Cass. Sez. III n. 40075 del 12 novembre 2010 (Cc. 6 ott. 2010)
Pres. Squassoni Est. Squassoni Ric. PM in proc. Bartolini
Urbanistica. Attività di cava
L’attività di apertura e di coltivazione di una cava, pur comportando la trasformazione del territorio, non è subordinata al controllo edilizio comunale; la compatibilità della coltivazione della cava con gli interessi urbanistici è oggetto di accertamento da parte della Regione al momento del rilascio della autorizzazione per lo sfruttamento dei giacimenti che stabilisce, di solito, l’obbligo di successiva restituzione del luogo allo stato precedente. Tale obbligo non rende tutte le opere realizzate nella cava di natura precaria o, comunque, non assoggettate al regime del permesso di costruire e su tale tema necessita fare una distinzione.
UDIENZA del 06.10.2010
SENTENZA N. 1237
REG. GENERALE N.13856/2010
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
Sez. III Penale
Composta dagli ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. CLAUDIA SQUASSONI - Rel. Presidente
Dott. MARIO GENTILE - Consigliere
Dott. AMEDEO FRANCO - Consigliere
Dott. GIOVANNI AMOROSO - Consigliere
Dott. ELISABETTA ROSI - Consigliere
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
PMT PRESSO TRIBUNALE DI SONDRIO nei confronti di:
1) BA. GI. N. IL ad/xx/xxxx
- avverso l'ordinanza n. 8/2010 TRIB. LIBERTA' di SONDRIO, del 19/03/2010
- sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. CLAUDIA SQASSONI;
- sentite le conclusioni del PG Dott. Montagna Alfredo che ha concluso per l'annullamento con rinvio del provvedimento impugnato.
- Uditi difensori Avv. Muffatti Antonio;
MOTIVI DELLA DECISIONE
Con ordinanza 19 marzo 2010, il Tribunale di Sondrio ha revocato il decreto di sequestro preventivo che gravava su di una area adibita a cava e sulla quale era installato un impianto mobile di frantumazione e realizzati muri che la pubblica accusa ha ritenuto abusivi.
Per giungere a tale conclusione, i Giudici hanno rilevato che l'impianto aveva ottenuto nello more del procedimento una autorizzazione regionale in variante che non doveva essere integrata dal permesso di costruire per le seguenti ragioni.
Trattasi di strutture per attività produttive che non comportavano una trasformazione permanente del territorio e, pertanto, non costituivano nuove opere a sensi dell'art.3 punto C3 TU 380/2001 e non necessitavano di permesso di costruire; erano considerate dalla Legge Regionale Lombardia (art. 27 L.12/2005) "strutture temporanee di cantiere", che non richiedevano titolo abilitativo; avevano, inoltre, natura provvisoria (in quanto erano smantellare e riposizionate con il proseguire della coltivazione) e dovevano essere rimosse ad attività estrattiva conclusa.
Tale situazione - hanno concluso i Giudici - fa venire meno il periculum in mora e non sussistono i presupposti per la applicazione dell'art.321 c.2 cpp dal momento che l'area non è confiscabile.
Per l'annullamento della ordinanza, ha proposto ricorso per Cassazione il Procuratore della Repubblica deducendo difetto di motivazione e violazione di legge sulla non necessità del permesso di costruire, in particolare, rilevando:
- che, dal testo del provvedimento, non è chiaro se le opere in esame non richiedevano il permesso di costruire perché era sufficiente la autorizzazione regionale o perché erano di natura provvisoria;
- che a sensi dell'art.35 Legge Regione Lombardia 14/1998, l'autorizzazione è solo il presupposto per il rilascio del permesso di costruire di competenza comunale : la norma definisce, anche, quali opere siano da considerarsi di pertinenza della cava (tra le quali non sono annoverate quelle per cui è procedimento);
- che è erronea la interpretazione dell'art.3 TU 380/2001 perché l'impianto di frantumazione, per la sua entità, comporta una trasformazione permanente del suolo.
Inoltre, il ricorrente censura la motivazione sulla mancanza di esigenze cautelari perché collegata solo all'ipotesi dell'art.321 c.2 cpp.
L'indagato ha presentato una memoria per contrastare gli assunti dell'atto di ricorso.
*******************
L'attività di apertura e di coltivazione di una cava, pur comportando la trasformazione del territorio, non è subordinata al controllo edilizio comunale; la compatibilità della coltivazione della cava con gli interessi urbanistici è oggetto di accertamento da parte della Regione al momento del rilascio della autorizzazione per lo sfruttamento dei giacimenti che stabilisce, di solito, l'obbligo di successiva restituzione del luogo allo stato precedente.
Tale obbligo non rende tutte le opere realizzate nella cava di natura precaria o, comunque, non assoggettate al regime del permesso di costruire e su tale tema necessita fare una distinzione.
Non richiedono il permesso di costruire i manufatti edilizi non destinati a durare nel tempo, ma ad essere rimossi dopo il momentaneo uso e le attività di trasformazione del sito di natura contingente.
Gli interventi che non hanno le ricordate caratteristiche, anche se connesse con il ciclo produttivo della attività estrattiva, devono svolgersi nel rispetto dei piani di settore e delle norme urbanistiche e richiedono il permesso di costruire, a sensi dell'art.10 TU 380/2001, se determinano una durevole trasformazione del territorio (ex plurimis Cass. Sez.3 sentenza n° 18546/2010).
Sul punto, è appena il caso di rilevare che richiedono il permesso di costruire le attività di edificazione e quelle di modifica dello stato del suolo per adattarlo ad un impegno diverso da quello che gli è proprio per la sua condizione naturale o per qualificazione giuridica.
Ora i Giudici hanno rilevato che i muri destinati a formare i piazzali di sostegno dello impianto sono continuamente smantellati e riposizionati con il progredire della attività di coltivazione ( e su questa ricostruzione fattuale, nel ricorso non sono proposte censure): consegue che tali interventi hanno natura precaria e saranno definitivamente rimossi con ripristino del luogo ad attività estrattiva conclusa.
Pertanto, tali opere non necessitavano di previo permesso di costruire. L'impatto dello impianto di frantumazione (la cui installazione è attualmente autorizzata) con l'ambiente è stato valutato in modo positivo dalla Regione al momento del rilascio della relativa autorizzazione e determina una alterazione del suolo utilizzato come cava che è insita nella attività estrattiva.
Consegue che (impregiudicata la valutazione sulla sussistenza del reato commesso fino al rilascio della su ricordata autorizzazione) il proseguire della attività della cava non determina un aggravamento nel tempo o un incremento in intensità della lesione del bene protetto come correttamente rilevato dal Tribunale.
In base a tale considerazione, la Corte rileva che la conclusione sulla insussistenza del periculum in mora è condivisibile (pur con l'inconferente richiamo all'art.321 c.2 cpp).
PQM
La Corte rigetta il ricorso.
Roma, 6 ottobre 2010
DEPOSITATA IN CANCELLERIA il 12 Nov. 2010