Lo stato legittimo dell’immobile secondo l’art. 9 bis del T.U.E.
di Antonio VERDEROSA
Il concetto di “stato legittimo” del fabbricato, già utilizzato nella prassi degli uffici tecnici comunali per il rilascio delle autorizzazioni per la modifica di edifici esistenti, è stato introdotto formalmente nel Testo Unico sull’Edilizia dal Decreto Semplificazioni(art. 9-bis del d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, introdotto dal decreto legge 16 luglio 2020, n. 76, convertito dalla legge 11 settembre 2020, n. 120). Ai sensi di legge, lo stato legittimo dell'immobile o dell’unità immobiliare è quello stabilito dal titolo abilitativo che ne ha autorizzato la costruzione e dal titolo che ha disciplinato l'ultimo intervento edilizio sull'intero immobile o sull’intera unità immobiliare, integrati con gli eventuali titoli successivi che hanno autorizzato interventi parziali. Ai sensi dell’art. 9 bis, comma 1 bis, del d.p.r. n. 380/2001, lo « stato legittimo dell’immobile» è quello riveniente dal «titolo abilitativo che ne ha previsto la costruzione o che ne ha legittimato la stessa» ovvero, se a questo siano susseguiti ulteriori titoli abilitativi, è quello riveniente dal titolo «che ha disciplinato l'ultimo intervento edilizio che ha interessato l'intero immobile o unità immobiliare, integrati con gli eventuali titoli successivi che hanno abilitato interventi parziali».
Con l’innovazione introdotta dall'art. 10, comma 1, lett. d, n. 2, del d.l. n.76/2020(c.d. decreto semplificazioni), conv. in l. n. 120/2020, il legislatore ha inteso semplicemente chiarire che lo «stato legittimo dell’immobile» è quello corrispondente ai contenuti del sottesi titoli abilitativi, relativi non solo alla sua originaria edificazione, ma anche alle sue successive vicende trasformative. Non altro; perché se altro il legislatore avesse inteso stabilire, e cioè se avesse ricollegato portata totalmente abilitante al titolo «che ha disciplinato l’ultimo intervento edilizio che ha interessato l'intero immobile o unità immobiliare», a prescindere dalla relativa portata, avrebbe surrettiziamente introdotto una sorta di sanatoria implicita per tutti i manufatti assistiti di titolo abilitativo, seppure non sufficientemente (e interamente) legittimante.
Il Consiglio di Stato ha con pronuncia del 01/09/2022, n. 7621 ha risolto la questione applicando l’art. 9-bis, D.P.R. 380/2001, comma 1- bis secondo il quale:
a) lo stato legittimo dell'immobile o dell'unità immobiliare è quello stabilito dal titolo abilitativo che ne ha previsto la costruzione o che ne ha legittimato la stessa e da quello che ha disciplinato l'ultimo intervento edilizio che ha interessato l'intero immobile o unità immobiliare, integrati con gli eventuali titoli successivi che hanno abilitato interventi parziali;
b) per gli immobili realizzati in un'epoca nella quale non era obbligatorio acquisire il titolo abilitativo edilizio, lo stato legittimo è quello desumibile dalle informazioni catastali di primo impianto, o da altri documenti probanti, quali le riprese fotografiche, gli estratti cartografici, i documenti d'archivio, o altro atto, pubblico o privato, di cui sia dimostrata la provenienza, e dal titolo abilitativo che ha disciplinato l'ultimo intervento edilizio che ha interessato l'intero immobile o unità immobiliare, integrati con gli eventuali titoli successivi che hanno abilitato interventi parziali.
Sul tema si segnala anche una pronuncia del TAR (vedi TAR Campania-Salerno 31/05/2021, n. 1358 ) secondo la quale ai fini dello stato legittimo è necessario ricostruire puntualmente tutte le vicende trasformative dell’immobile in relazione ad ogni singolo intervento. Ciò in considerazione del fatto che attribuire una portata totalmente abilitante ad un titolo abilitativo a prescindere dal relativo oggetto, condurrebbe ad una sorta di inammissibile sanatoria implicita per tutti i manufatti assistiti da (qualsivoglia) autorizzazione, seppure non riferibile alla loro integrale consistenza e conformazione.
Ne discende che non è consentito provare la legittimità dell’immobile solamente mediante quanto rappresentato in un titolo edilizio, ma è necessario ricostruire l’intera serie degli atti autorizzativi relativi a tutti i singoli interventi. Né tantomeno si può attribuire efficacia “sanante” di precedenti abusi al fatto che una pratica edilizia contenga elaborati grafici ove sia rappresentato il fabbricato con irregolarità pregresse relative ad interventi non precedentemente assentiti . Il problema del significato e dell’estensione dell’accertamento dello “stato legittimo”è stato esaminato di recente dalla Corte costituzionale (Corte cost. n. 217 del 2022) che, chiamata a pronunciarsi dalla Presidenza del Consiglio dei ministri sulla legittimità costituzionale dell’art. 7 della legge della Regione Veneto 30 giugno 2021, n. 19 (Semplificazioni in materia urbanistica ed edilizia per il rilancio del settore delle costruzioni e la promozione della rigenerazione urbana e del contenimento del consumo di suolo – “Veneto cantiere veloce”)– che ha introdotto l’art. 93- bis nella legge della Regione Veneto 27 giugno 1985, n. 61 (Norme per l’assetto e l’uso del territorio) prevedendo, rispetto a due distinte fattispecie, altrettante definizioni del concetto di stato legittimo degli immobili a fini edilizio-urbanistici - ha riconosciuto fondata la questione propostale, prospettata in riferimento all’art. 117, terzo comma, Cost., relativamente all’art. 9 bis, comma 1bis, t.u. edilizia.
Nella suddetta pronuncia la Corte ha sottolineato che << 5.– La disposizione regionale impugnata afferisce all’urbanistica e all’edilizia e, pertanto, si ascrive – secondo la giurisprudenza di questa Corte – alla materia di legislazione concorrente “governo del territorio”, di cui all’art. 117, terzo comma, Cost. (ex plurimis, sentenze n. 245, n. 124, n. 77, n. 64 e n. 2 del 2021, n. 70 del 2020, n. 290, n. 264, n. 175 e n. 2 del 2019, n. 68 del 2018, n. 232, n. 107, n. 84 e n. 73 del 2017, n. 233 del 2015, n. 272 del 2013, n. 303 del 2003). Relativamente a tale ambito, deve certamente condividersi l’assunto del ricorso, che ravvisa un principio fondamentale della materia nell’art. 9-bis, comma 1-bis, t.u. edilizia, introdotto dall’art. 10, comma 1, lettera d), numero 1), del decreto-legge 16 luglio 2020, n. 76 (Misure urgenti per la semplificazione e l’innovazione digitale), convertito, con modificazioni, nella legge 11 settembre 2020, n. 120…>>. Esaminando la disciplina dettata in tale articolo, la Corte, nella decisione citata, ha, in particolare, evidenziato che << 5.2.– La previsione statale individua, dunque, in termini generali, la documentazione idonea ad attestare lo “stato legittimo dell’immobile”, definendo i tratti di un paradigma le cui funzioni – comprovate anche dai lavori preparatori – sono quelle di semplificare l’azione amministrativa nel settore edilizio, di agevolare i controlli pubblici sulla regolarità dell’attività edilizio-urbanistica e di assicurare la certezza nella circolazione dei diritti su beni immobili>> precisando che <<Il contenuto prescrittivo di ampio respiro e le finalità generali perseguite dalla norma depongono a favore della sua qualifica in termini di principio fondamentale della materia, ciò che trova conferma nella sua stessa collocazione topografica nell’ambito delle “Disposizioni generali” del Titolo II della Parte I t.u. edilizia, dedicato ai “Titoli abilitativi”…>>.
Tanto premesso, seguendo il ragionamento sviluppato dalla Corte costituzionale nella citata sentenza, non può dubitarsi che i criteri di determinazione dello stato legittimo dell’immobile rappresentino un principio fondamentale della materia,“che richiede una disciplina uniforme sull’intero territorio nazionale”enon ammette modifiche o integrazioni né da parte di previsioni regionali difformi, né, deve concludersi, da parte di disposizioni relative ad ambiti ed interessi diversi a quello urbanistico-edilizio, sia pure eventualmente connessi ad esso come quello paesaggistico.
Anche per la giurisprudenza del Consiglio di Stato (sez. II, 13 febbraio 2023 n.1489; sez. IV, 19 maggio 2020 n. 3170) in sede di rilascio dell’autorizzazione paesaggistica si deve tener conto dei soli profili paesaggistici ed ambientali non potendo (più) verificarsi in quella sede anche il cd. “stato legittimo” dell’immobile.
Tale soluzione ermeneutica, oltre ad essere coerente con il preciso dettato dell’art. 9 bis del t.u. edilizia, rappresenta il risultato del puntuale raffronto tra:
a) il nuovo “Regolamento recante individuazione degli interventi esclusi dall’autorizzazione paesaggistica o sottoposti a procedura autorizzatoria semplificata” (d.P.R. 13 febbraio 2017 n. 31) che all’art. 8 – Semplificazione documentale - prescrive che nella relazione paesaggistica semplificata debbano essere indicati soltanto <<i contenuti precettivi della disciplina paesaggistica vigente nell’area,… lo stato attuale dell’area interessata dall’intervento, … la conformità del progetto alle specifiche prescrizioni d’uso dei beni paesaggistici, se esistenti, …la compatibilità del progetto stesso con i valori paesaggistici che qualificano il contesto di riferimento e … le eventuali misure di inserimento paesaggistico previste>>;
b)il precedente “Regolamento recante procedimento semplificato di autorizzazione paesaggistica per gli interventi di lieve entità a norma dell’art. 146 comma 9 del decreto legislativo 22 gennaio 2004 n. 42” (d.P.R. 9 luglio 2010 n. 139) che, all’art. 2, sempre in tema di “ Semplificazione documentale”, richiedeva che nella medesima relazione il tecnico abilitato attestasse << altresì la conformità del progetto alla disciplina urbanistica ed edilizia>>.
Da tale modifica normativa deriva la necessità, come detto, per l’autorità procedente (titolare della cura degli interessi paesaggistici, in questo caso il Comune) , di valutare specificamente in sede di rilascio dell’autorizzazione paesaggistica l’incidenza dell’intervento progettato dal richiedente sul paesaggio in senso lato, e non gli aspetti attinenti alla regolarità urbanistica ed edilizia dell’opera, stante l’autonomia strutturale e funzionale del titolo paesaggistico rispetto a quelli implicanti l’accertamento della legittimità urbanistico-edilizia del medesimo progetto (cfr. fra le tante Cons. Stato, sez. IV, 13 aprile 2016 n. 1436; 21 agosto 2013 n. 4234; 27 novembre 2010 n. 8260 e sez. VI, 3 maggio 2022 n. 3446). La medesima autonomia dei profili paesaggistici dagli aspetti urbanistico-edilizi si riscontra nel “diritto vivente” della giurisprudenza costituzionale e penale (della Cassazione), secondo il quale i reati in materia edilizia e paesaggistica si riferiscono alla tutela di interessi pubblici e beni giuridici distinti, con tutte le conseguenze in tema di concorso dei reati, cause di estinzione dei reato, e via discorrendo (cfr. Corte cost. n. 439 del 2007, n. 378 del 2007, n. 144 del 2007, Cass. pen., sez. III, 22 marzo 2013, n. 13783; sez. un., 28 novembre 2001, Salvini , sez. V, 7 settembre 1999, Savia; sez. III, 4 aprile 1995 , Marano).
Una interpretazione contraria, che ammetta una commistione tra i diversi profili e una “confusione” dei poteri, <<si pone in contrasto con il principio di legalità che innerva l'azione amministrativa, perché amplia praeter legem (o contra legem) quello che è l'ambito di competenza dell'amministrazione procedente, in quanto la obbligherebbe a considerare e a pronunciarsi su profili non rimessi, dal legislatore, alla sua cura e al suo apprezzamento>> ,frustrando <<anche ulteriori principi dell'attività amministrativa, quali quelli di non aggravamento del procedimento e di certezza dell'azione amministrativa>> (Cons. Stato sez. IV n. 3170 del 2020 cit.). L’onere della prova in ordine a pregressi titoli abilitativi può essere soddisfatto, in via indiziaria, qualora sussistano principi di prova circa la loro esistenza.
La circostanza che non sia rinvenuto agli atti del Comune il titolo edilizio originario è circostanza che non può tradursi in un ostacolo per il rilascio del titolo richiesto quando l’onere della prova in ordine alla sussistenza di pregressi titoli abilitativi risulti soddisfatto, in via indiziaria, dalla documentazione prodotta dall'istante, quale e la presentazione della richiesta e il rilascio del parere favorevole degli uffici.
La disposizione di chiusura del comma 1-bis dell’articolo 9-bis prevede infatti che le disposizioni di cui al secondo periodo si applicano altresì nei casi in cui sussista un principio di prova del titolo abilitativo del quale, tuttavia, non sia disponibile copia.
La modifica legislativa, nell’ultimo periodo, ha avuto proprio lo scopo di dare soluzione ai casi come quello in esame in cui il titolo edilizio non sia disponibile e tuttavia sussistano principi di prova circa la sua esistenza. Posto che ogni operazione edilizia sul patrimonio esistente presuppone da un lato l’attestazione dello stato legittimo delle opere, da documentarsi, ai sensi dell’articolo 9-bis, da parte di chi intende operare trasformazioni o interventi edilizi sul patrimonio esistente, e dall’altro il corrispondente riscontro di tali attestazioni da parte dell’Ufficio, ne deriva che le operazioni di custodia e di eventuale discarico di atti e documenti tecnici o edilizi o urbanistici d’epoca, da parte degli uffici competenti e dell’Archivio Storico, dovrebbero essere (o risultare già) improntate funzionalmente a consentire l’accessibilità o la reperibilità (anche) dei documenti edilizi risalenti negli anni. Se determinati documenti, legittimamente richiesti dal privato, non risultino esistenti negli archivi dell’Amministrazione che li dovrebbe detenere per ragioni di servizio, quest’ultima è tenuta a certificarlo, così da attestarne l’inesistenza e fornire adeguata certezza al richiedente per quanto necessario a consentirgli di determinarsi sulla base di un quadro giuridico e provvedimentale completo ed esaustivo. Fermo che la regola generale ad impossibilia nemo tenetur non può che riguardare, per evidenti motivi di buon senso e ragionevolezza, i documenti esistenti e non anche quelli distrutti o comunque irreperibili, sta di fatto che non è tuttavia sufficiente -al fine di dimostrare l’oggettiva impossibilità di consentire il diritto di accesso e quindi di sottrarsi agli obblighi tipicamente incombenti sull’amministrazione in base alla normativa primaria in tema di accesso - la mera e indimostrata affermazione in ordine all’indisponibilità degli atti quale mera conseguenza del tempo trascorso e delle modifiche organizzative medio tempore succedutesi, in quanto spetta all’Amministrazione destinataria dell’istanza di accesso fornire l’indicazione, sotto la propria responsabilità, attestante la inesistenza o indisponibilità degli atti che non è in grado di esibire, con l’obbligo di dare dettagliato conto delle ragioni concrete di tale impossibilità, senza che sia sufficiente al riguardo una mera affermazione della loro inesistenza negli scritti difensivi (T.A.R., Milano, sez. III, 11/10/2019, n. 2131) .
In assenza del progetto di un preesistente fabbricato su cui intervenire, non è in discussione che si possa utilizzare la documentazione fotografica reperita per dimostrare quali fossero le caratteristiche tipologiche, degli elementi costruttivi, delle dimensioni planivolumetriche e della destinazione d’uso del fabbricato da ricostruire, così come non è in discussione l'apprezzamento degli elementi in questione sia in capo alle Amministrazioni.
D’altro canto, l’articolo 9-bis, comma 1-bis, del TU edilizia, come modificato dal D.L. 16 luglio 2020, n. 76, convertito, con modificazioni, dalla Legge 11 settembre 2020, n. 120, prevede: “1-bis. …… Per gli immobili realizzati in un'epoca nella quale non era obbligatorio acquisire il titolo abilitativo edilizio, lo stato legittimo è quello desumibile dalle informazioni catastali di primo impianto, o da altri documenti probanti, quali le riprese fotografiche, gli estratti cartografici, i documenti d'archivio, o altro atto, pubblico o privato, di cui sia dimostrata la provenienza, e dal titolo abilitativo che ha disciplinato l'ultimo intervento edilizio che ha interessato l'intero immobile o unità immobiliare, integrati con gli eventuali titoli successivi che hanno abilitato interventi parziali. Le disposizioni di cui al secondo periodo si applicano altresì nei casi in cui sussista un principio di prova del titolo abilitativo del quale, tuttavia, non sia disponibile copia” . La modifica legislativa, nell’ultimo periodo, ha avuto proprio lo scopo di dare soluzione ai casi in cui il titolo edilizio non sia disponibile e tuttavia sussistano principi di prova circa la sua esistenza.
L'articolo 9-bis non specifica infatti, relativamente agli immobili realizzati in un’epoca nella quale non era obbligatorio acquisire il titolo abilitativo edilizio, quando possa ritenersi assolto l’onere della prova relativo alla dimostrazione dello stato legittimo del fabbricato, che grava sul soggetto che chiede il titolo edilizio per eseguire un intervento di ricostruzione. Infondato è l'assunto secondo cui non sarebbe ammissibile la ristrutturazione di un immobile condonato in ragione del fatto che su un fabbricato condonato sarebbero ammissibili solamente interventi conservativi, vale a dire di manutenzione ordinaria e straordinaria.
Tale tesi, seppur seguita in passato da un indirizzo giurisprudenziale, risulta superata dalla più recente elaborazione pretoria, secondo la quale l’immobile, una volta sanato, diventa legittimo a tutti gli effetti e, quindi, ha il medesimo regime giuridico dell’edificio legittimamente assentito, senza limitazioni derivanti dall’applicazione del condono (in tal senso cfr., ex multis, T.A.R. Puglia, Lecce, sez. I, 29 gennaio 2021, n. 144; T.A.R. Umbria, sez. I, 30 marzo 2018, n. 188, concernente un intervento di ristrutturazione mediante demolizione e ricostruzione di un manufatto condonato; T.A.R. Campania, Salerno, sez. II, 11 giugno 2010, n. 8808; T.A.R. Abruzzo, Pescara, sez. I, 19 febbraio 2009, n. 109).
L'art. 9-bis, ai sensi del quale “Lo stato legittimo dell’immobile o dell’unità immobiliare è quello stabilito dal titolo abilitativo che ne ha previsto la costruzione o che ne ha legittimato la stessa”, codifica definitivamente questo secondo orientamento, così T.A.R. Liguria, Sez. I, 22 aprile 2021 n. 361.