Consiglio di Stato Sez. VI n. 1124 del del 22 febbraio 2018
Urbanistica.Acquiescenza al rigetto dell’istanza di sanatoria
 
Il soggetto, che ha prestato acquiescenza al rigetto dell’istanza di sanatoria, decade dalla possibilità di rimettere in discussione le ragioni del diniego in sede di impugnazione dell’ordine di demolizione, atteso che quest’ultimo in detto diniego, divenuto definitivo perché non impugnato, rinviene il suo presupposto



Pubblicato il 22/02/2018

N. 01124/2018REG.PROV.COLL.

N. 07737/2016 REG.RIC.



REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 7737 del 2016, proposto da:
Giuliano Paoli e Conci Leonia in Paoli, rappresentati e difesi dagli avvocati Monica Carlin e Stefano Vinti, con domicilio eletto presso Studio Vinti in Roma, via Emilia N. 88;

contro

Comune di Mezzolombardo, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati Andrea Lorenzi e Gabriele Pafundi, con domicilio eletto presso lo studio Gabriele Pafundi in Roma, viale Giulio Cesare 14a/4;
Provincia Autonoma di Trento, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall'avvocato Gioia Vaccari, con domicilio eletto presso il suo studio in Roma, viale Gioacchino Rossini, 18;

per la riforma

della sentenza del T.R.G.A. –TRENTO, n. 245/2016, resa tra le parti, concernente ingiunzione di rimessione in pristino di un terrazzo a vasca abusivamente realizzato;


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio del Comune di Mezzolombardo e della Provincia Autonoma di Trento;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 5 dicembre 2017 il Cons. Giordano Lamberti e uditi per le parti gli avvocati Monica Carlin, Gabriele Pafundi e Colitti Alberto su delega dell'avv. Gioia Vaccari;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO e DIRITTO

1– Gli appellanti sono proprietari di un edificio sito nel centro storico del Comune di Mezzolombardo, tutelato ai sensi della legge n. 1089 del 01.06.1939 a seguito del decreto n. 1156 del 18.07.1977.

2– Sulla copertura di detto immobile è stato realizzato un terrazzo a vasca alla fine degli anni ‘70 del secolo scorso in occasione dei lavori assentiti in data 27.01.1977, con la licenza di costruzione n. 109/76 per il risanamento dell’immobile.

3- Nel 1986, parte appellante ha presentato istanza di condono, ai sensi della L. 28.2.1985, n. 47, e della L.P. 02.09.1985, n. 16, per una serie di opere abusivamente realizzate sull’edificio, in difformità rispetto alle autorizzazioni rilasciate dalla Commissione beni culturali, fra cui “l’apertura di un foro unico nel tetto, congiungendo due finestre in falda autorizzate che ha consentito la realizzazione di un terrazza a vasca”. Con provvedimento n. 18023 del 30.12.1994, la Giunta provinciale ha autorizzato il rilascio dell’autorizzazione in sanatoria per quasi tutte le opere richieste, ma non per “il terrazzo a vasca in sostituzione di una soffitta sul perimetro nord del fabbricato”.

4-Nel 1997 i proprietari hanno presentato istanza di riesame di tale provvedimento, ai sensi della sopravvenuta L. 23.12.1994, n. 724, e della L.P. 18.04.1995, n. 5. Il Dirigente del Servizio beni culturali della Provincia, con provvedimento n. 1147 del 12.02.1998, ha espresso parere negativo al rilascio del condono per il terrazzo a vasca; detto parere negativo è stato condiviso dalla Commissione dei Dirigenti generali della Provincia con determinazione n. 737 del 13.02.1998. L’appellante ha proposto ricorso avverso detto provvedimento; ricorso respinto dal T.A.R. competente. Detta pronuncia è passata in giudicato, poiché l’appello al Consiglio di Stato è stato dichiarato perento con decreto n. 2850 del 21.11.2011.

5- Il 12.12.2014 la Provincia di Trento ha dato comunicazione dell’intervenuto decreto di perenzione al Comune di Mezzolombardo che, di conseguenza, il successivo 29.04.2015, ha emesso l’ingiunzione di ripristino dello stato dei luoghi, ovvero l’eliminazione del terrazzo a vasca oggetto del rigetto della domanda di condono.

6- Avverso tale provvedimento hanno proposto impugnazione gli appellanti con ricorso straordinario al Capo dello Stato, notificato il 17.08.2015. Con atto notificato il 26.10.2015 l’Amministrazione comunale di Mezzolombardo ha chiesto la trasposizione del ricorso in sede giurisdizionale. Alla pubblica udienza del 19.05.2016 il ricorso è stato trattenuto in decisione per essere rigettato con sentenza n. 245/2016.

7-Avverso tale pronuncia gli appellanti hanno proposto impugnazione per i motivi di seguito esaminati

8- Con il primo motivo di appello si censura la sentenza del T.A.R. per contraddittorietà, illogicità e travisamento dei presupposti di fatto. Al tal fine, gli appellanti insistono nel sostenere la preesistenza della terrazza a vasca alla imposizione del vincolo ex L. 1089/1939 deducendo che:

a) il Giudice di primo grado avrebbe completamento trascurato la sentenza del Giudice penale di assoluzione Tribunale di Trento (n. 396 del 2016);

b) nel sistema tavolare il vincolo sarebbe efficacemente costituito solo con l’intavolazione;

c) in base alla giurisprudenza (Cons. St. n. 3851 del 2010) il sopravvenuto vincolo non è opponibile nel caso in cui il titolo abilitativo originario sia stato attivato con l’inizio dei lavori;

d) la terrazza a vasca era stata già autorizzata con la concessione 109/1976 e pertanto doveva ritenersi irrilevante la mancata impugnazione della prescrizione di non eseguire il terrazzo di cui al provvedimento n. 2495 del 27.09.1977 della Commissione per i beni Culturali della PAT.

8.1- Come già rilevato dal Giudice di prime cure, il motivo è inammissibile. Invero, l’ordinanza di demolizione impugnata è diretta conseguenza del diniego di sanatoria relativo alla realizzazione della terrazza a vasca sulla copertura dell’edificio. Detto diniego è stato impugnato senza successo da parte appellante. Invero, il T.A.R. ha respinto il ricorso e il giudizio di appello avanti in Consiglio di Stato si è estinto per perenzione. Per tali ragioni, sulla natura abusiva dell’opera si è già formato il giudicato, non potendosi in questa sede rimettere in discussione la relativa questione. L’ingiunzione impugnata nel presente giudizio, infatti, è atto necessitato e consequenziale al diniego di sanatoria e non contiene alcuna autonoma valutazione circa l’abusività dell’opera. Ne è conferma il fatto che l’art. 8 della L.P. n. 5 del 18.04.1995 prevede che il diniego di sanatoria comporta l’applicazione delle sanzioni previste dalla legge urbanistica provinciale.

La soluzione accolta è conforme all’ orientamento espresso della giurisprudenza in casi analoghi secondo cui: “il soggetto, che ha prestato acquiescenza al rigetto dell’istanza di sanatoria, decade dalla possibilità di rimettere in discussione le ragioni del diniego in sede di impugnazione dell’ordine di demolizione, atteso che quest’ultimo in detto diniego, divenuto definitivo perché non impugnato, rinviene il suo presupposto” (cfr. Cons. St. sez. VI, n. 3744 del 2015).

8.2- Oltretutto, come osservato anche dal T.A.R., l’asserita preesistenza del terrazzo rispetto al vincolo avrebbe dovuto essere fatta valere tempestivamente con apposito ricorso avverso il provvedimento prot. n. 2495 del 27.09.1977 con il quale, a fronte della richiesta della proprietà del 13.09.1977 di eseguire lavori di restauro statico strutturale nell’edificio, la Commissione per i beni culturali aveva imposto di “non eseguire il terrazzo nel sottotetto”. Tanto è vero che gli appellanti, evidentemente consci dell’abusività dell’opera comunque realizzata nonostante tale prescrizione, hanno cercato senza successo di sanarla attraverso il procedimento di condono edilizio.

8.3- Alla luce delle considerazioni che precedono, tenuto conto della regola di tendenziale autonomia e separazione tra giudizio penale ed amministrativo, risulta irrilevante ai fini del presente giudizio la sentenza del Tribunale di Trento n. 396 del 2016, maturata in un momento in cui dal punto di vista amministrativo era già stata accertata la natura abusiva dell’opera. Oltretutto, non sussistono in ogni caso i presupposti soggettivi di cui all’art. 654 c.p.p. per invocare l’autorità di giudicato nel presente giudizio della sentenza del giudice penale (cfr. Cons. St., sez. VI, n. 407 del 2017; Cons. St., sez. VI, n. 506 del 2016).

9 - Con il secondo motivo gli appellanti lamentano il difetto di istruttoria e di motivazione riproponendo il secondo motivo del ricorso di primo grado con il quale era denunciata: a) la indeterminatezza dell’oggetto del provvedimento di ingiunzione e la conseguente nullità dello stesso, posto che il tetto nella cui falda è stata realizzata la terrazza a vasca non può certamente essere ripristinato, dal momento che prima che venissero realizzati i lavori esso era in condizioni fatiscenti; b) la carenza di motivazione e conseguente eccesso di potere, non essendo stato in alcun modo preso in considerazione il legittimo affidamento del privato, consolidatosi nel corso di un notevole lasso temporale; c) la violazione e falsa applicazione delle norme di diritto artt. 8 della L. P. 5/1995, 1 della L.P. 3/2004 e 32 della L.P. 23/1992, poiché l’ingiunzione doveva essere comunicata da parte della Provincia agli appellanti, oltre che al Comune.

Il motivo è infondato per le seguenti ragioni.

9.1- In primo luogo, è evidente che l’ordine di rimessione in pristino non è affatto indeterminato, riguardando la terrazza a vasca realizzata sulla copertura dell’edificio. Quanto all’asserita impossibilità di ripristinarlo alle condizioni originarie, deve chiaramente intendersi che il ripristino debba essere riferito allo stato giuridico dell’immobile, conformemente ai titoli edilizi che nel corso del tempo hanno assentito i diversi interventi che l’hanno interessato, e non alle condizioni di fatto in cui questo versava prima dell’intervento del 1977. Inoltre, come rilevato nella sentenza impugnata, il Comune ha già chiarito le modalità con le quali procedere (vedasi nota del 29.07.2015). Ne è conferma il fatto che gli stessi appellanti hanno chiesto la proroga del termine stabilito nel provvedimento impugnato al fine di procedere alla chiusura della terrazza mediante due finestre in falda e chiusura del foro della copertura.

9.2- Rispetto alla dedotta carenza di motivazione ed alla mancata valutazione del legittimo affidamento degli appellanti (sulla sussistenza del quale è più che lecito dubitare alla luce delle vicende che nel corso degli anni hanno interessato l’edificio) non può che richiamarsi il recente arresto dell’Adunanza Plenaria (Cons. St., Ad. Plen., n. 9 del 2017), secondo la quale: “il provvedimento con cui viene ingiunta, sia pure tardivamente, la demolizione di un immobile abusivo, per la sua natura vincolata e rigidamente ancorata al ricorrere dei relativi presupposti in fatto e in diritto, non richiede motivazione in ordine alle ragioni di pubblico interesse (diverse da quelle inerenti al ripristino della legittimità violata) che impongono la rimozione dell’abuso. Il principio in questione non ammette deroghe neppure nell’ipotesi in cui l’ingiunzione di demolizione intervenga a distanza di tempo dalla realizzazione dell’abuso, il titolare attuale non sia responsabile dell’abuso e il trasferimento non denoti intenti elusivi dell’onere di ripristino”.

9.3 - E’ invece inammissibile la censura sub c) che testualmente si riporta: “l’interpretazione che la sentenza di primo grado propone dell’art. 8 della L.P. 5/1995 non è convincente, né pare sufficientemente motivata. L’ingiunzione doveva essere comunicata da parte della PAT agli appellanti oltre che al Comune, ai sensi delle norme provinciali che sono, in ragione di ciò, da ritenersi violate”.

Invero, dalla stessa non è dato comprendere la critica rivolta alla statuizione di primo grado, che correttamente ha rigettato il motivo con il quale nel ricorso originario si deduceva il vizio di incompetenza e di mancata comunicazione della determinazione provinciale del 1998. Inoltre, dalla sua lettura non è dato comprendere il senso della censura, ove si consideri che l’ingiunzione è stata emessa dal Comune e non dalla Provincia, la quale in precedenza aveva semplicemente segnalato l’intangibilità della statuizione del T.A.R. di rigetto avverso il ricorso con il quale si era impugnato il diniego di sanatoria.

Pertanto, stante l’assenza di correlazione logica con l’atto impugnato, risultano violati i principi di chiarezza e specificità dei motivi di appello desumibili dall’art. 101 c.p.a., da cui l’inammissibilità della censura (cfr. Cons. St., sez. V, n. 5459 del 2015, Cons. St., sez. V, n. 274 del 2015; Cons. St., sez. VI, n. 4016 del 2010).

10 – In definitiva, l’appello deve essere rigettato. La complessità delle vicende che hanno interessato l’immobile giustifica la compensazione delle spese di lite.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta), definitivamente pronunciando, rigetta l'appello come in epigrafe proposto e compensa le spese di lite.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 5 dicembre 2017 con l'intervento dei magistrati:

Ermanno de Francisco, Presidente

Vincenzo Lopilato, Consigliere

Dario Simeoli, Consigliere

Giordano Lamberti, Consigliere, Estensore

Italo Volpe, Consigliere

         
         
L'ESTENSORE        IL PRESIDENTE
Giordano Lamberti        Ermanno de Francisco