Consiglio di Stato Sez. VI n. 3357 del 12 aprile 2024
Urbanistica.Nozione di stato legittimo e di consistenza

Ai sensi del comma 1-bis dell’art. 9-bis, d.P.R. n. 380/2001: “Lo stato legittimo dell'immobile o dell'unità immobiliare è quello stabilito dal titolo abilitativo che ne ha previsto la costruzione o che ne ha legittimato la stessa e da quello che ha disciplinato l'ultimo intervento edilizio che ha interessato l'intero immobile o unità immobiliare, integrati con gli eventuali titoli successivi che hanno abilitato interventi parziali. Per gli immobili realizzati in un'epoca nella quale non era obbligatorio acquisire il titolo abilitativo edilizio, lo stato legittimo è quello desumibile dalle informazioni catastali di primo impianto, o da altri documenti probanti, quali le riprese fotografiche, gli estratti cartografici, i documenti d'archivio, o altro atto, pubblico o privato, di cui sia dimostrata la provenienza, e dal titolo abilitativo che ha disciplinato l'ultimo intervento edilizio che ha interessato l'intero immobile o unità immobiliare, integrati con gli eventuali titoli successivi che hanno abilitato interventi parziali”. Diverso dallo “stato legittimo” è la consistenza ossia la sussistenza materiale dell’immobile in concreto nelle sue caratteristiche dimensionali. Nozione quest’ultima che prescinde dallo “stato legittimo”. Pertanto, non può sostenersi che sia esclusiva competenza dell’amministrazione comunale definire la consistenza dell’immobile.

Pubblicato il 12/04/2024

N. 03357/2024REG.PROV.COLL.

N. 08647/2023 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 8647 del 2023, proposto da
Ministero della Cultura, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma, via dei Portoghesi, 12;

contro

Soc. La Moresca S.r.l., Comune di Ravello, non costituiti in giudizio;
La Moresca S.r.l., Marina Agnese Guerritore, Svieta Sullutrone, rappresentati e difesi dall'avvocato Lorenzo Lentini, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;

per la riforma

della sentenza breve del Tribunale Amministrativo Regionale per la Campania sezione staccata di Salerno (Sezione Seconda) n. 01476/2023.


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio di La Moresca S.r.l., di Marina Agnese Guerritore e di Svieta Sullutrone;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 4 aprile 2024 il Cons. Luigi Massimiliano Tarantino e udito per le parti appellate l’avvocato Lorenzo Lentini;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO e DIRITTO

1. Con ricorso proposto dinanzi al TAR per la Campania, Sezione staccata di Salerno, l’odierna appellata invocava l’annullamento: a) del provvedimento della Soprintendenza Archeologia Belle Arti e Paesaggio per le Province di Salerno e Avellino n. 7016 del 24.03.2023, con il quale si era espresso parere contrario al rilascio di autorizzazione paesaggistica per i lavori di recupero di un fabbricato in Via Crocelle 7 di Ravello; b) del provvedimento della Soprintendenza Archeologia Belle Arti e Paesaggio per le Province di Salerno e Avellino n. 5758 del 9.03.2023 di comunicazione dei motivi ostativi, ai sensi dell'art. 10 bis L. 241/1990; c) del provvedimento della Soprintendenza n. 5505/2020; d) della relazione di compatibilità urbanistico edilizia del 2.11.2022, della relazione istruttoria del 24.01.2023 e del parere della CLP di Ravello n. 2/2023 nella parte in cui hanno subordinato l'intervento a rilascio di p.d.c. (e non a SCIA).

2. Il primo giudice accoglieva il ricorso, evidenziando che nella fattispecie, la dimostrazione della preesistente consistenza è dichiarata dal Comune di Ravello, cui solo spetta la valutazione sul c. d. “stato legittimo” dell’immobile dell’opera il quale ha rappresentato, attraverso un ragionamento tecnico-discrezionale non irragionevole, il rinvenimento di tracce di alcuni “monconi” in legno, che costituivano la struttura portante della copertura originaria, attraverso cui è stato possibile accertare il posizionamento delle falde (da ubicarsi 40 cm circa più in basso rispetto ad un precedente progetto non approvato nell’anno 2017). Stabilito, quindi, che il fabbricato assume la qualità di rudere, deve applicarsi l’art. 33 delle NTA del nuovo PUC di Ravello che, in zona Ir3, ammette “la ricostruzione in sito da parte degli aventi titolo alla data di adozione del PUC di edifici in tutto in parte diruti, purché ne sia comprovata la preesistenza a tutto il 1955”.

3. Avverso la pronuncia indicata in epigrafe propone appello il Ministero della Cultura, che ne lamenta l’erroneità per le seguenti ragioni: a) relativamente al medesimo immobile, un precedente parere contrario della stessa Soprintendenza era stato impugnato con ricorso dalla stessa appellata ed era stato respinto dal TAR per la Campania, sezione staccata di Salerno con sentenza n. 864/2020, appellata dinanzi a questo Consiglio. Gravame per il quale è stata depositata dichiarazione di difetto di interesse in data 6 febbraio 2024. L’area in cui ricade il fabbricato esistente sarebbe sottoposta a tutte le disposizioni della parte terza del Codice dei Beni Culturali e del Paesaggio, approvato con D.Lgs 42/2004 per effetto del D.M. 16.02.1957 e D.M. 16.06.1966 ed ai sensi dell'art.142 co1, lettera f). Inoltre, rientrerebbe nel perimetro del Piano territoriale P.U.T. costiera Sorrentino Amalfitana approvato con L.R.35/97 e sarebbe classificata come zona 3 “tutela degli insediamenti antichi sparsi o per nucleo” ed in zona Ir3 “tessuti prevalentemente residenziali di recente edificazione ricadenti nella z.t.3 del P.U.T.” del vigente PUC. Per le zone 3 la L.R.35/87, avrebbe previsto tra l’altro che il piano regolatore generale dovesse: I) individuare gli edifici e i complessi di particolare interesse storico artistico ed ambientale da assoggettare a soli interventi di restauro conservativo, di cui alle norme tecniche del successivo titolo IV (con particolare riferimento agli edifici rustici coperti a volta); II) consentire per la restante edilizia esistente, gli interventi annessi per la precedente “zona territoriale 1-b”, relativamente all’edilizia esistente a tutto il 1955. Il primo giudice avrebbe del tutto trascurato questa disciplina, limitandosi erroneamente ad affermare che: “la dimostrazione della preesistente consistenza è dichiarata dal Comune di Ravello, cui solo spetta la valutazione sul il c. d. “stato legittimo” dell’immobile dell’opera”. Mentre, “la consistenza” di un immobile invece sarebbe strettamente legata alle sue caratteristiche dimensionali che prescindono dallo stato di legittimità, per cui il TAR non avrebbe potuto associare la verifica della legittimità con quella relativa alla sua “consistenza”. Quanto poi al quid novi rappresentato dai due monconi, gli stessi risulterebbero riprodotti esclusivamente in due fotografie. Mentre, non sarebbero stati rappresentati nella loro collocazione negli elaborati di rilievo, né in pianta né in sezione né ancora nei prospetti. Inoltre, il parere richiamato dal TAR del 02.11.2022 del responsabile comunale continuava come segue: "......l’intervento in trattazione è certamente riconducibile... alla categoria della ristrutturazione edilizia. E tuttavia, limitatamente alla volumetria di copertura (con relativo sottotetto), si rileva la mancanza di documentazione fotografica e/o progettuale attestante la preesistente consistenza e caratteristiche della stessa e la necessità di dover ricorrere, per il relativo ripristino, a ipotesi progettuali che, ancorché fondate su elementi fattuali e scientifici (tracce delle murature e delle travi di copertura} potrebbero determinare, almeno limitatamente a tali parti di fabbrica, lievi modifiche dei prospetti e della sagoma. Ulteriori modifiche ai prospetti preesistenti essenzialmente connessi alla legittima esigenza di dover introdurre taluni elementi di innovazione, si registrano nelle rimanenti parti dei prospetti del fabbricato. Si ritiene, quindi, che l’intervento proposto si configuri quale intervento di ristrutturazione edilizia, subordinato a permesso di costruire”. Inoltre, il TAR non avrebbe tenuto conto del fatto che il Piano Urbanistico Comunale, soggiace alle disposizioni prevalenti del Piano Urbanistico Territoriale con valenza Paesaggistica.

4. Costituitasi in giudizio, l’originaria ricorrente ripropone i motivi non esaminati dal TAR: a) l’amministrazione appellante non si sarebbe espressa sulla valutazione di compatibilità paesistica, ma avrebbe ponderato lo stato legittimo di un immobile, ingerendosi in un giudizio di spettanza dell’amministrazione comunale. Inoltre, in virtù del PUC sopravvenuto (adeguato al PUT), per i fabbricati diruti in zona Ir3, sarebbero consentiti sia interventi di nuova edificazione sia di ristrutturazione edilizia (art. 35 NTA); b) non vi sarebbe alcun contrasto con le norme del PUT per la ZT3 alla luce dello jus supervenies (PUC adeguato al PUT). Il nuovo Piano avrebbe preliminarmente proceduto al proporzionamento dei vani residenziali in conformità con le prescrizioni vincolanti del PUT (art. 9) attraverso il calcolo: - del fabbisogno derivante da incremento demografico; - del fabbisogno per la riduzione dell’indice di affollamento; - del fabbisogno per la sostituzione dei vani malsani e/o fatiscenti, comunque non risanabili. Il PUC, determinato il fabbisogno residenziale per l’intero territorio comunale, subito dopo, avrebbe individuato le aree in cui allocare i nuovi vani in coerenza con la zonizzazione e le prescrizioni vincolanti del PUT. Per quanto di interesse, una quota parte di tali alloggi, avrebbe trovato collocazione insediativa in zona Ir3 (art. 35 NTA), corrispondente alla ZT3 “Tutela degli insediamenti antichi sparsi o per nucleo” del PUT.

Il PUC, quindi, (art. 35 NTA,) in tale Zona Ir3, per gli edifici di carattere storico-testimoniale (tra cui anche il fabbricato delle ricorrenti) avrebbe consentito la “ricostruzione in sito da parte degli aventi titolo alla data di adozione del PUC di edifici in tutto in parte diruti purchè ne sia comprovata la preesistenza a tutto il 1955” nei limiti del dimensionamento del Piano (ex art. 9 L.R.C. 35/1987). Inoltre, a chiusura delle NTA della Zona, prevedrebbe anche la possibilità di “limitatissimi interventi edilizi residenziali e terziari, ove sussista il fabbisogno di cui agli articoli 9 e 10 della L.R.C. 35/1987” in osservanza della compatibilità paesistica; c) l’intervento controverso non rivestirebbe i tratti di “nuova costruzione”, atteso che il novellato art. 3 co. 1 lett. d) d.p.r. 380/2001, non prevedrebbe il vincolo di sagoma per la ricostruzione di edifici (o parti di essi), ricompresi in area vincolata, prescrivendo unicamente il rispetto della consistenza plano-volumetrica originaria. Per di più, durante il corso di precedenti lavori di messa in sicurezza, disposti dal Comune di Ravello (ordinanza n. 6/2021) sono state rinvenute tracce di alcuni “monconi” in legno che, all’evidenza, costituivano la struttura portante della copertura originaria. Questi rinvenimenti avrebbero consentito di accertare, con precisione, il posizionamento delle falde (40 cm circa più in basso del progetto 2017), eliminando ogni incertezza sulla consistenza originaria del bene, come attestato dal parere del Comune di Ravello in data 2 novembre 2022. La pretesa mancata dimostrazione della articolazione originaria della copertura (piana, a falde inclinate o mista) o delle caratteristiche geometriche della stessa (pendenza e numero di falde) avrebbe rilevanza per il rispetto della sagoma, oramai non più inderogabile, in zona paesisticamente vincolata e, dunque, non è idonea e sufficiente per attrarre l’intervento edilizio nella più drastica categoria della nuova costruzione, in luogo della ristrutturazione edilizia. La novella contenuta nelle leggi nn. 34 e 91/2022 consentirebbe di ritenere superato il precedente diniego; d) andrebbe escluso l’ulteriore contrasto adombrato con l’art. 35 delle NTA del P.U.C. Quanto alla mancanza di documentazione fotografica o progettuale della copertura originaria, tale circostanza non sarebbe stata ritenuta influente, da parte dello stesso Comune di Ravello, riguardando solo il rispetto di sagoma (non più vincolante) e non la esatta ricostruzione della consistenza dell’immobile, invece, puntualmente accertata attraverso il preesistente fabbricato in rerum natura; e) l’assunto del Comune di Ravello secondo cui l’intervento, configurando una ristrutturazione edilizia ai sensi dell’art. 10 co. 1 lett. c) d.p.r. 380/2001 sarebbe soggetto a p.d.c. (eventualmente convenzionato) e non a SCIA, non risulterebbe corretto, atteso che, da un lato, l’art. 23 d.p.r. 380/2001 avrebbe assoggettato a SCIA (alternativa a p.d.c.) gli interventi di ristrutturazione edilizia ai sensi dell’art. 10 co. 1 lett. c) d.p.r. 380/2001; l’art. 35 NTA PUC avrebbe prescritto il recupero di edifici diruti attraverso intervento edilizio diretto non convenzionato; f) la L.R.C. 35/1987 (PUT) farebbe riferimento alla ristrutturazione edilizia solo in due disposizioni: - l’art. 32, quando detta la relativa definizione (superata dall’12 bis L.R.C. 19/2009 che ha fissato il principio legale di prevalenza delle definizioni dell’art. 3 d.p.r. 380/2001 su quelle del PUT); - l’art. 17, per la Zona Territoriale 4. L’applicazione di tale categoria di intervento, per le altre zone territoriali (del PUT), laddove non esclusa, andrebbe risolta in ragione della individuazione dei singoli interventi autorizzati, in concreto, nelle singole Zone Territoriali del PUT. La ZT3 del PUT (L.R.C. 35/1987) “Tutela degli insediamenti antichi sparsi o per nucleo” consentirebbe interventi di “nuova costruzione”, sia per residenze che per servizi nei limiti prescritti dai Piani Urbanistici Locali. La previsione di interventi di adeguamento funzionale con incremento volumetrico delle preesistenze, secondo la disciplina del TUE (art. 3 d.p.r. 380/2001), sarebbe sicuramente compatibile con la categoria della ristrutturazione edilizia. L’art. 17 L.R.C. 35/1987, pertanto, nel prescrivere l’adeguamento funzionale dei fabbricati esistenti, in ZT3, con incentivi volumetrici avrebbe inteso consentire non solo interventi di restauro e risanamento conservativo, ma anche di ristrutturazione edilizia o nuova costruzione (seppure entro limiti volumetrici ben definiti) senza i quali non è possibile realizzare i previsti interventi di adeguamento funzionale. Né varrebbe, in contrario, assumere che gli incentivi volumetrici avrebbero carattere eccezionale per la creazione di servizi igienici, introducendo un regime speciale a suo dire non compatibile con la nozione di ristrutturazione edilizia che, invece, sarebbe preclusa (in ZT3 del PUT), essendo prescritto il recupero dei fabbricati, nei limiti della categoria del restauro conservativo. L’art. 17 del PUT, per di più, consentirebbe anche nuovi interventi residenziali – terziari, in ZT3 (in uno alla possibile costruzione di infrastrutture di quartiere), ammettendo interventi novativi che superano la soglia del “recupero”.

5. Nelle successive difese l’appellata argomenta in ordine all’infondatezza dell’avverso gravame, evidenziando, tra l’altro, che nelle more dell’odierna decisione l’amministrazione comunale rilasciava in data 8 settembre 2023 nuova autorizzazione paesaggistica non impugnata dall’odierno appellante.

6. L’appello è fondato e merita di essere accolto.

Occorre preliminarmente chiarire che il nuovo provvedimento adottato dall’amministrazione comunale è stato assunto in ragione della sentenza del TAR oggi impugnata. Pertanto, il riesercizio del potere da parte dell’amministrazione comunale non fa venire meno l’interesse del Ministero appellante all’ottenimento della presente decisione. È evidente che quest’ultimo provvedimento è reso sulla base degli atti e sul presupposto che sia intervenuto e che eventualmente possa divenire cosa giudicata la statuizione contenuta nella sentenza di prime cure provvisoriamente esecutiva, sicché il venire meno di quest’ultima comporterebbe automaticamente la necessità dell’amministrazione comunale di prenderne atto, adeguandosi alla statuizione di questo Collegio.

6.1. Il primo giudice ha fondato l’accoglimento del ricorso di primo grado sul ragionamento secondo il quale, atteso che la valutazione sul c. d. “stato legittimo” dell’immobile dell’opera spetta all’amministrazione comunale, quest’ultima nel parere urbanistico-edilizio favorevole in data 02.11.2022 ha ritenuto perfettamente documentata la preesistenza e la consistenza del corpo di fabbrica, attraverso sia la restituzione grafica dello stato di fatto, che la ulteriore documentazione allegata al progetto. Sicché, il fabbricato assume la qualità di rudere e deve applicarsi l’art.33 delle NTA del nuovo PUC di Ravello che, in zona Ir3, ammette “la ricostruzione in sito da parte degli aventi titolo alla data di adozione del PUC di edifici in tutto in parte diruti, purché ne sia comprovata la preesistenza a tutto il 1955. La premessa dalla quale parte il giudice di prime cure non è però corretta, dal momento che il TAR confonde la nozione di “stato legittimo” con quella di consistenza. Infatti, ai sensi del comma 1-bis dell’art. 9-bis, d.P.R. n. 380/2001: “Lo stato legittimo dell'immobile o dell'unità immobiliare è quello stabilito dal titolo abilitativo che ne ha previsto la costruzione o che ne ha legittimato la stessa e da quello che ha disciplinato l'ultimo intervento edilizio che ha interessato l'intero immobile o unità immobiliare, integrati con gli eventuali titoli successivi che hanno abilitato interventi parziali. Per gli immobili realizzati in un'epoca nella quale non era obbligatorio acquisire il titolo abilitativo edilizio, lo stato legittimo è quello desumibile dalle informazioni catastali di primo impianto, o da altri documenti probanti, quali le riprese fotografiche, gli estratti cartografici, i documenti d'archivio, o altro atto, pubblico o privato, di cui sia dimostrata la provenienza, e dal titolo abilitativo che ha disciplinato l'ultimo intervento edilizio che ha interessato l'intero immobile o unità immobiliare, integrati con gli eventuali titoli successivi che hanno abilitato interventi parziali”. Diverso dallo “stato legittimo” è la consistenza ossia la sussistenza materiale dell’immobile in concreto nelle sue caratteristiche dimensionali. Nozione quest’ultima che prescinde dallo “stato legittimo”. Pertanto, non può sostenersi che sia esclusiva competenza dell’amministrazione comunale definire la consistenza dell’immobile.

Inoltre, erra il primo giudice nel ritenere che debba applicarsi l’art.35 delle NTA del nuovo PUC di Ravello che, in zona Ir3, ammette “la ricostruzione in sito da parte degli aventi titolo alla data di adozione del PUC di edifici in tutto in parte diruti, purché ne sia comprovata la preesistenza a tutto il 1955”.

Il primo giudice omette, infatti, di considerare che la disciplina del PUC soggiace a quella di rango superiore contenuta nel PUT per la zona 3 di riferimento. La legge regionale della Campania n. 35 del 1987 all’art. 3 comma 2 dispone, infatti, che: “Il Piano urbanistico territoriale prevede norme generali d'uso del territorio dell'area e formula direttive a carattere vincolante alle quali i Comuni devono uniformarsi nella predisposizione dei loro strumenti urbanistici o nell'adeguamento di quelli vigenti”. L’art. 17 del PUT dell’Area Sorrentino - Amalfitana per la zona territoriale 3, stabilisce che per quest’ultima: “con una progettazione estremamente dettagliata, documentata e culturalmente qualificata, il piano regolatore generale fornirà indicazioni e norme (mediante elaborati di piano di dettaglio in scala almeno 1:500: planovolumetrici, profili, fotomontaggi ecc.) tali da: individuare gli edifici e i complessi di particolare interesse storico artistico ed ambientale da assoggettare a soli interventi di restauro conservativo, di cui alle norme tecniche del successivo titolo IV (con particolare riferimento agli edifici rustici coperti a volta); -consentire per la restante edilizia esistente, gli interventi annessi per la precedente "zona territoriale 1-b", relativamente all'edilizia esistente a tutto il 1955;- prevedere e/o consentire interventi per l'adeguamento dell'organizzazione agricola del territorio, secondo quanto previsto per la precedente "zona territoriale 1-b", lettera a);- impedire ulteriore edificazione, fatta eccezione per: le attrezzature pubbliche previste dal piano urbanistico territoriale e quelle a livello di quartiere, sempre che l'analisi e la progettazione dettagliata del piano regolatore generale ne dimostrino la compatibilità ambientale; eventuali limitatissimi interventi edilizi residenziali e terziari, ove ne sussista il fabbisogno di cui ai precedenti articoli 9 e 10 e sempre che le analisi e la progettazione dettagliata del piano regolatore generale ne dimostrino la compatibilità ambientale”.

Nella fattispecie, però, non risulta che il comune di Ravello abbia individuato l’immobile in questione quale complesso di particolare interesse storico artistico ed ambientale. Inoltre, i soli interventi consentiti per l’edilizia esistente al 1955 sono quelli prescritti per la zona 1b, ossia: a) restauro conservativo, manutenzione ordinaria e straordinaria e demolizione delle superfetazioni; b) adeguamento funzionale, una tantum, degli alloggi (ai fini della creazione dei servizi igienici), ma non ristrutturazione. Infine, nelle zone 3 deve essere impedita la nuova edificazione con le sole eccezioni esplicitamente indicate.

7. Devono a questo punto essere esaminati i motivi di primo grado riproposti in sede di appello.

7.1. L’infondatezza del primo motivo riproposto si desume dall’esposizione delle ragioni esposte sub 6.1. per l’accoglimento del gravame dell’amministrazione.

7.2. Infondato risulta essere anche il secondo motivo. L’art. 9 del PUT stabilisce che il proporzionamento dell'eventuale fabbisogno di nuove residenze va commisurato alla sommatoria di tre componenti: i) eventuale fabbisogno derivante da incremento demografico; ii), eventuale fabbisogno per la riduzione dell'indice di affollamento; iii) eventuale fabbisogno per la sostituzione dei vani malsani e/o fatiscenti, comunque non insanabili. Inoltre, sempre lo stesso art. 9 prevede che: “Il complessivo fabbisogno di vani residenziali deve essere soddisfatto utilizzando anche la quota relativa al recupero edilizio del patrimonio edilizio esistente…”. Sebbene il PUC abbia determinato il fabbisogno residenziale per l’intero territorio comunale, da una pian lettura dell’art. 35 NTA la ricostruzione in sito dei ruderi è consentita in presenza di tre condizioni cumulative: i) la preesistenza a tutto il 1955; ii) la consistenza; iii) l’autonomia funzionale. Nella fattispecie in esame è proprio la seconda a non essere definita atteso che nel nuovo progetto presentato dall’appellata si fa riferimento a due piccoli monconi di legno che non aggiungono alcunché di significativo nel ricostruire la consistenza dell’immobile rispetto a quanto già emerso nella precedente istanza oggetto di diniego oramai consolidatosi in via definitiva in ragione del giudicato formatosi sulla sentenza del TAR per la Campania, Sezione staccata di Salerno n. 864/2020, il cui appello è stato oggetto di dichiarazione di difetto di interesse da parte dell’appellata.

7.3. Non merita condivisione il terzo motivo di appello con il quale si evidenzia che a seguito delle modifiche portate all’art. 3 del d.P.R. n. 380/2001 non si sarebbe in presenza di un intervento assimilabile a quello di nuova costruzione, atteso che il comma 1 lett. d) della norma in questione avrebbe superato il cd. vincolo di sagoma. La tesi propugnata dall’appellata non convince dal momento che sempre la citata lett. d) stabilisce che: “L'intervento può prevedere altresì, nei soli casi espressamente previsti dalla legislazione vigente o dagli strumenti urbanistici comunali, incrementi di volumetria anche per promuovere interventi di rigenerazione urbana.”, ma, come chiarito, nella fattispecie difetta la necessaria condizione legittimante per ritenersi che sia un intervento ammissibile alla luce della legislazione vigente o dello strumento urbanistico comunale.

7.4. Quanto rilevato ai punti precedenti non rende irrilevante la mancanza di documentazione fotografica o progettuale, atteso che mancano validi elementi per appurare non solo la sagoma, ma la stessa consistenza dell’immobile.

7.5. Il quinto motivo riproposto in relazione alla tipologia di titolo edilizio richiesto, ossia permesso di costruire piuttosto che s.c.i.a. non merita condivisione in radice, atteso che il progetto in questione per ragioni dirimenti non è risultato meritevole di ottenere l’autorizzazione paesaggistica, da cui non può prescindersi ai sensi del comma 1-bis dell’art. 23, d.P.R.. n. 380/2001.

7.6. Infondato è anche il sesto motivo di ricorso per le ragioni dettagliatamente esposte supra al punto 6.1. in sede di accoglimento dell’appello del Ministero.

8. L’appello in esame deve, dunque, essere accolto e, per l’effetto in riforma dell’impugnata sentenza, disattesi i motivi assorbiti dal Tar e qui riproposti da parte appellata, deve essere respinto il ricorso di primo grado. La complessità delle questioni trattate giustifica la compensazione delle spese del doppio grado di giudizio.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta), definitivamente pronunciando sull'appello e sui motivi riproposti da parte appellata ai sensi dell’art. 101 c.p.a., accoglie il primo e respinge i secondi, e per l’effetto, in riforma dell’impugnata sentenza, respinge il ricorso di primo grado.

Compensa le spese del doppio grado di giudizio.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 4 aprile 2024 con l'intervento dei magistrati:

Hadrian Simonetti, Presidente

Luigi Massimiliano Tarantino, Consigliere, Estensore

Roberto Caponigro, Consigliere

Giovanni Gallone, Consigliere

Thomas Mathà, Consigliere