La perequazione e le scelte di pianificazione secondo il modello normativa della Regione Campania

di Antonio VERDEROSA

Gli istituti della perequazione e della compensazione urbanistica trovano fondamento in due pilastri fondamentali del nostro ordinamento, che travalicano le previsioni contenute nelle diverse leggi regionali, e precisamente nella potestà conformativa del diritto proprietà di cui è titolare l'Amministrazione Comunale nell'esercizio della propria attività di pianificazione, ai sensi dell'art. 42, comma primo, Cost. e, al contempo, nella possibilità di utilizzare modelli consensuali per il perseguimento di finalità di interesse pubblico, secondo quanto previsto dagli artt. 1, comma 1bis e 11 della legge n. 241 del 1990.

La perequazione ha la finalità di eliminare le diseguaglianze che la pianificazione tradizionale produce fra proprietari di aree aventi caratteristiche simili. Tali diseguaglianze si creano in quanto, come noto, nell'ambito della pianificazione, accanto alle aree destinate ad ospitare la “città privata”, e cioè quella parte dell'edificato di pertinenza privata destinata ad ospitare edifici funzionali al soddisfacimento degli interessi della proprietà, si colloca la cd. “città pubblica” cui vanno ascritte le aree destinate ad ospitare servizi pubblici. Queste ultime, nel modello di pianificazione tradizionale, sono private di ogni capacità edificatoria ed hanno, quindi, un valore di mercato molto basso se non nullo, a differenza delle aree che appartengono invece alla città privata le quali sono dotate di enorme capacità edificatoria.

Al fine di ovviare a tale sperequazione, i comuni italiani, in sede di pianificazione, hanno di recente elaborato diverse soluzioni, perlopiù basate sull'attribuzione di un indice di edificabilità virtuale alle aree destinate alla città pubblica, non utilizzabili su tali aree ma trasferibile sui suoli suscettibili di sfruttamento edificatorio. Si assicura in tal modo la valorizzazione delle aree della città pubblica, giacché esse assumono in tal modo un valore commerciabile generato appunto dal valore dei diritti edificatori che esse esprimono.

Maggiore forza legislativa ha poi dato, alle disposizioni emanate dalla Regione Campania, l’approvazione della L. n° 106 del 12 luglio 2011, di conversione del Decreto Legge n° 70.2011, pubblicata sulla G.U. n° 160 del 12 luglio 2011, infatti con il comma 3 dell’art. 5 della citata legge, viene modificato l’articolo 2643 del codice civile e viene consentita la trascrizione alla Conservatoria dei registri immobiliari dei “diritti edificatori”, pre-condizione necessaria per assicurare una circolazione ufficiale e riconosciuta della edificazione virtuale dell’area.

I c.d. “diritti edificatori” derivanti dalla potenzialità edificatoria conferita ad un fondo dagli strumenti urbanistici, non sono infatti diritti soggettivi (e quindi, “benefici economici”, per utilizzare l’espressione contenuta nell’art. 21 – nonies della l. n. 241.90), bensì, semmai, interessi legittimi pretensivi ancorché patrimonialmente valutabili.

Ciò fornisce una legittimazione ancor più forte all’impiego della perequazione urbanistica nei piani comunali, già previsto in molte leggi regionali – fra cui la legge n. 16.2004 della Regione Campania – e soprattutto incoraggiato da diversi pronunciamenti giurisprudenziali, fra cui quello, molto noto, del Consiglio di Stato sul PRG di Roma.
E’ dunque facile prevedere un’ulteriore diffusione della perequazione urbanistica nei piani comunali, tanto più che nel contempo è stato affermato dalla Corte Costituzionale il principio che tutte le espropriazioni debbano essere indennizzate in ragione del valore venale dei beni espropriati, e la situazione finanziaria dei Comuni è ulteriormente peggiorata.

L’approfondimento di istituti tecnico-giuridici, quali “perequazione” e “compensazione”, ha lo scopo di illustrare i meccanismi che consentono ai Comuni di utilizzare, per la perequazione, una tecnica di progettazione degli strumenti urbanistici comunali che offra, contemporaneamente, una maggiore equità e la realizzazione di un patrimonio pubblico a costo zero e, per la compensazione, la possibilità di monetizzare il patrimonio rappresentato dalla edificabilità potenziale riconosciuta al territorio comunale. I due istituti sono esaminati, in generale, con riferimento alla legislazione statale ed, in particolare, con riferimento alla legislazione della Regione Campania che ha introdotto, nel proprio ordinamento, perequazione, compensazione ed incentivazione con il regolamento n. 5 del 4 agosto 2011.

La Regione Campania, al comma 1 dell’art. 12 del regolamento n. 5 del 4 agosto 2011, ha stabilito che . “….Il piano urbanistico, nell’ambito delle sue potenzialità edificatorie, può essere attuato anche con sistemi perequativi, compensativi e incentivanti, secondo criteri e modalità definiti dal presente articolo e dettagliati da provvedimenti regionali….”quindi gli strumenti in esame, rappresentanti anche modalità di acquisizione di aree pubbliche diverse dall’espropriazione, sono previsti anche dalla legislazione regionale della Campania.

La L.R. Campania 22 dicembre 2004, n. 16- Norme sulgoverno del territorio- Pubblicata nel B.U. 28 dicembre 2004, n. 65, supplemento, introduce all’ art. 32 -Perequazione urbanistica-, per la prima volta nell’ordinamento urbanistico regionale, la possibilità di utilizzare, nella progettazione dei P.U.C., la perequazione urbanistica :

“….

1. La perequazione urbanistica persegue lo scopo di distribuire equamente, tra i proprietari di immobili interessati dalla trasformazione oggetto della pianificazione urbanistica, diritti edificatori e obblighi nei confronti del comune o di altri enti pubblici aventi titolo.

2. Il Puc, gli atti di programmazione degli interventi e i Pua ripartiscono le quote edificatorie e i relativi obblighi tra i proprietari degli immobili ricompresi nelle zone oggetto di trasformazione mediante comparti di cui all'articolo 33, indipendentemente dalla destinazione specifica delle aree interessate

.”.

Questo il dettato dei primi due commi dell’art. 32 l.r. 16/04, rubricato “Perequazione urbanistica”, che apre il capo V (dedicato ai “Sistemi di attuazione della pianificazione urbanistica”) del titolo II (“Pianificazione territoriale e urbanistica”)della citata legge regionale.

La giurisprudenza ha avuto modo di chiarire che “lo strumento della perequazione(...) è stato (...) introdotto dalle legislazioni regionali – quale, appunto, la l. reg.Campanian. 16 del 2004 – cui è affidata la disciplina del territorio e persegue l’obiettivo di eliminare le disuguaglianze create dalla funzione pianificatoria, in particolare dalla zonizzazione e dalla localizzazione diretta degli standard, quanto meno all’interno di ambiti di trasformazione, creando le condizioni necessarie per agevolare l’accordo fra i privati proprietari delle aree incluse in essi e promuovere l’iniziativa privata”. Ma tale criterio spesso non trova corretta applicazione. Infatti, il ricorso al criterio perequativo avrebbe imposto l’attribuzione di una specifica capacità edificatoria, anche alle aree soggette a vincoli espropriativi, anche se – per ipotesi – la relativa capacità edificatoria sarebbe dovuta essere realizzata in altro sito . E ciò in un periodo, in cui le risorse degli Enti Pubblici risultano quanto mai limitate, per cui solo l’eventuale cessione, in sede di trasformazione urbanistica, potrebbe consentire tale effettiva attuazione. Una corretta pianificazione ed un corretto ricorso al criterio perequativo avrebbe consentito non solo, di edificare, ma anche, alla P. A., d’acquisire le aree necessarie alla realizzazione di opere pubbliche, senza sostenere alcun costo.

L’impiego di tale tecnica consente infatti di addivenire al conseguimento degli obbiettivi di pubblico interesse senza un’eccessiva penalizzazione degli interessi privati, coinvolgendo i proprietari dei terreni in precisi obiettivi di sviluppo, evitando il ricorso alla imposizione dei vincoli preordinati alla futura espropriazione, generatrice di contenziosi, senza implicare oneri per la finanza pubblica.

La perequazione urbanistica persegue quindi lo scopo di distribuire equamente diritti edificatori e obblighi, e, pertanto, sull’assunta necessità che, nel disegnare la disciplina urbanistica del territorio comunale, l’Amministrazione Comunale deve ispirarsi ai principi, propri dell’istituto in commento, e tanto allo scopo (sulla scorta di T. A. R. Campania– Napoli, Sez. VIII, 5.09.2012, n. 3746)di “eliminare le disuguaglianze create dalla funzione pianificatoria, in particolare dalla zonizzazione e dalla localizzazione diretta degli standard, quanto meno all’interno di ambiti di trasformazione, creando le condizioni necessarie per agevolare l’accordo fra i privati proprietari delle aree incluse in essi e promuovere l’iniziativa privata” ; il che avrebbe, in tesi, “imposto l’attribuzione di una specifica capacità edificatoria, anche ad aree da espropriare la cui relativa capacità edificatoria dovrà essere realizzata in altro sito” .

Il ricorso all’istituto della perequazione è dunque finalizzato a consentire una modalità di acquisizione di aree da destinare al Comune alternativa all’esproprio sicché il mancato preventivo recepimento di detto strumento nei piani non costituirebbe una condizione ostativa al suo utilizzo.

I comparti edificatori sono, invece, descritti al successivo art. 33, a mente del quale:

1. Le trasformazioni previste dal Puc, dai Pua o dagli atti di programmazione degli interventi possono essere realizzate mediante comparti edificatori, così come individuati dagli stessi Puc, dai Pua e dagli atti di programmazione degli interventi.

2. Il comparto è costituito da uno o più ambiti territoriali, edificati o non, ed è individuato dal Puc, dai Pua o dagli atti di programmazione degli interventi, che indicano le trasformazioni urbanistiche ed edilizie, i tipi di intervento, le funzioni urbane ammissibili, la volumetria complessiva realizzabile e le quote edificatorie attribuite ai proprietari degli immobili inclusi nel comparto, la quantità e la localizzazione degli immobili da cedere gratuitamente al comune o ad altri soggetti pubblici per la realizzazione di infrastrutture, attrezzature e aree verdi”.

La norma va letta alla luce della previsione perequativa nella parte in cui richiama gli artt. 33 e 34 della l.r. n. 16/04 a proposito dei meccanismi di attuazione delle trasformazioni previste dagli strumenti urbanistici, che pertanto fanno leva sull’istituto del comparto, così come disciplinato dalla normativa regionale. Tale sistema comporta, che “le utilizzazioni edificatorie riferite al comparto vengono ripartite in quote edificatorie attribuite ai proprietari pubblici e privati degli immobili inclusi nel comparto stesso”. Orbene, le quote edificatorie, come previsto dall’art. 4, comma 3 della legge regionale n. 16, norma alla quale il pianificatore ha fatto espresso rinvio, “sono liberamente commerciabili” , anche se non possono essere trasferite in altri comparti edificatori. Tale meccanismo operativo, tipico della cosiddetta perequazione urbanistica intra-comparto, frutto di una precisa scelta del legislatore regionale campano tra le molteplici varianti del metodo perequativo in materia urbanistica, comporta l’attribuzione a ciascun proprietario di una quota parte della edificabilità complessiva assegnata al comparto sulla base della pianificazione attuativa a prescindere dal raggiungimento dell’accordo tra i proprietari medesimi, come esattamente previsto dal comma 3 dell’art. 34 della l.r. n. 16.04, secondo cui “I detentori di una quantità corrispondente al cinquantuno per cento delle quote edificatorie complessive attribuite ad un comparto edificatorio possono procedere all'attuazione del comparto nel caso di rifiuto o inerzia dei rimanenti proprietari. Accertato il rifiuto, previa notifica di atto di costituzione in mora, con assegnazione di un termine non superiore a trenta giorni, gli stessi soggetti procedono all'attuazione del comparto, acquisite le quote edificatorie, attribuite ai proprietari che hanno deciso di non partecipare all'iniziativa, e i relativi immobili, mediante corresponsione del controvalore determinato dall'ufficio di cui all'articolo 33, comma 5, o nel caso di rifiuto di tale somma, mediante deposito della stessa presso la tesoreria comunale”.

L’art. 12 del regolamento regionale 5/2011 (rubricato: “Perequazione urbanistica ed ambiti di trasformazione urbana”) dispone, inoltre:

1. Il piano urbanistico, nell’ambito delle sue potenzialità edificatorie, può essere attuato anche con sistemi perequativi, compensativi e incentivanti, secondo criteri e modalità definiti dal presente articolo e dettagliati da provvedimenti regionali.

2. La perequazione è finalizzata al superamento della diversità di condizione giuridico – economica che si determina tra le proprietà immobiliari per effetto della pianificazione urbanistica, promuovendo forme di equa distribuzione dei bene fici e degli oneri derivanti dagli interventi di trasformazione degli assetti insediativi, infrastrutturali ed edilizi del territorio comunale.

..

6. La quantità di aree e le quantità edilizie insediabili negli ambiti di trasformazione, in conformità alle previsioni del piano programmatico di natura operativa, che non sono riservate agli usi pubblici o di interesse pubblico, necessarie anche a soddisfare i fabbisogni pregressi, sono attribuite ai proprietari di tutti gli immobili compresi negli stessi ambiti. Tale capacità edificatoria è la somma dei diritti edificatori destinati allo specifico ambito assegnabile ai proprietari nelle trasformazioni fisiche previste dal piano strutturale e da quelle funzionali previste dal piano programmatico. Il Piano programmatico può comprendere uno studio di fattibilità tecnico-economica riguardante le trasformazioni urbanistiche da attuare con procedure perequative.

.

10. A ciascun proprietario degli immobili compresi nel comparto è attribuita una quota delle complessive quantità edilizie realizzabili, determinata moltiplicando la superficie fondiaria degli stessi immobili per i rispettivi (IDE) di cui al comma 6. Le quote edificatorie, espresse in metri quadrati o in metri cubi, sono liberamente commerciabili, ma non possono essere trasferite in altri comparti edificatori ”.

Con particolare riferimento alla perequazione per comparti, poi, tale modello comporta che a tutte le aree inserite in uno stesso comparto viene attribuito un indice edificatorio a prescindere dal fatto che le stesse siano in concreto destinate allo sfruttamento ovvero alla cessione alla mano pubblica. Il piano attuativo individua poi i suoli ove concentrare l’edificazione e quelli destinati ad ospitare le opere di urbanizzazione. Anche queste ultime aree esprimono dunque capacità edificatoria; di conseguenza, i loro proprietari conseguono, comunque, un beneficio economico che rende indifferente, sotto il profilo economico appunto, la scelta dei siti ove verrà concentrata, in concreto, l’edificazione.

La lettura delle norme innanzi riportate convince della natura facoltativa e non obbligatoria delregime perequativo: prova ne sia la previsione testuale della mera “possibilità” di realizzare le trasformazioni previste dagli strumenti urbanistici mediante comparti edificatori e – parimenti - della “possibilità” di attuare il piano urbanistico con sistemi perequativi. Nessuna valenza cogente in sede di formazione del P. U. C. sembra, quindi, potersi ascrivere all’invocato criterio perequativo (cfr. Tar Campania, Salerno, sez. II, sent. 13.3.19 n. 386).

Ad ogni buon conto, la collocazione dell’art. 32 cit. in seno al capo V della legge regionale n. 16/04, disciplinante i “Sistemi di attuazione della pianificazione urbanistica” , rivela che la perequazione va collocata nel momento attuativo delle scelte dell’Amministrazione, di talché il modello perequativo potrebbe essere ancora applicato in sede di attuazione del PUC.

Ma nel panorama giurisprudenziale si segnala anche il contributo offerto dal T.A.R. Salerno, sez. I, 5 luglio 2002, n. 670, che non ha mancato di scorgere profili di piena compatibilità tra perequazione e zonizzazione, in quanto “il meccanismo della cessione gratuita su base convenzionale…[non] può stimarsi penalizzante atteso che esso appartiene, in definitiva, al novero dei poteri conformativi della proprietà privata di spettanza della P.A., che, con tale procedura anziché riservare alla propria unilaterale determinazione i tempi e la scelta della relativa acquisizione, coinvolge anche il privato, al cui placet, in definitiva, subordina il passaggio alla mano pubblica del bene destinato ad assolvere alle funzioni di standards di zona”.

Del resto, la perequazione va collocata in un momento diverso da quello della zonizzazione e segnatamente in quello attuativo delle scelte dell’Amministrazione, tanto più che “il comparto si caratterizza per la "compresenza" nell'ambito attuativo di due porzioni territoriali, ciascuna sottoposta a distinte previsioni di zonizzazione”, ovverosia l’una destinata a zona edificabile, l’altra a servizi. Nel medesimo senso si esprime anche altra giurisprudenza (T.A.R Puglia Lecce, sez. I, 28 aprile 2004, n. 2711), laddove afferma che: “il comparto presuppone che sia già intervenuta l'approvazione degli strumenti urbanistici attuativi, sicché, per un verso, la relativa delimitazione deve aver luogo non in sede di formazione degli strumenti urbanistici generali, ma in quella di attuazione degli stessi e, per altro verso, la realizzazione di tali interventi perequativi risulta subordinata all'approvazione degli strumenti urbanistici attuativi, avendo il comparto un ambito più ridotto rispetto a questi ultimi”.

Come di recente efficacemente spiegato da TAR Lombardia, Milano, sez. II, sent. 2.4.2019 n. 735, la perequazione “ha la finalità di eliminare le diseguaglianze che la pianificazione tradizionale produce fra proprietari di aree aventi caratteristiche simili. Tali diseguaglianze si creano in quanto, come noto, nell’ambito della pianificazione, accanto alle aree destinate ad ospitare la “città privata”, e cioè quella parte dell’edificato di pertinenza privata destinata ad ospitare edifici funzionali al soddisfacimento degli interessi della proprietà, si colloca la c.d. “città pubblica” cui vanno ascritte le aree destinate ad ospitare servizi pubblici. Queste ultime, nel modello di pianificazione tradizionale, sono private di ogni capacità edificatoria ed hanno, quindi, un valore di mercato molto basso se non nullo (a differenza delle aree che appartengono invece alla città privata le quali, proprio perché dotate di capacità edificatoria, hanno in genere valori di mercato molto alti). Al fine di ovviare a tale sperequazione, i Comuni italiani, in sede di pianificazione, adottano diverse soluzioni, perlopiù basate sull’attribuzione di un indice di edificabilità virtuale alle aree destinate alla città pubblica, non utilizzabile su tali aree ma trasferibile sui suoli suscettibili di sfruttamento edificatorio. Si assicura, in tal modo, la valorizzazione delle aree della città pubblica, atteso che esse assumono in tal modo un valore commerciabile generato appunto dal valore dei diritti edificatori che esse esprimono”.

Sul rapporto tra perequazione e vincoli di inedificabilità si segnala anche altra pronuncia del Consiglio di Stato, secondo cui va esclusa, la illegittimità delle norme tecniche di attuazione del P.R.G. di Padova, atteso che “il privato continua a godere della capacità edificatoria dell’area di sua proprietà subendo solo un mutamento del luogo in cui tale capacità potrà trasformarsi in concreta edificazione” (Cons. Stato, IV, 22 gennaio 2010, n. 216).

Tale arresto giurisprudenziale consente di ritenere che le previsioni perequative escludono i vincoli di inedificabilità ancorché contemplino una edificabilità fuori sito. Si deve quindi concludere, secondo l’orientamento giurisprudenziale che ormai si delinea con nettezza, che il riconoscimento di edificabilità in sede perequativa esclude la ricorrenza del vincolo di inedificabilità e quindi l’applicabilità del relativo regime di tutela.

L’istituto della c.d. “compensazione” trova invece collocazione anche nel momento attuativo della pianificazione urbanistica e non necessariamente sin dallo strumento generale(in tal senso la pronuncia del TAR Campania, Napoli, sez. VIII, 10 maggio 2019, n. 2512).

Di perequazione parla invece espressamente il Consiglio di Stato (Sez. IV, 16 ottobre 2006, n. 6171), laddove avverte che “la reiterazione dei vincoli di espropriazione non può prescindere dalla presenza di una congrua e specifica motivazione sulla perdurante attualità della previsione, comparata con gli interessi privati, motivazione conseguente allo svolgimento delle indagini necessarie per accertare i presupposti; la motivazione, in tale ipotesi, quale eccezione alla generale regola che non impone l'obbligo di motivazione per gli atti a carattere generale, va ancorata ad una serie di parametri obiettivi, dovendo essere evidenziate, oltre alla persistenza dell'interesse pubblico e alla sua attualità, le specifiche ragioni del ritardo che hanno determinato la decadenza del vincolo, la mancanza di possibili soluzioni alternative o di perequazione fra i proprietari espropriabili e, dunque, la ineluttabilità della scelta dell'area già vincolata, la serietà e affidabilità della realizzazione nei termini previsti delle opere di cui trattasi, con la precisazione delle iniziative mediante le quali il procedimento ablativo verrà portato a compimento ed, infine, la ragionevole dimostrazione, sulla scorta della situazione dei luoghi, che la rinnovazione del vincolo sulla stessa area è necessaria per realizzare l'opera o l'intervento pubblico”.

Occorre rimarcare che la pianificazione urbanistica, nel perseguire l’ordinato assetto complessivo del territorio, coinvolge una pluralità di interessi, rispetto ai quali la disciplina di settore non pone alcuna gradazione né fissa criteri selettivi e che, pertanto, alla stregua di un radicato indirizzo giurisprudenziale, le scelte effettuate dall’amministrazione nell’adozione dello strumento urbanistico costituiscono apprezzamento di merito, connotato da ampia discrezionalità e, quindi, sottratto al sindacato di legittimità, salvo che non siano inficiate da errori di fatto o da abnormi illogicità, risultino incoerenti con l’impostazione di fondo dell’intervento pianificatorio o siano apertamente incompatibili con le caratteristiche oggettive del territorio (cfr., ex multis, Cons. Stato, sez. IV, 21 maggio 2007, n. 2571; 11 ottobre 2007, n. 5357; 27 dicembre 2007, n. 6686; sez. IV, 16 febbraio 2011, n. 1015) .

E’ scontato che “in materia di scelte pianificatorie non sussistono zone perfettamente identiche, avendo ognuna proprie caratteristiche territoriali, a pena di azzerare completamente la discrezionalità di scelta, anche innovativa limitatamente a singole porzioni del territorio, facente capo al Comune procedente”(cfr. Cons. Stato Sez. II, 28 febbraio 2020, n. 1461; id. 24 luglio 2020, n. 4750, Consiglio di Stato, sez. II, sent. 29.10.20 n. 6628) .

Ed invero, “Risponde ad esigenze operative la circostanza che gli atti a carattere generale, tra i quali rientra il piano urbanistico comunale, non necessitano di specifiche motivazioni; né vi è la necessità di alcuna puntuale motivazione in ordine alle ragioni che determinano l'ente a modificare col piano urbanistico l'originaria destinazione urbanistica di un'area, quando ciò risponda alla realizzazione degli obiettivi e delle scelte di fondo del nuovo strumento urbanistico” (T. A. R. Campania – Salerno, Sez. I, 5.05.2009, n. 1781).

Del tutto pertinente si rivela quanto affermato dal Consiglio di Stato: “In capo ai privati coinvolti nelle previsioni di piano non è comunque configurabile un’aspettativa qualificata ad una destinazione edificatoria in relazione ad una precedente determinazione dell’amministrazione, ma soltanto un’aspettativa generica al mantenimento della destinazione urbanistica "gradita" ovvero ad una "reformatio in melius", analoga a quella di ogni altro proprietario di aree, che aspiri ad una utilizzazione comunque proficua dell’immobile; onde non può essere invocata la cd. polverizzazione della motivazione, la quale si porrebbe in contrasto con la natura generale dell’atto, che – come tale – non richiede altra motivazione rispetto a quella automaticamente esplicitata dai criteri di ordine tecnico osservati per la redazione dello stesso” (Consiglio di Stato, Sez. IV, 12.05.2010, n. 2843).

D’altro canto, quanto alle ipotetiche “diseguaglianze” (sempre più spesso oggetto di impugnazioni dinanzi ai Tribunali Amministrativi) si osserva che non è possibile ravvisare il vizio di disparità di trattamento, “atteso che per quanto riguarda le scelte pianificatorie, l’ambito di valutazione è molto ampio. In materia urbanistica non è infatti ipotizzabile una disparità di trattamento, fra proprietari di fondi diversi, in quanto ciascun fondo è necessariamente differenziato dagli altri e quindi è soggetto ad autonoma valutazione (cfr. in tal senso, T.A.R. Veneto, Sez. I,10 aprile 2008, n. 944). La giurisprudenza, inoltre, afferma costantemente che la valutazione dell’idoneità delle aree a soddisfare, con riferimento alle possibili destinazioni, specifici interessi urbanistici, costituisce esercizio di potere di scelta, rispetto al quale non è ipotizzabile quell’identità di posizioni soggettive ed oggettive che costituisce il presupposto indispensabile per poter configurare, tra i vari soggetti interessati, il vizio di eccesso di potere per disparità di trattamento” (Cons. Stato, Sez. IV, n. 5721.2001; T.A.R. Piemonte, Sez. I, n. 1602.2003; T.A.R. Lombardia, Milano, Sez. I, n. 422.2002).

Antonio Verderosa