Consiglio di Stato, Sez. V, n. 3952, del 23 luglio 2013
Urbanistica.Tettoie sottratte al regime del permesso di costruire

Gli interventi consistenti nell'installazione di tettoie o di altre strutture che siano comunque apposte a parti di preesistenti edifici come strutture accessorie di protezione o di riparo di spazi liberi (cioè non compresi entro coperture volumetriche previste in un progetto assentito) possono ritenersi sottratti al regime della concessione edilizia (oggi permesso di costruire) soltanto ove la loro conformazione e le loro ridotte dimensioni rendano evidente e riconoscibile la loro finalità di arredo o di riparo e protezione (anche da agenti atmosferici) dell'immobile cui accedono. Invece tali strutture non possono ritenersi installabili senza permesso di costruire quando abbiano dimensioni tali da arrecare una visibile alterazione del prospetto dell'edificio. (Segnalazione e massima a cura di F. Albanese)

N. 03952/2013REG.PROV.COLL.

N. 00776/2001 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Quinta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 776 del 2001, proposto da: 
Calovi Tullio, rappresentato e difeso dagli avv. Paolo Stella Richter e Marco Dalla Fior, con domicilio eletto presso lo studio del primo, in Roma, viale Mazzini, n. 11;

contro

Comune di Mezzocorona, in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dagli avv. Gabriele Pafundi e Daria De Pretis, con domicilio eletto presso lo studio del primo, in Roma, viale Giulio Cesare, n. 14a/4;

per la riforma

del T.R.G.A. - della Provincia di Trento n. 00266/2000, resa tra le parti, di reiezione del ricorso proposto dal sig. Tullio Calovi per l’annullamento dell'ordinanza del 4.5.1998 n. 5274, con cui il Sindaco di Mezzocorona aveva disposto la demolizione e rimessa in pristino di opere abusive realizzate sull'area di pertinenza della p.ed. n. 19 in C.C. Mezzocorona;



Visto il ricorso in appello con i relativi allegati;

Visto l’atto di costituzione in giudizio del Comune di Mezzocorona;

Viste le memorie prodotte dalle parti a sostegno delle rispettive difese;

Vista la propria ordinanza 20 febbraio 2001 n. 1176;

Visti i decreti 16 maggio 2012 n. 1261 e 25 luglio 2012 n. 1936;

Visti gli atti tutti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 5 febbraio 2013 il Cons. Antonio Amicuzzi e uditi per le parti gli avvocati Marco Dalla Fior e Gabriele Pafundi;

Ritenuto in fatto e considerato in diritto quanto segue:



FATTO

Il sig. Tullio Calovi ha ottenuto in data 11.10.1995 concessione edilizia per la ristrutturazione della propria casa di abitazione sulla p.ed. 19 in CC di Mezzocorona, sull'area di pertinenza della quale esistevano una tettoia appoggiata su un muro di contenimento del terreno sovrastante, e, in prossimità del muro, un terrazzino.

Durante i lavori di ristrutturazione è stato demolito il muro di contenimento ed è stata tolta la tettoia, con ricostruzione del muro in posizione più arretrata rispetto alla precedente, ricavando due locali destinati a garage nello spazio così realizzato e una tettoia.

Dopo che, a seguito di sopralluogo, il Comune ha rilevato la realizzazione di opere in totale assenza di concessione e in difformità da essa (lo sbancamento generale del piazzale e del terrapieno, la realizzazione dei locali destinati a garage e/o magazzino, un nuovo terrazzamento, muri di sostegno e pilastri), il Sindaco ha emesso in data 10.6.1996 ordinanza di sospensione dei lavori, (affidando ad un tecnico l'incarico di predisporre una relazione sui lavori eseguiti sull'edificio e sull'area pertinenziale, che precisasse quali fossero gli interventi realizzati in assenza di concessione e quali in difformità dal progetto assentito) e poi, con ordinanza del 14.10.96 n. 10855, ha ingiunto la demolizione delle opere eseguite in difetto o solo in difformità dalla concessione, nonché il ripristino dei luoghi allo stato originario.

Il signor Tullio Calovi ha quindi presentato in data il 23.1.1997 richiesta di concessione edilizia in sanatoria per i lavori eseguiti in difformità nel fabbricato, e contemporaneamente domanda di concessione per l'esecuzione dei lavori di ripristino delle opere eseguite senza concessione sull’area di pertinenza (sistemazioni esterne, realizzazione garage interrati, ricostruzione tettoia e muro di contenimento in posizione più arretrata rispetto alla preesistente, con previsione di demolizione dei pilastri di cemento armato, riempimento del volume interrato con materiale di demolizione, ricostruzione di un muro in pietrame nella identica posizione precedente la demolizione e rimontaggio della tettoia in legno nella forma e dimensioni precedenti).

L'Amministrazione comunale ha rilasciato concessione edilizia in sanatoria con riguardo alle difformità poste in essere sull’edificio principale, ma, con provvedimento 25.3.97 n. 906, non impugnato, ha respinto il progetto di rimessa in pristino, nell’assunto che esso non consisteva in un effettivo ripristino dello "status quo ante" e che non risultavano sanabili le violazioni eseguite in assenza di concessione; conseguentemente emetteva ordinanza di demolizione n. 5274 in data 4.5.1998.

Detta ordinanza è stata impugnata presso il TRGA, sede di Trento, che ha respinto il ricorso con la sentenza in epigrafe indicata, della quale, con il ricorso in appello in esame, il sig. Calovi ha chiesto l’annullamento o la riforma, deducendo i seguenti motivi:

1.- Violazione e, in ogni caso, erronea applicazione di legge (artt. 83 e 128 della l.p. n. 22/1991), erroneità nei presupposti, travisamento della realtà, carenza di istruttoria e conseguente eccesso di potere.

La tardività della prospettazione dei vizi effettuata con il ricorso introduttivo del giudizio (perché avrebbe dovuto essere già articolato nei confronti della ordinanza di ingiunzione di demolizione e rimessa in pristino n. 10855/1996 precedente all’ordine di demolizione) è stata, sia pure incidentalmente, erroneamente rilevata dal T.A.R..

Nel merito è stato dedotto che l’altezza dei locali superiore al metro e mezzo non costituiva pregiudizio alla qualificazione degli stessi, destinati a garage, quali opere soggette ad autorizzazione, nonché che i garage erano, contrariamente a quanto asserito in sentenza, completamente interrati, mentre la soletta non costituiva un prolungamento dell’edificio principale, ma la struttura di copertura dei garage.

E’ incondivisibile la tesi del T.A.R. che la tettoia era destinata ad uso autonomo, con necessità di concessione.

2.- Illogicità manifesta, carenza di istruttoria, erroneità nei presupposti e conseguente eccesso di potere.

La censura che, nell’ordinare il ripristino dei luoghi con modalità, materie e quote originarie, il Comune non si era avveduto del fatto che si sarebbe così venuto a creare gravissimo pericolo per l’incolumità degli abitanti perché il muro da eliminare assolveva a funzione di sostegno del terreno sovrastante è stata erroneamente respinta dal T.A.R..

Con atto depositato il 30.1.2001 si è costituito in giudizio il Comune di Mezzocorona, che ha eccepito la inammissibilità e ha dedotto la infondatezza dell’appello, chiedendone la reiezione.

Con ordinanza 20 febbraio 2001 n. 1176 la Sezione ha respinto la istanza di sospensione della sentenza impugnata.

Con decreto 16 maggio 2012 n. 1261 il ricorso è stato dichiarato perento.

Con decreto 25 luglio 2012 n. 1936 è stato revocato detto decreto di perenzione ed è stata disposta la reiscrizione del ricorso in epigrafe sul ruolo di merito.

Con memoria depositata il 4.1.2013 il Comune resistente ha dedotto la infondatezza dell’appello, concludendo per la reiezione.

Con memoria depositata il 15.1.2013 la parte appellante ha replicato alle avverse argomentazioni e difese, insistendo per l’accoglimento del ricorso.

Alla pubblica udienza del 5.2.2013 il ricorso in appello è stato trattenuto in decisione alla presenza degli avvocati delle parti, come da verbale di causa agli atti del giudizio.

DIRITTO

1.- Il giudizio in esame verte sulla richiesta, formulata dal sig. Tullio Calovi, di riforma della sentenza del T.A.R. in epigrafe indicata, con la quale è stato respinto il ricorso proposto per l’annullamento dell'ordinanza n. 5274del 1998, con la quale il Sindaco di Mezzocorona aveva disposto la demolizione e rimessa in pristino di opere abusive realizzate sull'area di pertinenza della p.ed. n. 19 in C.C. Mezzocorona.

2.- Con il primo motivo di appello è stato dedotto che erroneamente il T.A.R. ha rilevato, sia pure incidentalmente, la tardività della prospettazione dei vizi effettuata con il primo motivo del ricorso introduttivo del giudizio, nell’assunto che esso avrebbe dovuto essere articolato nei confronti della ordinanza di ingiunzione di demolizione e rimessa in pristino n. 10855/1996, che aveva preceduto l’ordine di demolizione n. 906/1997.

In realtà il primo provvedimento sarebbe stato qualificabile quale mera diffida a demolire, recante contestazione del carattere abusivo delle opere ed invito a procedere alla loro demolizione, e il successivo ordine di demolizione non potrebbe ritenersi confermativo perché è stata rivisitata la fattispecie, distinguendo tra opere eseguite in assenza di concessione e opere in parziale difformità dalla concessione, qualificando così gli abusi ritenuti sussistenti.

Al riguardo il Comune resistente ha dedotto che già la ordinanza di ingiunzione a demolire n. 10855/1996 qualificava le opere come soggette a concessione, mentre la parte appellante ha replicato che detta ordinanza era generica e comunque era stata seguita da domanda di sanatoria, parzialmente accolta, con inefficacia della stessa.

2.1.- Va osservato in proposito che, nel caso che occupa, il T.A.R. ha ritenuto di poter prescindere dalla inammissibilità del ricorso per mancata tempestiva impugnazione della precedente ordinanza di diffida a demolire, stante la infondatezza del gravame nel merito.

Poiché anche l’appello è, ad avviso del Collegio, infondato nel merito, con conferma della sentenza impugnata laddove ha sostenuto la impossibilità di accoglimento delle censure poste a base del ricorso introduttivo del giudizio, anche nella presente fase del giudizio può prescindersi dalla verifica della fondatezza delle sopra riportate critiche alla inammissibilità del ricorso di primo grado incidentalmente prospettata dal T.A.R., perché non indispensabile ai fini della decisione del gravame.

3.- Con il motivo in esame è stato dedotto nel merito che l’altezza dei locali destinati a garage, superiore al metro e mezzo, non costituiva pregiudizio alla qualificazione degli stessi quali opere soggette ad autorizzazione, operando tale limite solo con riferimento ai muri di contenimento; inoltre i garage sarebbero stati, contrariamente a quanto asserito in sentenza, completamente interrati (essendo situati sotto l’originario livello naturale del terreno), mentre la soletta non costituiva un prolungamento dell’edificio principale, ma la struttura di copertura dei garage, che nessuna disposizione imponeva, per l’assoggettabilità al regime autorizzativo, che dovessero essere realizzati al piano terra dell’edificio o all’interno dello stesso, essendo sufficiente la circostanza che fossero interrati.

Secondo l’appellante sarebbe pure incondivisibile la tesi del T.A.R. che la tettoia tale non sarebbe stata qualificabile a causa dell’uso autonomo della stessa, con necessità di concessione, perché la tesi sarebbe smentita dal fatto che l’opera era costituita da montanti su cui era posata una copertura che, essendo collocata nell’adiacenza dell’edificio principale, ne costituiva pertinenza.

3.1.- Ha sostenuto in proposito il Comune che l’art. 83, lett. i) della l.p. n. 22/1991 (ora art. 105, lett. e) disciplinava solo i parcheggi da realizzare nel sottosuolo e nei locali a piano terra degli edifici da destinare a pertinenza di singole unità immobiliari, nonché che, a prescindere dal fatto che i locali non fossero totalmente interrati, non sussisteva il requisito della pertinenzialità, stanti le loro notevoli dimensioni e l’autonomia strutturale rispetto al fabbricato principale; inoltre che il regime concessorio si estendeva alla terrazza (perché costituiva parte integrante dei locali sottostanti tramite la soletta) e alla tettoia (perché era caratterizzata da notevoli dimensioni ed autonomia strutturale e funzionale).

Al riguardo la difesa dell’appellante ha replicato che i garage erano situati sotto il livello del terreno originario ed erano da considerare normativamente pertinenza dei fabbricati ad uso residenziale (la cui violazione è punita dall’art. 58 della legge prov.le urbanistica con mera sanzione pecuniaria), sostenendo che non era possibile alcun utilizzo alternativo dei due posti auto e che la circostanza che la terrazza posta sopra i garage fosse parte integrante degli stessi comportava che anche essa era soggetta a regime autorizzativo; inoltre ha affermato che era comunque stato chiesto che essa potesse essere coperta con terreno e che la tettoia per la legge urbanistica era soggetta ad autorizzazione a prescindere dalle dimensioni.

3.2.- Va preliminarmente osservato in proposito che l’art. 83 della legge della Provincia di Trento n. 22 del 5 settembre 1991, nel testo all’epoca vigente, includeva tra gli interventi soggetti ad autorizzazione, tra l’altro, al punto a), l’occupazione di suolo pubblico o privato con tettoie quali pertinenze di attività o di residenza, nonché, al punto c), n. 4, la realizzazione di opere concernenti i muri di sostegno e contenimento fino ad un metro e mezzo di altezza e, al punto i), la costruzione di parcheggi nel sottosuolo e nei locali di piano terreno degli edifici, da destinare a pertinenza di singole unità immobiliari.

3.3.- La Sezione, premesso che i garage comunque erano stati realizzati a ridosso di muri di contenimento di altezza superiore al metro e mezzo, ritiene, a prescindere dalla circostanza che se fossero completamente interrati o meno, che fondamentale, ai fini della decisione, è la circostanza che detta legge provinciale, alla lettera i), stabiliva inderogabilmente che, per essere soggetti a semplice autorizzazione, i parcheggi dovevano essere destinati a pertinenza di singole unità immobiliari.

Il T.A.R., al fine di dimostrare che la tesi che detti garage necessitassero di concessione, ha al riguardo osservato che essi non erano ricavati all’interno dell’edificio principale per divenirne automatica pertinenza, ma erano da esso indipendenti e non erano solo destinati a parcheggio degli abitanti dell’edificio principale, ma anche a deposito e magazzino.

Deve rilevare la Sezione, che in effetti, dalle foto di cui agli allegati nn. 5, 6 e 7 al ricorso introduttivo di primo grado, si evince che un vano, utilizzato quale rimessa per un rimorchio apparentemente agricolo, è situato in aderenza all’edificio principale, mentre, separati da una scala da esso, risultano realizzati (ed indicati a penna come “abuso”) due locali (apparentemente situati sotto il piano di campagna, ma con il piano di calpestio superiore sovrastato da colonne in cemento armato che lo superano in altezza) dei quali uno è occupato da un trattore e l’altro da materiali vari; gli stessi due locali, in ulteriore documentazione fotografica realizzata dall’ing. Giancarlo Moresco, risultano occupati da vari materiali.

Non è stata quindi fornita la prova convincente né della esclusiva destinabilità di detti locali a garage né della loro effettiva e strettissima contiguità alla abitazione principale, necessaria per l’applicazione della disposizione di cui a detta lettera i), norma che, ponendosi in deroga agli strumenti urbanistici ed ai regolamenti edilizi vigenti, è di stretta interpretazione e di rigorosa applicazione.

Secondo detta disposizione, ai fini della sussistenza del vincolo pertinenziale tra bene principale e bene accessorio, è infatti necessaria la sussistenza del requisito oggettivo della assoluta contiguità tra di essi, tanto che essa stabiliva che, per essere soggetti a mera autorizzazione, i garage dovevano essere realizzati nel sottosuolo e nei locali di piano terreno degli edifici, con esclusione quindi (essendo la disposizione di stretta interpretazione) di quelli costruiti, come nel caso di specie, in aree ad essi adiacenti e oltretutto non contigui con l’edificio principale.

Inoltre non sembra ritenersi sussistente nel particolare caso che occupa neppure l’ulteriore requisito che, secondo la giurisprudenza, identifica quale pertinenziale un immobile rispetto ad un altro, cioè le dimensioni ridotte rispetto a quello principale, perché le rilevanti dimensioni di un’opera portano il manufatto ad incidere in modo significativo sull'assetto del territorio, con esclusione per ciò solo della sua natura pertinenziale.

Quanto alla tettoia, va rilevato che la “ratio” dell'articolo 83, lettera a), di detta legge provinciale n. 22/1991, laddove indicava i requisiti per la esclusione della necessità di concessione edilizia per l'edificazione di tettoie, è quella di consentire il ricorso a mera autorizzazione per la realizzazione di tettoie solo se intimamente collegate all'edificio e destinate a proteggere l'accesso, il recesso, lo scarico e più in generale utilizzazioni dirette a servizio dell'edificio. Restavano pertanto escluse dal regime autorizzativo le tettoie che avevano o avrebbero potuto avere utilizzazione autonoma e indipendente, nonché quelle di dimensioni e impatto ambientale maggiori, come nel caso di specie.

Del resto anche in generale gli interventi consistenti nell'installazione di tettoie o di altre strutture che siano comunque apposte a parti di preesistenti edifici come strutture accessorie di protezione o di riparo di spazi liberi (cioè non compresi entro coperture volumetriche previste in un progetto assentito) possono ritenersi sottratti al regime della concessione edilizia (oggi permesso di costruire) soltanto ove la loro conformazione e le loro ridotte dimensioni rendano evidente e riconoscibile la loro finalità di arredo o di riparo e protezione (anche da agenti atmosferici) dell'immobile cui accedono; invece tali strutture non possono ritenersi installabili senza permesso di costruire quando, come nel caso che occupa, abbiano dimensioni tali da arrecare una visibile alterazione del prospetto dell'edificio (Consiglio di Stato, sez. I, 9 maggio 2012, n. 380; sez. IV, 29 aprile 2011, n. 2549).

I motivi in esame non possono quindi essere favorevolmente apprezzati.

4.- Con il secondo motivo di gravame è stato dedotto che la censura secondo cui, nell’ordinare il ripristino dei luoghi con modalità, materie e quote originarie, il Comune non si era avveduto del fatto che si sarebbe così venuto a creare gravissimo pericolo per l’incolumità degli abitanti (perché il muro da eliminare assolveva a funzione di sostegno del terreno sovrastante) è stata respinta dal T.A.R. nell’assunto che la situazione di pericolo era stata creata dallo stesso ricorrente. La tesi sarebbe tuttavia incondivisibile sia perché il versante scosceso preesisteva naturalmente e non era stato opera del ricorrente, che aveva realizzato un muro di contenimento più idoneo del preesistente, e sia perché comunque la sua demolizione poteva pregiudicare la stabilità del versante.

4.1.- In proposito il Comune ha rilevato che comunque il muro andava ricostruito nella sua posizione originaria con garanzia della funzione statica di sostegno.

4.2.- La Sezione ritiene la censura insuscettibile di positivo giudizio, atteso che, come rilevato dal T.A.R., il muro di contenimento, incombente sui nuovi manufatti realizzati a fianco dell’edificio preesistente, ben poteva essere ricostruito nella posizione originaria e, per comune conoscenza, con accorgimenti tecnici tali da rendere sicuro più che in precedenza il contenimento del terreno retrostante e da assicurare comunque la sua stabilità, anche perché, venendo ad essere riedificato nella parte meno scoscesa dell’esistente naturale declivio, veniva ad essere sottoposto a minori sollecitazioni.

5.- L’appello deve essere conclusivamente respinto e deve essere confermata la prima decisione.

6.- Le spese e gli onorari del presente grado di giudizio seguono la soccombenza e vanno liquidati come in dispositivo.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato, in sede giurisdizionale, Sezione Quinta, definitivamente decidendo respinge l’appello in esame.

Pone a carico dell’appellante sig. Tullio Calovi, le spese e gli onorari del presente grado, liquidate a favore del Comune di Mezzocorona nella misura di € 3.000,00 (tremila/00), di cui € 1.000,00 (mille/00) per esborsi, oltre ai dovuti accessori di legge (I.V.A. e C.P.A.).

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 5 febbraio 2013 con l'intervento dei magistrati:

Stefano Baccarini, Presidente

Carlo Saltelli, Consigliere

Manfredo Atzeni, Consigliere

Antonio Amicuzzi, Consigliere, Estensore

Antonio Bianchi, Consigliere

 

 

 

 

 

 

L'ESTENSORE

 

IL PRESIDENTE

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

DEPOSITATA IN SEGRETERIA

Il 23/07/2013

IL SEGRETARIO

(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)