Cass. Sez. III n. 31395 del 10 luglio 2018 (Ud 11 mag 2018)
Presidente: Di Nicola Estensore: Ramacci Imputato: Gagliano
Rifiuti.Particolare tenuità del fatto
La necessità di una prova positiva circa la sussistenza della non abitualità del comportamento porta ad escludere che possa assumere rilevanza, ai fini dell’applicabilità della causa di non punibilità di cui all’art. 131-bis cod. pen., la mera assenza di dati da prendere in considerazione a tal fine.
RITENUTO IN FATTO
1. Il Tribunale di Asti, con sentenza del 25/9/2017 ha assolto Gianluca GAGLIANO dal reato di cui all’art. 256, comma 1, d.lgs. 152\06, concretatosi nell’attività di smaltimento di rifiuti urbani e speciali senza autorizzazione, effettuata mediante abbruciamento di sacchi precedentemente contenenti cemento e di contenitori in latta e cartone prodotti nel corso di attività edile (fatto accertato in Roatto, il 15/7/2013), per essere il fatto non punibile per particolare tenuità.
Avverso tale pronuncia propone ricorso immediato per cassazione il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Asti, deducendo i motivi di seguito enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione, ai sensi dell'art. 173 disp. att. cod. proc. pen.
2. Con un unico motivo di ricorso deduce la violazione dell’art. 131-bis cod. pen., osservando che il Tribunale avrebbe ritenuto integrato il requisito della “non abitualità” della condotta sulla base della mera assenza di elementi indicativi di un comportamento abituale e ritenendo il fatto come consistente in una condotta singola e non reiterata, mentre la lettera della norma richiederebbe la prova positiva della non abitualità.
Come indicato nella contestazione, si tratterebbe, inoltre, di “attività” di smaltimento, che, in quanto tale, presuppone una condotta ripetuta e cui la sussistenza sarebbe stata peraltro dimostrata al Tribunale dalle spontanee dichiarazioni rese dall’imputato alla polizia giudiziaria, pienamente utilizzabili in ragione dell’acquisizione al fascicolo del dibattimento di tutti gli atti di indagine su accordo delle parti.
Aggiunge che la decisione impugnata si porrebbe in contrasto con il dettato dell’art. 131-bis cod. pen. anche nella parte in cui prende apoditticamente in considerazione l’assenza di pregiudizio per l’integrità dell’ambiente e valorizza il comportamento successivo alla commissione del reato.
Insiste, pertanto, per l’accoglimento del ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è fondato nei termini di seguito specificati.
2. Si è avuto modo di specificare (Sez. 3, n. 48318 del 11/10/2016, P.M. in proc. Halilovic, Rv. 268566) che l’applicabilità della causa di non punibilità prevista dall’art.131-bis cod. pen. all’esito del giudizio penale è espressamente ammessa dalla legge, come si ricava dal contenuto d.lgs. 16 marzo 2015, n. 28, il quale, pur non stabilendo specifiche procedure, ha comunque disposto, con l’art. 3, comma 1, lett. b), l’introduzione, nel codice di rito, dell’art. 651-bis, il quale riconosce l’efficacia della sentenza di proscioglimento per particolare tenuità del fatto nel giudizio civile o amministrativo di danno, richiamando espressamente “la sentenza penale irrevocabile di proscioglimento pronunciata per particolare tenuità del fatto in seguito a dibattimento”.
Si è ulteriormente ricordato che, per l’applicazione dell’istituto, si richiede al giudice di rilevare se, sulla base dei due «indici-requisiti» della modalità della condotta e dell'esiguità del danno e del pericolo, valutati secondo i criteri direttivi di cui al primo comma dell'articolo 133 cod. pen., sussista l'«indice-criterio» della particolare tenuità dell'offesa e, con questo, coesista quello della non abitualità del comportamento. Solo in questo caso si potrà considerare il fatto di particolare tenuità ed escluderne, conseguentemente, la punibilità.
Nella già richiamata pronuncia si osservava anche come, con specifico riferimento all’indice-criterio della non abitualità della condotta, questa Corte (Sez. 3, n. 29897 del 28/5/2015, Gau, Rv. 264034) avesse già avuto modo di formulare alcune precisazioni che pare opportuno richiamare testualmente anche nella presente occasione
Si è osservato, in particolare, che secondo la relazione illustrativa del d.lgs. 28/2015, il ricorso all'espressione «non abitualità del comportamento» per definire tale indice-criterio è il risultato della scrupolosa osservanza della legge delega da parte del legislatore delegato e si pone su un piano diverso rispetto alla «occasionalità» utilizzata dal d.P.R. 448/1988 e dal d.lgs. 274/2000, cosicché, pur lasciando all'interprete il compito di meglio delinearne i contenuti, si è ipotizzato che esso faccia sì «che la presenza di un precedente giudiziario non sia di per sé sola ostativa al riconoscimento della particolare tenuità del fatto, in presenza ovviamente degli altri presupposti».
Il riferimento al «comportamento», che deve risultare «non abituale», va poi posto in relazione con quanto indicato nel terzo comma dell'art..131-bis cod. pen., il quale prende in considerazione alcune situazioni, che indica, premettendo l'espressione «il comportamento è abituale nel caso in cui....».
Sempre secondo la relazione, tale comma, aggiunto su sollecitazione espressa nel parere della Commissione giustizia della Camera dei deputati, descriverebbe soltanto alcune ipotesi in cui il comportamento non può essere considerato non abituale, ampliando quindi il concetto di «abitualità», entro il quale potranno collocarsi altre condotte ostative alla declaratoria di non punibilità.
In effetti, nel parere della Commissione giustizia risulta chiaro l'intento di prevedere una sorta di «presunzione di non abitualità» laddove, escludendo un contrasto con la legge delega, si auspica l'inserimento di una disposizione la quale specifichi «che il comportamento è considerato non abituale nel caso in cui...» e, successivamente, nell'esprimere parere favorevole, si indica nelle condizioni il testo del comma da inserire, il quale inizia con la frase «il comportamento risulta abituale nel caso in cui....».
Sempre con riferimento al terzo comma dell'art. 131-bis, va posto in evidenza che esso, per come è strutturato, sembra fare riferimento a tre distinte situazioni («il comportamento è abituale nel caso in cui [...] ovvero […] nonché [...]»).
Inoltre, il riferimento all'ipotesi del soggetto che sia stato dichiarato delinquente abituale, professionale o per tendenza, come chiaramente emerge dal tenore letterale della disposizione, si riferisce a condizioni specifiche di pericolosità criminale che presuppongono un accertamento da parte del giudice (come, del resto, in caso di recidiva - reiterata o specifica – anch'essa ostativa, diversamente da quella semplice, presupponendo la commissione di più reati o di altro reato della stessa indole), mentre altrettanto non può dirsi per ciò che concerne le ulteriori ipotesi, riferite al soggetto che abbia «commesso più reati della stessa indole, anche se ciascun fatto, isolatamente considerato, sia di particolare tenuità, nonché nel caso in cui si tratti di reati che abbiano ad oggetto condotte plurime, abituali e reiterate».
In tali ipotesi, infatti, non vi è, nel testo, alcun indizio che consenta di ritenere - considerati i termini utilizzati - che l'indicazione di abitualità presupponga un pregresso accertamento in sede giudiziaria ed, anzi, sembra proprio che possa pervenirsi alla soluzione diametralmente opposta, con la conseguenza che possono essere oggetto di valutazione anche condotte prese in considerazione nell'ambito del medesimo procedimento, il che amplia ulteriormente il numero di casi in cui il comportamento può ritenersi abituale, considerata anche la ridondanza dell'ulteriore richiamo alle «condotte plurime, abituali e reiterate».
3. Sulla base di tali argomentazioni si è, conseguentemente, considerato operante lo sbarramento del terzo comma dell’art. 131-bis cod. pen. anche nel caso di reati avvinti dal vincolo della continuazione ( Sez. 3, n. 43816 del 1/7/2015, Amodeo, Rv. 265084; Sez. 5, n. 4852 del 14/11/2016 - dep. 2017, De Marco, Rv. 269092; Sez. 2, n. 1 del 15/11/2016 - dep. 2017, Cattaneo, Rv. 268970; Sez. 2, n. 28341 del 5/4/2017, Modou, Rv. 271001; Sez. 5, n. 48352 del 15/5/2017, P.G. in proc. Mogoreanu, Rv. 271271; Sez. 1, n. 55450 del 24/10/2017, Greco, Rv. 271904. In senso difforme dal prevalente orientamento, v. Sez. 2, n. 19932 del 29/3/2017, Di Bello, Rv. 270320, che esclude ogni automatismo rispetto alla non applicabilità dell’istituto in presenza di un reato continuato, nonché Sez. 5, n. 35590 del 31/5/2017, P.G. in proc. Battizocco, Rv. 270998, riferita a fattispecie relativa ad azioni commesse nelle medesime circostanze di tempo e di luogo); in tema di reati permanenti, finché la permanenza non sia cessata (Sez. 3, n. 30383 del 30/3/2016, Mazzoccoli e altro, Rv. 267589; Sez. 3, n. 50215 del 8/10/2015, Sarli, Rv. 265435); di reati abituali (Sez. 2, n. 23020 del 10/5/2016, P, Rv. 267040; Sez. 3, n. 48318 del 11/10/2016, P.M. in proc. Halilovic, Rv. 268566, cit.; Sez. 3, n. 48315 del 11/10/2016, Quaranta, Rv. 268498; Sez. 7, n. 13379 del 12/1/2017, Boetti, Rv. 269406; Sez. 6, n. 6664 del 25/1/2017, Ferretti, Rv. 269543; Sez. 3, n. 30134 del 5/4/2017, Dentice, Rv. 270255; Sez. 3, n. 38849 del 5/4/2017, Alonzo, Rv. 271397).
4. Così richiamati i precedenti arresti giurisprudenziali sul tema della abitualità del comportamento rilevante ai fini dell’applicabilità dell’art. 131-bis cod. pen., che il Collegio condivide, occorre rilevare come colga nel segno il rilievo prospettato dal Pubblico Ministero ricorrente laddove evidenzia, sulla base della lettera della legge, che la effettiva sussistenza di tale «indice-criterio» risulti effettivamente dimostrata.
Invero, l’art. 131-bis cod. pen. stabilisce testualmente, al primo comma, che “nei reati per i quali è prevista la pena detentiva non superiore nel massimo a cinque anni, ovvero la pena pecuniaria, sola o congiunta alla predetta pena, la punibilità è esclusa quando, per le modalità della condotta e per l'esiguità del danno o del pericolo, valutate ai sensi dell'articolo 133, primo comma, l'offesa è di particolare tenuità e il comportamento risulta non abituale”.
La terminologia utilizzata dal legislatore non sembra prestarsi a differenti letture, risultando di tutta evidenza che l’applicazione della causa di non punibilità in esame presuppone un apprezzamento, da parte del giudice, della concreta sussistenza dei due “indici-criteri” che esclude, quindi, ogni considerazione meramente ipotetica o, comunque, non fondata su specifici elementi obiettivamente valutabili.
5. A maggior ragione, deve affermarsi come la necessità di una prova positiva circa la sussistenza della non abitualità del comportamento porti ad escludere che possa assumere rilevanza, ai fini dell’applicabilità della causa di non punibilità di cui all’art. 131-bis cod. pen., la mera assenza di dati da prendere in considerazione a tal fine.
6. Dovendo infatti il comportamento risultare non abituale, è evidente che una simile evenienza debba essere effettivamente esistente ed oggettivamente apprezzabile, così come la particolare tenuità dell’offesa.
Al giudice del merito, come già si è avuto modo di osservare, si richiede di rilevare se, sulla base dei due «indici-requisiti» della modalità della condotta e dell'esiguità del danno e del pericolo, valutati secondo i criteri direttivi di cui al primo comma dell'articolo 133 cod. pen., sussista l'«indice-criterio» della particolare tenuità dell'offesa e, con questo, coesista quello della non abitualità del comportamento, poiché solo in questo caso si potrà considerare il fatto di particolare tenuità ed escluderne, conseguentemente, la punibilità.
Si tratta, come affermato dalle Sezioni Unite di questa Corte (Sez. U, n. 13681 del 25/2/2016, Tushaj, Rv. 266590), di una valutazione complessa che richiede una equilibrata considerazione di tutte le peculiarità della fattispecie concreta e non solo di quelle che attengono all'entità dell'aggressione del bene giuridico protetto.
7. Nel caso sottoposto all’attenzione del Tribunale, dunque, tale necessaria valutazione complessiva è mancata o, comunque, è stata effettuata in contrasto con la lettera della legge come sopra interpretata, dal momento che la non abitualità del comportamento è stata ritenuta sulla base dell’assenza di elementi da cui desumerla, rilevando che il fatto oggetto di contestazione consisterebbe in “condotte singole e non reiterate”.
Anche tale ultima osservazione, come osservato in ricorso, risulta meritevole di censura, perché la contestazione si riferiva ad “attività” di illecito smaltimento e nella stessa motivazione viene dato atto della reiterazione della condotta oggetto di imputazione.
Va a tale proposito ricordato come, riguardo al reato di cui all’art. 256, comma 1, d.lgs. 152\06, si sia chiarito che la condotta in esso sanzionata è riferibile a chiunque svolga, in assenza del prescritto titolo abilitativo, una attività rientrante tra quelle assentibili ai sensi degli articoli 208, 209, 210, 211, 212, 214, 215 e 216 del medesimo decreto, anche di fatto o in modo secondario o consequenziale all'esercizio di una attività primaria diversa, che richieda, per il suo esercizio, uno dei titoli abilitativi indicati e che non sia caratterizzata da assoluta occasionalità (Sez. 3, n. 29992 del 24/6/2014, P.M. in proc. Lazzaro, Rv. 260266).
Si è ulteriormente specificato che, trattandosi, nel caso dell’art. 256, comma 1, d.lgs. 152\06, di reato istantaneo, è sufficiente anche una sola condotta integrante una delle ipotesi alternative previste dalla norma, potendosi tuttavia escludere l’occasionalità della condotta da dati significativi, quali l'ingente quantità di rifiuti, denotanti lo svolgimento di un'attività implicante un "minimum" di organizzazione necessaria alla preliminare raccolta e cernita dei materiali (Sez. 3, n. 8193 del 11/2/2016, P.M. in proc. Revello, Rv. 266305).
Si è poi osservato che oltre agli elementi significativi precedentemente indicati, relativi a fattispecie trasporto di rifiuti, per individuare la natura non occasionale di tale attività vanno considerati, anche alternativamente, altri elementi univocamente sintomatici, quali, ad esempio, la provenienza del rifiuto da una determinata attività imprenditoriale esercitata da colui che effettua o dispone l’abusiva gestione, la eterogeneità dei rifiuti gestiti, la loro quantità, le caratteristiche del rifiuto quando risultino indicative di precedenti attività preliminari, quali prelievo, raggruppamento, cernita, deposito (Sez. 3, n. 36819 del 4/7/2017, Ricevuti, Rv. 270995).
8. Tenuto conto di quanto appena rilevato, appare evidente come non possa ritenersi sufficiente il generico riferimento, contenuto in sentenza, alla circostanza che la contestazione sia riferita a “condotte singole e non reiterate”, dal momento che il richiamo alla “attività” di illecito smaltimento contenuto nell’imputazione e la sua complessiva formulazione non lasciano affatto intendere che trattasi di un singolo episodio (lo stesso giudice, nel richiamare l’imputazione, utilizza il plurale) e la stessa tipologia del reato, così come individuata dalla giurisprudenza di questa Corte, presuppone, peraltro, una valutazione che consenta di discernere tra condotte plurime, condotta singola e condotta assolutamente occasionale, che escluderebbe la sussistenza del reato.
Ciò che maggiormente rileva, nella fattispecie in esame, è tuttavia la presenza, nella motivazione del provvedimento impugnato, di un dato fattuale palesemente contrastante con la precedente affermazione, dandosi atto in sentenza della circostanza che l’imputato aveva spontaneamente riferito al personale di polizia giudiziaria, intervenuto sul luogo dell’illecito smaltimento, di essere solito bruciare nei suoi cantieri i sacchi vuoti del cemento al fine di evitare un accumulo eccessivo rifiuti, senza tuttavia valutarlo ai fini della applicazione della causa di non punibilità.
9. Va peraltro osservato, per completezza, che tale valutazione è resa possibile, come pure rilevato in ricorso, dalla intervenuta acquisizione degli atti di indagine al fascicolo del dibattimento ai sensi dell’art. 555, comma 4, cod. proc. pen. (in tema, Sez. 3 n. 54210 del 18/11/2016, Dubois Scionieri, non massimata).
Invero, come osservato dalla giurisprudenza di questa Corte, gli atti contenuti nel fascicolo del Pubblico Ministero ed acquisiti, sull'accordo delle parti, al fascicolo per il dibattimento, possono essere legittimamente utilizzati ai fini della decisione, non ostandovi neppure i divieti di lettura di cui all'art. 514 cod. proc. pen., salvo che detti atti siano affetti da inutilizzabilità cosiddetta "patologica", come quella derivante da una loro assunzione "contra legem" (così Sez. 6, n. 48949 del 7/10/2016, Guarnieri, Rv. 268213. Conf. Sez. 6, n. 25456 del 4/3/2009, Agosta e altri, Rv. 244589; Sez. 3, n. 35372 del 23/5/2007, Panozzo, Rv. 237412; Sez. 1, n. 8739 del 23/01/2003, Cirillo ed altri, Rv. 223678).
10. Nel caso di specie trattavasi, come risulta dalla sentenza impugnata, di spontanee dichiarazioni rese dall’indagato alla polizia giudiziaria, la cui utilizzabilità, come affermato nella citata sentenza n. 54210\2016, non può ritenersi esclusa neppure dal disposto dell’art. 350, comma 7, cod. proc. pen., ove è stabilito che la polizia giudiziaria può altresì ricevere dichiarazioni spontanee dalla persona nei cui confronti vengono svolte le indagini, ma di esse non e' consentita la utilizzazione nel dibattimento, dal momento che “tale divieto altro non è che l'espressione del più generale principio dell'assunzione diretta dei mezzi di prova per il giudizio in dibattimento, ovverosia nel contraddittorio fra le parti, suscettibile di essere superato dall'accordo fra le parti all'infuori dell'ipotesi in cui si tratti di atti affetti da inutilizzabilità patologica”.
Tale affermazione va senz’altro condivisa, dovendosi anche considerare l’attuale stesura della norma in esame, espressamente riferita al “dibattimento” nei termini appena specificati, rispetto a quella originaria, che, con formulazione obiettivamente di più ampia portata, vietava l’utilizzazione delle dichiarazioni spontanee dell’indagato “agli effetti del giudizio”.
11. Va pertanto ribadito che le dichiarazioni spontanee rese alla polizia giudiziaria dalla persona nei cui confronti vengono svolte le indagini ai sensi dell’art. 350, comma 7 cod. proc. pen. possono essere utilizzate se acquisite agli atti del procedimento sull’accordi delle parti ai sensi dell’art. 555, comma 4 cod. proc. pen.
12. La sentenza impugnata deve pertanto essere annullata con rinvio alla Corte di appello di Torino ai sensi dell’art. 569, comma 4 cod. proc. pen.
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata con rinvio alla Corte di appello di Torino
Così deciso in data 11/5/2018