi riserva allo Stato al fine di garantire uno standard uniforme di trattamento del diritto di proprietà su tutto il territorio nazionale anche in coerenza con la riserva di legge prevista dall’art. 42 Cost.
In base ai suddetti principi la delimitazione dei confini fra attività edilizia libera ed attività edilizia soggetta a permesso preventivo spetta alla legge dello Stato e non può, invece, essere frutto di una regolamentazione a macchia di leopardo dettata dai regolamenti dei singoli comuni.
Ne consegue che, una volta sancito da parte del legislatore che l’esercizio dello jus aedificandi è subordinato al rilascio del permesso edilizio solo nell’ambito dei centri abitati non è in facoltà dei comuni estendere tale limitazioni oltre i confini sanciti dalla legge e i regolamenti che ciò prevedano devono intendersi abrogati in quanto contrastanti con la disposizione legislativa letta nel quadro dei sopra menzionati principi costituzionali.
Peraltro, vi sono fondate ragioni di dubitare anche della originaria validità delle previsioni dei regolamenti comunali che, prima della entrata in vigore della L. 1150 del 1942, subordinassero la realizzazione di opere edilizie al previo ottenimento di una licenza.
Invero, l'art. 111 del r.d. 297 del 1911, che disciplinava il contenuto che avrebbero potuto assumere i regolamenti edilizi comunali, nulla stabiliva in ordine alla possibilità di assoggettare l'esercizio dello jus aedificandi a permesso preventivo.
Difettava, perciò, anche allora (1931) in capo ai comuni il potere di introdurre senza base legale una siffatta (non indifferente) limitazione al contenuto del diritto di proprietà del quale l'art. 29 dello Statuto Albertino sanciva la inviolabilità ammettendone solo l'espropriazione per ragioni di pubblico interesse e previo indennizzo; prova ne il fatto che, prima dell'intervento della l. n. 1150 del 1942, l’istituto della licenza edilizia fu disciplinato con legge prima dal R.D.L. 640 del 1935 (che la rese obbligatoria nell'ambito dei centri abitati) e poi con il R.D.L. 2105 del 1937 (che estese il predetto obbligo a tutto il territorio comunale) poi superato dalla legge urbanistica del 1942 che è la normativa di riferimento rispetto alla data di esecuzione delle opere in contestazione.
Le conclusioni di cui sopra non possono, peraltro, essere superate dal disposto dell'art. 31 comma 5 della L. 47 del 1985 che (soprattutto per esigenze di "cassa") ha esteso la necessità del condono agli interventi anteriori al 1967 per i quali fosse stata richiesta anche dai regolamenti edilizi comunali la licenza di costruzione.
Invero, i regolamenti edilizi a cui fa riferimento la suddetta norma non possono che essere regolamenti validi in quanto conformi alla normativa primaria e costituzionale vigente al momento della loro adozione; e tali, per le ragioni già dette, non possono considerarsi quei regolamenti che prima o dopo la l.u. hanno introdotto ex novo un regime autorizzatorio non previsto dalla legge dello Stato.
Qualora si volesse conferire all'art. 31 comma 5 una portata retroattiva di convalida di regolamenti illegittimamente adottati la norma incorrerebbe in seri problemi di costituzionalità in quanto avrebbe come effetto quello di attribuire in via retroattiva una patente di illiceità ad interventi edilizi che, secondo la disciplina primaria vigente al momento della loro realizzazione, non avrebbero potuto essere sottoposti ad alcuna autorizzazione.
Nel caso di specie, pertanto, alcuna valenza può attribuirsi all'art. 1 del regolamento edilizio del comune di Firenze adottato con atto podestarile del 29 dicembre 1931 il quale, non avendo una base legale al momento della sua emanazione e contrastando con la disciplina sopravvenuta posta dall’art. 31 della legge urbanistica del 1942 deve essere disapplicato.
I manufatti di cui all'impugnata ordinanza di demolizione devono ritenersi, pertanto, legittimamente edificati in conformità alle previsioni legislative vigenti al momento della loro realizzazione e deve, quindi, essere dichiarata la illegittimità dell’ordinanza impugnata che ne ha ingiunto la demolizione.”.
Si ritiene che nella sentenza NON sia stata fatta corretta applicazione delle norme positive del diritto, per i motivi che seguono.
LA RICOSTRUZIONE DELLA LEGISLAZIONE ANTECEDENTE ALLA LEGGE N. 1150/1942.
La legislazione in tema di titoli abilitativi edilizi è stata ben ricostruita dal Consiglio di Stato con la sentenza n. 3 del 30/3/2009 (dep. 23/4/2009), resa in sede di adunanza plenaria. Una sentenza stranamente dimenticata dal TAR Toscana, il quale ha pure disatteso le altre contrarie del supremo consesso amministrativo ben più recenti (v. Sez. VI, n. 427/2014; sez. IV, n. 5141/2008).
Il Consiglio di Stato esordì con l'affermare che il diritto di costruire, in epoca antecedente alla normazione urbanistica (L. 1150/1942), ha sempre avuto limiti “fin dagli albori della costituzione dello Stato Nazionale (cioè dalla legislazione unitaria fondamentale del 1865).”.
Prosegue il Supremo Consesso:
“Con una visione frammentaria del problema, che si rivelò ben presto inadeguata, il legislatore del 1865 introdusse, infatti, per gli aggregati urbani relativi a comuni con più di 10.000 abitanti, la materia dei piani regolatori.
Quella remota disciplina contemplava due tipi: il piano regolatore edilizio e il piano di ampliamento previsti rispettivamente dagli articoli 86 e 93 della legge 25 giugno 1865, n. 2359 sulle espropriazioni per pubblica utilità.
Quelle norme non prescrivevano l’imposizione di limiti rigorosi alla proprietà privata, ma costituivano pur sempre un indizio non secondario dell’esistenza di un quadro conformativo del quale, nelle zone urbane, lo jus aedificandi doveva comunque tener conto.
Oltre alle assai modeste prescrizioni di tipo pianificatorio altre, con diversa normativa, furono previste, soprattutto con atti regolamentari per l’edificazione nei centri abitati (e, in questo senso, molti furono i comuni ad avvalersi di tale facoltà).
Tali regolamenti, nel prevedere una serie di limiti sull’altezza, le distanze ed altri elementi connotativi delle edificazioni urbane, costituivano anch’essi uno strumento conformativo seppure indiretto rispetto all’esercizio concreto dello jus aedificandi: tali mezzi risultano positivamente richiamati dagli articoli 109 e 111 (quest’ultimo in particolare) del regio decreto 12 febbraio 1911, n. 297 recante il regolamento per l’esecuzione della legge comunale e provinciale 21 maggio 1908, n. 269, ma utilizzato anche dopo le modifiche della legge 4 febbraio 1915, n. 148 e il testo unico 3 marzo 1934, n. 383.
Un ulteriore strumento di conformazione, anch’esso episodico, va individuato, oltre che nella legge 15 gennaio 1885, n. 2892 sul risanamento della città di Napoli e nella legge 31 maggio 1903, n. 254 relativa alla costruzione, all’acquisto e alla vendita di case popolari, nei provvedimenti legislativi che hanno approvato i piani regolatori di grandi città (legge 24 marzo 1932, n. 355 per Roma e la legge 19 febbraio 1934, n. 433 per Milano).
Il richiamo alla legislazione previgente il 1942 si conclude con i regi decreti legge 25 marzo 1935, n. 640 (art. 4) e il successivo 22 novembre 1937, n. 2105 (art. 6) che enunciano l’obbligatorietà dell’autorizzazione del sindaco (podestà) per le edificazioni.”.
Come si vede, il Consiglio Stato, in adunanza plenaria (e conforme sentenza n. 427/2014), si è già espresso con tutt'altro avviso rispetto al TAR Toscana in ordine alla legittimità dell'obbligo di licenza edilizia fissato nei regolamenti comunali per le costruzioni e/o modificazioni di edifici esistenti nel centro abitato, rinvenendo la base legale proprio in quell'art. 111 del RD n. 297/1911 che il TAR ha completamente ritenuto inapplicabile.
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Proseguiamo con l'analisi della sentenza n. 5141/2008 del Consiglio di Stato, la quale, per necessità di esposizione e comprensione, occorre riportarla integralmente:
“Il Comune di Napoli impugna la sentenza di T.A.R. Indicata in epigrafe, con la quale è stato parzialmente accolto il ricorso proposto dalla società Nuova Immobiliare s.r.l. per l’annullamento della disposizione dirigenziale n. 390 del 12 maggio 2004, relativa al diniego di realizzazione di un intervento di ristrutturazione edilizia del complesso industriale “Vela”, sito in località Barra, via IV novembre n. 45/E, nonché per l’accertamento del diritto della società ricorrente al risarcimento del danno.
Il provvedimento impugnato in primo grado denegava l’intervento in quanto – premessa l’inerenza dell’istanza di ristrutturazione edilizia alla sostituzione del complesso industriale con un nuovo fabbricato a destinazione residenziale e commerciale – non risultava alcuna concessione edilizia per la consistenza originaria, pur in presenza di sanatoria per l’ampliamento del complesso.
Assume la sentenza impugnata che, a norma dell’art. 12 del regolamento edilizio del 1935 – ed alla stregua della disposizione dell’art. 31 della legge n. 1150/1942 – l’obbligo di richiedere la licenza edilizia non sussisteva per la zona industriale di Barra (sita al di fuori dell’abitato del Comune di Napoli e della stessa frazione di Barra), in cui è incontestatamente ubicato il complesso industriale di cui trattasi; deve quindi ritenersi, in altri termini, secondo il giudice di primo grado, che la parte originaria del complesso immobiliare non può considerarsi abusiva per il solo fatto che non venne rilasciato dal Comune alcun titolo abilitativo, non sussistendo, nei primi anni ’50 – epoca di realizzazione del complesso, non contestata dall’Amministrazione – alcun obbligo di richiedere la detta licenza.
Oppone l’appellante Comune che l’articolo 1 dello stesso regolamento edilizio richiede il rilascio della licenza del Sindaco per tutte le opere ed i lavori da eseguirsi nel territorio del Comune di Napoli e che l’art. 12 è esclusivamente inteso a definire le varie zone del territorio comunale.
Propone appello incidentale la Nuova Immobiliare s.r.l. – che eccepisce altresì l’inammissibilità dell’appello – e sostiene la vigenza, nell’indicato lasso temporale, dell’art. 31 della legge urbanistica del 1942; il che avrebbe comportato l’abrogazione, almeno in parte qua, e comunque l’inapplicabilità, del regolamento edilizio del 1935 – (specificatamente, dall’art. 1) e, di conseguenza, la non necessarietà di licenza edilizia “per le costruzioni che fossero al di fuori del centro abitato”.
Deduce quindi error in iudicando, violazione dell’art. 31 L. 1150/42, inapplicabilità ed errata applicazione dell’art. 31 L. 47/85 nonché illegittimità della norma regolamentare per contrasto con fonte primaria sopravvenuta.
2.- L’eccezione di inammissibilità dell’appello deve essere disattesa, non sussistendo violazione dell’art. 345 C.p.c., dall’appellata ravvisata nella pretesa novità delle contestazioni mosse dall’appellante Comune in quanto non sollevate in prime cure.
Le censurate contestazioni dell’Amministrazione investono infatti il punto della sentenza di primo grado che assume che, alla stregua dell’art. 12 del regolamento edilizio del 1935, l’obbligo di richiedere la licenza edilizia non riguardava comunque la zona industriale di Barra.
L’appellante (che, in primo grado era resistente, e non ricorrente) può invero censurare solo nella presente fase di giudizio le argomentazioni del primo giudice che hanno recepito la tesi della ricorrente in primo grado, né era tenuto a contestare specificatamente, in prime cure, gli argomenti difensivi della originaria ricorrente.
3.- Ciò posto, la prospettazione dell’appellante Comune di Napoli deve essere condivisa.
Ed invero, l’art. 12 del precitato regolamento edilizio appare chiaramente inteso – giusta il tenore testuale – alla mera “divisione del territorio comunale in zone”: ne consegue che, a meno di voler infondatamente sostenere che la zona industriale di Barra non appartenga al territorio del Comune di Napoli, l’esclusione di tale zona dalla seconda comporta la inclusione nella zona residenziale (terza zona) comprendente il “territorio comunale non compreso nelle zone precedenti”.
In quanto zona appartenente al territorio del Comune di Napoli, ad essa era applicabile l’inequivoco disposto dell’articolo 1 del regolamento edilizio, che sanciva l’obbligo di “preventiva licenza del Sindaco” per “tutte le opere ed i lavori da eseguirsi nel territorio del Comune di Napoli”.
4.- Né conduce a diverso avviso la prospettazione contenuta nell’appello incidentale della società controinteressata.
Non può infatti riconoscersi ex se portata abrogante o disapplicativa della norma secondaria (introdotta dall’art.1 del regolamento edilizio) all’art. 31 della legge urbanistica del 1942, laddove reca la disciplina costruttiva nei centri abitati sancendo l’obbligo dell’apposita licenza del Sindaco.
Il precitato articolo 31 ha disciplinato in via generale l’obbligo di cui trattasi; ciò non comporta peraltro, ex se, l’abrogazione tacita di una disposizione speciale più rigorosa per le costruzioni al di fuori dei centri abitati esistente nel regolamento edilizio vigente in ragione della particolare disciplina che l’ente locale ha inteso introdurre ai fini della regolamentazione dell’attività costruttiva sul proprio territorio.
5.- Per quanto esposto, deve essere accolto l’appello principale del Comune di Napoli. Va per converso rigettato l’appello incidentale proposto da Nuova Immobiliare s.r.l..”.
Si è dell'avviso che ogni commento di raffronto con la sentenza del TAR Toscana sia superfluo, tanto le statuizioni sono agli antipodi!
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Veniamo al Regio Decreto Legge 25 marzo 1935, n. 640, convertito, con modificazioni, dalla Legge 23 dicembre 1935, n. 2471.
E' storia che in Italia si vive, da sempre, sull'onda dell'emergenza.
Con il RDL n. 640/1935, intitolato “Nuovo testo delle norme tecniche di edilizia con speciali prescrizioni per le località colpite dai terremoti”, lo Stato si era prefisso di rendere più sicura la costruzione degli edifici (evidentemente al fine di limitare al massimo le spese di ricostruzione, di protezione civile e di assistenza sociale).
Il testo di legge – che, come vedremo in prosieguo, non ha conosciuto soluzione di continuità con l'emanazione della L. 1150/1942 e verrà abrogato solamente con la Legge n. 9/2009 a – prevedeva sia “Norme per tutti i Comuni del Regno non colpiti dai terremoti” agli artt. 3 e 4, sia “Norme per le località sismiche della 1^ e della 2^ categoria”.
Ebbene, l'art. 4, intitolato “Sanzioni”, disponeva:
“Coloro che intendano fare nuove costruzioni, ovvero modificare od ampliare quelle esistenti debbono chiedere al Podestà apposita autorizzazione, obbligandosi ad osservare le norme particolari dei regolamenti di edilizia e d'igiene comunali.
La domanda di autorizzazione deve contenere l'elezione di domicilio nel comune dove si eseguono i lavori, oltre quelle altre formalità richieste dalle locali disposizioni regolamentari.
Qualora i lavori iniziati in base ad autorizzazione non siano condotti secondo il progetto approvato e secondo le norme stabilite dal regolamento edilizio comunale, il Podestà, fatti gli accertamenti del caso, ne ordina la sospensione.
Contro l'ordinanza del Podestà, da notificarsi al proprietario nel domicilio eletto sulla domanda di autorizzazione, è ammesso ricorso al Prefetto, il quale decide con provvedimento definitivo.
Il ricorso non ha effetto sospensivo.
Qualora vengano iniziati i lavori senza autorizzazione ovvero vengano proseguiti quelli per i quali sia stata notificata ordinanza di sospensione, il Podestà ordina la demolizione a spese del contravventore senza pregiudizio delle sanzioni penali di cui all'art. 106 del T.U. della legge comunale e provinciale o di quelle maggiori contenute nei regolamento edilizi.
L'ordinanza del Podestà ha carattere di provvedimento definitivo.”.
Come si vede, l'autorizzazione, o la licenza edilizia che dir si voglia, è stata introdotta, per legge, almeno dal 1935 ed aveva non solo la finalità di contribuire a dare un assetto urbanistico all’abitato (laddove prescritto dai regolamenti edilizi comunali), ma anche di assicurare la pubblica incolumità.
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Ma scendiamo ancor più nel particolare.
L'obbligo di licenza edilizia per la costruzione di edifici in tutto il territorio comunale contenuto nei regolamenti edilizi antecedenti al 1942 è frutto delle disposizioni della Legge 22 dicembre 1888, n. 5849 sulla tutela dell’igiene e della sanità pubblica (G.U. 24/12/1888, n. 301) e del relativo Regolamento generale di applicazione 27 ottobre 1891, n. 695, a cui le Istruzioni del Ministero dell’Interno, Direzione della Sanità Pubblica, che vennero diramate a mezzo della Circolare 20 giugno 1896 a firma del Ministro Rudinì, rimandano quale norme positive di riferimento.
Tali istruzioni – la cui validità è stata confermata a mezzo del D.M. 5 luglio 1975, salve le parti modificate da quest’ultimo provvedimento amministrativo – furono accompagnate con queste parole contenute nella lettera del Ministro:
“Le condizioni igienico-edilizie di parecchi comuni del regno lasciano pur troppo a desiderare, ed è lodevole la gara risvegliatasi fra i meglio retti di essi per correggerle.
Il Governo non ha mancato, per quanto gli riuscì possibile, di coadiuvare tale intento, col facilitare ai comuni stessi i mezzi per raggiungerlo e col favorirne la migliore riuscita con opportuni consigli e suggerimenti. Ed a questo scopo mirano ancora le istruzioni ministeriali sulla igiene del suolo e dell’abitato, approvate dal consiglio superiore di sanità, che io prego le SS.LL. a voler portare a conoscenza delle amministrazioni municipali, perché servono loro di norma nella compilazione dei regolamenti locali igienico-edilizi e in tutte quelle opere a cui si accingano, per migliorarne l’abitabilità ed i servizi pubblici urbani.
Queste istruzioni contengono, forse, alcune disposizioni alle quali non riuscirà facile a qualche comune il pienamente conformarsi: ma ciò non toglie che, entro i limiti del possibile, i municipii non debbano ad esse ispirarsi, per ottenere che le buone regole igieniche si facciano a poco a poco strada fra le popolazioni e per evitare spese, o inutili o poco proficue, in lavori che poi si debba più tardi sentire il bisogno di rifare con migliore indirizzo.
Nutro però fiducia, che pel maggior numero delle nostre città e dei comuni rurali, queste istruzioni possano servire nel loro complesso di base ai regolamenti locali; nelle cui disposizioni è a desiderare, salvo esigenze tutt’affatto speciali, vi sia uniformità di concetti, in armonia coi migliori dettami della scienza odierna.”.
Peraltro, con l’art. 39 della Legge n. 5849/1888 fu introdotta l’autorizzazione del Sindaco per poter abitare “le case di nuova costruzione, od in parte rifatte”.
Ebbene, gli articoli 24 e 35 delle Istruzioni ministeriali impongono di richiedere il permesso di costruzione al Sindaco per ogni edificio e sono funzionali al corretto assetto igienico-edilizio dell’abitato e del suo ampliamento che, per fini igienico sanitari, viene vietato in assenza del piano regolatore approvato dal Consiglio comunale a termini della legge n. 2359/1865 (v. artt. 24 e ss. Istruzioni ministeriali). Mentre l’art. 114 delle istruzioni ricorda l’obbligo del permesso di costruzione per le case rurali.
L’intitolazione delle disposizioni richiama, quale fonte normativa di riferimento, le disposizioni della Legge 22 dicembre 1888, n. 5849 e del Regolamento generale di applicazione 27 ottobre 1891, n. 695.
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Pertanto, non vi è chi non possa vedere che fin dal 24/12/1888 lo Stato ha imposto una sorveglianza assidua delle costruzioni sia sotto il profilo igienico-sanitario (con controlli ex ante, permesso di costruire, ed ex post, autorizzazione all’abitabilità – fissati dalla Legge n. 5849/1888 e dal Regolamento n. 695/1891), sia sotto il profilo della loro sicurezza (RDL n. 640/1935).
Del pari fin dalla Legge n. 5849/1888, al fine di assicurare la tutela igienico-sanitaria, ha vietato l’ampliamento degli abitati di qualsiasi Comune se non previa approvazione del piano regolatore.
LA LEGGE N. 1150/1942 E L’OBBLIGO DI LICENZA.
Il clima e le finalità delle disposizioni statali antecedenti l’emanazione della Legge n. 1150/1942 è stato ricostruito per far comprendere come sia del tutto destituita di ogni fondamento la tesi per cui all’indomani della Legge Urbanistica Nazionale l’obbligo di licenza edilizia è valevole unicamente all’interno del centro abitato o delle zone di espansione.
Quindi, è sotto un’altra ottica che devono essere interpretate le disposizioni contenute nell’art. 31 della LUN, e finanche quelle degli articoli 33 e 45.
Così disponeva l’art. 31 “Licenza edilizia – Responsabilità comune del committente e dell’assuntore dei lavori”:
“Chiunque intenda eseguire nuove costruzioni edilizie ovvero ampliare quelle esistenti o modificarne la struttura o l’aspetto nei centri abitati ed ove esista il piano regolatore comunale, anche dentro le zone di espansione di cui al n. 2 dell’art. 7, deve chiedere apposita licenza al Podestà del Comune. (…)”.
Le parole “ovvero”, “oppure” ed “o” sono tutte congiunzioni con forte valore disgiuntivo che dividono opzioni correlative rette da un’azione.
Pertanto, una corretta interpretazione letterale – che si pone in linea con le finalità perseguite dalla legislazione statale nella legislazione in materia di igiene e sanità – porta ad affermare, con forza che:
“deve chiedere apposita licenza al Podestà del Comune chiunque intenda:
-
eseguire nuove costruzioni edilizie;
-
ampliare quelle esistenti;
-
modificarne la struttura o l’aspetto nei centri abitati ed ove esista il piano regolatore comunale, anche dentro le zone di espansione di cui al n. 2 dell’art. 7.
L’unico elemento di novità dell’obbligo di licenza, rispetto a quanto già prescritto dalla Legge n. 5849/1888 e dal RDL n. 640/1935, è rinvenibile unicamente nella necessità di munirsi dell’autorizzazione del Podestà per variare l’estetica dell’edificio e ciò al fine di tutelare il decoro dell’abitato in fatto e in divenire.
Tanto è vero che occorreva la licenza edilizia per le nuove costruzioni, ampliamenti e modificazioni della struttura in tutto il territorio comunale che l’art. 33 della LUN stabiliva che attraverso i regolamenti edilizi – se del caso (e pertanto non necessariamente) tenendo distinte le norme riguardanti il nucleo edilizio esistente da quelle riguardanti la zona di ampliamento e il restante territorio comunale – i Comuni provvedevano a dettare norme sulla “presentazione delle domande di licenza di costruzione o trasformazione di fabbricati”. Lo Stato aveva concesso autonomia alla potestà regolamentare comunale non tanto in ordine all’obbligo della licenza edilizia per le nuove costruzioni e le trasformazioni, quanto sugli adempimenti burocratici finalizzati ad agevolare i controlli amministrativi sull’attività edilizia posta in essere dai privati.
Ciò non bastasse, l’art. 45 della LUN stabilisce che “Rimangono ferme le disposizioni di legge che stabiliscono la competenza anche di altri Ministeri ed organi consultivi riguardo ai piani regolatori comunali ed ai regolamenti edilizi, nonché quelle relative ai poteri del Ministero delle corporazioni in materia di impianti industriali. Sono abrogate tutte le altre disposizioni contrarie a quelle contenute nella presente legge o con esse incompatibili.”.
La disposizione finale conferma, così, l’obbligo di licenza edilizia stabilito dalle leggi in materia di igiene e sanità pubblica nonché le disposizioni del RDL n. 640/1935, prescriventi l’obbligo di autorizzazione edilizia del Podestà per tutte le nuove costruzioni o modificazioni, per finalità di tutela della pubblica incolumità, le quali non sono, come visto, né contrarie, né incompatibili (anzi perfettamente in linea) con l’obbligo di licenza edilizia stabilito dall’art. 31 LUN per tutte le nuove costruzioni, gli ampliamenti e le modificazioni di edifici esistenti che si dovessero eseguire in TUTTO il territorio comunale.
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Scritto il 22/06/2014