Consiglio di Stato Sez. VI  n. 3031 del 3 aprile 2024
Urbanistica.Realizzazione di muri di cinta di ragguardevoli dimensioni

La realizzazione di muri di cinta e/o contenimento di ragguardevoli dimensioni è soggetta al rilascio del permesso di costruire, inverandosi la nozione di nuova costruzione quante volte l'intervento edilizio produca un effettivo e rilevante impatto sul territorio e, dunque, in relazione alle opere di qualsiasi genere con cui si operi nel suolo e sul suolo, se idonee a modificare lo stato dei luoghi determinandone una significativa trasformazione. La natura pertinenziale, che esclude la necessità del previo conseguimento del permesso di costruire, può essere riconosciuta solo con riferimento alle recinzioni, definendosi come tali opere aventi caratteristiche tipologiche di minima entità al fine della mera delimitazione della proprietà.


Pubblicato il 03/04/2024

N. 03031/2024REG.PROV.COLL.

N. 07105/2020 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 7105 del 2020, proposto da
-OMISSIS-, rappresentato e difeso dall’Avvocato Pasquale Ripabelli, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;

contro

Comune di Oratino, non costituito in giudizio;

per la riforma

della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per il Molise (Sezione Prima) n. -OMISSIS-/2019, resa tra le parti;


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 26 marzo 2024 il Cons. Marco Poppi;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO e DIRITTO

Con ricorso iscritto al n. 22/2019 R.R., l’odierno appellante impugnava l’ordinanza del Comune di Oratino n. 2/2018 del 17 ottobre 2018 con la quale veniva disposta la sospensione dei lavori in corso e la demolizione dei seguenti manufatti realizzati in difetto di titolo:

1) «Recinzione ed un muro di contenimento terra in CLS con altezze variabili sul lato nord del lotto di proprietà del Verrusio, con altezza massima in più punti superiore a ml. 1,50»;

2) «Tettoia in legno sul lato nord del lotto di proprietà…appoggiata su due lati ad un muro in CLS di recente realizzazione»;

3) «Barbecue con tettoia fissa, sorretta da 6 pilastrini in ferro».

Il Tar, con sentenza n. 432 del 5 dicembre 2019, accoglieva in parte il ricorso ritenendo che la tettoia ed il barbecue, in ragione delle loro caratteristiche costruttive, necessitassero della sola S.C.I.A., mentre, per quanto concerne il muro di contenimento, valutava che l’opera modificasse «in maniera significativa l'assetto fisico naturale del terreno» rendendo necessaria l’acquisizione di un titolo abilitativo: titolo che non poteva individuarsi nella licenza edilizia n. 56 del 13 agosto 1982 che prevedeva genericamente la recinzione dell’area di pertinenza dell’abitazione principale, né nella C.I.L.A. del 5 aprile 2017 che contemplava la sola realizzazione della stessa recinzione.

La sentenza veniva impugnata con appello depositato il 14 settembre 2013 deducendone l’erroneità per:

A) «ERRONEA VALUTAZIONE DELLE RISULTANZE ISTRUTTORIE – CONSEGUENTE CARENZA MOTIVAZIONALE – OMESSA-ERRATA VALUTAZIONE DELLE RISULTANZE DOCUMENTALI E PROCESSUALI DI PRIMO GRADO - VIOLAZIONE E FALSA APPLICAZIONE DELL’ART. 395 COMMA 4 CPC.» lamentando che il Tar non avrebbe rilevato la lacunosità dell’istruttoria svolta dal Comune né considerato la sostanziale omessa ottemperanza all’ordine istruttorio impartito dal Collegio in sede cautelare richiedendo all’amministrazione la specificazione della «natura degli abusi contestati alla luce dei motivi di ricorso proposti e con particolare riferimento alla data della realizzazione dei manufatti sanzionati, alla loro consistenza e dimensioni»;

B) «PER CIO’ CHE CONCERNE L’IPOTIZZATO MURO DI SOSTEGNO: OMESSA ERRONEA VALUTAZIONE DELLE RISULTANZE ISTRUTTORIE – PERPLESSITÀ DELLA MOTIVAZIONE – INESISTENZA DEGLI ELEMENTI PROBATORI UTILI A FONDARE LA DECISIONE – ABNORMITÀ – CONTRADDITTORIETÀ – ECCESSO DI POTERE - VIOLAZIONE E FALSA APPLICAZIONE DEGLI ARTT. 63 E 64 CPA» rilevando la mancata considerazione da parte del Tar, delle proprie argomentazioni difensive e la mancata applicazione del principio di non contestazione, nonché, la contraddittorietà della decisione che addebita al ricorrente il mancato accertamento dell’altezza, delle dimensioni, del posizionamento e della datazione del muro per aver impedito l’accesso al fondo da parte degli operanti decidendo, tuttavia, la causa considerando «quei dati apoditticamente esistenti»;

C) «PER CIÒ CHE CONCERNE I MANUFATTI DI CUI AI PUNTI 2) E 3) DELL’ORDINANZA DEMOLITORIA: OMESSA ERRONEA VALUTAZIONE DELLE RISULTANZE ISTRUTTORIE – PERPLESSITÀ DELLA MOTIVAZIONE – INESISTENZA DEGLI ELEMENTI PROBATORI UTILI A FONDARE LA DECISIONE – ABNORMITÀ – CONTRADDITTORIETÀ – ECCESSO DI POTERE - VIOLAZIONE E FALSA APPLICAZIONE DEGLI ARTT. 63 E 64 CPA» censurando la sentenza nella parte in cui, pur annullando la misura demolitoria relativamente alla tettoria e al barbecue, afferma che dette opere fosse assentitili mediante S.C.I.A.;

D) «VIOLAZIONE DELL’ART. 112 C.P.C. IN RELAZIONE ALL’ART. 34 C.P.A. PER OMESSA PRONUNCIA SU UN PUNTO DEL RICORSO – VIOLAZIONE DELL’ART. 27 TUED» per omesso scrutinio della dedotta contraddittorietà dell’operato comunale che adottava un provvedimento di sospensione lavori, avente natura cautelare, cui non seguivano gli opportuni approfondimento istruttori, avendo l’amministrazione adottato contestualmente la misura demolitoria.

L’amministrazione non si costituiva in giudizio.

L’appellante, con memoria ex art. 73 c.p.a. datata 23 febbraio 2024, insisteva per l’accoglimento del ricorso.

All’esito della pubblica udienza del 26 marzo 2024, la causa veniva decisa.

Con il primo motivo, l’appellante censura la sentenza ritenendola «slacciata dalle produzioni documentali agli atti» nella misura in cui non rileva la lacunosità dell’istruttoria comunale, evidenziata in sede cautelare dal Tar, che richiedeva un approfondimento circa «la natura degli abusi contestati alla luce dei motivi di ricorso proposti e con particolare riferimento alla data della realizzazione dei manufatti sanzionati, alla loro consistenza e dimensioni», salvo poi pronunciarsi pur in presenza di un riscontro istruttorio generico.

In detta sede, infatti, l’amministrazione si limitava a riferire che non era possibile datare la realizzazione dell’opera che, in ogni caso, non sembrava «risalire ad un’epoca molto remota» e che non era stato possibile procedere alla misurazione del manufatto poiché il proprietario aveva negato «l’accesso al proprio fondo»: circostanza negata dall’appellante che afferma di aver impedito unicamente il primo accesso, tentato dal personale comunale antecedentemente all’adozione dell’ordinanza impugnata perché gli incaricati si erano rifiutati di qualificarsi.

La sentenza sarebbe, pertanto da riformare, sotto un primo profilo, in ragione della mancata prova, e quindi dell’inesistenza, dei «vizi denunciati nell’ordinanza demolitoria»; sotto altro profilo violazione dell’art. 395 n. 4 c.p.c. per avere il Tar considerato come «accertato un fatto assolutamente falso».

Il motivo è infondato.

Come evidenzia la documentazione fotografica acquista agli atti, la consistenza dell’opera è chiaramente percepibile prescindendo dall’accesso all’interno dell’area di proprietà dell’appellante.

Parte del basamento in cemento che funge da supporto di una prima, parziale e più interna recinzione metallica è posto a distanza di circa un metro dal confine di proprietà segnato da una ulteriore rete metallica installata su paletti metallici infissi nel terreno, mentre altra parte del manufatto, nella specie quello di maggiore altezza, è realizzata a delimitazione della proprietà a confine con la strada in assenza di ulteriori protezioni.

Quanto percepibile dalle immagini in questione, peraltro depositate dallo stesso appellante, non contraddice la situazione di fatto descritta nel provvedimento impugnato come «muro di contenimento terra in CLS con altezze variabili sul lato nord del lotto di proprietà del Verrusio, con altezza massima in più punti superiore a ml. 1,50».

Il manufatto non risulta assentito con l’originaria concessione edilizia n. 56/E che, come si evince dalla allegata Relazione tecnica del 18 marzo 1982, si limitava a precisare che «lo spazio di proprietà circostante l’edificio in progetto, opportunamente recintato sarà sistemato a giardino», né risulta assentito con la C.I.L.A. del 5 aprile 2017 con la quale veniva comunicata la «realizzazione di porzione di recinzione su confine di proprietà lato Nord costituita da con rete metallica e paletti infissi al terreno» precisando, peraltro, che «l’immobile rientra nella perimetrazione tutelata quale bene paesaggistico (beni paesaggistici – Parte III – D.Lgs. n. 42/2004».

L’opera descritta nel titolo da ultimo richiamato (rete metallica e paletti infissi al terreno), integrante la già descritta recinzione esterna della proprietà, costituisce un manufatto distinto dal muro oggetto di contestazione (posto all’interno) la cui funzione di contenimento emerge dalla già richiamata documentazione fotografica che riproduce nitidamente il dislivello dell’area cortilizia dell’appellante rispetto all’area circostante.

Deve per completezza di esposizione evidenziarsi ulteriormente che l’appellante non comprova l’epoca di realizzazione del manufatto e che elementi utili alla datazione dell’opera non venivano rilevati nemmeno all’esito delle attività investigative condotte dal Comando -OMISSIS- -OMISSIS-, mediante escussione di testi, e del Comando -OMISSIS- che acquisiva documentazione fotografica dalla quale non emergeva con certezza la presenza della recinzione (-OMISSIS-).

In ogni caso, circa tale specifico profilo, non può che richiamarsi il pacifico principio per il quale «la parte ricorrente doveva comunque fornire in giudizio un principio di prova a sostegno delle proprie deduzioni, conformemente a quanto previsto per il -OMISSIS-» (Cons. Stato, Sez. II, 8 maggio 2020, n. 2906).

Circa il regime edilizio cui soggiace il manufatto in questione, deve rilevarsi che la Sezione si è già pronunciata operando una distinzione «fra muro di cinta e muro di contenimento affermando che solo “la realizzazione di muri di cinta di modesti corpo e altezza è generalmente assoggettabile al solo regime della denuncia di inizio di attività (Sez. IV, 3 maggio 2011, n. 2621; sez. VI, 4 gennaio 2016, n. 10)” mentre “il muro di contenimento che crei un nuovo dislivello o aumenti quello esistente costituisce una nuova costruzione, soggetta al rilascio del permesso di costruire, allorquando, avuto riguardo alla sua struttura e all'estensione dell'area relativa, lo stesso sia tale da modificare l'assetto urbanistico del territorio, così rientrando nel novero degli interventi di "nuova costruzione”»(Cons. Stato, Sez. VI, 9 luglio 2018, n.4169).

La richiamata posizione è stata in seguito confermata affermando che «la realizzazione di muri di cinta e/o contenimento di ragguardevoli dimensioni è soggetta al rilascio del permesso di costruire, inverandosi la nozione di nuova costruzione quante volte l'intervento edilizio produca un effettivo e rilevante impatto sul territorio e, dunque, in relazione alle opere di qualsiasi genere con cui si operi nel suolo e sul suolo, se idonee a modificare lo stato dei luoghi determinandone una significativa trasformazione (v., ex plurimis, Cons. Stato, Sez. II, 24 marzo 2020, n. 2050; Cons. Stato, Sez. II, 9 gennaio 2020, n. 212; Cons. Stato, Sez. VI, 9 luglio 2018, n. 4169)» (Cons. Stato, Sez. VI, 13 aprile 2021, n.3005).

È stato, altresì, precisato che «la natura pertinenziale, che esclude la necessità del previo conseguimento del permesso di costruire, può essere riconosciuta solo con riferimento alle recinzioni, definendo come tali opere aventi “caratteristiche tipologiche di minima entità al fine della mera delimitazione della proprietà» (Cons. Stato, Sez. VI, 9 luglio 2018, n.4169).

L’opera accertata, per consistenza e caratteristiche costruttive, nonché, per l’evidente modifica della conformazione del suolo che, come anticipato, determina un evidente dislivello dell’area di proprietà rispetto al terreno circostante, rientra pertanto a pieno titolo della tipologia di manufatti per i quali è richiesto il permesso di costruire.

Con il secondo motivo l’appellante, riprendendo in parte argomenti già spesi, sostiene che la sentenza sarebbe contraddittoria laddove richiama l’impossibilità per l’amministrazione di fornire dati circa le altezze del muro, la consistenza, le dimensioni, la reale collocazione e la datazione dell’intervento, pervenendo tuttavia alla conclusione che in base ai dati disponibili si potesse qualificare l’opera come necessitante del permesso di costruire.

Il Tar, a parere dell’appellante, si sarebbe in tal modo espresso sostituendosi al Comune ponendo in essere una «illegittima integrazione, ad opera del Giudice, dell’attività istruttoria di controparte» in violazione dell’art. 64 commi 1 e 2 c.p.a..

L’appellante espone ulteriormente che non sarebbe comprovata alcuna modifica dell’assetto urbanistico-edilizio del territorio atteso che, non solo non vi sarebbe certezza del c.d. status quo ante precedente alla realizzazione della recinzione, ma sarebbero incerte anche le dimensioni dello stesso manufatto, non accertate dall’amministrazione nonostante l’ordine istruttorio impartito dal Tar.

Le suesposte censure sono infondate.

Deve in primis disattendersi la pretesa supplenza del giudice all’inerzia dell’amministrazione posto che la decisione gravata si fonda sulle acquisizioni processuali che, come già illustrato, comprovano la presenza del manufatto nella consistenza rilevata dall’amministrazione.

Non può, infatti, non evidenziarsi che lo stesso appellante specifica l’altezza del muro in m. 1,30 confermando una consistenza dell’opera sostanzialmente corrispondente a quella fornita dall’amministrazione («circa» m. 1,50).

Privo di pregio è il richiamo al principio di non contestazione poiché l’invocato art. 64, comma 2, c.p.a. dispone, come dallo stesso appellante evidenziato, che il giudice debba porre a fondamento della decisione «i fatti non specificatamente contestati dalle parti costituite» mentre il Comune non risulta costituito nel giudizio di primo grado.

Con il terzo motivo l’appellante censura la sentenza nella parte in cui, pur annullando la misura demolitoria relativamente alla tettoia e al barbecue, afferma che sarebbero in ogni caso opere soggette al regime della S.C.I.A. anziché riconoscerne la riconducibilità all’edilizia libera in ragione della loro natura pertinenziale.

Il motivo è infondato.

È pacifico in giurisprudenza che la realizzazione di una tettoia vada configurata sotto il profilo urbanistico come intervento di nuova costruzione ogni qual volta integri un manufatto «non completamente interrato che abbia i caratteri della solidità, stabilità ed immobilizzazione al suolo, anche mediante appoggio, incorporazione o collegamento fisso ad un corpo di fabbrica preesistente o contestualmente realizzato, indipendentemente dal livello di posa e di elevazioni dell'opera» (Cons. Stato, Sez. IV, 2 marzo 2018, n.1309).

Estranei a detto regime sono da considerarsi unicamente le cc.dd. tettoie leggere non tamponate lateralmente su almeno tre lati, prive di autonomia e realizzate per «valorizzare la fruizione al servizio dello stabile, ponendo un riparo temporaneo dal sole, dalla pioggia, dal vento e dall'umidità che rende più gradevole per un maggior periodo di tempo la permanenza all'esterno, senza peraltro creare un ambiente in alcun modo assimilabile a quello interno, a causa della mancanza della necessaria stabilità, di una idonea coibentazione termica e di un adeguato isolamento dalla pioggia, dall'umidità e dai connessi fenomeni di condensazione» (Cons. Stato, Sez. VII, 28 agosto 2023, n. 7999).

Nel caso di specie la tettoia oggetto di contestazione si presenta come aperta su due lati poggiando gli altri due su murature in cls, dando vita ad un manufatto avente una propria autonomia funzionale non riconducibile al sopra illustrato concetto di pertinenzialità.

Priva di pregio è la evidenziata continenza di quanto realizzato nei limiti di cui all’art. 3 del d.P.R: n. 380/2001.

Sul punto è già stato affermato dalla Sezione che «come noto, la nozione di pertinenza, sul piano urbanistico-edilizio, è limitata ai soli interventi accessori di modesta entità e privi di autonoma funzionale, mentre è inconferente l' art. 3, comma 1, lett. e.6), d.P.R. n. 380/2001 (secondo cui rientrano tra gli interventi di nuova costruzione anche “gli interventi pertinenziali che le norme tecniche degli strumenti urbanistici, in relazione alla zonizzazione e al pregio ambientale e paesaggistico delle aree, qualifichino come interventi di nuova costruzione, ovvero che comportino la realizzazione di un volume superiore al 20% del volume dell'edificio principale”), in quanto tale previsione non pone, essa stessa, la definizione di pertinenza, bensì la presuppone, ragione per cui la nozione di pertinenza, ai fini urbanistici, deve essere tratta aliunde , e deve rispettare le caratteristiche individuate dalla giurisprudenza (cfr. ad es. Consiglio di Stato , sez. VI , 14/03/2023 , n. 2660)» (Cons Stato, Sez. VI, 5 marzo 2024, n. 2169)

Analoghe considerazioni valgono per il barbecue avendo l’appellante realizzato un manufatto in muratura di significative dimensioni, sormontato da una copertura poggiante su pilastri metallici.

Per tali opere, in ragione della loro conformazione e dello stabile ancoraggio al suolo, come correttamente rilevato dal Tar, deve escludersi una mera funzione di arredo, protezione o riparo essendo evidente il loro impatto sul territorio che ne esclude la riconducibilità all’edilizia libera.

Infondato è, inoltre, il dedotto difetto di motivazione in ordine all’interesse pubblico sotteso alla demolizione stante il tempo trascorso dalla realizzazione delle opere.

Sul punto la giurisprudenza è granitica nell’affermare che «l'ordinanza di demolizione di un immobile abusivo ha natura di atto dovuto e rigorosamente vincolato, con la conseguenza che essa è dotata di un'adeguata e sufficiente motivazione se contiene la descrizione delle opere abusive e le ragioni della loro abusività (ex multis, Consiglio di Stato sez. VI, 07/06/2021, n. 4319). Ne consegue che non è necessario che l'amministrazione individui un interesse pubblico - diverso dalle mere esigenze di rispristino della legalità violata - idonee a giustificare l'ordine di demolizione (Consiglio di Stato sez. VI, 17/10/2022, n. 8808: "L'ordine di demolizione di manufatti abusivi non richiede una specifica motivazione sulla ricorrenza del concreto interesse pubblico alla loro rimozione, essendo la relativa ponderazione tra l'interesse pubblico e quello privato già compiuta, a monte, dal legislatore."; Consiglio di Stato sez. II, 11/01/2023, n. 360: "L'ordine di demolizione è atto vincolato e non richiede una specifica valutazione delle ragioni di interesse pubblico, né una comparazione di questo con gli interessi privati coinvolti e sacrificati, né una motivazione sulla sussistenza di un interesse pubblico concreto ed attuale alla demolizione")» (Cons. Stato, Sez. VI, 4 agosto 2023, n. 7546).

Con il quarto motivo l’appellante ripropone la dedotta l’illegittimità del provvedimento rilevando un profilo di contraddittorietà nella parte in cui «l’immediata sospensione dei lavori se in essere per meglio ponderare ed emettere, entro 60 giorni dalla data di notifica della presente ordinanza, i provvedimenti definitivi» salvo disporre successivamente il ripristino dello stato dei luoghi.

Il motivo è infondato.

Pur rilevando la scarsa chiarezza della suesposta premessa, deve evidenziarsi l’univocità della parte dispositiva del provvedimento impugnato che descrive i manufatti presenti sul fondo dell’appellante disponendo espressamente la sospensione dei lavori in essere e la rimozione delle realizzazioni già eseguite.

Inconferente è pertanto la dedotta violazione dell’art. 27 del d.P.R. n. 380/2001, non menzionato nel provvedimento impugnato, adottato invece ai sensi degli artt. 36 e 31, commi 3 e 4, della medesima fonte normativa.

Per quanto precede l’appello deve essere respinto senza dar luogo a pronunzia sulle spese stante la mancata costituzione dell’amministrazione intimata.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta), definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo respinge.

Nulla spese.

Ritenuto che sussistano i presupposti di cui all'articolo 52, commi 1 e 2, del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196, e dell’articolo 10 del Regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio del 27 aprile 2016, a tutela dei diritti o della dignità della parte interessata, manda alla Segreteria di procedere all'oscuramento delle generalità dell’appellante e del riferimento al sopralluogo disposto dalla Procura della Repubblica.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 26 marzo 2024 con l'intervento dei magistrati:

Giancarlo Montedoro, Presidente

Oreste Mario Caputo, Consigliere

Giordano Lamberti, Consigliere

Davide Ponte, Consigliere

Marco Poppi, Consigliere, Estensore