REPUBBLICA ITALIANA
N. 1150/03REG.DEC.
IN NOME DEL POPOLO
ITALIANO
N. 5440 REG.RIC.
Il Consiglio
di Stato
in sede
giurisdizionale, Quinta
Sezione
ANNO 2002
ha pronunciato la seguente
decisione
sul ricorso in appello n. 5440/2002 proposto da
ZUANETTO Renzo, GATTONI Marilena, GATTONI Carlo Mario e SAVOLDI Esterina,
rappresentati e difesi dagli avv.ti Pier Luigi CASSIETTI e Mario MENGHINI e
presso il secondo elettivamente domiciliati in Roma, via della Mercede
52,
contro
il Comune di BORGO TICINO, in persona del
Sindaco p.t., non costituitosi in giudizio,
per
l’annullamento
della sentenza del TAR del Piemonte, Sezione I,
29 maggio 2002, n. 1120;
visto il ricorso in appello con i relativi
allegati;
visti gli atti tutti di causa;
relatore, alla pubblica udienza del 4 febbraio
2003, il Consigliere Paolo BUONVINO; udito l’avv. MENGHINI per gli appellanti.
Ritenuto e considerato, in fatto e in diritto,
quanto segue:
F A T T O
1) - Con la sentenza appellata il TAR ha
respinto il ricorso proposto dagli odierni appellanti per l’annullamento della
determinazione del Comune di Borgo Ticino 14 marzo 2002, n. 69, recante revoca
della concessione edilizia n. 1834/1992, nonché dell’ordinanza 14 marzo 2002,
n. 40, recante ingiunzione di demolizione delle opere realizzate in base alla
concessione revocata.
Per gli appellanti la sentenza sarebbe erronea anzitutto in quanto
l’adozione dei provvedimenti in parola ad una distanza di 10 anni dal rilascio
del titolo edificatorio e senza alcuna motivazione in merito al pregiudizio
dagli stessi patito avrebbe dovuto condurre i primi giudici alla declaratoria di
illegittimità dei provvedimenti impugnati.
La sentenza sarebbe, comunque, errata anche in quanto poggerebbe su di una
non corretta interpretazione del disposto di cui all’art. 16 delle NTA del PRG.
Non si è costituito in appello il Comune intimato.
D I R I T T O
1) - Con la sentenza appellata il TAR ha
respinto il ricorso proposto dagli odierni appellanti per l’annullamento della
determinazione del Comune di Borgo Ticino 14 marzo 2002, n. 69, recante revoca
della concessione edilizia n. 1834/1992, nonché dell’ordinanza 14 marzo 2002,
n. 40, recante ingiunzione di demolizione delle opere realizzate in base alla
concessione revocata.
2) - Appare, anzitutto, corretta
l’interpretazione data dal Comune, e confermata dai primi giudici, del
disposto di cui all’art. 16 delle NTA del locale PRG, dal momento che “le
autorimesse……non costituiscono confrontanza e, quindi, possono essere
realizzate anche a confine” solo a condizione che i relativi prospetti si
affaccino “su lotti totalmente liberi da edificazione”; poiché è pacifico,
nella specie, che a poco più di cinque metri dal confine il vicino aveva
realizzato, in precedenza, propri manufatti finestrati, ne consegue che la
disposizione anzidetta non poteva – contrariamente a quanto dedotto
dagli appellanti con il secondo e terzo motivo dell’appello - essere
utilmente invocata nel caso in esame.
3) - Non di meno, l’appello appare fondato, dovendosi condividere la
censura, disattesa dal TAR, relativa al dedotto difetto di motivazione.
L’autorimessa di cui si tratta è stata, infatti, tempestivamente
realizzata in base a titolo edificatorio n. 1834, del 17 agosto 1992.
Da parte del vicino, però, è stata successivamente richiesta alla P.A.
– senza alcuna impugnativa, peraltro, del titolo edificatorio ora detto –
una verifica circa la rispondenza dell’opera realizzata alla disciplina di
settore.
All’esito della verifica il Comune ha annullato una prima volta il
titolo edificatorio (ordinanza 4 ottobre 1994, n. 63), avendo ritenuto che la
costruzione eccedesse l’altezza assentita.
Tale ordinanza è stata tempestivamente impugnata innanzi al TAR (ricorso
n. 2344/94).
Successivamente, peraltro, il Comune emanava una nuova ordinanza (n. 40
del 13 luglio 1995) recante annullamento della concessione edilizia del 1992,
per contrasto con l’art. 16.2.1 delle NTA del PRG.
Anche tale ordinanza veniva impugnata davanti al TAR (ricorso n. 1891/95)
.
I primi giudici, con sentenza n. 349/2001, hanno dichiarato improcedibile
il primo di detti ricorsi, in quanto il provvedimento impugnato era stato
superato dall’ordinanza di annullamento del 1995; quanto al secondo ricorso,
dopo aver sospeso l’efficacia del provvedimento, con sentenza n. 350 del 2001
hanno accolto lo stesso per motivi formali (mancata acquisizione del parere
della Commissione edilizia).
Il Comune non ha appellato dette sentenze; per converso, ha rinnovato la
procedura volta all’annullamento del titolo concessorio, avendola emendata dai
vizi riscontrati dal TAR; per l’effetto, con i provvedimenti impugnati in
primo grado, nn. 40/2002 e 69/2002 (stavolta dopo avere acquisito il parere
della Commissione edilizia) ha reiterato l’annullamento della concessione
edilizia del 1992.
Con la sentenza in questa sede appellata il TAR ha ritenuto che, pur
essendo decorsi 10 anni circa tra il provvedimento concessorio e il suo
annullamento, non di meno non era richiesta alcuna particolare motivazione in
merito all’interesse pubblico alla rimozione del manufatto da rapportarsi al
pregiudizio del privato; ciò in quanto, in effetti, le opere erano state
iniziate solo nel settembre del 1993, con la conseguenza che al momento
dell’adozione dei precedenti provvedimenti di demolizione era decorso un
periodo di tempo molto breve; e che tutto il periodo successivo era, di fatto,
scarsamente rilevante, in quanto la vicenda era stata ormai posta all’esame
del giudice, mentre, all’esito del ricorso, prontamente la P.A. ha dato corso
al rinnovo delle procedure con puntuale acquisizione del parere della C.E.
Osserva, però, il Collegio che, al momento dell’adozione del
provvedimento di annullamento del 1995, erano già stati da tempo realizzati i
lavori di costruzione della rimessa e che, inoltre, si era innescata, tra
interessati e Comune, una precedente vicenda contenziosa (definita con la citata
sentenza di improcedibilità n. 349/2001) in quanto gli odierni appellanti, nel
realizzare l’opera, non si sarebbero conformati al titolo edificatorio del
1992.
Ebbene, è da ritenere, in questa situazione, che gli interessati abbiano
maturato un legittimo affidamento in merito alla realizzabilità delle opere in
questione (e alla loro piena conformità alle disposizioni contenute nello
strumento pianificatorio), quanto meno se e in quanto rispettosa dei limiti
fissati in concessione; anzi, il fatto che la contestazione del 1994 avesse
rilevato solo una eccedenza di altezza non consentita e non avesse, per contro,
nulla dedotto in merito alla sussistenza dei presupposti di fatto e di diritto
preordinati al rilascio del titolo edificatorio, va rivisto come elemento capace
di radicare ulteriormente, nel privato, il convincimento in merito alla
legittimità, sotto tali profili, del titolo stesso (salve restando,
naturalmente, le problematiche relative agli eventuali abusi in sede di
realizzazione delle opere, che non possono, però, indurre a ritenere
l’illegittimità del titolo, al contrario, confermato nei suoi contenuti).
Con la conseguenza che gli ulteriori provvedimenti del 2002 appaiono
adottati ad una distanza di tempo tale da richiedere l’idonea motivazione di
cui si è detto; motivazione (tanto più necessaria allorché, come nella
specie, siano passati altri sette anni prima dell’adozione, da parte
dell’Amministrazione, delle iniziative demolitorie di cui si tratta) che, per
ciò stesso, non può essere legata al puro e semplice ripristino della legalità,
ma deve dar conto della sussistenza di un interesse pubblico attuale e concreto
alla rimozione del titolo in questione (ad esempio, per significative ragioni
legate alla tutela della igiene e sanità, della sicurezza, dell’ambiente etc.)
e della comparazione tra tale interesse e l’entità del sacrificio imposto
all’interesse del privato.
4) - Per tali motivi l’appello in epigrafe appare fondato e va accolto e
per l’effetto, in riforma della sentenza appellata, deve essere accolto il
ricorso di primo grado, con il conseguente annullamento dei provvedimenti in
quella sede impugnati.
Salvi restando, comunque, gli eventuali ulteriori
provvedimenti dell’Amministrazione.
Le spese dei due gradi di giudizio possono essere
integralmente compensate tra le parti.
P.Q.M.
il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Sezione Quinta, accoglie
l’appello in epigrafe e, per l’effetto, in accoglimento del ricorso di primo
grado, annulla i provvedimenti in quella sede impugnati.
Spese del doppio grado compensate.
Ordina che la presente decisione sia eseguita
dall’Autorità amministrativa.
Così deciso in Roma il 4 febbraio 2003 dal
Collegio costituito dai Sigg.ri
ALFONSO QUARANTA
– Presidente
RAFFAELE CARBONI
- Consigliere
GIUSEPPE
FARINA –
Consigliere
PAOLO BUONVINO - Consigliere est.
M A R C O
L I P A R I - Consigliere
L'ESTENSORE
IL PRESIDENTE
f.to Paolo Buonvino
f.to
Alfonso Quaranta
IL SEGRETARIO
f.to Francesco Cutrupi
DEPOSITATA IN
SEGRETERIA
Il 1 Marzo 2003
(Art.
55, L. 27/4/1982, n. 186)
IL DIRIGENTE
Dott. Antonio
Natale